L'ottavo Congresso Provinciale della FIM, tenutosi nel maggio del 1973,
aveva mostrato una grande unità interna dell'organizzazione.
La relazione introduttiva e la mozione finale erano state approvate
all'unanimità. Sempre all'unanimità il Consiglio Direttivo Provinciale
eletto dal Congresso aveva confermato la precedente Segreteria formata da
FRANCO CASTREZZATI (responsabile) GIANFRANCO CAFFI e ANGELO ZAMBONARDI.
Le prime divergenze si manifestano immediatamente dopo tale congresso tra
i dirigenti sindacali della OM-FIAT e la Segreteria Provinciale, in
occasione del Congresso Nazionale della FIM-CISL. La materia del
contendere è una questione che di per sé non presuppone una diversa
visione politica del sindacato: la designazione dei rappresentanti di
Brescia al Consiglio Nazionale della FIM.
Il
rimpasto della Segreteria provinciale
GIOVANNI LANDI, leader del
gruppo OM, chiede ufficiosamente alla Segreteria di inserire ATTILI0 CORTI
(al posto di ZAMBONARDI) tra i tre componenti il Consiglio Nazionale la
cui nomina compete, per statuto, al Direttivo Provinciale.
La proposta, non motivata politicamente, incontra un fermo rifiuto da
parte della Segreteria e pertanto il Direttivo Provinciale nomina
ZAMBONARDI unitamente a DANTE FRANCESCHETTI e PIERFRANCO GOZZA, che
entrano a far parte del Consiglio Nazionale assieme a CASTREZZATI, CAFFI e
LUIGI GAFFURINI, direttamente eletti dal Congresso. La
Segreteria, tuttavia, per evitare l'accentuarsi dei contrasti verificatisi
con l'esclusione di CORTI dal Consiglio Nazionale, sostiene la candidatura
di quest'ultimo al Collegio Nazionale dei Probiviri.
Le tensioni che erano sembrate sopirsi, si riacutizzano verso la fine
dello stesso anno, il 1973, quando ZAMBONARDI, per ragioni esclusivamente
personali, desiderando rientrare in fabbrica, si dimette dalla Segreteria
Provinciale. Il gruppo della OM propone la candidatura di CORTI al posto
resosi vacante in Segreteria. La proposta è avanzata, come sempre,
attraverso LANDI, che, nonostante le sue ripetute affermazioni sulla
necessità di una partecipazione della base alla scelta dei dirigenti
dell'organizzazione, è sempre pronto a sollecitare incontri ristretti nel
tentativo di far passare gli Organismi che ha progettato.
CASTREZZATI e CAFFI respingono la proposta di LANDI, controproponendo allo
stesso il suo ingresso in Segreteria.
Coinvolgendo direttamente LANDI nella gestione della FIM si consentirebbe
a tutte le sue espressioni interne di essere rappresentate in Segreteria
in una sua gestione collegiale, costringendo perciò LANDI ed il suo
gruppo a farsi carico di tutte le realtà dell'organizzazione,
precludendogli così molte possibilità di manovre individuali non
rispondenti ad esigenze collettive.
E ciò perché cominciavano allora a manifestarsi i primi segni esteriori,
apparentemente insignificanti per chi non conosce a fondo la realtà della
FIM, dell'ampio ed abile disegno di LANDI che servendosi del gruppo OM
mirava ad egemonizzare il sindacato attraverso il controllo dell'apparato.
LANDI, naturalmente, respinge la proposta di entrare in Segreteria.
Analogamente, già in precedenza, nonostante avesse ufficiosamente
avanzato a più riprese pesanti critiche e giudizi negativi nei confronti
della gestione del sindacato da parte della Segreteria Provinciale della
CISL, egli aveva sempre rifiutato la proposta di CASTREZZATI che intendeva
candidarlo per quell'organismo. La tendenza ad evitare l'impegno diretto,
al fine di garantirsi lo spazio per attuare le sue manovre, é
dunque una delle caratteristiche costanti del comportamento di GIOVANNI
LANDI.
Di fronte al rifiuto di LANDI, comunque, per uscire dalla situazione di
stallo viene concordata una soluzione di mediazione. La Segreteria
risulterà composta da CASTREZZATI, CAFFI, FRANCESCHETTI e (per la
minoranza che in questo periodo inizia a configurarsi come tale) GAFFURINI
e MAFFETTI. FRANCESCO MAFFETTI resterà a lavorare in fabbrica e,
all'interno della Segreteria, il suo compito specifico consisterà nel
seguire la situazione sindacale della OM.
Il precario compromesso raggiunto nella composizione della Segreteria,
anziché favorire una maggiore unità interna, diverrà ben presto
occasione di nuovi e più profondi contrasti.
Le
accuse dell'operatore della Valtrompia
Nei primi mesi del '74
l'operatore ATTILI0 CORTI assume atteggiamenti sempre più critici nei
confronti della Segreteria, accusandola di moderatismo, di eccessivo
centralismo nei rapporti con gli operatori e i delegati delle zone e
talvolta anche di insufficiente volontà unitaria nei confronti dei
metalmeccanici della CGIL e della UIL.
Queste accuse di CORTI vengono formulate in occasione dì discussioni su
singole vertenze o per questioni di limitata importanza, non vengono mai
motivate dall'interessato come conseguenza di una divergente visione
strategica e sono quindi caratterizzate da una estrema genericità dal
punto di vista politico e da spirito polemico sulle questioni specifiche.
Le critiche vengono rivolte con particolare acredine a CAFFI, responsabile
per la Segreteria del coordinamento della zona della Valtrompia e di
Lumezzane, nella quale CORTI opera. CAFFI, amareggiato dalle ingiuste
accuse e con la speranza di porre fine alle tensioni, decide di rinunciare
al suo incarico e chiede al Segretario responsabile di affidargli una
altra zona. CASTREZZATI è contrario alla rinuncia di CAFFI, non solo
perchè non condivide le accuse di CORTI, ma soprattutto per evitare di far
passare, nei fatti, il principio secondo il
quale, in caso di contrasti tra un Segretario ed un operatore, si dovrebbe
sostituire il Segretario.
Tuttavia CAFFI insiste e GAFFURINI gli subentra come coordinatore della
zona della Valtrompia. A distanza di tempo, allorché l'alleanza tra il
gruppo della OM e CORTI apparve chiara e inconfutabile nei suoi disegni,
si è purtroppo capito che il tutto non avvenne casualmente, ma che era un
momento di una strategia ben precisa e coordinata, mirante alla conquista
dell'egemonia sul sindacato attraverso un progressivo controllo delle zone
e dell'apparato.
Nel novembre del '74 CORTI riprende ad accusare la Segreteria di
"moderatismo" ed a diffondere tra i lavoratori della sua zona
critiche generiche ed immotivate nei confronti del Segretario
Responsabile.
CASTREZZATI, venuto a conoscenza della cosa e preoccupato delle
conseguenze negative che tale comportamento irresponsabile del CORTI può
provocare, convoca la Segreteria per valutare la situazione.
Di comune accordo viene deciso di chiedere a CORTI di precisare le
motivazioni delle sue critiche e di confermare quanto vi sia di vero nelle
voci che sono circolate.
CORTI ribadisce le accuse precedentemente formulate, sostenendo in
particolare che il Segretario responsabile dirige la FIM in modo
centralistico ed autoritario. Mentre CAFFI e FRANCESCHETTI respingono
nettamente tali accuse, MAFFETTI e GAFFURINI concordano per molti versi
con le affermazioni di Corti, ritenendole perlomeno meritevoli di serie
riflessioni.
CASTREZZATI amareggiato dall'imprevisto atteggiamento dei suoi due
colleghi, rassegna le dimissioni da Segretario. Il testo della lettera con
la quale CASTREZZATI formalizza le dimissioni viene trasmessa alla
Segreteria affinché lo notifichi al Consiglio Direttivo.
Ma la Segreteria blocca l'invio ditale lettera al Direttivo e tenta di
convincere CASTREZZATI a recedere dalla sua decisione.
Solo dopo ripetute pressioni e sollecitazioni da parte di tutti i membri
della Segreteria (e in particolare di CAFFI e FRANCESCHETTI) e di molti
militanti e dirigenti che erano venuti a
conoscenza del fatto, CASTREZZATI accetta di rivedere la sua decisione.
Il 14 dicembre CASTREZZATI si dichiara disponibile a non dar seguito alle
sue dimissioni, dopo 18 giorni di assenza dall'organizzazione.
Sindacato
e compromesso storico al consiglio generale unitario del 24 dicembre '74
nella relazione Gaffurini
Fino a questo momento le divergenze sembrano limitate a questioni
personali, ed anche un attento osservatore avrebbe stentato ad individuare
le divergenze politiche tra i due schieramenti che all'interno del gruppo
dirigente della FIM si erano, di fatto, delineati.
Un più serio motivo di tensione nasce in occasione della riunione del
Consiglio Generale Unitario (C.G.U.) della FLM del 17 dicembre 1974.
GAFFURINI era stato incaricato di tenere la relazione introduttiva sulla
base di quella svolta precedentemente da BENTIVOGLI al Consiglio Nazionale
della FLM. GAFFURINI, invece, si presenta con una relazione che, nella
parte relativa all'analisi della situazione politica, non è in sintonia
con le linee generali del sindacato.
