Nasce nel 1224 nel castello di
Roccasecca, vicino ad Aquino (Frosinone). Figlio di un conte riceve la
prima educazione nel monastero benedettino di Montecassino e poi
all'Università di Napoli. Decide di farsi frate e contro il volere del
padre entra a far parte dell'ordine dei domenicani (nel '200 erano nati
gli ordini mendicanti, oltre a questi c'erano anche i francescani). Al
tempo la tradizione voleva che un nobile andasse in un convento
benedettino e il fatto che lui sceglie un ordine mendicante era molto
grave.
Viene quindi rapito e picchiato a sangue, per ordine del padre, ma lui,
una volta guarito, torna tra i domenicani e a questo punto il padre cede a
accetta il fatto che il figlio non sia entrato a far parte dei
benedettini. I compagni in convento lo chiamavano il "bue muto"
perché era sempre zitto ma lavorava e studiava tanto. L'ordine lo manda
all'Università di Parigi prima, poi a Colonia dopo divenne allievo di
Alberto Magno.
Questi era un teologo che conosceva bene il greco antico e che aveva
tradotto diverse opere di Aristotele. È considerato il precursore della
filosofia medioevale del XIII - XIV secolo basata sull'aristotelismo.
Nel 1207 il vescovo di Parigi aveva proibito la lettura di Aristotele agli
studenti dell'università. Poi ci fu un fatto alquanto contraddittorio: la
chiesa da un lato era contro la lettura delle opere di Aristotele,
dall'altro il Papa diede l'incarico a dei teologi di tradurle.
Al tempo, però, Aristotele fu mal compreso, perché i suoi scritti erano
stati tradotti dal greco all'arabo e dall'arabo al latino. Avicenna, un
teologo e filosofo che commentò Aristotele, lo interpretava con un sfondo
platonico e quindi ciò creò confusione. Perciò prima del XIII secolo
Aristotele era mal conosciuto. Con Alberto Magno si ha un cambiamento:
sostiene la tesi che l'aristotelismo è meglio del platonismo per
sistemare, spiegare le verità cristiane in maniera razionale.
Tornando a San Tommaso, ebbe una vita poco movimentata, fece l'insegnate
un po' a Parigi un po' a Napoli. L'unica cosa che può essere considerata
un po' diversa è che fu invitato al Concilio di Lione, ma durante il
viaggio si ammalò e morì nel 1274.
La metafisica di Tommaso è la metafisica di Aristotele.
L'unico punto in cui si differenzia è il concetto di sostanza. Sia per
Aristotele, sia per Tommaso, sostanza è tutto ciò che esiste in sé e ha un'essenza; gli
accidenti, ciò che non sussiste di per sé, non sono sostanza. Però:
· Per Aristotele la sostanza è un sinolo tra materia e forma.
· Per Tommaso la sostanza è un sinolo tra essenza e esistenza.
Tommaso diceva: mettiamo in un insieme tutti gli enti che hanno un'essenza
(ossia tutto ciò a cui possiamo pensare senza contraddizione). Non ha
un'essenza, per esempio, il numero naturale più grande di tutti, perché
non solo non esiste, ma è contraddittorio. Oppure un triangolo di quattro
lati. Perciò tutto ciò che è contraddittorio non ha essenza, tutto ciò
che può essere pensato ha essenza.
Sottoinsieme dell'essenza è l'esistenza. L'ippogrifo ha solo l'Essenza;
il cavallo Esistenza ed essenza.
Se Tommaso non accetta questa definizione di sostanza di Aristotele, mentre
in genere accetta quasi tutto dallo Stagirita, un motivo ci deve essere.
Nel De ente et essentia esprime alcuni tesi:
· Se definiamo la sostanza come la definisce Aristotele si comprendono
solo le sostanze materiali (alberi, case, sassi…). La definizione di
Tommaso è più ampia, comprende anche ciò che non è materiale (angeli,
demoni…).
