VITA: nasce a Vienna nel 1902. Si occupa
principalmente di due ambiti: la filosofia della scienza e la filosofia
della politica. È stato impropriamente considerato come appartenente del
circolo di Vienna, in realtà si considerava lui stesso come un killer del
circolo, poiché la sua concezione della scienza aveva messo in crisi il
neopositivismo.
Dopo la Prima guerra mondiale Popper aderisce al partito social democratico
austriaco e ottiene l'abilitazione per insegnare scienze nelle scuole
superiori e nel frattempo prosegue gli studi di filosofia.
Nel dicembre del 1934, ma con la data del 1935, pubblica la Logica della
scoperta scientifica, in tedesco, (nel 1959 uscirà una nuova edizione
ampliata in inglese. Si tratta di un libro, riassunto de I due problemi
fondamentali della teoria della conoscenza, che non era stato pubblicata).
Nel 38-39 Popper emigra e trova lavoro in Nuova Zelanda (dove sta per tutta
la guerra) in università e al college. Qui scrive due libri di filosofia
politica La società aperta e i suoi nemici e Miseria dello
storicismo. Scrive queste opere perché si domanda come mai quasi tutta
Europa era sotto il totalitarismo (stalinismo, fascismo, nazismo,
franchismo) e solo l'Inghilterra e la Svizzera erano rimaste democratiche.
Sviluppa una tesi, per altro molto discussa, secondo la quale ci sono delle
radici culturali del totalitarismo nella filosofia di Platone e di Hegel.
Finita la guerra nel 48-49 è chiamato alla London School of Economics, dove
insegna filosofia delle scienze, potendo così dedicare più tempo alla
studio e alla scrittura. Ripubblica la Logica della scoperta scientifica e
altre opere. Il suo stile è chiaro e accessibile a tutti. Popper in Italia
è stato all'inizio molto oscurato, la traduzione dell'opera principale ci
fu solo nel 1979.
I DUE PROBLEMI FONDAMENTALI DELLA
TEORIA DELLA CONOSCENZA
Il problema della demarcazione è il problema di distinguere fra ciò
che è scientifico e ciò che non lo è. Quando abbiamo una proposizione
possiamo valutare se appartiene all'ambito scientifico, oppure no. È
importante definire un confine alla scienza. Il criterio di verificazione
dei neopositivisti è un criterio di significato e non di demarcazione.
Secondo Popper è più importante stabilire se una frase appartiene al mondo
della scienza, piuttosto che vedere se una frase ha significato o meno.
Propone quindi il criterio di falsificabilità: "una proposizione
appartiene all'ambito della scienza se e solo se è falsificabile". Per
falsificarla basta trovare un caso che va contro alla legge, per esempio
trovare un corvo bianco, se abbiamo ipotizzato che tutti i corvi siano neri.
Il criterio di falsificabilità di Popper è un criterio di demarcazione e
non di significato, perché se una proposizione non è scientifica può
comunque aver significato.
Il problema dell'induzione: Popper afferma che l'induzione non esiste
né come metodo scientifico né nella vita comune. Secondo Popper non
arriviamo alla conoscenza per induzione, cioè accumulando più esperienze
(vedo un corvo nero, ne vedo un altro e un altro ancora e quindi ne deduco
che "tutti i corvi sono neri"). Questo perché non esistono delle
inferenze induttive. Popper è drastico: non esiste alcun metodo induttivo,
l'induzione non esiste, né nel metodo scientifico, né in nessun altro
campo conoscitivo.
Il problema dell'induzione non viene risolto, ma dissolto. Non solo
le inferenze induttive non sono valide (come aveva già dimostrato Hume), ma
non si può procedere - né di fatto gli scienziati procedono - da
asserzioni singolari, quali i resoconti di risultati di osservazioni ed
esperimenti (per quanto numerosi essi siano) ad asserzioni universali
(ipotesi e teorie), né per stabilirne la verità, né per determinarne il
grado di probabilità.
"L'induzione, cioè l'inferenza fondata su numerose osservazioni è un
mito. Non è né un fatto psicologico, né un fatto della vita quotidiana, e
nemmeno una procedura scientifica. (…) Il procedimento effettivo della
scienza consiste nell'operare attraverso congetture. (…) Le osservazioni e
gli esperimenti reiterati fungono, nella scienza, da controlli delle nostre
congetture od ipotesi, costituiscono, cioè, dei tentativi di
confutazione"
Secondo Popper esiste un ragionamento deduttivo, come ad esempio la
dimostrazione di un teorema, ma non esistono ragionamenti induttivi. Perché
dal punto di vista logico noi non possiamo mai osservare tutti i casi
particolari e trovare il caso che non conferma la regola. Come diceva Hume
non c'è connessione necessaria tra causa e effetto. Si potrebbe pensare che
in alcuni casi della scienza si usi l'induzione. Es: "la massa di un
corpo rimane costante indipendentemente dal tempo e dal luogo", perciò
per quanti controlli faccio, la massa rimane invariata. Secondo il metodo
induttivo (di Bacone e Mill) non ci si deve fidare di una semplice
enumerazione dei casi, ma devono essere introdotti dei metodi. Russell per
dimostrare che l'induzione non esiste fa l'esempio del "tacchino
induttivista": c'è un tacchino che segue il metodo di Bacone e vuole
controllare le sue conoscenze col metodo induttivo. Vede che il primo giorno
il padrone porta il cibo alle 9, e così tutti i giorni sempre alla stessa
ora. Arriva alla conclusione che ogni giorno alle 9 il padrone porta da
mangiare. Vuole però dei controlli più accurati, come quelli ipotizzati da
Mill, e quindi inizia a osservare se l'ora del cibo cambia se per esempio
piove, o è estate o inverno. A Natale il padrone tira il collo al tacchino.