Questa relazione lascia trasparire, in modo sfumato, ma inequivocabile, un
orientamento a favore del compromesso storico; orientamento più che
lecito per i singoli militanti del sindacato, ma certamente estraneo alla
proposte di BENTIV0GLI e non facente parte della linea della FLM (v. doc.
n. 1 a pag. 47).
Ma l'aspetto più grave è costituito dal fatto che GAFFURINI ha
modificato la relazione senza consultare i colleghi della Segreteria.
Naturalmente la cosa suscita un certo malumore, soprattutto all'interno
della FIM. Per porre fine alle polemiche ed anche alle distorte
interpretazioni dell'episodio che erano emerse, CASTREZZATI propone al
C.G.U. del 24/2/75 un documento che, tra l'altro, chiarisce i rapporti tra
strategia sindacale e scelte politiche di competenza dei partiti (v. doc.
n. 2 a pag. 50). Il documento viene approvato. Le tesi ivi sostenute
vengono meglio esplicitate nel documento, sempre proposto da CASTREZZATI,
approvato il 1-3-75 dal Consiglio Direttivo Provinciale della FIM-CISL,
che afferma tra l'altro:
"le formule di governo, anche se possono lasciare intravedere
programmi e risultati..., restano prerogativa e responsabilità dei
partiti". (v. doc. n. 3 a pag. 52).
La vertenza Lucchini
La riunione del Consiglio
Direttivo Provinciale dell'il novembre 1975, presieduta dal Segretario
generale nazionale della FIM-CISL FRANCO BENTIVOGLI, costituisce un
momento fondamentale e determinante nell'evolversi dei rapporti tra
maggioranza e minoranza. Ma per comprendere il vero significato della
votazione effettuata in quella riunione, demistificando tutte le false ed
interessate interpretazioni che di essa sono state diffuse artatamente, è
necessario soffermarsi, sia pur brevemente, sulla vertenza LUCCHINI e
sugli episodi che ad essa seguirono.
Nel corso del 1975, i lavoratori della LUCCHINI furono impegnati per molti
mesi in una vertenza aziendale difficile e complessa.
Il nodo fondamentale che impediva di risolverla era costituito dalla
posizione estremamente rigida del LUCCHINI che si rifiutava di riconoscere
il Consiglio di Fabbrica, in quanto alcuni membri di tale organismo
avevano dichiarato di essere gli autori di un ciclostilato nel quale si
accusava lo stesso LUCCHINI di aver rubato i soldi ai lavoratori per
pagare il riscatto del figlio rapito.
Dopo diversi mesi di lotta caratterizzata da scioperi sempre più pesanti,
si arrivò al presidio della fabbrica, con la chiusura totale
dell'azienda.
Poiché passavano le settimane ed i mesi senza che nulla si muovesse, che
cioè facesse intravedere la prospettiva della conclusione della vertenza,
la Segreteria della Federazione CGIL-CISL-UIL si riunì con quella della
FLM per valutare la situazione. Le due Segreterie
congiuntamente decisero di dare mandato ai Segretari generali della
Federazione Unitaria PILLITTERI, TORRI e ALBERTI, di contattare il
Prefetto per sondare la possibilità di ricercare un compromesso.
L'ipotesi emersa, dopo l'incontro con il Prefetto, era questa: per tutti i
problemi, anche marginali, relativi ai rapporti fra azienda e CdF si
sarebbero tenute riunioni presso l'Ufficio del Lavoro. La Direzione si
sarebbe sistemata in un locale di tale ufficio ed il CdF in un altro. Un
funzionario dell'Ufficio del Lavoro avrebbe fatto da spola tra le due
parti.
L'ipotesi fu accettata da tutti, compreso l'operatore della FIM della
Valtrompia.
Purtroppo LUCCHINI non fu d'accordo neanche su tale ipotesi.
Successivamente vi fu un incontro di LUCCHINI presso la Prefettura con i
Segretari generali SABATTINI e CASTREZZATI. Dell'incontro erano informati
gli operatori di zona (quindi anche CORTI) che seguivano direttamente la
vertenza; ma non si ebbero tuttavia risultati.
Dopo alcune settimane, gli stessi Segretari generali della FLM presero
contatto col prefetto perché sollecitasse un nuovo incontro.
In quella circostanza giunse nel Gabinetto della Prefettura una telefonata
del Presidente della Provincia prof. BRUNO BONI, il quale dichiarava la
sua disponibilità ad interporre i suoi buoni uffici per trovare una
soluzione.
CASTREZZATI e SABATTINI si recarono subito dal Presidente della Provincia
col quale si concordò un incontro con LUCCHINI.
Durante tale incontro il prof. B0NI riconobbe che era impossibile pensare
ad uno accordo senza il pieno riconoscimento della CdF.
LUCCHINI avrebbe dovuto recedere dalla sua posizione, scartando anche la
macchinosa ipotesi degli incontri all'Ufficio Provinciale del Lavoro.
L'adesione della controparte alla proposta di BONI apri la strada alla
trattativa sul merito della piattaforma. LUCCHINI poneva però una
condizione e cioè che il sindacato, nel corso delle trattative, non
pubblicasse né esaltasse come sua vittoria questo importante risultato.
Comunque l'intesa sui
Consigli di fabbrica sarebbe divenuta ufficiale, e quindi ampiamente
pubblicizzabile, una volta raggiunto l'accordo sulla piattaforma, per la
quale non vi furono scambi di vedute o pre-intese riservate.
CASTREZZATI e SABATTINI, per evitare fughe di notizie che avrebbero
pregiudicato la conclusione della vertenza (i lavoratori erano senza
salario da quasi 8 mesi e in precedenza, in 4 mesi avevano effettuato
molte ore di sciopero), parlarono di questa ipotesi soltanto con gli
operatori che seguivano direttamente la vertenza (CORTI e DELTRATTI). Essi
furono perfettamente consenzienti sull'opportunità del massimo riserbo;
richiesero però preventivamente il testo della dichiarazione sui
riconoscimento del CdF, testo che era stato consegnato in duplice copia ai
soli due Segretari generali a massima garanzia degli impegni di
riservatezza. Tale testo fu letto ed approvato dagli operatori della zona.
Si tenga presente, inoltre che i due operatori furono sempre informati su
tutti i particolari degli incontri riservati e affermarono sempre di
essere consenzienti a tutte le decisioni adottate.
Una fuga di notizie
Pochi giorni prima dei
previsto inizio delle trattative vere e proprie presso la sede
dell'Amministrazione Provinciale, un fatto incredibile rischia di
compromettere il paziente lavoro dei sindacato per sbloccare la vertenza.
Il GIORNALE DI BRESCIA del 17.9.75 pubblica un articolo nel quale si
rivela che LUCCHINI è stato costretto dalla resistenza dei lavoratori a
riconoscere il Consiglio di Fabbrica (v. doc. n. 4 a pag. 34).
La fuga di notizie su una questione, per la quale esisteva un formale
impegno di riserbo, impedisce che si aprano le trattative nei tempi
convenuti, con grave danno per i lavoratori della LUCCHINI.
Dal momento che solo quattro sindacalisti, oltre al Presidente della
Provincia ed a LUCCHINI, erano informati dell'avvenuto riconoscimento del
CdF, diviene necessario - e anche relativamente semplice - accertare chi
avesse potuto fornire le informazioni
al GIORNALE DI BRESCIA.
Viene immediatamente interpellato il corrispondente della Valtrompia del
GIORNALE DI BRESCIA che indica in ATTILI0 CORTI ed ETTORE CROCELLA (un
ex-dipendente della ditta LUCCHINI) coloro i quali hanno passato la velina
da cui è stato tratto l'articolo.
CORTI, al contrario, assicura di essersi limitato a fare da
"autista" a CROCELLA, di averlo cioè accompagnato in macchina
dal giornalista.
CROCELLA svolgeva provvisoriamente la funzione di operatore della FIOM in
Valtrompia, in attesa dell'esito del processo che aveva intentato nei
confronti della Ditta LUCCHINI, contro il suo illegale licenziamento.
Secondo la versione di CORTI, sarebbe stato CROCELLA a consegnare al
corrispondente del GIORNALE DI BRESCIA un appunto, scritto dal CROCELLA
stesso, ma sulla base di informazioni fornitegli da CLAUDIO SABATTINI,
Segretario generale della FIOM-CGIL.
SABATTINI, non appena informato dell'accusa che gli è stata rivolta,
richiede urgentemente un incontro con il corrispondente del GIORNALE DI
BRESCIA e con CORTI e CROCELLA.
In questa riunione - tenutasi il 19 settembre - viene concordato il
comunicato FLM di smentita all'articolo del 17 settembre.
Quando CASTREZZATI, precedentemente impegnato in una assemblea di
fabbrica, raggiunge i colleghi, il comunicato è già pronto e la
questione sembra rientrare.
L'importante è non creare nuovi ostacoli ad una positiva soluzione della
vertenza LUCCHINI ed il comunicato che è stato steso assolve a questa
funzione.
CASTREZZATI e SABATTINI si recano quindi a sottoporre il testo del
comunicato al Presidente della Provincia. Il prof. B0NI, dopo averlo letto
per telefono a LUCCHINI, comunica ai due sindacalisti che si possono ormai
considerare superate le difficoltà intervenute in seguito alla
pubblicazione dell'articolo sul riconoscimento del Consiglio di Fabbrica,
apparso sul GIORNALE DI BRESCIA del 17 settembre.
