Nasce nel 1711 ad Edimburgo da una
famiglia che apparteneva alla piccola nobiltà terriera. Nel 1721
frequentò il College di Edimburgo dove coltivò soprattutto gli studi
classici. A quei tempi la Scozia era molto più arretrata rispetto
all'Inghilterra (basti pensare che l'igiene era molto scarsa, perché
mancavano le fognature). Un predicatore calvinista, John Knox, convertì
la Chiesa cattolica al calvinismo e instaurò un sistema inquisitorio
(controllavano ogni cosa) oltre a stabilire alcune questioni liturgiche
(come la durata delle messe di 3 ore). Al tempo veniva poi praticato il
cosiddetto "Stool of repetance": ogni settimana il prete
sceglieva il peggior peccatore del paese e lo faceva sedere su uno
sgabello; durante la celebrazione lo colpevolizzava dicendo a tutti i suoi
peccati, per esortare il resto della comunità a non fare le stesse cose.
Gli anziani dovevano decidere chi aveva il compito di insegnare nelle
università; Hume non riuscì mai ad avere la loro approvazione. Per
vivere faceva il bibliotecario dell'ordine degli avvocati. Decide di non
pubblicare una sua opera, Dialoghi sulla religione naturale, per
paura di essere considerato eretico e conseguentemente bruciato al rogo
(erano ancora in corso in Scozia, infatti, i processi per stregoneria che
nel resto d'Europa erano già finiti nel '600).
Hume voleva essere ricordato come una sorta di Newton della natura umana,
come colui che ha dato una base solida all'antropologia.
Opere:
- "Trattato sulla natura umana": pubblica i primi due volumi nel
1739, il terzo lo pubblica nel 1740. Non ebbe tanto successo, così la
riscrisse in altre opere, come "Ricerca sui principi della
morale", con gli stessi contenuti, ma esposti in forma più
accessibile, che ebbero più ampio successo.
- "I dialoghi sulla religione naturale" e "Storia naturale
della religione", su argomenti religiosi.
Nel 1752 divenne direttore della biblioteca dell'ordine degli avvocati di
Edimburgo, dove poté consultare diversi libri e dove inizia a scrivere
"Storia d'Inghilterra", che ebbe molto successo. Churchill
stesso aveva detto che l'interesse per la politica gli era stato dato
dalla lettura di Hume, specialmente della sua storia.
Gli ultimi anni di vita trascorsero per Hume serenamente, dediti agli agi
e alla revisione dei suoi scritti. Morì nel 1776.
TRATTATO SULLA NATURA UMANA
Hume è un empirista, però la terminologia che usa è diversa da quella
usata da Locke e Berkeley. Berkeley aveva lasciato inalterato il concetto
di idea (semplice e complessa).
Hume chiama percezioni tutti i contenuti mentali (che Locke e Berkeley
chiamano idee). Le percezioni si distinguono poi in: Impressioni, più
vivaci, chiare e precise, e Idee, più imprecise (come un ricordo può
essere meno chiaro e dettagliato di una percezione visiva in atto). Ad es:
se guardo un quadro ho idee precise (impressione), se non lo guardo più e
cerco di ricordarmelo non mi ricordo tutti i particolari (idea).
Nel Trattato cerca di definire la distinzione tra impressioni e idee in un
certo modo, basandosi solo sulla maggior vivacità delle impressioni.
Negli scritti successivi dirà che le impressioni sono quei contenuti
mentali che percepiamo quando abbiamo una percezione sensibile in atto. Le
idee, invece, sono contenuti mentali che non sono prodotti da una
percezione in atto (possono essere dei ricordi o delle fantasie o delle
idee composte dal soggetto). Nel Trattato queste definizioni non ci sono.
Anche lui, come Berkeley, è nominalista (l'idea universale di biro non
esiste, esistono solo impressioni e idee particolari).
Rispetto alle impressioni la mente umana le subisce (mente passiva).