Non può prevedere l'evento eccezionale, anche se ha fatto tutte le
verifiche. Come il tacchino non può prevedere il futuro, così gli
scienziati del '700 non potevano immaginare che alla velocità della luce la
massa aumentava (come invece scopre Einstein). Questo dimostra che per
quante casi noi possiamo prendere in considerazione, noi non possiamo
controllare tutte le possibilità perché sono infinite. Russell affermava
che l'induzione, pur non essendo logicamente fondata, nonostante tutto
veniva accettata talvolta dagli scienziati e anche dal senso comune, in
mancanza di meglio. Popper invece non accetta l'induzione perché essa non
esiste; in realtà spesso ci basta anche un solo esempio per formulare
un'ipotesi.
Per Popper quindi la nostra conoscenza procede per tentativi e correzioni
degli errori, non siamo mai certi della verità delle leggi che usiamo.
Galileo aveva affermato che la scienza si basa su sensate esperienze e
necessarie dimostrazioni (componente deduttiva). Per Popper i dati empirici,
come i risultati degli esperimenti, hanno la sola funzione di controllo, il
primo passo è l'ipotesi. L'ipotesi non è frutto dell'esperienza, ma è
frutto della congettura.
Un'ipotesi scientifica, e come tale universale, può essere logicamente
falsificata da un dato osservativo ("asserzione-base"); ma c'è
una difficoltà, in realtà non esistono, né possono esistere dati
osservativi "puri". I risultati degli esperimenti, le
"registrazioni" degli scienziati sono sempre impregnati di teoria
(theory soaked o theory impregnated), cioè il risultato
dell'esperimento implica l'accettazione di una conoscenza di sfondo, che a
volte dipende da altre assunzioni teoriche, diverse da quelle che si
vogliono controllare. In linea di principio è impossibile separare
nettamente i dati dalle teorie, ma nella pratica della ricerca scientifica,
di fatto, ci si arresta nel controllo ad asserzioni sulla cui accettazione i
ricercatori possono facilmente accordarsi, anche se secondo Popper, da un
punto di vista logico, qualunque asserzione può essere controllata
ulteriormente per mezzo di un'altra che sia dedotta da essa con l'ausilio di
una teoria. E' introdotto un criterio convenzionale, ma esso riguarda solo
l'accettazione degli asserti-base, non certo la validità delle teorie
scientifiche.
Torniamo al principio di demarcazione: prendiamo la scoperta del pianeta
Nettuno.
Consideriamo l'orbita di Urano, che tra l'altro ha massa molto maggiore di
Nettuno. Attraverso dei calcoli, basati sulla meccanica di Newton, prevedo
che Urano fra 10 giorni sarà in un tal posto, ma dopo 10 giorni vedo che
anziché trovarsi lì, si trova in un altro luogo, anche se non molto
lontano. Nella metà dell'800 gli scienziati affermano che questi errori di
previsione non dipendono dalle leggi di Newton (gravitazione universale),
perché si pensa siano dovuti al fatto che c'è un altro pianeta che, con la
sua massa, perturba l'orbita di Urano. Questo pianeta esercita un'attrazione
gravitazionale su Urano e devia la sua traiettoria. Perciò tenendo in
considerazione la posizione di Urano e le leggi fisiche, riuscivano a
calcolare la posizione esatta di Nettuno. Puntarono il telescopio dove
doveva trovarsi Nettuno e lo videro! Vediamo che in questo caso il tentativo
di falsificazione della legge scientifica si tramuta in una conferma della
stessa.
Abbiamo delle leggi: gravitazione universale di Newton
Abbiamo dei dati: movimento di Urano
Abbiamo come conseguenza: esistenza di Nettuno
Quando la previsione è falsa (Urano doveva trovarsi in un posto preciso e
invece non è lì) ci sono due possibilità: o ci mancano dei dati o è
sbagliata la legge che si utilizza. In questo caso introducendo nuovi dati
la previsione è stata corretta.
Se ci chiediamo, invece, perché il perielio di Mercurio si sposta, potremmo
affermare che avviene perché c'è un altro pianeta, (l'ipotetico Vulcano)
ma questo pianeta non si vede, non esiste. Oppure introduciamo nuove
ipotesi: il sole ha una massa, ma la massa potrebbe essere distribuita in
modo non omogeneo rispetto al volume, più concentrata da una parte
piuttosto che da un'altra e questa dislocazione anomala potrebbe spiegare lo
spostamento del perielio di Mercurio, ma questa ipotesi allo stato attuale
della scienza non è controllabile empiricamente. Oppure, come fece
Einstein, possiamo pensare che le leggi di Newton siano false.
Obiezione: ma allora ogni volta che la previsione non funziona, noi possiamo
"salvare la legge" formulando un'ipotesi ad hoc
(appositamente per impedire la falsificazione dell'ipotesi), cioè
un'ipotesi non ulteriormente controllabile. Popper affermava che si può
sempre immunizzare le teorie, cioè formulare delle ipotesi per non
falsificare le leggi.
Galileo falsifica la teoria aristotelica, affermando che la luna non è
sferica; il gesuita Cristoforo Clavio aveva formulato un'ipotesi per
immunizzare la teoria aristotelica (la luna è circondata da una sfera
cristallina perfetta, che però non può essere vista).
La tesi di Popper è che si possono formulare ipotesi alternative, però
queste ipotesi sono valide dal punto di vista scientifico solo se sono
controllabili indipendentemente dai motivi per cui sono state introdotte. Ma
se l'ipotesi è formulata in modo che non può essere controllabile, allora
non è valida.
In conclusione: non è sempre immediato vedere se una teoria è stata
falsificata, ma ci possono essere dei dubbi. Ciò non mette comunque in
crisi il principio di falsificazione, perché si deve distinguere l'aspetto logico
(basta che trovi un caso contrario, perché l'ipotesi sia falsa) e aspetto metodologico
della falsificazione (il problema è dovuto al fatto che non siamo sicuri
che l'esperienza che falsificherebbe l'ipotesi sia vera; per esempio, se
l'ipotesi è che tutti i corvi sono neri, e vedo passare un corvo bianco,
magari qualcuno ha dipinto il corvo di bianco; perciò si fanno molti
esperimenti per verificare che il falsificatore sia effettivo).