Alcune ore più tardi però si verifica un'altro colpo di scena. CORTI avvicina
CASTREZZATI e gli mostra una dichiarazione manoscritta di CROCELLA che
ribadisce l'accusa precedentemente formulata contro SABATTINI. CORTI
afferma di non aver mai scagionato SABATTINI e si lamenta con CASTREZZATI
affermando che gli avrebbe impedito di precisare le responsabilità di
SABATTINI nell'incontro in precedenza tenuto per stendere il comunicato
stampa. CASTREZZATI, stupefatto, chiede a CORTI di consegnargli una copia
della dichiarazione di CROCELLA, ma CORTI non acconsente.
Nel frattempo il GIORNALE DI BRESCIA, al quale era pervenuto il comunicato
della FLM che smentiva l'articolo del 17 settembre, minaccia di
pubblicare, unitamente al comunicato, una precisazione redazionale con la
quale si rivela che le informazioni sul riconoscimento del CdF erano state
fornite da CORTI e CROCELLA.
Se ciò fosse avvenuto la pubblicazione del comunicato sarebbe stata
puramente accademica e del tutto inutile. Infatti CORTI rappresentava la
FLM nella zona della Valtrompia ed era uno dei quattro sindacalisti al
corrente della intesa riservata sul riconoscimento del CdF; affermare che
lui era la fonte delle informazioni fornite al giornale significava
coinvolgere direttamente la FLM e quindi provocare nuovamente
l'interruzione delle trattative per la vertenza LUCCHINI.
Dopo un convulso scambio di telefonate tra FLM e giornale, nel tentativo
di trovare una via d'uscita alla posizione di stallo venutasi a creare (LUCCHINI
pretendeva la pubblicazione del comunicato e il GIORNALE DI BRESCIA non
era disposto a pubblicarlo se non precisando la fonte delle informazioni),
l'intervento del Segretario dell'Unione Provinciale della CISL riesce
finalmente a sbloccare la situazione.
PILLITTERI riesce a convincere i responsabili del GIORNALE DI BRESCIA a
tacere il nome di CORTI. Il giornale deve però giustificare la
provenienza delle notizie pubblicate, considerato che il comunicato della
FLM afferma che "né i Segretari Provinciali della FLM, né il
Consiglio di Fabbrica hanno rilasciato dichiarazioni". Tuttavia nella
precisazione redazionale verrà citato il nome del solo CROCELLA (v. doc.
n. 5 a pag. 55).
La Segreteria trasferisce
l'operatore della Valtrompia
Risolti i problemi col
Giornale di Brescia e scongiurato il pericolo della rottura delle
trattative per la vertenza LUCCHINI, rimangono da chiarire le accuse di
CORTI a SABATTINI.
Per dirimere la questione ed accertare come realmente stiano le cose, si
rende necessario un altro incontro, che si tiene la mattina del giorno
seguente a Villa S. Filippo.
Vi partecipano CASTREZZATI, SABATTINI, DELTRATTI e GROCELLA. ATTILIO
CORTI, invece, benché atteso, non arriva. L'incontro si prospetta agitato
e complesso, ma all'improvviso, in apertura di riunione, CROCELLA ammette
di aver inventato tutto e di aver accusato ingiustamente SABATTINI.
Rassegna quindi immediatamente le dimissioni dall'incarico provvisorio che
il sindacato gli aveva affidato in Val Trompia.
E' il 20 settembre e la questione pare finalmente chiarita.
Ma due giorni dopo si tiene presso la CISL una riunione per delineare il
comportamento da tenere negli sviluppi della trattativa con LUCCHINI. Vi
partecipano CASTREZZATI, SABATTINI, DELTRATTI, CORTI, CROCELLA, MAFFETTI e
GAFFURINI (quest'ultimo in qualità di responsabile per la FIM della zona
ove è ubicata la LUCCHINI).
CASTREZZATI, nell'aprire la riunione, riepiloga il susseguirsi difatti che
si sono verificati fino a quel momento. Ovviamente nella sua relazione
riferisce anche che CORTI ha accusato SABATTINI di aver fornito a CROCELLA
le informazioni sul riconoscimento del CdF della LUCCHINI e che anzi ha
continuato ad insistere con questa accusa anche dopo la prima riunione
(quella di stesura del comunicato stampa).
CORTI inaspettatamente replica di non essersi mai sognato di accusare
SABATTINI e che la famosa dichiarazione di CROCELLA non è mai esistita.
Questo comportamento di CORTI mette CASTREZZATI in condizione di
indicibile disagio, suscitando comprensibili reazioni. Ma per fortuna le
precedenti affermazioni di CORTI erano state udite anche da DELTRATTI, che
aveva altresì letto la dichiarazione
scritta da CROCELLA. DELTRATTI, quindi, interviene e conferma la versione
dei fatti data da CASTREZZATI.
La scorrettezza e la gravità del comportamento dell'operatore ATTILI0
CORTI non possono passare senza alcuna conseguenza. CASTREZZATI convoca la
Segreteria Provinciale. Benché il comportamento di CORTI meriti un
provvedimento più grave, CASTREZZATI chiede il suo trasferimento alla
zona di Odolo con la precisa motivazione che tale zona non pone problemi
di rapporti tra l'operatore e il Segretario generale. La proposta viene
approvata a maggioranza; votano a favore CASTREZZATI, CAFFI e
FRANCESCHETTI.
CASTREZZATI, partendo dall'analisi della frattura che si è verificata al
momento della votazione, sottolinea come la passata unanimità nelle
decisioni (che aveva caratterizzato la Segreteria subito dopo la sua
elezione) sia venuta meno e che un solco di sfiducia si è sempre più
approfondito tra maggioranza (lui stesso con CAFFI e FRANCESCHETTI) e
minoranza (GAFFURINI e MAFFETTI).
Infatti divergenze, più latenti che espresse, si sono verificate sempre
più spesso, specialmente su questioni importanti quali la scelta di nuovi
operatori (la minoranza, al di là di ogni affermazione di principio sulla
partecipazione della base, tentava ad ogni costo di far assumere operatori
ad essa fedelissimi, al fine di rafforzare il suo controllo
sull'apparato).
La situazione - conclude CASTREZZATI - non può continuare così
all'infinito. Propone quindi di convocare il Consiglio Direttivo per
discutere delle difficoltà interne della Segreteria, ferma restando la
immediata esecutività della decisione assunta sul trasferimento di CORTI,
come di qualsiasi altra determinazione presa a maggioranza.
Il direttivo del 17
novembre 1975
Alcuni giorni più tardi
si verifica un altro fatto gravissimo. La Segreteria Provinciale riceve
due documenti, uno dei delegati della zona di Lumezzane e l'altro
proveniente dalla Val Trompia (v. doc. n. 6
a pag. 55). I due documenti, uguali per forma e contenuto (evidentemente
sollecitati da qualcuno) criticano la Segreteria per la decisione di
trasferire CORTI, accusandola di "gestione verticistica e burocratica
del sindacato", di " eliminare i momenti democratici intermedi
di partecipazione" e di funzionare "in termini clientelari
tipici di cricche correntizie ".
I documenti sono stati approvati da assemblee unitarie di delegati
convocate rispettivamente a Lumezzane e a Gardone V.T. (la seconda è
pressoché fallita per la scarsissima partecipazione). Alle due assemblee
aveva partecipato GAFFURINI. Successivamente si viene a sapere che lo
stesso GAFFURINI ha personalmente sollecitato le adesioni al documento che
accusa la Segreteria Provinciale della FIM, benché egli sia membro della
Segreteria stessa.
Appena conosciuti i fatti, CASTREZZATI riunisce la Segreteria e dopo aver
affermato che la situazione creatasi è gravissima e intollerabile,
comunica formalmente che al Direttivo, già convocato per discutere delle
difficoltà interne della Segreteria, egli svolgerà una relazione a
titolo personale e non a nome della Segreteria. I suoi colleghi di
Segreteria saranno pertanto liberi di controrelazionare, di intervenire,
di presentare mozioni, di fare tutto ciò che preferiscono.
Il Consiglio Direttivo Provinciale si riunisce il 17 novembre 1975, al
Centro Pastorale Paolo VI. La riunione è presieduta dal Segretario
generale nazionale dalla FIM-CISL FRANCO BENTIVOGLI. CASTREZZATI, nella
relazione introduttiva riferisce analiticamente i fatti precedentemente
accaduti. Si sviluppa un ampio e vivace dibattito che dura dal mattino
fino a mezzanotte e nel quale intervengono quasi tutti i membri del
Direttivo. A conclusione della discussione, CASTREZZATI presenta una
mozione di sfiducia nei confronti del Segretario GAFFURINI (v. doc. n. 8 a
pag. 57).