· Dottrina della creazione: i greci non avevano il concetto di creazione
dal nulla (per Aristotele e per Platone c'era infatti un ente che creava
il mondo, ma non dal nulla, da qualcosa che già esisteva). Con Tommaso la
creazione è portare in atto ciò che esiste in potenza. Perché l'essenza
è esistenza in potenza. Tutto ciò che ha essenza può esistere, ma non
è detto che esista (il cavallo esiste ed è stato quindi creato da Dio,
l'ippogrifo non esiste ed è rimasto esistente in potenza nella mente di
Dio). Bisogna comunque tenere conto che al tempo di Tommaso non esisteva
la teoria dell'evoluzione, tutto era stato creato in una volta sola.
Dio ha fatto passare dalla potenza all'atto solo alcuni enti. Gli enti che
esistono sono un sottoinsieme degli enti che potrebbero esistere.
· Per il platonismo le idee, che sono puri concetti, essenza, hanno più
valore delle cose. Tommaso dice: tra il cavallo e l'ippogrifo ha più
ricchezza d'essere il cavallo, perché esiste in realtà. Quindi a
differenza del platonismo l'aristotelismo di Tommaso dà più importanza
alle cose perché Dio le ha portate all'atto (Dio è buono e crea cose
buone). Il corpo per Platone è un male, per Tommaso è un valore, in
quanto creato da Dio.
· Analogia dell'essere: un termine può essere usato in maniera univoca,
con un solo significato, o equivoca, ambigua, con più significati (Pesca,
si intende l'atto del pescare o il frutto? Cane, si intende la
costellazione o l'animale?). L'analogia si ha quando un termine non è né
ambiguo né univoco. Il concetto di essere è un concetto analogico. Se
per esempio dico: Dio è (esiste) e Questo oggetto è (esiste)
Il verbo essere è usato allo stesso modo, il significato è in gran parte
simile ma anche un po' diverso, perché nella creatura l'essenza non
implica l'esistenza (Potrebbe anche non esistere; magari Dio non creava il
cavallo, ma l'ippogrifo) mentre in Dio l'essenza implica l'esistenza (non
può non esistere).
L'ente LOGICO esiste nell'intelletto, l'ENTE REALE esiste anche in
realtà.
Di questa distinzione ci interessa un caso particolare, cioè quando
abbiamo a che fare con enti logici che non esistono in realtà.
Se io uso il termine cecità, uso un concetto di qualcosa che non esiste
in sé (perché in pratica è la mancanza di vista).
Quando usiamo parole come male, buio che non esistono di per sé, non
significa che ciò che diciamo è falso o privo di significato. Secondo
Tommaso pur sapendo che questi enti logici non esistono di per sé, si
possono comunque denominare.
Per quanto riguarda ciò che non concerne essenza ed esistenza accetta la
metafisica aristotelica; in particolare:
· la teoria del divenire: il movimento è un passaggio dalla privazione alla
forma con un sostrato che rimane immutato
· i 4 tipi di cause: formale, efficiente, materiale e finale.
· i 4 tipi di divenire: qualitativo, quantitativo, locale e sostanziale.
· la distinzione potenza/atto: se considero l'ordine cronologico la potenza
viene prima dell'atto (una gallina prima lo era in potenza poi in atto. Se
considero non il singolo individuo ma la specie, quindi considero l'ordine
logico e conoscitivo, si ha la priorità dell'atto rispetto alla potenza
(il bambino è dipendente dall'esistenza dell'uomo).
La sua opera più importante è La summa theologiae, in cui
utilizza come metodo espositivo la questio (rifletteva il metodo
scolastico: si dibatteva e di discuteva su diversi ambiti). In queste
letture lo schema è sempre quello:
· Sembra che: dove espone la tesi opposta alla sua
· In contrario: dove espone la sua tesi
· Rispondo: porta argomenti a favore della tesi da lui sostenuta
· Soluzione della difficoltà: fa vedere perché è sbagliata la tesi
opposta
Giovanni Paolo II ha confermato che la teologia
tomistica si concilia bene con la fede. Agli inizi del '200, invece, gli
aristotelici rischiavano di essere condannati tutti (infatti le opere di
Aristotele non si potevano leggere).
S. Tommaso vuole dimostrare che Dio esiste. Se vogliamo conoscere Dio,
dobbiamo avere oltre che la ragione anche la Rivelazione (dalle
Scritture), che è vera solo per quelli che hanno la fede. Per Tommaso, se
utilizzo solo la ragione, posso dimostrare solo alcune verità.