Popper pensa che la base empirica delle scienze non ha in sé nulla di
"assoluto". La scienza non posa su un solido strato di roccia. E'
come un edificio costruito su palafitte. Le palafitte vengono conficcate
dall'alto, giù nella palude: ma non in una base naturale o
"data"; e il fatto che desistiamo dai nostri tentativi di
conficcare più in fondo le palafitte non significa che abbiamo trovato un
terreno solido.
Contro l'antinduttivismo di Popper sono state mosse varie critiche. E' stato
sostenuto:
1) La presunta esistenza di una "razionalità induttiva".
Nell'ambito del neopositivismo e della filosofia analitica, si è sostenuto
che la critica di Hume (condivisa da Popper) dimostra solo che l'inferenza
induttiva non è valida dal punto di vista della logica deduttiva, ma si
può sempre sostenere che .l'inferenza induttiva, oltre ad esistere di
fatto, è induttivamente valida, cioè conforme ad una procedura razionale,
ad una "razionalità induttiva".
Per Popper non esistono di fatto procedure induttive; ma anche se
esistessero, anche se noi "ragionassimo" induttivamente, il
"fatto" non ne proverebbe la validità. Per Popper tutte le
argomentazioni che si basano sulla mancata distinzione di quid facti e quid
iuris non sono altro che tentativi di far tornare in vita una teoria
accantonata molto tempo fa da Hume e Kant; e coloro che oggi cercano di
farla rivivere calpestano irriverentemente il lavoro di questi grandi uomini
senza curarsi di controbattere le loro argomentazioni e neppure di capirle.
In realtà mentre per le inferenze deduttive possediamo un metodo di
controllo critico oggettivo (se un'inferenza deduttiva è valida, non può
esistere alcun controesempio), nulla di simile esiste per le cosiddette
"inferenze induttive".
2) La presunta giustificazione trascendentale dell'induzione.
Si è sostenuto che nel passaggio dalle intuizioni (nel senso kantiano del
termine) alla categorizzazione delle proprie percezioni, riconosciute come
percezioni di oggetti, è necessario trascendere induttivamente i dati
sensibili che si danno nell'esperienza immediata. affermando che per poter
riconoscere che le nostre facoltà percettive sono valide abbiamo bisogno
che ci venga soddisfatta la maggioranza delle nostre aspettative induttive,
mentre in caso contrario non potremmo sapere se i mutamenti che percepiamo
nel corso della natura non siano dovuti alla natura stessa, piuttosto che a
qualche stravolgimento avvenuto in noi. Le difficoltà incontrate dal
tentativo di Popper di sviluppare una metodologia autenticamente non
induttiva non sarebbero un risultato casuale, ma avrebbero profonde radici
nei fatto che la credenza nell'induzione non è qualcosa che possa essere
eliminata senza provocare alterazioni sostanziali in qualche altra parte del
nostro schema concettuale. La razionalità dell'induzione sarebbe un
tutt'uno con la razionalità della credenza in un mondo esterno oggettivo.
Per Popper, invece, l'uomo impara a decodificare i messaggi caotici che
incontra nel suo ambiente fin da bambino. Questa decodificazione è basata
anche su disposizioni innate. Ma anche le aspettative istintive od inconsce
(per esempio, che uno stesso oggetto, percepito in condizioni simili, dia
luogo a rappresentazioni simili) non sono aspettative induttive, non sono un
trascendimento induttivo dei dati. Noi impariamo comunque a decodificare per
tentativi ed eliminazione degli errori e sebbene noi diventiamo estremamente
abili e rapidi a sperimentare il messaggio decodificato come fosse
"immediato" o "dato", vi sono sempre alcuni errori,
corretti di solito da speciali meccanismi di grande complessità e
considerevole efficacia. Così l'intera storia dei dati puri, veri, con la
relativa certezza, è una teoria sbagliata, sebbene sia parte del senso
comune. Per Popper tutta la conoscenza acquisita consiste nella
modificazione o nel rigetto di conoscenze o disposizioni precedenti, in
ultima analisi di disposizioni innate. Egli scrive: "Non vi è organo
di senso in cui non siano geneticamente incorporate teorie
anticipative".
3) L'induzione sarebbe necessaria per formulare nuove teorie.
Se la formulazione di un'ipotesi fosse un trial casuale, un tentativo cieco
di indovinare, allora non si riesce a spiegare la scelta di un'ipotesi come
meritevole di attenzione e di essere sottoposta a controlli. Siccome i
tentativi sono infiniti, il fautore del metodo delle congetture e
confutazioni si troverebbe in un'impasse logica. E non ci sarebbe modo di
uscire da questa difficoltà, se non ammettendo che le ipotesi sono
conclusioni di ragionamenti induttivi.