Il risultato della votazione, per appello nominale, è il seguente:
- presenti: 65
- favorevoli: 48
- contrari: 15
- astenuti: 2
Hanno votato SI
all'o.d.g. Castrezzati: CAFFI GIANFRANCO, FRANCESCHETTI ALFREDO, BOLPAGNI
PIETRO, FRANCESCHETTI DANTE, BONERA CARLO, PASINI ULTIMO, GREGORELLI MARIO,
GOZZA P. FRANCO (Falck), MORA PIETRO, COMINASSI MARCO (Beretta), MOSTARDA
FRANCESCO (Redaelli), ROSA LUIGI (Idra), MINELLI GIANNI (TLM), RIGOSA
ATTILI0 (SMI), ZANOLA LUIGI (Breda), MALZANI PIETRO (Marzoli), BETTINSOLI
ALFREDO (Zenit), DI SOTTO BENEDETTO (TLM), ARMANELLI G. PAOLO (Marzoli),
T0NINI GIULIO (Glisenti), BONETTI ATTILIO, MESA MARIO (G.S.),BONIZZARDI
ENNIO (Falk), GALLI MARIO (Gnutti di Chiari), LOMBARDI ANNIBALE (Santoni),
PRATI RINALDO (Stefana F.lli), LOMBARDI MARCO (INN-SE), GATELLI GIANNI (INNSE),
MOSSONl ITALO (Beretta), PASOLINI CESARE (ATB), MARTINELLI BATTISTA (ATB),
G0NZINI GIOVANNI (INN-SE),
ALBERTINI ADELIO (Falk), PASOLINI FAUSTO (INN-SE), FAINI MARIO (Fenotti
& Comini), ANTONIOLI ENRICO (Vallecamonica), RONCHI ALDO (Valtrompia),
ZILETTI GIUSEPPE (Bassa Bresciana), TOMASELLI CLAUDIO (Desenzano),
MARINELLI ALFONSO (Ideal), VERTUA BRUNO (Samo), SIMONELLI BRUNO (ATB),
AMBROSINI ANGELO (Pietra), AGNELLI AUGUSTO (INN-SE), CASTRINI ALBERTO
(Franchi Luigi), FUMAGALLI ROSA (Lanfranchi), SANDRINI GIUSEPPE (Beretta),
MORSTABILINI FRANCO (Marzoli).
Hanno votato NO: CORTI ATTILI0, GHEZA FRANCO, GHIDINI MARINO, BRIVIO
G.BATTISTA, SERRA COSTANTINO, MAFFETTI FRANCESCO (OM), LANDI GIOVANNI (OM),
BONAFINI M.TERESA (OM), MINESSI SANTO (OM), TEMPONI OSVALDO (OM), SENECI
FRANCO (Eredi Gnutti), BOTTICINI CATERINA (Palazzoli), MORETTI GIULIO
(Lumezzane), AMADEI DANIELE (Palazzolo), TAGLIETTI ALIBERTO (OM).
Si sono astenuti: CASTREZZATI FRANCO, GAFFURINI LUIGI.
Erano assenti: BIANCHI FRANCESCO (Teorema), MONTEVERDE ANTONIO (Eredi
Gnutti Brescia), VIOLI GIACOMO (Acciaierie Pisogne), PARILLI GIORGIO (Eaton
Nova), PELIZZARI VALERIANO (Falk), SCARPAZZA ROMEO (Breda).
Nel corso della riunione,
ATTILI0 CORTI aveva consegnato alla Segreteria una lettera del 13
novembre, contenente le sue dimissioni da
operatore (v. doc. n. 7 a pag. 57). Sempre nel corso del dibattito,
MAFFETTI, aveva annunciato le proprie dimissioni, qualora fosse stata
votata la sfiducia a GAFFURINI.
La sua lettera di dimissioni, scritta pochi giorni dopo (v. doc. n. 9 a
pag. 58) viene diffusa ai primi di gennaio unitamente alla replica della
Segreteria (v. doc. n. 11 a pag. 60). In dicembre si era dimesso da
operatore anche MARINO GHIDINI (v. doc. n. 10 a pag. 59).
Le prime polemiche
La votazione del
Direttivo del 17 novembre e le susseguenti dimissioni di MAFFETTI
comportano l'esclusione della minoranza interna dalla Segreteria
Provinciale della FIM-CISL bresciana. Ma questi fatti non concludono la
polemica. Nel corso di tutto il '76 e nei primi mesi del '77, fino alla
celebrazione del IX Congresso Provinciale, la minoranza manifesta più
volte il suo dissenso nei confronti della Segreteria e critica
ripetutamente, all'interno e all'esterno del sindacato, la strategia e la
linea politica della FIM, arrivando ad accusare pesantemente (come si
avrà occasione di vedere) alcuni dirigenti sindacali.
Dopo una prima fase in cui prevalgono le polemiche e le diverse
interpretazioni sul significato politico e sui risultati della riunione
del Direttivo del 17 novembre, il dissenso interno si sposta sul piano
più strettamente politico, sul modo di concepire l'unità sindacale e
l'autonomia.
All'inizio del '76 FRANCO CASTREZZATI propone, nel corso di una riunione
del Direttivo, di aprire un vasto dibattito politico all'interno della FIM,
anche per evitare che le divergenze emerse si trasformino e si riducano a
sterili contrapposizioni personalistiche. Nell'ambito di tale dibattito
interno, la Segreteria organizza una tavola rotonda per discutere il
documento della Conferenza Episcopale Italiana sul rapporto tra marxismo e
cristianesimo. A questo dibattito, che si tiene il 21 febbraio,
partecipano come relatori Mons. TULLO G0FFI, il Sindaco di Brescia CESARE
TREBESCHI e il dirigente sindacale BRUNO MANGHI. I componenti del gruppo
OM ed i loro amici, però, disertano completamente questa occasione di
confronto, affermando anzi che, per la sua impostazione, l'iniziativa si
configura come "antiunitaria".
Circa un mese dopo, il Consiglio di Fabbrica della OM-FIAT approva un
documento, di cui il "gruppo OM" vanta ed ostenta la paternità,
che possiamo considerare come la prima presa di posizione pubblica e
sufficientemente organica, contenente la specificazione della linea
politica della minoranza della FIM (v. doc. n. 13 a pag. 64).
Nel documento è esposta una concezione del sindacato come subalterno alle
esigenze dell'evoluzione del quadro politico, mentre il significato
dell'unità sindacale è reinterpretato come momento preparatorio e
funzionale a "quel processo di coinvolgimento e convergenza delle
grandi forze storiche popolari intorno alla definizione del nuovo progetto
storico di società da realizzare" (cioè al compromesso storico).
La vicenda della OM
Le polemiche più aspre
ed i contrasti più vivaci tra la minoranza della FIM e la Segreteria
Provinciale si verificano alla OM-FIAT e a Lumezzane.
Nel marzo del '76, prima del rinnovo dell'Esecutivo del Consiglio di
Fabbrica della OM, il Segretario provinciale CAFFI propone a MARIA TERESA
BONAFINI e ALIBERTO TAGLIETTI (facenti parte del CdF della OM) di indire
una riunione dei militanti della FIM della OM per definire i nominativi da
proporre per l'Esecutivo.
Tale richiesta si inserisce nell'abituale procedura di consultazione della
base che la Segreteria della FIM adotta prima di indicare ad una
commissione unitaria le proposte di candidati all'Esecutivo del CdF ed è
resa tanto più opportuna per rispondere con i fatti alle reiterate accuse
di verticismo e scavalcamento della base che il gruppo OM rivolge in quel
periodo alla Segreteria provinciale.
La stupefacente risposta di B0NAFINI e di TAGLIETTI è che il rapporto con
la base lo mantengono già loro e che comunque la proposta di
un incontro tra Segreteria ed esponenti FIM della OM va respinta perché
antiunitaria.
La Segreteria viene quindi accusata di essere verticista se decide senza
consultare i suoi militanti e di essere antiunitaria se li convoca.
Di fronte a questa situazione incresciosa ed insostenibile la Segreteria
Provinciale risponde comunicando ai membri del Direttivo FIM della OM la
sua astensione da ogni attività sindacale della OM stessa fino a quando
non sarà risolta l'intera questione (v. doc. n. 12 a pag. 63).
Il 4 maggio si riunisce il Consiglio Generale Unitario della FLM. Viene
discusso ed approvato il documento costitutivo dalla FLM. Tra i punti
affrontati vi sono anche le modalità di elezione degli esecutivi dei
Consigli di Fabbrica. Il documento votato conferma la necessità di
garantire la presenza nell'esecutivo di tutte le componenti della FLM
(cioè la FIM, la FIOM e la UILM) e pertanto fa proprio il meccanismo
elettorale delineato alla Conferenza Unitaria di Bellaria, che consiste in
una "proposta politica" da parte di una commissione unitaria in
seno al CdF da votarsi in modo palese.
Risoltasi in questo modo la questione, la Segreteria Provinciale della FIM
considera superate le motivazioni che l'avevano indotta ad astenersi dalle
attività sindacali della OM e incarica VALENTINO RODOLFO di seguire la
situazione sindacale della OM-FIAT (vedi doc. n. 16 a pag. 80).
VALENTINO, quarantacinque anni, proveniente dalla FIM di Terni, con lunga
e consolidata esperienza sindacale nel coordinamento di grossi complessi
industriali, si trova a Brescia da pochi mesi e quindi non è per nulla
implicato nelle aspre polemiche tra il gruppo OM e la Segreteria
Provinciale. Nonostante tutto ciò, VALENTINO è accolto con ostilità e
freddezza dai componenti del gruppo OM e pregiudizialmente emarginato.
Sono passati appena pochi giorni da quando VALENTINO è stato incaricato
dalla Segreteria FIM di seguire la OM, che nasce il caso Valseriati.