Dalla Summa Theologiae:
Sembra che Dio non esista: vengono esposte due motivazioni possibili di
questa tesi:
· Se Dio è comunemente considerato l'essere
onnipotente e infinitamente buono, perché esiste il male? Se veramente
Dio esistesse il male non ci sarebbe. Quindi Dio non esiste. Questa tesi
era stata sviluppata da Epicuro: era arrivato alla conclusione che gli dei
non interagivano con le azioni dell'uomo. Per Agostino il male non è
creato da Dio, quando l'uomo sceglie il male sceglie il bene minore
perché appunto il male è privazione di bene.
· Si parla di cause perché Dio è considerato dal credente la causa
dell'esistenza del mondo. Questa tesi afferma che tutto può essere
spiegato senza ricorrere a Dio: un fenomeno fisico si spiega con cause
fisiche, un fenomeno che dipende dall'uomo è causato dalla volontà
dell'uomo stesso. Quindi, il non credente dice: se posso spiegare tutto
con altre cause, allora perché devo utilizzare anche Dio come causa?
In contrario: la sua tesi la esprime con una citazione biblica dell'Esodo:
"Io sono Colui che è", nel senso che Dio esiste.
Rispondo: dimostra che Dio esiste attraverso le cinque vie. Queste 5 prove
dell'esistenza di Dio sono tutte a posteriori ed esprimono ciò che
si può conoscere di Dio attraverso la ragione.
Prima
via: dall'esistenza del movimento si dimostra l'esistenza dell'Atto
puro
Seconda
via: dall'esistenza degli enti si dimostra l'esistenza della Causa
incausata
Terza
via: dall'esistenza di qualcosa si dimostra l'esistenza di un Ente
necessario
Quarta
via: dall'esistenza di gradi della realtà si dimostra l'esistenza
dell'Ente Sommo
Quinta
via: dall'esistenza di fini nella natura si dimostra l'esistenza
dell'Ente finalizzatore
1) Si tratta del movimento come lo intendeva
Aristotele.
Premessa sensibile: in questo mondo qualcosa cambia, quindi il movimento
esiste (il sole che si sposta nel cielo, la foglia che ingiallisce…).
Siccome il divenire è il passaggio dalla potenza all'atto, la causa deve
avere già in atto ciò che poi ritroviamo nell'effetto.
Es: il fuoco mi scalda l'acqua, l'acqua è calda in potenza prima, poi lo
è in atto. Per questo passaggio il fuoco (la causa) ha già in atto il
calore.
Se abbiamo un movimento a causato da b causato a sua volta da c e così
via, la causa iniziale del movimento deve avere già in atto ciò che poi
ritroviamo nell'effetto. È molto simile come ragionamento a quello della
dimostrazione dell'esistenza dell'atto puro fatta da Aristotele. Questo
atto puro è identificato con Dio. Quindi se uno usa solamente con la
ragione (e quindi nell'ambito della filosofia) e non la fede, riesce a
capire solo ciò che è conseguenza di dimostrazione, cioè, in questo
caso, che Dio è atto puro, ma non che è onnipotente, buono….
2) La causa prima deve essere incausata, perché se non lo fosse ci
sarebbe un'altra causa e quindi non sarebbe più la prima. Questa causa
incausata la chiama Dio. La piccola differenza che c'è da Aristotele è
che questa causa per Tommaso può essere anche efficiente, per Aristotele,
invece, è solo finale (per esempio la torta non fa niente per essere
desiderata e mangiata).
3) Si parte dal fatto che qualcosa esiste: piante, animali, banchi….
Tutto ciò che esiste è un ente. Gli enti si possono dividere in
contingente (ha inizio e fine nel tempo) e necessario (non ha né inizio
né fine nel tempo). Tommaso vuole dimostrare, per assurdo, che non ci
possono essere tutti enti contingenti, ma che almeno uno necessario ci
deve essere. Se tutti gli enti sono contingenti allora si possono ordinare
nel tempo per data di nascita. Ma così ve ne è uno che è il primo di
tutti. E prima di questo o c'era il nulla o un ente necessario. Ma se
prima non ci fosse stato nulla, non ci sarebbe il mondo. Quindi almeno un
ente necessario ci deve essere e questo ente necessario è Dio.