Popper replicherebbe affermando che è vero che esistono infinite ipotesi:
da un punto di vista logico un evento o una serie di eventi possono essere
spiegati da una gamma infinita di possibili teorie. Di fatto però una nuova
ipotesi emerge in seguito alla falsificazione di teorie precedenti. Per
esempio, Keplero, avendo a disposizione osservazioni che falsificavano la
teoria aristotelico-tolemaica che prevedeva orbite circolari dei corpi
celesti, si è trovato di fronte al problema di definire le orbite dei
pianeti (delle tre coordinate polari: angolo azimutale, angolo zenitale e
distanza, quest'ultima non era empiricamente osservabile e poteva assumere
infiniti possibili valori). Per formulare la sua prima legge ha combinato
credenze metafisiche (l'aspettativa di qualche regolarità nel cosmo) e
conoscenze scientifiche precedenti. Se l'ipotesi più semplice, quella
ellittica, che ha guidato le sue osservazioni astronomiche, fosse stata
falsificata, sarebbe presumibilmente passato a controllare ipotesi meno
semplici. Popper ha più volte rifiutato il principio di semplicità come
criterio di accettazione di una teoria (a differenza dei convenzionalisti),
ma non l'ha mai escluso come uno dei tanti motivi extralogici che
contribuiscono all'elaborazione di nuove congetture. Anzi, per Popper in
questo campo non ci sono limiti. Scrive: "Alcuni scienziati ritengono,
o almeno così pare, di avere le loro idee migliori mentre fumano, altri
mentre bevono caffè o whisky. Perciò non c'è motivo per cui non dovrei
ammettere che alcuni possono avere le loro idee mentre osservano, o mentre
ripetono le loro osservazioni". Ma ciò in modo in parte accidentale,
non certo per inferenza induttiva o sulla base di una presunta logica
induttiva.
4) L'induzione sarebbe necessaria per il controllo
delle teorie, anche se non interviene nella scoperta di nuove ipotesi.
È forse la convinzione più diffusa tra i neopositivisti ed è stata per
lungo tempo la posizione di Hempel. Come è noto per Popper, all'opposto, il
controllo delle teorie sulla base dell'esperienza può avvenire solo
tentando di falsificarle; non è possibile alcuna verifica sperimentale
delle teorie. Su questa tesi di Popper si sono sviluppate varie critiche.
Marcello Pera, filosofo della scienza ed ex presidente del Senato della
Repubblica, ha sostenuto che, quando si giudica che una teoria è falsa
perché confutata, si assume che essa continuerà a essere confutata, cioè
che gli esiti negativi dei controlli passati permarranno anche in futuro.
Senza questa assunzione induttiva noi saremmo costretti a prendere in seria
considerazione qualunque teoria comunque confutata e quindi a non eliminarne
mai alcuna. La regola di rifiuto del razionalismo critico di Popper che
vieta questo comportamento è pertanto una regola induttiva.
Queste argomentazioni sono fallaci, assolutamente inaccettabili dal punto di
vista logico: infatti qualora non sussistano dubbi sul fatto che una teoria
sia stata falsificata da un esperimento, la teoria è falsa e viene scartata
quale candidata alla verità, indipendentemente da ogni previsione sul
funzionamento futuro (anche se questa teoria fornisse in futuro previsioni
corrette per migliaia di anni, per Popper resterebbe inevitabilmente ed
ineluttabilmente falsa!). Ovviamente può ancora essere usata, quale
sufficiente approssimazione, per fare previsioni (è il caso della meccanica
newtoniana, falsificata dalla relatività di Einstein). Altrettanto
ovviamente, poiché gli scienziati non raggiungono mai l'assoluta certezza
sulla avvenuta falsificazione (come si è visto, tutti i dati e i responsi
sperimentali sono impregnati di teoria) l'esperimento falsificante viene
spesso ripetuto, ma non per qualche inconscia aspettativa induttiva, bensì
per controllare che la falsificazione sia accettabile come tale, che l'esito
dell'esperimento non sia determinato da errori strumentali o dall'esistenza
di fattori perturbanti ancora sconosciuti.
Premesso quindi che anche una teoria scientifica falsificata può comunque
rivestire un'utilità per la tecnologia e può essere usata, basta che
costituisca un'approssimazione sufficientemente buona per lo scopo prefisso,
pare del tutto razionale fidarsi di quelle teorie non ancora falsificate, e
che quindi sono "candidate alla verità".
Tuttavia, scrive Popper: "Le possibilità di sopravvivenza di una
teoria non crescono, penso, parallelamente al suo grado di corroborazione, o
al suo passato potere di sopravvivere ai controlli. Il mio rifiuto di
scommettere sulla sopravvivenza di una teoria ben corroborata dimostra che
io non traggo alcuna conclusione induttiva dalla sopravvivenza passata a
quella futura". E ancora: "Naturalmente, se delle leggi reali (a
noi ignote) hanno effettivamente operato in passato (come io credo),
continueranno a farlo anche in futuro. Ma questa asserzione non si basa
sull'induzione: si basa sul fatto che noi spieghiamo i mutamenti con l'aiuto
di leggi immutabili, e che dovremmo rifiutarci di chiamare una legge vera (o
reale) qualsiasi cosa che non "operi" - che non sia cioè valida -
sempre e dovunque".
5) La concezione "probabilistica"
dell'induzione.
L'inferenza induttiva, pur non garantendo la verità della conclusione, ne
fonderebbe un certo grado di probabilità. Il rapporto tra probabilità e
induzione è stato approfondito con chiarezza in particolare da Reichenbach
e Russell.
Nell'ambito della concezione probabilistica sono stati costruiti dei sistemi
di logica induttiva, di cui quelli di Rudolf Carnap e Jaakko Hintikka sono i
più significativi.
Popper ha sempre contrastato la concezione probabilistica, ancor prima del
sorgere della logica induttiva, e nel paragrafo 80 della Logica ha sostenuto
che tutte le leggi fisiche, in quanto proposizioni universali, hanno
probabilità zero, poiché si riferiscono ad un dominio infinito.
In effetti, mentre nei sistemi di logica induttiva di Carnap le leggi
universali hanno tutte probabilità zero, Hintikka riesce ad attribuire una
probabilità maggiore di zero ad enunciati universali, ma nell'ambito di un
linguaggio estremamente "povero" (predicati monadici, numero
finito di alternative teoriche ecc.) nel quale non è possibile formulare
nemmeno le leggi più semplici delle scienze della natura. Non solo, ma come
mostra lo stesso Hintikka, per evitare i famosi paradossi della conferma di
Hempel, anche nel caso più semplice del linguaggio con solo predicati non
relazionali, diviene necessario introdurre un numero impressionante di
parametri, il cui valore non può essere stabilito a priori. Si può quindi
concludere che i sistemi di logica induttiva, pur se consistenti, non sono
idonei rispetto allo scopo iniziale di Carnap, che era quello di trovare una
funzione di conferma di un'ipotesi sulla base di evidenze osservative;
quindi l'esistenza di sistemi di logica cosiddetta "induttiva" non
fornisce, allo stato attuale degli studi, alcuna valida motivazione a
sostegno della plausibilità dell'inferenza induttiva nelle scienze della
natura.