Il 25 giugno, la OM-FIAT licenzia il delegato sindacale PIERINO VALSERIATI,
accusato di "aver colpito un'analista-tempi, intento al suo
lavoro, provocandogli una escoriazione". La strumentalità e falsità
delle accuse, nonché la gravità dell'attacco al sindacato costituita dal
licenziamento di un delegato, trovano pronta risposta dei lavoratori, che
scendono in lotta per ottenere la riassunzione del VALSERIATI.
Ma la vertenza si presenta difficile per l'ostinata resistenza
dell'azienda.
Ai primi di luglio, il Consiglio di Fabbrica chiede la mediazione del
Sindaco di Brescia. Il 7 e 8 luglio si svolgono in Loggia, con la
mediazione dell'avv. Trebeschi, incontri tra le parti, dai quali emerge
una ipotesi di accordo, anche se non ancora definita in tutti i
particolari.
Ma un articolo di Bresciaoggi del 9 luglio, dal titolo "con la
mediazione del Comune - OM: rientra il delegato" (vedi doc. n. 18 a
pag. 80) rende noti gli incontri riservati dei giorni precedenti e le
divergenze che ancora sussistono tra le parti.
GAFFURINI, FASANI, CREMONESI e LAMBERTI ritengono che la fuga di notizie
sulla trattativa, da loro attribuita ad un delegato della FIOM, rischi di
compromettere l'esito della vertenza. La loro reazione è immediata: il
giorno stesso si dimettono dall'Esecutivo del Consiglio di Fabbrica (v.
doc. n. 19 a pag. 81).
Il 15 luglio, conclusasi positivamente la vertenza Valseriati, LANDI,
GAFFURINI, la B0NAFINI e altri inviano alle Segreterie provinciali e
nazionali della CISL e della FIM una lettera che accusa la Segreteria
provinciale della FIM e particolarmente CASTREZZATI di essersi comportati
in modo "quanto meno assenteista" durante la vertenza Valseriati
(v. doc. n. 20 a pag. 82).
Nella lettera gli amici di LANDI attaccano pesantemente VALENTINO,
affermando polemicamente di "dubitare profondamente delle capacità
del suddetto dirigente".
Particolare apparentemente marginale, ma significativo: i firmatari della
lettera, riferendosi alle dimissioni di CREMONESI, FASANI, GAFFURINI, e
LAMBERTI dall'Esecutivo del CdF, affermano di condividere "la
motivazione di fondo tendente a far chiarezza di linee e comportamenti
all'interno del CdF e nei rapporti con la Segreteria Provinciale FIM".
In realtà, gli stessi dimissionari, nella loro lettera del 6 luglio, precisavano
di essersi dimessi in seguito agli sviluppi della vertenza Valseriati al
fine di provocare un chiarimento all'interno dell'Esecutivo del CdF"
(v. doc. n. 19 a pag. 81).
Questa tendenza a distorcere la realtà e perfino i dati di fatto
inequivocabilmente documentabili pur di sostenere le proprie tesi si
manifesterà sempre più accentuata fino al Congresso.
La volontà di mettere sotto accusa polemicamente i dirigenti della FIM
anche a costo di falsare la realtà si rivela chiaramente solo quattro
giorni dopo queste accuse alla Segreteria, quando un'altra lettera viene
inviata da un gruppo di lavoratori della OM (di cui fanno parte alcuni
firmatari della prima lettera) alla redazione de LA VOCE DEL POPOLO (v.
doc. n. 21 a pag. 83). Si noti che da questo momento (luglio '76, il
gruppo OM comincerà ad utilizzare frequentemente il settimanale diocesano
per fomentare la polemica. E ciò nonostante avesse in precedenza
affermato attraverso due qualificati esponenti (GAFFURINI e GHEZA,
responsabili della stampa) (v. doc. n. 33 a pag. 103) di ritenere
inopportuno che la FIM utilizzasse lo spazio sindacale de LA VOCE, per
l'ospitalità da questa concessa al MCL e alle organizzazioni padronali.
La lettera aperta alla CISL dei lavoratori della OM, pubblicata nel numero
del 23 luglio de LA VOCE DEL POPOLO, contiene gravissime accuse frammiste
ad ingiustificate calunnie nei confronti di un giovane operatore
sindacale, MARTINO TRONCATTI, noto negli ambienti politici bresciani per
aver ricoperto, prima di lavorare per il sindacato, la carica di
Segretario provinciale di Gioventù Aclista.
TRONCATTI viene accusato di "settarismo" ,di
"faziosità", nonché di essere un gruppettaro, un qualunquista,
un burocrate e un "immodesto raccomandato sindacale".
Il pretesto dal quale muovono le accuse contenute nella lettera è
costituito da una frase che TRONCATTI avrebbe pronunciato alla presenza di
Costantino Serra operatore della FIM a Lumezzane, commentando la vicenda
del licenziamento di VALSERIATI e della conseguente vertenza per la sua
riassunzione. Dagli insulti a TR0NCATTI
la lettera passa agevolmente ad attaccare la linea della FIM bresciana e
la gestione della Segreteria, accusata di verticismo, nepotismo e
clientelismo.
La Segreteria della FIM, che già aveva risposto alle accuse contenute
nella lettera del 15 luglio, mostrandone le falsità e l'intrinseca
strumentalità (v. doc. n. 22 del 23 luglio, a pag. 84), replica
unitariamente alla Segreteria dell'Unione Provinciale della CISL,
respingendo le critiche alla gestione del sindacato (v. doc. n. 23 del 27
luglio, a pag. 86).
Lo stesso TRONCATTI replica con una lunga lettera e, oltre a smentire
decisamente il fatto attribuitogli e le accuse a lui rivolte, mostra come
le critiche e gli insulti contenuti nella lettera aperta, al di là
dell'intento polemico, derivino da una differente visione del ruolo del
sindacato e dalla volontà dei firmatari di attaccare alcuni valori
fondamentali per la CISL: l'autonomia e il pluralismo, rigettandoli (v.
doc. n. 24 a pag. 87).
Sullo stesso numero de LA VOCE DEL POPOLO (il n. 32 del 27 agosto) che
pubblica la lettera di TRONCATTI, viene riportata anche una replica di
SERRA, la quale è interessante perché conferma i legami tra l'operatore
di Lumezzane e il gruppo OM (vedi doc. n. 25 a pag. 89). Questo fatto
aiuta a spiegare il comportamento ostruzionistico di SERRA nei confronti
della Segreteria Provinciale durante tutta la complessa vicenda di
Lumezzane.
La vicenda di Lumezzane
Nel periodo
immediatamente successivo a queste polemiche tra il gruppo OM e la
Segreteria della FIM una nuova e più aspra contesa si apre con i
dirigenti della FIM di Lumezzane.
Il 4 ottobre la Segreteria Provinciale della FIM convoca i propri
componenti dell'Esecutivo del Consiglio di Zona della FLM di Lumezzane per
esaminare la situazione sindacale della zona.
Prima dell'estate, infatti, due dei quattro componenti FIM dell'Esecutivo
si erano dimessi in polemica con gli operatori sindacali, sostenendo che
l'Esecutivo era "scollegato" dalle elaborazioni del
Consiglio di Zona e non "in regola" con la linea della FLM (v.
doc. n. 15 a pag. 79 e 17 a pag. 80). Inoltre si erano manifestate, a
giudizio della Segreteria FIM, notevoli difficoltà a coordinare
l'attività sindacale di Lumezzane ed a mantenere un corretto rapporto tra
gli organi provinciali e la realtà zonale.
Infine all'interno della FIM di Lumezzane non si erano ancora rimarginate
le lacerazioni provocate dal caso CORTI dell'anno precedente e dal
documento contro la Segreteria provinciale votato dall'assemblea dei
delegati. In quella sede la Segreteria propone di destinare a Lumezzane un
secondo operatore sindacale da aggiungere a COSTATINO SERRA. Tale proposta
ha il duplice scopo di facilitare l'azione di coordinamento delle
attività sindacali (sono in corso vertenze aziendali ed altre si
prevedono di prossima apertura) e consentire nel contempo un ampio
confronto di opinioni tra i militanti ed i lavoratori della FIM, garantito
dalla presenza di due operatori, uno della maggioranza e l'altro della
minoranza.
La proposta del secondo operatore era stata avanzata per la prima volta
del Segretario generale nazionale della FIM, FRANCO BENTIVOGLI, nel corso
di una riunione di apparato, tenutasi in settembre.
Anche SABATTINI, Segretario della FIOM, inizialmente perplesso, aveva
acconsentito alla proposta, ritenendola una questione interna alla FIM. I
delegati di Lumezzane presenti alla riunione, pur polemizzando con alcune
affermazioni di CAFFI e FRANCESCHETTI, esprimono la loro disponibilità a
collaborare per stabilire un nuovo e più corretto rapporto tra Segreteria
e zona di Lumezzane.
Ma quattro giorni dopo, 18 lavoratori della FIM di Lumezzane
autodefinitisi "gruppo dirigente FIM di Lumezzane" (privo di
qualsivoglia fondamento statutario) con una lunga lettera respingono
nettamente le proposte avanzate dalla Segreteria Provinciale della FIM. Si
afferma testualmente:
"La proposta della Segreteria del secondo operatore non crediamo
possa realizzare gli intenti sopra espressi. Tale scelta non può trovare
neanche una minima collaborazione da parte del gruppo di Lumezzane"
(v. doc. n. 35 a pag. 106).