Rispetto alle idee la mente ha qualche grado di attività: possiamo
associare varie impressioni per formare un'idea. Questa capacità di
associazione la chiama mild (o gentle) force, ossia forza
gentile. Vuole sottolineare che questa capacità è qualcosa di spontaneo
e naturale, anche se, chiaramente l'uomo, essendo razionale, può decidere
consapevolmente il modo di associare queste idee.
Hume sostiene che l'uomo è portato ad associare le idee e questo avviene
senza fatica. È detta "gentle" perché si fa senza fatica e
"force" perché la mente umana agisce attivamente (ciò che
distingue l'impressione, in cui è passiva, dall'idea, in cui è attiva).
Tre principi di associazione:
- Somiglianza: se vedo una foto nel guardarla mi viene in mente
quella persona. Il passaggio dal guardare la foto e pensare alla persona
mi viene naturale, lo faccio senza fatica. Perciò le idee somiglianti
tendono ad associarsi fra loro.
- Contiguità spaziale o temporale: ho fatto una foto in cui una
chiesa mi è uscita solo per metà, l'altra metà me la ricordo io e
perciò alla fine la conosco interamente (contiguità spaziale). Oppure
vedo una foto di quest'estate e la collego ad un episodio (contiguità
temporale).
- Causalità: vedo una persona che ha in mano una biro. Se vedo che
sta allargando le dita so già che la biro cadrà, perché so che i gravi
cadono sempre…. Noi però tendiamo ad attribuire alla causalità un
carattere di necessità che non vi è nelle altre due relazioni.
Cioè: se vedo una foto di quest'estate posso associare ad essa più
episodi ma al rapporto causa - effetto (causalità) noi attribuiamo un
carattere di necessità. C'è quindi una connessione necessaria tra causa
ed effetto (idea).
Ma è sempre vero un rapporto tra causa ed effetto? Questa idea è valida?
Un empirista dice che, per verificare se l'idea è fondata, devo tornare
alle impressioni dalle quali l'idea deriva.
Es: scaglio un sasso (causa) e il vetro di rompe (effetto).
Analizzo le impressioni: scopro che innanzitutto la causa deve precedere
temporalmente l'effetto e che ci deve essere contiguità spaziale fra i
due. Queste sono considerazioni indubitabili.
Ma l'idea di necessità non posso farla derivare dalle impressioni. Noi ci
aspettiamo la necessità, ma se risaliamo alla impressioni non troviamo
necessità (non è una nostra idea semplice).
Hume dice che noi ci aspettiamo che avvengano determinate successioni di
eventi per abitudine, perché le ho già percepite in passato.
Tavolo da biliardo: se gioco so, per esperienze passate, che se prendo la
pallina in centro o lateralmente, prenderà una determinata direzione. Se
Adamo ed Eva giocassero a biliardo per la prima volta non potrebbero
prevedere l'andamento della pallina a seconda del colpo, perché non hanno
esperienze passate.
Quindi l'idea della connessione necessaria l'abbiamo per abitudine.
Questa concezione è distruttiva per la scienza, perché le leggi
scientifiche postulano delle relazioni che sono vere sempre e in ogni
situazione. Per Hume invece la necessità è soggettiva (un miliardo di
volte succede così, ma una volta, dal punto di vista logico, potrebbe non
succedere: il sole sorge tutte le mattine, ma domani, dal punto di vista
logico, potrebbe non sorgere). Kant stesso ne rimase talmente sconvolto
che per 11 anni non scrisse nulla, perché Hume aveva messo in discussione
tutta la scienza.
Hume disse che questa sua critica voleva mettere in discussione
l'induzione. Perché se dico che i gravi sono sempre caduti, posso dire
che allora sarà sempre così. Questo perché io ho fatto la prova in
tutti i casi e quindi posso dire che se è avvenuto in passato avverrà
anche in futuro. In realtà questo non giustifica l'induzione perché già
dicendo questo la si sta già usando (la uso infatti se dico che siccome
una cosa è già accaduta in passato ne deduco che accadrà anche in
futuro). Hume dice quindi che non posso giustificare l'induzione perché
la necessaria connessione tra causa ed effetto è solo una questione
psicologica, ma non siamo in grado di giustificarla ulteriormente.