Molte delle argomentazioni esaminate derivano
dalla convinzione che negare l'induzione equivalga a negare che si possa
apprendere dall'esperienza.
Ha scritto B. Russell che se non si trova una risposta alla critica di Hume
al principio di induzione, all'interno di una filosofia del tutto o per lo
più empirista, "non c'è neanche alcuna differenza intellettuale tra
la saggezza e l'insania". E il filosofo italiano della scienza Ludovico
Geymonat: "Si ha l'impressione che, negando ogni valore al principio di
induzione, cioè negando che esso adempie una qualsiasi funzione
nell'invenzione delle teorie scientifiche, Popper finisca per rifiutare uno
dei due fattori che già Galileo aveva posto alla base della conoscenza
scientifica (come ben noto i due fattori sono: le sensate esperienze e le
certe dimostrazioni) non sembra lecito risolvere questo antico problema con
la semplice cancellazione di uno dei due fattori (cioè l'esperienza)".
Infine un neopositivista italiano, Francesco Barone liquida con una sola
battuta la confutazione popperiana del principio di induzione, con la
domanda: "Perché, infatti, non riteniamo ugualmente ragionevole
l'attenderci manna anziché pioggia da una nuvola?" Popper ha sempre
risposto ad obiezioni di questo genere affermando che non ha mai inteso
cancellare il ruolo dell'esperienza: semplicemente ha preso atto che
l'esperienza, dal punto di vista logico, può solo falsificare e non
verificare le teorie, per la nota asimmetria. Aggiungiamo che, anche ammesso
che in qualche modo si possa apprendere direttamente dall'esperienza, ciò
non implica l'accettazione del principio di induzione.
Infatti, se affermo: (a) "le nuvole possono lasciar cadere acqua",
(b) "le nuvole possono lasciar cadere manna" queste ipotesi sono,
da un punto di vista logico (a priori), egualmente possibili. Tuttavia, dopo
aver fatto esperienza della pioggia, posso accettare (fatte salve tutte le
cautele dovute al fatto che i responsi dell'esperienza non sono mai puri, ma
impregnati di teoria) la verità di(a), che dal punto di vista logico
equivale a "esiste almeno una nuvola che lascia cadere acqua"?
Questo potrebbe essere un modo di apprendere dall'esperienza (chi teme di
bagnarsi prende l'ombrello). Per Popper questo punto di vista è scorretto,
poiché i concetti universali "nuvole" e "acqua", come
tutti i termini universali, sono "disposizionali" e quindi
implicano assunzioni teoriche anticipative, apprese col metodo per tentativi
e correzione degli errori. Quindi l'osservazione di fatti, la registrazione
nella memoria di esperienze vissute ecc., anche a livello del senso comune (pre-scientifico),
è di fatto una concausa che può indirizzare la nostra mente a formulare
congetture in grado di spiegare i fenomeni. Tuttavia, anche a prescindere da
questa teoria popperiana sugli universali, è evidente che l'accettazione di
un'asserzione esistenziale come "esiste almeno una nuvola che lascia
cadere l'acqua" equivale ad accettare: non è vero che tutte le nuvole
non possono lasciar cadere acqua". Quest'ultima proposizione ha la
stessa forma logica (di negazione di legge universale) di: "non è vero
che tutte le nuvole non possono lasciar cadere manna". Perché
accettiamo la prima e non la seconda? Popper direbbe perché "tutte le
nuvole non possono lasciar cadere acqua" è già stata sicuramente
falsificata, mentre "tutte le nuvole non possono lasciar cadere
manna" non è stata falsificata e rimane candidata alla verità. E'
certamente più razionale credere ad una congettura che potrebbe essere
vera, piuttosto che ad una sicuramente falsa.
Riconoscere che si apprende dall'esperienza dunque non implica certamente la
validità dell'inferenza induttiva nel senso tradizionale del termine, che
è poi quello a cui si riferisce Popper nella sua critica.
Già Aristotele affermava che l'induzione è il procedimento che dai
particolari porta all'universale. E Popper: "Si è soliti dire che
un'inferenza è induttiva quando procede da asserzioni singolari quali i
resoconti di osservazioni o di esperimenti ad asserzioni universali quali
ipotesi o teorie"; e ancora: "Io preferisco usare il termine
"induzione" per riferirmi al mito che la ripetizione di qualcosa -
osservazioni o esempi, forse - fornisca qualche base razionale per
l'accettazione di ipotesi". Per Popper ovviamente "nulla dipende
dalle parole e nulla vieta di chiamare induzione qualcosa di diverso".
Se però si vuol criticare la tesi popperiana è necessario tener ben
presente il significato che Popper ha sempre attribuito a questo termine.
Popper riprende la teoria corrispondentista della verità, cioè la tesi
secondo cui una proposizione è vera se, e solo se, corrisponde ai fatti;
teoria che era stata messa in crisi da una serie di paradossi:
Paradosso del mentitore: un cretese, Epimenide di Cnosso, dice
"io dico che sto mentendo". Se dico che la frase è vera, è vero
che sta mentendo e quindi dice il falso. Se la frase è falsa, è falso che
sta mentendo e quindi dice il vero. Si contraddice in entrambi i casi.
Prendiamo un foglio di carta: la frase scritta su una facciata dice
"ciò che c'è scritto sul retro del foglio è vero", quella
sull'altra facciata dice "ciò che c'è scritto sul retro è
falso".