Di fronte a questo netto rifiuto la Segreteria FIM, constatata
l'impossibilità di addivenire a soluzioni concordi, ritiene di doversi
assumere la responsabilità di decidere. L'undici ottobre invia MARTINO
TRONCATTI a Lumezzane (v. doc. n. 37 a pag. 108). Il giorno seguente
replica ai delegati di Lumezzane motivando le decisioni assunte (v. doc.
n. 38 a pag. 108).
Il 14 ottobre il gruppo di Lumezzane chiama in causa il Segretario
dell'Unione Provinciale della CISL, MELINO PILLITTERI, chiedendogli una
presa di posizione contro l'invio del secondo operatore; accusa la
Segreteria FIM di autoritarismo e verticismo e afferma che la scelta del
secondo operatore "rappresenta una notevole difficoltà nello
sviluppo dei rapporti unitari" senza peraltro minimamente motivare
tale fantasiosa affermazione (v. doc. n. 39 a pag. 109).
Ma ancora più aspra è la risposta dello stesso gruppo di delegati alla
Segreteria della FIM. Quest'ultima è accusata di "esercizio
selvaggio della autorità" e di attuare una "gestione
autoritaria e verticista". La lettera si conclude con la
dichiarazione che "a tali condizioni non ci sarà possibile
collaborare in alcun modo con l'operatore di controllo". (v. doc.
n. 40 a pag. 110).
Quest'ultima affermazione viene immediatamente tradotta in atto. SERRA non
rispetta l'impegno di far partecipare TRONCATTI "a tutte le
iniziative sindacali e organizzative di fabbrica e di zona".
TRONCATTI viene completamente isolato. Il "gruppo" di Lumezzane
giunge persino ad organizzare un picchetto di lavoratori per impedirgli di
partecipare ad un'assemblea di fabbrica. Contro TRONCATTI vengono diffuse
ad arte accuse e calunnie di ogni genere, prive di qualsiasi fondamento.
La situazione diventa insostenibile. La Segreteria Provinciale convoca gli
operatori TRONCATTI e SERRA. Alla riunione, che si tiene il 29 novembre,
partecipa anche il Segretario nazionale della FIM, ALBERTO GAVIOLI.
Verificata l'impossibilità di superare le reciproche diffidenze ed
ostilità e quindi la incompatibilità politica venutasi a creare tra i
due operatori, per non aggravare ulteriormente le lacerazioni interne alla
FIM di Lumezzane, la Segreteria decide di trasferirli entrambi e di
inviare al loro posto un nuovo operatore estraneo ai contrasti che si
erano verificati.
La notizia del trasferimento di SERRA si diffonde rapidamente. Il 2
dicembre viene convocata una assemblea dei delegati della FLM
che vota un documento che invita la Segreteria FIM a rivedere la decisione
del trasferimento di SERRA (v. doc. n. 43 a pag. 112).
Tale documento viene diffuso a tutti i Consigli di Fabbrica della zona da
un gruppo di delegati di Lumezzane. La lettera di accompagnamento rincara
la dose nelle accuse di verticismo alla Segreteria FIM, imputata di
"operare con la ghigliottina anziché col confronto" (v. doc. n.
42 a pag. 111). La situazione rischia di aggravarsi ancora di più. A
livello di FLM si decide di convocare il Consiglio di Zona per consentire
un chiarimento delle reciproche posizioni e porre le basi per una
rinnovata collaborazione tra tutte le componenti della FLM di Lumezzane.
Alla riunione, che ha luogo il 9 dicembre, partecipano anche i Segretari
generali della FIM, della FIOM e della UILM CASTREZZATI, SABÀTTINI e
IMBERTI con il nuovo operatore designato GIANNI VEZZONI.
Per protestare contro il trasferimento di SERRA un gruppo di delegati
della FIM abbandona i lavori del Consiglio di Zona, rifiutandosi di
ascoltare la relazione di CASTREZZATI. Ma ormai si tratta di una protesta
sterile e inutile. Lo stesso SERRA, pur manifestando numerose riserve si
attiene alle decisioni della Segreteria ed accetta il trasferimento (v.
doc. n. 44 a pag. 113).
Verso il congresso
Nella riunione del
Direttivo Provinciale della FIM del 25 febbraio 1977, è annunciata
ufficialmente, con un documento, la costituzione della minoranza
denominata "Per un sindacato democratico, autonomo, unitario"
(v. doc. n. 48 a pag. 122).
Nel documento viene ribadita la necessità di accelerare il processo verso
l'unità sindacale, mentre la FIM e la FLM sono criticate per "non
aver favorito questo processo". Anzi, si afferma: "Non possiamo
quindi accettare la subalternità della FIM ad una gestione della CISL
bresciana basata sulle amicizie e pigra nello stimolare la ricerca e la
formazione di quadri dirigenti". Vengono riaffermati i
concetti di democrazia di base e di partecipazione democratica, mentre si
denunciano "i limiti di una concezione dell'autonomia che è fine a
se stessa e che racchiude quindi un certo agnosticismo politico".
La minoranza dichiara di essere costretta a costituirsi come tale, in
quanto la gestione della FIM si sarebbe dimostrata "settaria e
incapace di rispondere alla domanda dei lavoratori".
Il documento accusa inoltre i dirigenti della FIM di collusione col
padronato. In relazione all'esito della vertenza Lucchini si afferma che
si sarebbe verificato "il sacrificio di una parte della FIM
sull'altare di un colosso industriale e finanziario".
In risposta a questa accusa gravissima, ingiustificata e priva di
qualsiasi fondamento, CASTREZZATI invia una lettera sdegnata, con la quale
richiede formalmente di depennare l'intera frase (v. doc. n. 52 a pag.
129).
Ma la richiesta viene respinta (v. doc. n. 53 a pag. 130 e n. 54 a pag.
131).
Il 25 febbraio alcuni delegati della OM diffondono una lettera aperta a
MACARIO, LAMA e BENVENUTO con la quale ribadiscono il valore democratico
del voto segreto per l'elezione delle cariche sindacali a tutti i livelli
(v. doc. n. 49 a pag.125).
Il 28 febbraio COSTANTINO SERRA, a nome della minoranza, scrive a MACARIO
e BENTIVOGLI chiedendo una serie di garanzie, quali la costituzione di una
commissione paritetica per l'organizzazione del Congresso e la
possibilità di partecipare a tutte le assemblee precongressuali (cioè
anche laddove non vi sono militanti o iscritti della minoranza) (v. doc.
n. 50 a pag. 127).
BENTIVOGLI e MACARIO rispondono assicurando che tutti i diritti delle
minoranze previsti dallo statuto saranno rigorosamente rispettati, ma che
evidentemente gli esponenti della minoranza non possono pretendere
l'accoglimento di richieste in contrasto con lo statuto stesso (v. doc. n.
55 a pag. 131).
Il numero di aprile de IL
CITTADINO, organo della DC bresciana, pubblica una lettera di BENTIVOGLI
del 7 febbraio, con la quale il Segretario generale nazionale della
FIM-CISL replica alle accuse
contenute nella mozione congressuale della corrente democristiana
"sinistra unita" (v. doc. n. 46 a pag. 118). Unitamente alla
lettera di BENTIVOGLI viene pubblicata una lunga risposta di MARIO FAPPANI
(che al Congresso Provinciale della DC aveva presentato il documento di
"sinistra unita") nella quale sono riconfermate le critiche alla
FIM nazionale, accusata di collateralismo con i partiti di sinistra e di
aver "organizzato il sostegno elettorale" a Democrazia
Proletaria (v. doc. n. 59 a pag. 141). La risposta di FAPPANI contiene
però anche gravi accuse di antidemocraticità rivolte alla FIM bresciana.
Un operatore della maggioranza è accusato di aver stracciato una lista
elettorale di un precongresso aziendale per impedire l'elezione di un
delegato della minoranza.
CASTREZZATI, pochi giorni prima del congresso, risponde smentendo le
accuse (v. doc. n. 60 a pag. 143). Alla sua lettera allega due
dichiarazioni (v. doc. n. 61 e 62 a pag. 144), una delle quali scritta e
firmata dallo stesso delegato della minoranza, che negano
inequivocabilmente che la lista elettorale della minoranza sia stata
stracciata. E la prova più evidente è costituita dal fatto che il
candidato di minoranza è stato eletto al Congresso proprio in quella
lista che secondo FAPPANI sarebbe stata stracciata.
Nel numero di giugno de IL CITTADINO a Congresso ormai celebrato, verrà
pubblicata la lettera di CASTREZZATI, ma verranno censurate le sue
dichiarazioni. FAPPANI, così, replicherà confermando le sue
insostenibili accuse (v. doc. n. 63 a pag. 145).
Sempre nel mese di aprile LA VOCE DEL POPOLO, che fino a quel momento si
era limitata ad ospitare gli articoli della minoranza e alcune lettere
contro la FIM e la FLM, entra direttamente nella polemica con l'articolo
"Cosa succede alla FIM?", scritto da VINCENZO BONOMI, in modo
estremamente critico nei confronti della FIM e della FLM (doc. n. 57 a
pag. 135).