4) Si tratta della via più problematica. È un residuo platonico, anche
se sappiamo che la filosofia tomistica ha basi aristoteliche. Bisogna
però tener presente che nel '200 i traduttori erano influenzati dal
platonismo e che molto probabilmente non hanno tradotto fedelmente le
opere di Aristotele. Noi vediamo che alcune cose tra quelle che esistono
hanno una gerarchia d'essere (si va dal sasso, al vegetale, all'animale,
all'uomo). Ma se noi diciamo che un ente ha più o meno essere di un altro
bisogna supporre che ci sia un ente perfetto che chiamiamo ente sommo o
Dio.
Perché è un'influenza platonica? Secondo Platone le cose imitano le idee
(tutti i triangoli imitano l'idea di triangolo che è in pratica il
triangolo perfetto). Quindi la gerarchia presuppone un modello perfetto
che è l'idea.
5) Tommaso sostiene che un fine esiste. Alcuni fini sono dati da persone
intelligenti (la freccia colpisce il bersaglio perché l'arciere ha mirato
bene) altri no (un seme di fagiolo fa sempre crescere una pianta di
fagiolo, ma non perché è intelligente e si dà da solo il fine). Ma
allora quando il fine non è dato da un ente intelligente, da dove salta
fuori? Questo tema è ripreso da Newton: se trovo un orologio per strada,
non so chi l'ha fabbricato, però vedo che funziona e quindi posso dire
che è stato costruito da un orologiaio intelligente.
Per Tommaso allora ci deve essere un ente creatore o finalizzatore, che è
Dio, che da il fine agli enti non intelligenti.
Soluzione delle difficoltà: sono due le tesi da
confutare:
· l'esistenza del male: usa la spiegazione di Agostino: Dio vuole bene e
crea cose solo buone in sè, ma permette anche il
male, perché sa trarre il bene anche dal male, (il male è privatio
boni).
· È vero che ogni cosa è possibile spiegarla con cause che non sono
Dio, però se vado indietro una causa prima ci deve essere necessariamente
(è simile alla seconda via).
DOTTRINA DELLA CONOSCENZA
È un'applicazione, un perfezionamento della
concezione aristotelica della conoscenza. Nel De Anima l'anima
intellettiva ha due funzioni:
· astrazione: (facoltà della mente di produrre concetti, non ci sarebbe
giudizio, se non ci fossero concetti, se non ci fosse l'astrazione)
· giudizio: atto della ragione con cui si uniscono concetti tra di loro,
cioè soggetto e predicato per formare una frase o un pensiero.
Queste due facoltà sono interdipendenti (per formulare giudizi dobbiamo
avere concetti e anche per conoscere i concetti operiamo tramite giudizi).
In cosa consiste l'astrazione? Da ab-trarre, tirar fuori, distinguere.
Es: vedo tante persone, che hanno comunque tra di loro qualcosa di
diverso. Ma quando penso al concetto di persona, non penso ai particolari,
ma astraggo (tengo conto solo di ciò che è essenziale).
Quindi l'astrazione è separazione tra ciò che è essenziale (mantenuto
nel concetto) e ciò che non lo è. Si potrebbe pensare che per il
dualismo forma - materia, quando io astraggo considero solo la forma:
infatti conoscere un concetto significa conoscere l'essenza (la nozione
della forma). In conclusione lasciamo perdere la materia e consideriamo
solo la forma, come aveva sostenuto Aristotele. Però per Tommaso questa è una conclusione un po'
affrettata, perché la materia va distinta in materia in generale e
materia signata (particolare, collocata nello spazio e nel tempo).
L'uomo è fatto di carne e ossa, ogni singola persona è fatta della sua
carne e delle sue ossa. Un conto è dire materia in generale, un altro
materia particolare.
Tommaso dice che l'astrazione è una considerazione separata dalla
forma e dalla materia in generale, prescindendo dalla materia signata.