Anche qui la situazione genera una contraddizione.
Il barbiere di Bertrand Russell: su un'isola in cui nessuno ha la
barba c'è un barbiere che è definito come colui che rade tutti quelli che
non si radono da soli e per ipotesi nessuno si fa crescere la barba. Chi
rade il barbiere?
Nel 1933 Alfred Tarski pubblica un libricino prima in polacco (1933)
poi in tedesco (1935): "Il concetto di verità nei linguaggi
formalizzati". Tarski diceva che non c'è nessuna contraddizione nella
tesi corrispondentista, perché fa vedere che questi paradossi nascono da
una confusione tra linguaggio e metalinguaggio e non dalla concezione della
verità. Il linguaggio parla del mondo, il metalinguaggio parla del
linguaggio (se dico Roma è una parola di quattro lettere, non penso a Roma
come città).
Se si mantiene una distinzione tra linguaggio e metalinguaggio (per esempio
il linguaggio in inglese e il metalinguaggio in tedesco) non si cade in
contraddizione. Secondo Popper questo concetto di verità come
corrispondenza è valido. Tarski formula la cosiddetta "convenzione
V": la frase è vera se e solo se corrisponde ai fatti. Se dico
"la neve è bianca" è vera se e solo se la neve è bianca.
Il vero e il falso si riferiscono alle frasi: il vero si ha se la frase
corrisponde al mondo, il falso se non corrisponde al mondo. Perciò è vera
la teoria corrispondentista. Popper inizialmente non aveva letto Tarski e
quindi non aveva usato il suo concetto di verità nella Logica della
scoperta scientifica. Quando lo lesse, accettò la sua posizione.
Applicandola alle scienze: se le leggi scientifiche le possiamo solo
falsificare, io non sono mai sicuro delle verità di esse, tuttavia non è
insensato parlare di verità.
Secondo Popper l'attività scientifica serve a scoprire delle leggi che si
approssimano alla verità. Anche se una legge raggiunge la verità, noi non
possiamo comunque saperlo. Se una legge non è mai falsificata allora la si
usa come se fosse vera. Magari la fisica di Einstein è verità assoluta, ma
non possiamo sapere se un giorno saranno scoperte altre teorie più
complesse e generali, che la renderanno falsa in almeno un caso.
Es: uno scalatore si ferma su una zona pianeggiante della montagna. C'è la
nebbia: non sa se ha raggiunto la vetta o se deve scalare ancora.
RAPPORTO CON L'OLISMO
Problema della conoscenza di sfondo.
Es: Urano doveva trovarsi in un punto ben preciso, prima della scoperta di
Nettuno. Ma in quel punto, puntando il telescopio, non si trova. Quindi ci
sono tre possibilità:
È sbagliata la legge astronomica di Newton.
Ci manca un dato, ossia l'esistenza di Nettuno.
Difetto nelle leggi dell'ottica, perché io posso pensare che i raggi
luminosi siano dritti, mentre è possibile che vengano deviati.
Siccome i fenomeni scientifici sono tutti collegati tra loro, se gli
scienziati stanno facendo una verifica sulle leggi di Newton, considerano le
leggi ottiche come conoscenza di sfondo, cioè le considerano vere,
indipendente dal controllo sperimentale in atto.
Alcuni neopositivisti dicono che è come se l'uomo di fronte alla scienza
sia come l'equipaggio di una nave che deve ripararla continuando a navigare:
non si può mai isolare un pezzo della scienza dall'altro, perché c'è una
sorta di olismo (tutte le teoria sono collegate tra loro e noi prendiamo
come conoscenza di sfondo delle leggi che consideriamo vere, ma che non
siamo certi se lo siano davvero o no).
I TRE MONDI DI POPPER
È un argomento tratto da "L'io e
il suo cervello" opera in tre volumi (uno filosofico, uno medico, uno a
forma di dialogo), scritta insieme a Eccles, un medico, premio Nobel.
Popper dice che la realtà è articolata in tre mondi:
MONDO 1: Stati fisici, tutto ciò che è fatto di materia.
MONDO 2: Stati mentali, disposizioni psicologiche, contenuti mentali,
rappresentazioni, ricordi, sentimenti, ecc..
MONDO 3: Mondo dei prodotti della mente umana.(libri, teorie, opere
d'arte, ecc.)
Premessa: storicamente noi abbiamo visto concezioni dualiste che credono
nell'esistenza di due realtà (fisica e spirituale, come ad esempio
Cartesio). Abbiamo poi teoria moniste (Spinoza).
La descrizione dei tipi di realtà per Popper è a tre livelli. Simile a
quello sostenuto da Locke nel Saggio sull'intelletto umano(mondo fisico,
mondo delle idee, linguaggio), il cui livello del "linguaggio" è
meno ricco del terzo mondo di Popper.
Mondo dei prodotti della mente umana.
Es: il libro come oggetto fisico appartiene al mondo degli stati fisici;
supponiamo che un tipografo abbia stampato un libro che contiene i medesimi
caratteri, ma mescolati; in questo caso il libro come oggetto fisico è lo
stesso. Ma il primo libro contiene anche le idee.
Il terzo mondo è rappresentato sia da oggetti del mondo 1 che contengono
idee (dotati di significato) oppure possono essere teorie immateriali (come
il teorema di Pitagora in sé).
Problemi:
Non si può provare che esiste questo terzo mondo. Risposta: noi diciamo che
qualcosa è reale se incide sul mondo fisico. Posso quindi dire che oggetti
del terzo mondo esistono perché vanno a modificare il mondo fisico.
Che senso ha distinguere un terzo mondo? Uno potrebbe dire che il mondo 3 in
realtà è riducibile al primo o al secondo o a entrambi. La risposta sta
nell'autonomia. Le teorie, come i libri, hanno qualcosa in più rispetto
agli stati mentali.