Distorcendo le vicende della vertenza OLS BONOMI accusa la FLM di
"contrastare una tendenza ad una autogestione diretta, attraverso gli
organismi di base". La minoranza FIM viene apertamente elogiata. Si
sprecano le critiche e le accuse alla FIM e alla FLM. CASTREZZATI risponde
analiticamente alle critiche di BONOMI (v. doc. n. 58 a pag. 136). Un
gruppo di militanti della FIM replica al documento della minoranza (v.
doc. n. 64 a pag. 146). Si tratta degli ultimi atti, prima del Congresso,
di una lunga polemica. La parola decisiva spetterà ai delegati dei
lavoratori democraticamente eletti al Congresso.
La linea della minoranza
La linea della minoranza
è chiaramente esposta nell'articolo "Bilancio dell'unità con gli
organismi di base", scritto dai delegati FIM MARIA TERESA B0NAFINI,
LUIGI LAMBERTI, GIOVANNI LANDI, FRANCESCO MAFFETTI, ANTONIO PELIZZARI e
dal sig. GERVASIO PAGANI (quest'ultimo è un esponente democristiano che
nulla ha a che vedere con la FIM, non essendo né lavoratore
metalmeccanico né sindacalista) e pubblicato nel numero di
agosto-settembre 1976 de I CONSIGLI (v. doc. n. 31 a pag. 99).
Dal giudizio che gli autori formulano sul significato e sulle conseguenze
dei risultati elettorali del 20 giugno, emerge chiaramente la loro
collocazione politica e partitica. Gli articolisti si dichiarano
apertamente a favore del confronto e dell'incontro tra le diverse
componenti del movimento popolare (comunisti, socialisti e cattolici),
mentre rifiutano nettamente l'alternativa di sinistra ipotizzata dal PSI e
da Democrazia Proletaria.
Individuano all'interno della DC una contrapposizione tra l'anima popolare
(impersonata secondo loro da Zaccagnini) e quella conservatrice ed
integralista (definita "anima moderata") ed esprimono l'esigenza
di rafforzare la prima componente, per evitare che debba "soccombere
ai disegni integralisti ".
Come tale, questa posizione politica è rispettabilissima, ed anzi non è
certamente tra le meno avanzate all'interno della DC.
Ciò che non convince è l'intenzione della minoranza, espressa
esplicitamente, di trasferire meccanicamente nella vita delle
organizzazioni sindacali l'impegno politico-partitico per raggiungere gli
obiettivi sopraindicati, subordinando ad essi l'azione del sindacato.
Essi, infatti, individuano nel movimento sindacale il terreno più adatto
nel quale è possibile fin da ora far marciare questo tipo di ipotesi
politica e affermano che "l'unità sindacale diventa allora campo
importante di verifica per l'elaborazione culturale e esperienza
significativa per i processi di collaborazione tra le forze storiche, per
la costruzione di una nuova società".
Ciò significa che l'unità sindacale non è concepita come superamento
delle divisioni tra i lavoratori per rafforzare la loro forza contrattuale
e la possibilità di ottenere migliori condizioni di lavoro, ma è vista
come terreno di sperimentazione di disegni politici che altrove non è
ancora possibile attuare per la mancanza di condizioni favorevoli.
Non quindi l'unità sindacale funzionale agli interessi dei lavoratori, ma
una unità sindacale strumentale rispetto alla realizzazione di alcuni
obiettivi connessi al mutamento del quadro politico.
Contro questa logica si esprime nettamente un gruppo di delegati di
Brescia nell'articolo "La crisi del sindacato nel rapporto con i
lavoratori", pubblicato nel numero di dicembre de I CONSIGLI (v. doc.
n. 45 a pag. 114).
Essi ribadiscono che va rifiutata un'unità sindacale voluta o imposta
come conseguenza di una più accentuata collaborazione tra i partiti
democratici, in quanto presuppone che i lavoratori si organizzino nel
sindacato in base alle ideologie o alle rispettive appartenenze politiche.
L'unità sindacale è certamente unità tra componenti diverse (la CGIL,
la CISL e la UIL), ma intesa come sintesi di esperienze sindacali concrete
e valorizzazione del patrimonio storico acquisito con le lotte dei
lavoratori e non certamente come mediazione tra correnti partitiche o come
sincretismo di differenti ideologie.
Un'altra conseguenza
discende direttamente dall'impostazione politica della minoranza della FIM.
Affinché l'unità sindacale possa effettivamente costituire un'
anticipazione di quella unità tra le grandi forze storiche (comunisti,
socialisti e cattolici) a livello politico, è necessario che tra le
componenti sindacali (la CGIL, la
CISL e la UIL) ed i partiti vi sia in qualche modo una affinità di
posizioni ed una omogeneità di orientamenti tale che l'esperienza di una
data organizzazione sindacale possa rappresentare un riferimento trainante
per un dato partito e viceversa (naturalmente si sottintende che le
"affinità" sussistono rispettivamente tra CGIL e PCI, tra UIL e
PSI, tra CISL e DC).
In questo modo si annulla nei fatti il concetto di autonomia del sindacato
dai partiti politici, che costituisce uno dei più significativi risultati
raggiunti nel lungo e travagliato processo verso l'unità sindacale e
l'imprescindibile condizione per orientare l'attività del sindacato
esclusivamente sulla base delle reali esigenze dei lavoratori e non
secondo gli interessi contingenti dei partiti.
La minoranza FIM, invece, sostiene che "occorre riconoscere che
l'azione del sindacato è sterile senza una corretta impostazione delle
alleanze nel quadro politico che peraltro contribuisce a modificare"
(v. sempre doc. n. 31). Tale condizionamento dell'attività sindacale in
funzione "delle alleanze nel quadro politico" si renderebbe
secondo costoro necessario considerando il fallimento delle altre due
alternative possibili, da una parte il pansindacalismo e dall'altra
"una certa interpretazione della autonomia che, quando non è stata
usata pregiudizialmente a favore delle incertezze nello stesso processo di
unità sindacale poiché ne parlava in astratto, ha significato a volte
agnosticismo rispetto al dibattito all'interno e tra le forze politiche,
oppure ha rappresentato un anello portante dell'impalcatura teorica che
intendeva coprire l'equilibrio politico esistente o usare l'azione
sindacale a sostegno della creazione della 'nuova sinistra'".
Evidentemente si rifiuta il concetto di autonomia, sempre che per
autonomia si intenda la capacità da parte del sindacato di prendere le
sue decisioni indipendentemente da ogni condizionamento dei partiti.
Ma c'è un'altra conseguenza negativa che discende da questa impostazione.
Infatti il considerare le componenti sindacali (la FIM, la FIOM e la UIL)
come espressioni di differenti ideologie partitiche porta ad identificare
la FIM e la CISL col filone "cattolico-democratico". Molto
sovente gli esponenti della maggioranza, parlando dei militanti della CISL
usano il termine di
"cattolici-democratici". Ma, se si può convenire col fato che,
storicamente, i metalmeccanici cattolici hanno militato quasi
esclusivamente nella FIM, non è lecito, ed anzi è in contrasto con i
suoi indirizzi di fondo e le sue norme statutarie, considerare la FIM come
il "sindacato cattolico". L'art. 3 dello statuto della FIM-CISL
di Brescia afferma infatti: "Tutti i lavoratori metallurgici possono
essere organizzati nella FIM, indipendentemente dalle loro concezioni
politiche o religiose, purché accettino integralmente il presente statuto
e le direttive stabilite dai Congressi e dagli altri organi
competenti".
Va notato che laddove la minoranza critica la concezione dell'autonomia e
dell'unità sindacale sostenuta dalla FIM bresciana, non si oppone ad un
aspetto contingente o limitato nel tempo della linea politica
dell'organizzazione, ma alle caratteristiche qualificanti che la FIM-CISL
ha assunto a Brescia fin dal 1958, data di elezione della prima Segreteria
Castrezzati. Risale infatti al 1958 (ed è la prima esperienza in Italia),
quell'impegno della FIM-CISL bresciana per realizzare l'unità d'azione
tra i lavoratori che ha positivamente qualificato, non solo a Brescia ma
anche a livello nazionale, i metalmeccanici bresciani quali protagonisti
dell'unità d'azione prima e del processo per l'unità sindacale poi.
Durante tutti questi anni, e particolarmente in occasione del VII e VIII
congresso provinciale, l'impegno per l'unità sindacale e l'autonomia
trovano perfettamente consenzienti, almeno a parole, alcuni esponenti
dell'attuale minoranza.
Solo a partire dal 1975, quando da un lato la minoranza si trova esclusa
dalla segreteria della FIM e dall'altro i suoi esponenti rivestono un
ruolo più importante nella DC, assumendo anche cariche di
responsabilità, verranno ribaltate le affermazioni per anni sostenute e
cominceranno a piovere le critiche e i capziosi "distinguo" alla
scelta dell'autonomia.
Frequenti si fanno i richiami al pericolo che l'autonomia si trasformi in
"agnosticismo" rispetto al quadro politico e cominciano le
insinuazioni secondo le quali i democristiani vengono emarginati dalla FIM.