Il Principio di individuazione è un residuo platonico e consiste nel
fatto che, poiché nel concetto di uomo considero solo la forma e la
materia in generale (che sono uguali in tutti gli uomini) ritengo di dover
ulteriormente fondare l'esistenza dell'individuo singolo.
Es: ho due biro uguali, che non hanno nessun elemento che li distingue,
però io so che non sono la stessa biro…
È il principio di individuazione che dice che una cosa è se stessa.
Secondo Tommaso, il principio di individuazione è la materia signata,
ossia ciò che permette a una cosa di essere se stessa. Può essere
considerato un residuo platonico, perché per Platone a una idea
corrispondono tanti individui (se ho l'idea di uomo ho anche la relazione
con i singoli
uomini che
sono particolari). Ogni uomo imita la stessa idea dell'uomo e quindi per
distinguerli non bisogna far riferimento alle idee, ma ai particolari. Per
concludere il principio di individuazione consiste nel pensare che bisogna
avere anche una determinazione particolare per distinguere due cose che
esistono e che apparentemente sembrano uguali.
Gli scolastici però obbiettano: se l'anima esiste di per sé (è
immortale) ed è immateriale, quando il corpo muore, non ha materia
signata. Ma allora come fa un'anima ad essere diversa da un'altra? Tommaso
risponde che ciò che la rende individuale è la traccia, l'impronta che ha mantenuto
del corpo con cui è stata unita prima della morte.
Secondo Tommaso dell'anima possiamo sapere quello che dice Aristotele, in
più la filosofia può solamente dimostrare che è possibile che l'anima
sia immortale, è però la fede che ci da questa convinzione, perché Dio
come l'ha creata potrebbe anche distruggerla dopo che il corpo muore.
Distinzione tra ragione - fede.
Entrambe sono originate da Dio per cui non entrano in contrasto tra di
loro. La fede può però far conoscere qualcosa in più, la ragione può
solo capire che da sola non può sapere tutto. Quindi la ragione capisce
le 5 vie, e i relativi attributi di Dio, mentre la fede può farcene
conoscere altri. La ragione capisce, usando la ragione stessa, che la
ragione non è sufficiente.
Per esempio, la ragione non può dimostrare che l'anima è immortale. La
ragione fornisce i "preambula fidei", la ragione fornisce
premesse sulle quali la fede può integrare.
Punto contrastante con Agostino:
· Agostino sottolinea i continui e necessari passaggi dalla fede alla
ragione e viceversa (credere per capire, capire per credere)
· Per Tommaso fede e ragione sono su due piani diversi, il filosofo usa
la ragione, il teologo la fede.
PRESUPPOSTI METAFISICI DELL'ETICA
Etica intesa nel senso aristotelico, come scienza pratica che studia il
bene per l'uomo e orienta l'agire.
Secondo Tommaso ci sono due presupposti che si prendono dalla metafisica,
dove vengono dimostrati e si considerano come dei postulati nell'etica.
Questi presupposti sono solo due, il resto lo si può dimostrare
razionalmente.
Un presupposto è il Principio di finalità: dice
che "omne agens agit propter finem", "ogni agente agisce in
vista di un fine" ossia che ogni ente ha un fine. Non solamente gli
uomini quindi, ma tutti gli enti. Questo perché secondo Tommaso nella
metafisica si è dimostrato che Dio esiste e che è creatore. Dio creando
tutti gli enti ha dato loro anche un fine.
Es: come un architetto da ordini ai muratori seguendo un progetto della
casa, in cui ogni cosa ha un fine, così è la creazione: un disegno
intelligente in cui ogni cosa creata ha un fine.
A noi nell'etica interessa il fine dell'uomo. Questo fine si può
distinguere in:
· Immediato: se uno ha sete ha come fine immediato quello di bere. Questo
tipo di fine è la risposta al nostro desiderio di un bisogno immediato.
· Intermedio: la maggior parte delle nostre azioni non è per un
desiderio, ma sono un fine per un altro fine. Sono un mezzo.
es: la mattina prendo il pullman non perché lo desidero, ma perché devo
andare a scuola. Le nostre azione sono volte a fini successivi.