Comunque, secondo Hume, l'abitudine ci basta: dal punto di vista pratico
non cambia nulla, ma può essere inquietante dal punto di vista logico.
Noi abbiamo l'idea (perché è una nostra tendenza psicologica) della
connessione necessaria, ma non l'impressione.
Possiamo distinguere due forme di conoscenza:
- Astratta: relazioni fra idee; usata in matematica. È una
conoscenza assolutamente certa e la necessità c'è per forza: se prendo
un triangolo e voglio dimostrare che la somma degli angoli interni è di
180 gradi, tra dire "questo è un triangolo" e "la somma
degli angoli interni è di 180°" c'è una necessità logica: se è
vera la premessa, anche la conclusione lo sarà per il principio di non
contraddizione.
- Empirica: relazioni fra cose; dati di fatto, usata nelle scienze
naturali. Se prendo la formula F=ma la forza è la causa, l'accelerazione
l'effetto. Ma fra causa e effetto non c'è necessità logica.
Nelle relazioni fra idee c'è una necessità logica, mentre in quelle fra
le cose c'è un margine di probabilità.
Leibniz chiama le relazioni fra idee "verità di ragione"
e le relazioni fra le cose "verità di fatto".
L'infondatezza dell'idea di connessione tra causa e effetto porta a dire
che le verità di fatto (come la fisica) non sono certe come le relazioni
fra le idee (matematica).
Secondo Hume tutte quelle leggi che in fisica erano considerate certezze
assolute, in realtà non lo sono, perché derivano solo dall'abitudine, ma
non sono dimostrate.
CRITICHE ALLA METAFISICA:
Hume sosteneva che, se noi dubitiamo un'idea, dobbiamo analizzarla
risalendo alle impressioni sensibili, (cioè risalire dalle idee alle
impressioni per valutare la validità delle idee).
a) Critica all'idea di sostanza: si hanno due diverse concezioni di
sostanza (collezione di idee semplici nel senso do Locke e substratum)
L'insieme delle qualità è determinabile risalendo alle
impressioni che le hanno generate. Nel caso della sostanza come substratum, siccome noi
non ne abbiamo la percezione, non possiamo dire che esista: siccome non
abbiamo impressioni sul substratum (e noi siamo certi solo delle nostre
impressioni) non possiamo essere certi della sua esistenza o meno. La
filosofia tradizionale utilizzava il significato di substratum. Emerge
quindi l'idea del programma filosofico di Hume: egli delimita il campo di
ciò che è conoscibile, ciò che non rientra in questo campo non è
oggetto della filosofia. L'uomo deve perciò ammettere che la sua
conoscenza è limitata.
b) Critica all'esistenza del mondo esterno al soggetto: noi
percepiamo delle cose (albero, strada, banco) e le concepiamo come
esistenti di per se stesse secondo il senso comune. Berkeley sosteneva
invece che in realtà non esistono e che tutto è voluto da Dio. Hume
diceva che nessuno dei due aveva ragione: se mi chiedo perché vedo
l'albero? Il senso comune dice chi si vede un albero perché lì c'è
effettivamente un albero. Se si ragiona in questo modo però si va oltre
l'impressione e si esce dall'ambito della certezza: vogliamo conoscere
l'esistenza dell'albero come causa della nostra percezione. Hume dice
che se io sono certo delle mie impressioni, le cause possono essere:
l'albero in sé, Dio (come pensava Berkeley), un genio maligno (di
Cartesio) oppure qualcosa che noi non conosciamo. Hume non vuole mettere
in dubbio il senso comune, ma vuole solo dimostrare che questo tipo di
ragionamento non rientra nella certezza. Potremmo definirlo uno
scetticismo moderato: pensa che sia impossibile dimostrare che noi
possiamo conoscere l'albero in sé, in quanto dell'albero potrò conoscere
solo le impressioni, impressioni che non posso essere certo che derivino
proprio dall'albero.