L'aspetto della linea
della minoranza che è appena stato esaminato (cioè la subordinazione
delle scelte sindacali equilibri del quadro
politico) è certamente quello più significativo, che aiuta a comprendere
le ragioni ultime del comportamento del gruppo OM, destinato ad assumere
un grosso ruolo nella sostituzione dei GIP (Gruppi di impegno politico
della Democrazia Cristiana) dei quali, anzi, il Landi diverrà
responsabile provinciale. Va però rilevato che in molteplici occasioni
questa posizione politica è stata abilmente celata (e talvolta
addirittura omessa) all'interno di un discorso critico nei confronti della
gestione della FIM, basato sulla apparente riaffermazione della democrazia
di base.
Ad esempio, l'articolo di Fasani, Cremonesi e Lamberti, pubblicato da LA
VOCE DEL POPOLO del 10 settembre 1976, si pronuncia formalmente contro il
centralismo e la gestione burocratica del sindacato, per riaffermare a
parole il protagonismo dei lavoratori, la lotta all'organizzazione
capitalistica del lavoro e l'unità sindacale costruite dal basso (vedi
doc. n. 28 a pag. 93). Valori tutti e quanti costruiti e sostenuti sempre
con rigore e coerenza dalla maggioranza FIM.
In sostanza con tutte le critiche che sempre più in crescendo vengono
espresse - in modo ufficiale, ma soprattutto ufficioso e tra i corridoi -
alla linea della FIM-CISL, gli esponenti della minoranza hanno cercato di
raccogliere consensi alle loro posizioni usando strumentalmente i valori
della partecipazione e della democrazia di base.
Tale utilizzo strumentale appare subito chiaro se lo si coordina con il
discorso della minoranza nel suo complesso, la quale sostiene che
l'attività del sindacato deve essere funzionale al raggiungimento di
obiettivi connessi con gli equilibri di quadro politico. Per cui
evidentemente la partecipazione dei lavoratori alle scelte del sindacato
può avvenire solo nella misura in cui ciò non contrasta con tali
vincoli.
Si tratta di fatto di una partecipazione più apparente che reale. Cioè
una difesa della partecipazione e del protagonismo dei lavoratori a
parole, che poi nei fatti viene svuotata.
Per chiarire ulteriormente lo stretto legame, ideologico ma anche
organizzativo, che unisce i sindacalisti della minoranza della FIM con il
partito democristiano, si confronti il documento n. 29 (un articolo di
MARIA TERESA BONAFINI e di GAFFURINI su LA VOCE DEL POPOLO del 17
settembre 1976, vedi pag. 96) con
il documento n. 47 (documento della Giunta esecutiva della DC sull'unità
sindacale del 9 febbraio 1977, vedi pag. 120).
Le lettere minuscole riportate tra parentesi quadra in margine ai due
documenti facilitano il confronto dei passi attinenti lo stesso argomento.
Come si vede per ben sei volte il secondo documento (quello della DC) ha
copiato letteralmente dal primo, salvo qualche variazione di minima
entità.
A titolo di curiosità si può segnalare che l'unica differenza politica
riscontrabile nei sei passi a cui si fa riferimento riguarda il periodo
contrassegnato dalla lettera (d) a margine dei due documenti;
nell'articolo di B0NAFINI e GAFFURINI si parla di "alleanza" tra
le forze cattoliche, socialiste e comuniste mentre, nel documento della
DC, l'alleanza si trasforma (prudentemente) in "confronto".
Un esempio questo, ricavato dall'analisi comparata dei due documenti,
così evidente ed incontestabile che può essere assunto come emblema
significativo di una serie nutritissima di precisi legami tra minoranza
FIM e DC. Legami che tolgono, ove vi fosse ancora, ogni possibile e
residua illusione circa la sincerità o meno di tante, quanto estemporanee
affermazioni degli esponenti della minoranza stessa, a partire dalla
volontà tanto proclamata a parole di garantire 1autonomia del sindacato
dai partiti politici.
Accuse inconsistenti
Occorre inoltre tener
presente che, al di là delle posizioni espresse nei documenti ufficiali,
la minoranza ha cercato di minare il vasto consenso di cui gode la
maggioranza della FIM tra i lavoratori usando argomenti ed accuse
palesemente falsi e spesso tra loro contradditori.
Così, ad esempio, è stato sostenuto che col direttivo del 17 novembre
1975 sono stati estromessi dalla Segreteria e dall'apparato della FIM ed
emarginati coloro che si opponevano alla linea della maggioranza.
Ma evidentemente, per chi è a conoscenza dei fatti, l'accusa non regge.
Infatti solo LUIGI GAFFURINI è Stato revocato dalla Segreteria, ma in
seguito ad una contestazione ben precisa, relativa al
suo gravissimo comportamento. Come si è visto, benché membro della
Segreteria della FIM, GAFFURINI aveva sollecitato firme di adesione ad un
documento che si opponeva alle decisioni della Segreteria stessa. Si è
trattato dunque di una palese violazione dell'art. 6 dello statuto della
FIM che stabilisce che ogni iscritto ha il dovere di "osservare e
realizzare disciplinatamente le decisioni regolarmente adottate dagli
organi" e dall'art. 14 che afferma che "le decisioni assunte
regolarmente a maggioranza impegnano tutta l'organizzazione".
Tutti gli altri componenti la minoranza ed in particolare MAFFETTI, CORTI
e GHIDINI si sono dimessi per loro esclusiva scelta personale.
La minoranza ha pure tentato di contrabbandare il voto di sfiducia a
GAFFURINI come un voto contro i lavoratori democristiani.
Ma anche qui non esiste alcun elemento che possa avallare l'accusa. Nella
FIM vi sono infatti iscritti e militanti democristiani sia nelle file
della maggioranza sia in quelle della minoranza.
Ma, soprattutto, è importante tener presente che la FIM-CISL bresciana
non ha mai chiesto a nessun iscritto o militante le sue scelte politiche o
religiose. I metalmeccanici che hanno ritenuto di aderire alla CISL lo
hanno fatto in piena libertà, senza dover mostrare alcuna tessera; le
adesioni dovevano e devono essere esclusivamente la conseguenza del
consenso alla linea politico-sindacale ed ai modi di gestirla.
Tuttavia l'accusa all'attuale maggioranza di essere contro i lavoratori
democristiani è circolata, creando confusione e smarrimento nelle zone
più sprovvedute e periferiche dell'organizzazione. Altrove, specialmente
a Lumezzane, la FIM-CISL è stata accusata di estromettere i quadri della
"nuova sinistra", in quanto tra le file della minoranza vi erano
alcuni militanti e simpatizzanti del PDUP (e questa accusa è stata
ripresa anche dal quotidiano Il Manifesto, v. doc. n. 32 a pag. 102).
In molteplici occasioni la FIM-CISL, e talvolta tutta la FLM, sono state
accusate dalla minoranza FIM di verticismo, antidemocraticità ed
autoritarismo.
Si è volutamente ignorato il fatto che le decisioni sono sempre state assunte
dagli organismi statutariamente preposti, nel più rigoroso rispetto di
tutte le norme democratiche, sia nella forma che nella sostanza. E
infatti, al di là delle accuse generiche, la minoranza non è mai stata
in grado di indicare un solo caso in cui si possa imputare alla FIM o alla
FLM di aver violato le regole democratiche. La minoranza non è mai stata
in grado di indicare un solo caso in cui una deliberazione regolarmente
adottata nell'ambito delle rispettive competenze dai Direttivi
Provinciali, dai Consigli Generali Unitari, dai Consigli di fabbrica e di
zona sia stata disattesa dalla Segreteria della FIM o della FLM.
Va notato che gli ordinamenti statutari della FIM e della CISL, in vigore
nelle loro linee essenziali da circa trenta anni, sono altamente
democratici ed hanno consentito l'alternarsi di maggioranze e minoranze,
come ricordano MACARIO e BENTIVOGLI nella lettera del 17 marzo '77 (v.
doc. n. 55 a pag. 131). La stessa maggioranza che portò all'elezione
della prima Segreteria CASTREZZATI nel 1958 divenne tale, sostituendo la
precedente maggioranza, nel più rigoroso rispetto delle regole
democratiche e statutarie.
Le accuse di antidemocraticità rivolte alla FIM-CISL risultano dunque
completamente prive di ogni fondamento.
La minoranza ha criticato e screditato il Direttivo Provinciale della FIM
quando questo ha revocato la fiducia a GAFFURINI, benché nessuno dei suoi
componenti, né alcun iscritto o militante ne avesse contestato la
legittimità democratica al momento in cui esso venne eletto a conclusione
dell'VIII Congresso Provinciale. Tanto meno esso era stato contestato
quando (alla fine del '73) aveva eletto la Segreteria di cui facevano
parte anche GAFFURINI e MAFFETTI.
Le accuse e le critiche di questo genere sono state molteplici,
addirittura copiose. Ma non meritano ulteriore risposta.
Abbiamo riportato tutti i documenti che possono aiutare a comprendere fino
in fondo l'obiettivo svolgersi dei fatti, per consentire a chiunque di
valutare e giudicare autonomamente i comportamenti e le responsabilità
delle parti in causa, al di là delle mistificazioni propagandistiche. Ed
i fatti sono più eloquenti di qualsiasi disquisizione.
tratto da :
Autonomia, democrazia,
pluralismo nel sindacato: la FIM-CISL bresciana negli anni settanta (a
cura della FIM-CISL bresciana), Edizioni Impegno sindacale, Brescia 1978,
pag. 11-43. (Nelle versioni .pdf e .doc di questo testo è mantenuta la
numerazione originale delle pagine per eventuali citazioni).
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