Es: la "Critica della ragion pura": tutto ciò che Kant aveva in
testa è stato materializzato. Ma se dico che in quel libro c'è qualcosa di
più, chi lo legge lo può interpretare in modo nuovo. Ogni prodotto della
mente umana ha l'autonomia di creare nuovi pensieri. All'inizio sono
semplicemente l'esplicazione delle idee dell'autore o dell'artista, poi
acquistano forma propria (il bambino nella pancia della mamma è un tutt'uno
con lei, quando nasce acquista una sua vita propria).
Dice Popper: facciamo un esperimento mentale, supponiamo che ci sia un
cataclisma che distrugge ogni cosa. Solo pochi uomini sono sopravvissuti.
L'umanità dovrà ripartire da zero (soprattutto se tra questi non ci sono
scienziati). Ma supponiamo che qualche biblioteca o museo non venga
distrutto, i sopravvissuti potranno risollevarsi più facilmente.
PENSIERO POLITICO E SOCIALE
Per Popper i problemi delle scienze sociali sono per lo più trattati con
metodi essenziali, cioè attraverso definizioni astratte e affermazioni di
principio. Questa è, a suo giudizio, una delle fondamentali ragioni della
loro arretratezza. Con Galileo e Newton la fisica cominciò a ottenere
successi al di là di ogni attesa, lasciando molto indietro tutte le altre
scienze, e dal tempo di Pasteur - il Galileo della biologia - si può
sostenere che anche le scienze biologiche si sono messe su una via analoga.
Le scienze sociali, invece, non hanno ancora trovato il loro Galileo.
Non c'è nessuna scienza che consista nella pura
osservazione, ci sono solo scienze che teorizzano in modo più o meno
consapevole e critico. Ciò vale anche per le scienze sociali.
Come tutte le altre scienze, anche le scienze sociali danno o meno risultati
utili, sono interessanti o insulse, fertili o sterili, in diretto rapporto
con l'importanza o l'interesse dei problemi di cui si tratta; e naturalmente
anche in diretto rapporto con l'onestà e la sincerità, la linearità e la
semplicità con cui questi problemi vengono affrontati. Non è detto che
debba sempre trattarsi di problemi teorici. Seri problemi di carattere
pratico come il problema della povertà, dell'analfabetismo, della
repressione politica e dell'insicurezza giuridica sono stati importanti
punti di partenza della ricerca sociale. Ma questi problemi pratici inducono
a riflettere, a teorizzare, e quindi danno luogo a problemi teorici.
Per Popper la sola via aperta alle scienze sociali è di abbandonare del
tutto il verbalismo e di affrontare i problemi pratici del nostro tempo con
l'ausilio dei metodi teorici che sono fondamentalmente gli stessi in tutte
le scienze. Cioè il metodo per tentativi ed errori.
Popper chiama società chiusa, la società magica o tribale o
collettivista e società aperta la società nella quale i singoli
sono chiamati a prendere decisioni personali.
Una società chiusa può essere giustamente paragonata a un organismo. La
cosiddetta teoria organica o biologica dello stato può essere applicata in
larga misura ad essa. Una società chiusa assomiglia a un gregge o a una
tribù per il fatto che è un'unità semi-organica i cui membri sono tenuti
insieme da vincoli semi-biologici: parentela, vita in comune, partecipazione
agli sforzi comuni, ai pericoli comuni, alle gioie comuni e ai disagi
comuni.
In una società aperta, molti membri si sforzano di elevarsi socialmente e
di prendere il posto di altri membri. Ciò può condurre, per esempio, a un
fenomeno sociale importante come la lotta di classe. Noi non possiamo
trovare niente di simile alla lotta di classe in un organismo. Le cellule o
i tessuti di un organismo che si dice talvolta corrispondono ai membri di
uno Stato, possono anche competere tra loro per la nutrizione; ma non c'è
alcuna tendenza inerente per esempio nelle gambe a diventare cervello o in
altre membra del corpo a diventare il ventre. Poiché non c'è nulla
nell'organismo che corrisponda a una delle più importanti caratteristiche
della società aperta, cioè la competizione fra i suoi membri per il
conseguimento di uno status superiore, la cosiddetta teoria organica dello
stato è fondata su una falsa analogia. La società chiusa, d'altra parte,
non presenta tendenze siffatte in misura rilevante. Le sue istituzioni,
comprese le sue caste, sono sacro-sante: sono tabù .
La società chiusa è caratterizzata dalla fede nei tabù magici. mentre la
società aperta è quella nella quale gli uomini hanno imparato ad assumere
un atteggiamento in qualche misura critico nei confronti dei tabù e a
basare le loro decisioni sull'autorità della propria intelligenza (dopo la
discussione pubblica).
La sua caratterizzazione della società chiusa come società magica e della
società aperta come società razionale e critica impedisce naturalmente di
applicare questi termini senza idealizzare la società in esame.
L'atteggiamento magico non è affatto sparito dalla nostra società, neppure
nelle più "aperte" società finora realizzate e ritengo
improbabile che possa mai sparire completamente. Nonostante ciò, sembra sia
possibile fornire qualche utile criterio della transizione dalla società
chiusa alla società aperta. La transizione ha luogo quando le istituzioni
sociali sono per la prima volta consciamente riconosciute come fatte
dall'uomo e quando la loro conscia modifica è discussa sotto il profilo
della sua convenienza per il conseguimento dei fini od obiettivi umani. O,
per indicare la cosa in maniera meno astratta, la società chiusa si
disgrega quando la soprannaturale riverenza con la quale l'ordine sociale è
considerato cede il posto alla interferenza attiva e al consapevole
perseguimento di interessi personali o di gruppo.
Come abbiamo visto, nel 38-39 Popper era emigrato in Nuova Zelanda (dove sta
per tutta la guerra) insegnando all'università e al college. Qui scrive due
libri di filosofia politica "La società aperta e i suoi nemici" e
"Miseria dello storicismo". Scrive queste opere perché si domanda
come mai quasi tutta Europa era sotto il totalitarismo.