c) Critica dell'unità dell'io: lo stesso ragionamento che si è
appena fatto può essere applicato all'io. "Io ieri ero triste"
"Io oggi sono lieta". I due "io" coincidono? Chi l'ha
scritto direbbe di sì, perché ne è convinto, ma questo non può essere
dimostrato. Questo perché posso pensare all'"io" come un
insieme di contenuti mentali: ho così una serie di contenuti e la mia
mente è definita come una collezione di idee. In questo caso i due
"io" sono necessariamente diversi (la totalità dei miei
contenuti mentali di ieri non è identica a quella di oggi). Però,
nonostante il fatto che i contenuti sono diversi, non cambia il soggetto
che conosce i contenuti. Questo soggetto è però come il substratum
e perciò non può essere percepito. (non posso percepire il mio io
direttamente, ma solo nell'atto di pensare, dubitare, sentire, ecc.)
In conclusione non possiamo essere certi che l'io come substratum
esista e quindi non posso essere essere certa che l'io di ieri coincida
con l'io di oggi.
Hume voleva scrivere il trattato per essere una sorta di Newton della
natura umana. Il II e III libro riguardano le passioni (impostazione per
certi versi simile a quella di Spinoza), e l'etica.
La parte dell'etica è molto originale. Per capirla dobbiamo fermarci
sulla cosiddetta "Legge di Hume" che dice
"non è lecito passare dal piano dell'essere al piano del dovere
essere", in altre parole "non può esistere un ragionamento
che partendo da premesse descrittive giunga a una conclusione prescrittiva".
Piano dell'essere: linguaggio descrittivo
Piano del dovere essere: linguaggio prescrittivo
La frase descrittiva ("la porta è chiusa") posso dire se è
vera o falsa e ci dà quindi un'informazione sul mondo.
Una frase prescrittiva ("non si deve rubare", "il rubare è
una brutta cosa", "non rubare") non può essere definita
vera o falsa, esprime semplicemente una prescrizione. Lo stesso vale per
"chiudi la porta"
L'insieme del linguaggio prescrittivo (imperativo) ha un sottoinsieme
costituito dalle leggi morali e delle norme. Non possono coincidere questi due
insieme perché per esempio "chiudi la porta" non è una legge
morale. È l'universalità che rende la prescrizione una legge morale: se
dico "non rubare" lo dico rivolgendomi a tutti, non a una
persona in particolare.
Quando usiamo il verbo all'indicativo (is) stiamo dicendo come stanno le
cose ("oggi c'è il sole"); quando introduciamo l'imperativo
("non si deve" o "si deve", ought to, must, have to)
diamo invece una prescrizione.
Quando i filosofi vogliono giustificare qualche norma morale cominciano
sul piano descrittivo (parlano ad esempio del dolore dei famigliari della vittima)
per poi giungere alla prescrizione (non uccidere).
Secondo Hume questo ragionamento è sbagliato: non può esistere nessun
ragionamento che abbia premesse esclusivamente descrittive e giunga a
conclusione prescrittive.
Prendiamo un sillogismo, la forma più semplice di ragionamento:
P1
P2
C
Se il ragionamento è valido e le premesse sono vere, anche la conclusione
è vera.
Hume dice: se la P1 è descrittiva e la P2 è descrittiva non si può
avere una conclusione prescrittiva.
Tutti gli animali sono esseri viventi
Tutte le mosche sono animali
Tutte le mosche sono esseri viventi
È evidente che se il ragionamento è valido, è valida anche la
conclusione. Se la conclusione deriva dalla premesse significa che nelle
premesse è già presente in qualche modo la conclusione.
Se prendo una qualsiasi legge morale (L1) e la voglio dimostrare a partire
da premesse, almeno una delle premesse deve essere prescrittivi.