· Ultimo: tutti i fini intermedi presuppongono un fine ultimo (voluto per
se stesso non come mezzo ma per un altro fine).
es: se decido di andare in vacanza in una città, programmo delle tappe
apposta. Se non scelgo dove andare non posso neanche scegliere le tappe
intermedie.
Se tutti i fini fossero intermedi in realtà non vorremmo nulla, dato che
non abbiamo un fine ultimo. Se diamo un ordine ai nostri desideri è
perché un fine ultimo l'abbiamo.
Il fine ultimo si distingue in Fine ultimo di fatto, cioè ciò che
effettivamente si vuole. (Prendiamo per esempio Paperon de' Paperoni, il
suo fine ultimo di fatto è la ricchezza: tutti i suoi fini intermedi sono
in vista della ricchezza. Un altro esempio è un attore che ha come fine
ultimo la fama, o un politico che ha come fine il potere).
Fine ultimo di diritto, ciò che si deve volere, ciò che sarebbe giusto
volere, in pratica ciò che realizza la natura umana.
Il principio di finalità ci assicura che esiste un fine ultimo di diritto
che è giusto volere, perché ogni ente è stato creato da Dio con un fine
intrinseco alla sua natura, un suo fine naturale.
Anche gli altri fini (quelli di fatto) soddisfano qualcosa di utile alla
natura umana (la ricchezza è utile ma non è detto che sia il fine
maggiore), però anche se sono bene non sono il bene assoluto.
Es: ho freddo e uso un dipinto famoso per scaldarmi con una fiamma. Arrivo
a un bene perché non ho più freddo, però aver bruciato un dipinto
famoso non è bene.
Aristotele aveva detto che il fine ultimo di diritto per l'uomo è la
felicità (nell'etica nicomachea aveva detto che si potevano scegliere i
mezzi per raggiungere la felicità, ma non il fine, cioè la felicità). Per
Tommaso il fine ultimo di diritto consiste nella beatitudine, cioè la
felicità nella vita terrena e anche nella vita eterna.
Conclusione etica: Buono è ciò che è conforme al fine.
L'altro presupposto è il libero arbitrio. La morale si compone di
precetti. Comandamenti, norme morali, leggi morale, precetti li usiamo
come sinonimi.
Es: non rubare è un comandamento, una norma, una legge, un precetto.
Queste norme sono formulare come un dovere o come un imperativo, e hanno
senso solo se possono essere seguiti, cioè se si può scegliere se
seguirli o no. Se per esempio dico a una classe
rumorosa "fate silenzio!" è un precetto che viene comandato e
che essi possono seguire, ma se lo dico a una classe di muti non ha senso.
L'uomo usando la ragione può scegliere liberamente se perseguire o meno
il suo fine ultimo di diritto.
Il libero arbitrio è un presupposto della morale.
Il libero arbitrio è una conseguenza del fatto che l'uomo è razionale.
Es: se la pecora vede il lupo, istintivamente scappa perché sa che è
pericoloso. Il fatto che scappa non è dovuto a una decisione, ma alla sua
natura (e quindi non ha il libero arbitrio). Se ti spaventano e tu non te
l'aspetti, fai un salto, ma non perché l'hai deciso (non usi il libero
arbitrio).
L'uomo però di fronte a un pericolo (come il fuoco) sente il bisogno si
scappare, ma sceglie la direzione da prendere (talvolta potrebbe essere
necessario agire in maniera anti-istintiva, andare incontro alla fiamme
per non finire soffocati o intrappolati…).
Gli atti dell'uomo conseguono sempre ad un giudizio, che Tommaso chiama
GIUDIZIO ULTIMO PRATICO, ultimo perché l'azione è appena dopo il
giudizio, pratico perché orienta l'azione (nel senso che è meglio
allontanarsi che avvicinarsi al leone).
Prima del giudizio ultimo pratico, c'è però un giudizio di coscienza,
ovvero l'applicazione della legge morale ad un caso specifico, qui ed ora.
Questo atto di giudizio è puramente razionale. Se invece il giudizio
ultimo pratico non coincide col giudizio di coscienza, ciò è dovuto
all'influsso della volontà.