Il fascismo, il nazismo e il comunismo sovietico sono per Popper esempi di
società chiuse.
I nemici della società aperta sono a detta di Popper tanto gli storicisti
(coloro cioè che ritengono che sia possibile profetare sul futuro
dell'umanità, in quanto esistono leggi necessarie dello sviluppo storico)
quanto gli utopisti (coloro cioè che vedono possibile ]a creazione di una
società perfetta). Tra l'altro storicismo ed utopismo spesso hanno
camminato mano nella mano sui sentieri della storia (ciò vale, ad esempio,
per Platone, ma anche per Marx).
Nonostante la molteplicità delle riflessioni intorno alla problematica
utopica che le opere di Popper contengono, tre sono le idee più rilevanti.
Popper critica l'utopismo in quanto questo si fonda su un grave errore
metodologico e conduce inevitabilmente alla violenza. Inoltre l'utopismo
ritiene erroneamente che lo scopo fondamentale della politica consista nel
conseguire la felicità dei cittadini.
Secondo Popper, in linea di massima, due sono gli atteggiamenti antiteci
che, per tentare di risolvere i problemi e le difficoltà sociali, possono
essere assunti, e cioè quello gradualistico o riformistico e quello
olistico o utopistico. A suo avviso il modo di pensare utopistico non solo
non rappresenta un livello elevato, ma anzi è addirittura caratteristico di
una fase prescientifica e si fonda su un grave errore metodologico. Infatti,
gli utopisti non si accorgono di non poter mai cogliere con uno sguardo
d'insieme l'intera realtà sociale, di non poter, cioè, mai afferrare una
situazione sociale concreta ed intera dal momento che essi, per motivi
logici, devono sempre trascurare degli aspetti.
Tuttavia, gli utopisti non contenti di far uso di un metodo non esistente,
redigono sulla sua scorta anche dei piani per ricostruire la società nella
sua interezza. In tal modo, essi cadono inevitabilmente, per quel che
riguarda la pratica politica, nel totalitarismo. Per gli utopisti, infatti,
"il controllo dev'essere totale, poiché se una qualunque zona della
vita sociale non fosse controllata in tal modo, vi si potrebbero annidare
quelle forze pericolose che conducono a cambiamenti imprevisti".
Di fatto però per svariati motivi, è impossibile controllare tutti i
rapporti sociali, compresi quelli personali, che il termine società
comprende. E questo se non altro perché ogni volta che controlliamo dei
rapporti sociali, ne creiamo degli altri in quantità che a loro volta vanno
controllati. Cioè l'impossibilità è una impossibilità logica, il
tentativo conduce ad una regressione infinita. Eppure per Popper non può
esservi dubbio alcuno che gli utopisti nei loro piani tentano precisamente
questa impossibilità.
Per lui, l'utopismo è indissolubilmente legato alla violenza. Infatti,
anche se l'utopismo ama presentarsi nelle forme di un razionalismo, in
realtà non è altro che uno pseudorazionalismo. Del resto, l'utopismo ha
spesso espresso con gli ideali di Platone (i filosofi-re) una richiesta di
potere in base a delle doti superiori. Tale richiesta è totalmente estranea
all'atteggiamento del vero razionalista, il quale sarà sempre consapevole
di quanto poco sa, e del semplice fatto che, qualsiasi facoltà critica o
ragione possegga, egli ne è debitore ai rapporti intellettuali con gli
altri. Sarà, dunque, portato a giudicare gli uomini fondamentalmente
uguali, e a vedere nella ragione umana un legame che li unisce. La ragione
per lui è esattamente il contrario di uno strumento di potere e di
violenza: egli vede in essa un mezzo cui sottomettere il potere e la
violenza.
Di fatto, l'utopismo, a suo avviso, alimenta necessariamente, cioè per
motivi logici, la violenza. "Che il metodo utopistico - scrive Popper
-, che elegge uno stato ideale della società come scopo cui tutte le azioni
politiche devono tendere, possa generare violenza, è dimostrabile nel modo
seguente. Dato che non è possibile determinare i fini ultimi delle azioni
politiche scientificamente, o con metodi puramente razionali, le differenze
d'opinioni circa le caratteristiche dello stato ideale non possono venire
appianate col metodo dell'argomentazione. Esse avranno almeno in parte il
carattere dei contrasti di natura religiosa, e non può esservi tolleranza
fra religioni utopistiche diverse".
L'utopista dovrà così riuscire vincitore o vinto nei confronti dei suoi
rivali, dovrà sforzarsi di essere implacabile nell'eliminarli. Infatti, la
via che conduce alla meta utopistica è lunga. La razionalità dell'azione
politica esige, quindi, costanza di intenti per molto tempo a venire; e ciò
può realizzarsi soltanto se non ci si limiterà a sconfiggere le religioni
utopistiche rivali, ma si eliminerà il più possibile la loro memoria.
L'impiego dei metodi violenti nella soppressione delle tendenze rivali
diventa ancor più urgente se consideriamo che il periodo di edificazione
dell'utopia può essere un'epoca di rivolgimenti sociali. In un periodo
siffatto anche le idee possono mutare. Così quel che appariva a molti
desiderabile all'epoca in cui fu stabilito il progetto utopico, può
risultare in seguito meno desiderabile. In tal caso la concezione utopica
nel suo complesso rischia di infrangersi.
E' necessario precisare che quando Popper accusa Platone o Hegel di essere
precursori del totalitarismo del Novecento, non intende affermare che questi
filosofi avrebbero appoggiato o desiderato il totalitarismo, ma che le loro
idee, diffondendosi, hanno contribuito a creare una mentalità che ha
facilitato l'affermazione delle dittature (pensiamo alla concezione
hegeliana dello Stato etico, fatta propria dal Fascismo).
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