P1 (= L2)
D
L1
(D = proposizione descrittiva)
In questo modo però non faccio altro che spostare il problema su L2 e
così via.
Perciò la legge di Hume dice: è impossibile dimostrare le leggi morali.
Le norme morali non possono essere provate con la ragione a partire da
proposizioni descrittive. Noi ci regoliamo secondo delle norme (anche
implicite) ed è quindi evidente che per Hume queste regole hanno un punto
di partenza non dato dalla ragione.
Il rapporto tra ragione e volontà (o passioni) si può esaminare così:
la ragione è uno strumento per soddisfare ciò che la volontà vuole.
Es: ho fame e mi do come regola che devo mangiare. Una volta che la
volontà ha deciso cosa fare, la ragione agisce di conseguenza (se il frigo
è vuoto, la ragione mi dice che devo andare a fare la spesa).
La ragione è come uno strumento che permette alla decisione della
volontà di realizzarsi. È questa una concezione strumentale della
ragione. È una concezione opposta all'etica di Aristotele, Locke e S.
Tommaso secondo la quale è la ragione che guida la volontà. Sono quindi
le passioni e le volontà gli strumenti della ragione.
Hume capovolge questa concezione.
Nel mito di Platone della biga alata è la ragione dell'uomo che decide, i
cavalli (anima irascibile e concupiscibile) sono solo uno strumento.
ETICA
La ragione è schiava delle passioni.
Scrive Hume: "Non è contrario alla ragione che io preferisca la
distruzione del mondo intero piuttosto di graffiarmi un dito".
Io non posso, sulla base della ragione, dire che è meglio graffiarmi un
dito piuttosto che il mondo venga distrutto. Se non ho un criterio
razionale, ne deriva che la validità dei giudizi dipende dalle passioni.
Abbiamo quindi due possibilità:
- Non c'è nessuna morale, ognuno fa quello che si sente; ma non è questa
la tesi di Hume perché renderebbe impossibile ogni forma di convivenza.
- La morale deve fondarsi sul sentimento (tesi di Hume). Difficoltà: i
sentimenti sono soggettivi e quindi non posso fondare la morale sul
sentimento perché la morale ha bisogno di universalità
Hume dice che esiste un tipo particolare di sentimento morale (moral sense)
su cui si può fondare la morale. Questo sentimento morale deve essere un
sentimento disinteressato: supponiamo che ci sia un teppista vicino a noi;
noi abbiamo paura e quindi dire che è male sprangare una persona può
avere motivazioni soggettive.
È questo un sentimento interessato perché magari un masochista non vuole
evitare il dolore e dice quindi che è bene sprangare le persone. Se io
sono al sicuro e vedo il teppista sprangare una povera vecchietta, io non
ho paura e posso quindi avere un sentimento disinteressato, che mi fa dire
che è sbagliato sprangare le persone. Il sentimento morale
disinteressato, si fonda su una propensione naturale dell'uomo alla
simpatia verso i suoi simili e tende all'utilità sociale. Ma se la
simpatia fa parte della natura umana, come mai esistono i criminali? Hume,
da buon illuminista pensa che la natura umana sia di per sé sia
predisposta all'empatia, ma l'educazione, i traumi psicologici, le
ingiustizie sociali possano deformare e compromettere il carattere della
persona.
CONCEZIONE RELIGIOSA
Hume si trova in Scozia dove erano molto diffusi e dominanti i
presbiteriani. Essendo illuminista si trovava in rapporti di amicizia con
esponenti della corrente deista, tra cui Adam Smith, padre del liberismo.
Il deismo è una corrente religiosa sviluppatasi in Francia, secondo la
quale le caratteristiche essenziali di Dio si possono conoscere con la
ragione, indipendentemente dalla rivelazione. Anche Voltaire era un
deista.
Hume preferiva i deisti ai presbiteriani, ma con questo non si vuole dire
che era un deista: infatti Hume era più scettico riguardo la possibilità
della ragione di conoscere le questioni della fede.