Gli scolastici discutono della compatibilità del libero arbitrio con la
prescienza divina (ossia che Dio conosce già prima quello che succede:
per esempio Dio sa se a Natale nevicherà). Alcuni scolastici dicono: se
Dio conosce già tutto, sa già cosa farò fra tre giorni e quindi non
sono più libero di scegliere se commettere o no un peccato. Tommaso è
convinto che libero arbitrio e prescienza divina sono conciliabili. La
conoscenza umana dipende dal tempo. Se la conoscenza di Dio fosse nel
tempo allora ostacolerebbe il libero arbitrio.
Es: se io e lui dobbiamo andare a Roma per la stessa via, io decido di
partire un giorno prima dell'altro. Se io faccio una strada, lui deve per
forza fare la stessa, non può scegliere.
Allora se Dio conosce prima di noi non abbiamo più il libero arbitrio.
Però la conoscenza di Dio non è nel tempo.
Il libero arbitrio e la prescienza divina sono compatibili.
Ma però bisognerebbe parlare dell'etica che ci dice quali sono le azioni
buone. Tommaso vuole fare un'etica filosofica e quindi bisogna dire quali
sono le azioni buone, ma anche il perché sono buone, ossia giustificarle
razionalmente.
Ciò che è buono è ciò che è conforme al fine.
Il principio di finalità ci dice che abbiamo un fine ultimo di diritto e
che dobbiamo seguire il bene e evitare il male ("Bonum est facendum,
male evitandum"). Questo principio, che è il più generale
nell'ordine pratico, ci dice di fare il bene e evitare il male ed è
chiamato SINDERESI.
La sinderesi ci indica la distinzione originaria, che l'uomo riesce a
cogliere, tra bene e male. Infatti l'uomo sa distinguere ciò che va fatto
e ciò che va evitato. Quindi per Tommaso la sinderesi ci dice che c'è un
bene da fare perché c'è un fine ultimo di diritto.
È un imperativo: bisogna fare il bene e evitare il male!!
Il presupposto metafisico si traduce con la sinderesi.
Questo principio però non ci dice qual è il bene e il male….
Tommaso dice che per saperlo abbiamo bisogno di una legge morale, che è
una via al fine, ossia che ci dice che strada dobbiamo seguire per
raggiungere il fine.
Le leggi morali non si possono ricavare dalla Bibbia, perché non si
tratta di un'etica rivelata, ma bisogna dimostrarle.
Come si deducono i precetti morali con la ragione?
Il criterio formale, che non è quello che cerchiamo, è basato sulla
regole aurea: non fare agli altri ciò che non vorresti essere fatto a te.
(strada che sarà percorsa da Kant nella Critica della ragion pratica, ma
non da Tommaso)
Tommaso dice: siccome l'uomo è creato da Dio, e Dio è buono, allora ha
creato l'uomo con inclinazioni naturali che tendono al suo bene. Se noi
studiamo, comprendiamo le inclinazioni dell'uomo allora avremo le leggi da
seguire per raggiungere il fine.
Le tendenze sono tre:
1) Principio di autoconservazione: tendenza che l'uomo condivide con tutti
gli esseri, in base alla quale tende a sopravvivere.
2) Tendenza che l'uomo condivide con gli animali superiori: ossia quella
procreazione, dell'allevamento e dell'educazione.
3) Tendenza tipicamente dell'uomo: desiderio di conoscere, spiritualità,
culto dei morti.
Da queste tre tendenze si ricavano tre precetti:
1) Non uccidere
2) I genitori hanno il compito di nutrire, educare i figli e i figli
devono rispettare i genitori. Poi si ricavano anche delle leggi sulla vita
in società.
3) Si deve cercare la verità e non la falsità e che inoltre si deve
essere sinceri
L'insieme di questi precetti forma la legge morale naturale, morale
perché riguarda il comportamento, naturale perché è intrinseca alla
natura dell'uomo.
La legge può essere: ETERNA, MORALE NATURALE e POSITIVA (UMANA e
DIVINA)
La legge positiva deriva da positum, posto, cioè data da un'autorità.