Nel Trattato e soprattutto nelle sue rielaborazioni, in vari Saggi e nelle
Ricerche sull'intelletto umano, Hume tratta alcuni punti religiosi e
critica tutte le credenze ai miracoli (non quelli biblici, ma per esempio
quelli dei re che, nelle credenze popolari, potevano guarire i lebbrosi…),
considerandoli una violazione della legge naturale. È difficile essere
certi di un miracolo, perché dovremmo essere anche certi che non c'è
nessuna causa sconosciuta. In conclusione è indimostrabile che esista il
miracolo.
"DIALOGHI SULLA RELIGIONE NATURALE"
È un dialogo tra 3 personaggi articolato in 12 parti, mai pubblicato in
vita perché andava contro i presbiteriani. Per un certo periodo si era
illuso di poterla pubblicare, vedendo un maggior influenza della parte
tollerante all'interno dell'assemblea dei presbiteriani. Modifica l'ultima
parte della dodicesima parte, per ridurre le occasioni di scontro con la
chiesa scozzese. I personaggi sono:
- Demea: presbiteriano ortodosso
- Cleante: illuminista o deista
- Filone: scettico, nei primi 11capitoli rappresenta il pensiero di Hume,
nell'ultimo ci si sta ancora chiedendo se esprima effettivamente il
pensiero del filosofo o se sia stato modificato solo per sviare e evitare
le accuse dei presbiteriani.
Filone tende a simpatizzare con Cleante e questo è una caratteristica
propria di Hume che si sentiva più vicino ai desti piuttosto che agli
ortodossi. Dalla II-III alla VII si ha la critica di una prova
dell'esistenza di Dio, che possiamo chiamare argomento teoleologico (prova
a posteriori basata sulle finalità, che può essere considerata molto
simile alla 5^ via di S.Tommaso).
L'insistenza di Filone porta Cleante e Demea a riconoscere che la prova
ontologica non è valida perché non si può dimostrare a priori
l'esistenza di Dio.
Hume è quindi Filone: poiché l'esistenza è una questione di fatto (solo
l'esperienza ci può dire se considerare un ente esistente o no) e le
prove a priori dell'esistenza di Dio non si possono dare.
Le prove a posteriori sono più fondate: se troviamo l'ordine in cose non
intelligenti pensiamo che esista qualcosa che ha creato quest'ordine (la
5^ via infatti giunge all'esistenza di un ente finalizzatore).
Hume dice: se prendo le lettere di cui è formata l'Eneide e le mescolo
non riuscirò mai con il caso a ricostruire il poema. In casi come questi
ci vuole un ente intelligente che abbia dato la finalità.
Però se qualcosa è ordinato non per forza è creato da un ente
intelligente (perché se ho un cane che genera un altro cane, il cucciolo
è generato da un altro cane che non ha intelligenza).
Però uno potrebbe dire: arriviamo al primo cane in assoluto, questo deve
essere creato per forza da un ente intelligente. Nonostante questo Hume
sostiene che anche se l'argomento della finalità è plausibile, non basta
per dimostrare l'esistenza di un unico Dio onnipotente.
Dal punto di vista logico attraverso il solo elemento della finalità non
possiamo capire che Dio è buono, onnipotente e onnisciente, perché
l'ordine potrebbe essere dato anche da un Dio non onnipotente.
Nella XII parte Filone sembra sostenere la tesi di Demea, secondo la quale
la fede risolve i dubbi della ragione, perciò la ragione da sola non
basta. Questa tesi è interpretata come un modo adottato dal filosofo per
evitare la censura.
"STORIA NATURALE DELLE RELIGIONI" 1757
È il primo tentativo di spiegare la nascita del sentimento religioso
attraverso la genesi psicologica.
Es: l'uomo è portato a credere a Dio per superare i suoi timori, spinto
dalla paura per il futuro.
Hume tenta quindi di ricostruire una genesi psicologica della credenza
religiosa.
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