Quindi la legge divina è data da Dio, la legge umana è data dal
parlamento nel nostro caso, dall'imperatore per i medioevali. La legge
umana ha caratteri diversi dalla morale naturale perché prevede delle
sanzioni per farla rispettare.
La legge eterna è come il progetto di Dio prima della creazione del
mondo. Questo progetto o legge l'uomo non può conoscerlo, perché non
entra nella mente divina e quindi la conosciamo attraverso la legge
naturale morale che è un suo riflesso.
Tra precetti e azione c'è un vuoto. Devo decidere
cosa fare, che non è immediatamente derivabile dal precetto (perché se
tutti condividono il precetto "non rubare", allora nessuno
ruberebbe). Come si passa dalla conoscenza generale del precetto
all'azione particolare?
Secondo Tommaso c'è un giudizio di coscienza: la coscienza non è
un'altra facoltà (le facoltà sono due: intelletto e volontà), ma è
l'uso della ragione per valutare cosa bisogna fare nella situazione
concreta ("qui e ora").
Es: una persona sa che mentire è una cosa sbagliata. Se però dicendo la
verità so di ferire qualcuno, non la dico….
Quindi noi attraverso la ragione applichiamo la norma morale qui (in
quest'occasione) e ora (in questo momento).
Per il passaggio da precetti a giudizio di coscienza occorre che il
giudizio di coscienza riguardi qui e ora.
Il giudizio di coscienza coincide con il giudizio ultimo pratico?
Sappiamo che giudizio ultimo pratico e azione coincidono.
G. di coscienza: decido che adesso devo aiutare il mio amico che è in
difficoltà.
G. ultimo pratico: precede l'azione, giudico ciò che poi sicuramente
farò.
Non sono perciò la stessa cosa.
Es: la coscienza mi dice che non devo rubare, però ho bisogno di
qualcosa, trovo un portafogli pieno di soldi lasciato incustodito da un
miliardario…e quindi li prendo.
Questo deriva dal fatto che il giudizio ultimo pratico è influenzato
dalla volontà, mentre quello di coscienza tiene conto solo della ragione
(è giusto digiunare, però ho fame e mangio lo stesso).
Cos'è la volontà? Per Tommaso è un appetito, tendere verso qualcosa.
Gli animali hanno un appetito che segue necessariamente la conoscenza
sensibile, l'uomo no.
Il giudizio ultimo pratico dipende dal giudizio di coscienza (che deriva a
sua volta dai precetti, che derivano dalla ragione, che deriva dalla
sinderesi, ossia dal principio di finalità) e dalla volontà (che deriva
dalla libertà).
VIRTÚ
Per Aristotele è condizione necessaria ma non sufficiente per la
felicità. Tommaso è d'accordo con questa definizione, solo che al posto
della felicità c'è la beatitudine.
Aristotele divideva le virtù in Etiche: regolano il comportamento come
coraggio, generosità, giustizia; Dianoetiche: relative all'anima
intellettiva: intelligenza, sapienza saggezza.
Tommaso quelle etiche le chiama attive, quelle dianoetiche le chiama
contemplative; entrambe fanno parte della natura umana.
Tommaso aggiunge un terzo gruppo di virtù: quelle teologali, infuse da
Dio, che non si possono desumere solo con la ragione e sono fede,
speranza, carità.
Si può distinguere tra moralità SOGGETTIVA e MORALITÀ OGGETTIVA.
La moralità oggettiva guarda solo all'azione in se stessa. Se l'azione è
conforme al fine allora è buona.
Es: fare un ospedale per dare le cure necessarie ai malati e una cosa
buona.
La moralità soggettiva è dal punto di vista dell'intenzione.
Es: uno fa costruire un ospedale anche per acquistare fama e magari essere
eletto alle elezioni e poi trarne vantaggi personali; ha perciò un altro
fine.
Quindi esistono atti moralmente indifferenti dal punto di vista oggettivo
(l'atto del camminare non è né buono né cattivo). Mentre dal punto di
vista soggettivo non esistono atti moralmente indifferenti, perché
dipendono dalle intenzione buone o cattive che uno ha (cammino per
ricreare il corpo o per osservare una banca per poi rapinarla).
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