Questa
chiesa, dedicata alla Vergine Nascente, è uno dei più insigni monumenti
cittadini per l'architettura, per le opere d'arte che conserva, per le
vicende storiche che l'hanno segnata.
E ad essa gli aronesi sono particolarmente legati.
La chiesa sorge nel cuore dell'Arona medioevale, a pochi metri dal
complesso monastico dell'abbazia benedettina dei Santi Martiri (secoli
X-XVIII).
Si può supporre l'esistenza di un edificio di culto dedicato a Santa
Maria almeno
intorno alla metà del secolo XI, e di questa primitiva fabbrica rimane,
oggi, il campanile romanico, fino al castello delle campane, a cinque
ordini con cornici di archetti pensili, con bifore e trifore tamponate, e
coronato da una cuspide barocca seicentesca. La chiesa di Santa Maria fu,
in quei primi secoli, dipendente dall'abbazia dei Santi Martiri, i cui
abati nominavano i sacerdoti officianti (il documento più antico in
merito è datato 31 marzo 1271).
Nel 1468 i fabbricieri di Santa Maria stipularono il primo contratto per
la costruzione di una nuova chiesa, l'attuale, che venne consacrata, ma
non ancora terminata, il 12 marzo 1488. L'edificazione di Santa Maria
Nuova avvenne in un momento di grande fervore edilizio, voluto dai
Borromeo, che determinò un quasi completo rifacimento dei principali
edifici civici, tra cui l'abbazia stessa, e dell'apparato difensivo
urbano.
Dall'abbazia, comunque, la chiesa di Santa Maria si era già da tempo resa
indipendente, anche se fu San Carlo, il 05/10/1567, a sancire
ufficialmente il diritto del Comune a nominare i fabbricieri.
Sul principio del secolo XVII, la chiesa apparve al cardinale Federico
Borromeo alquanto disadorna, pertanto Federico ordinò imponenti lavori di
restauro e di decorazione degli interni, terminati i quali, il 10 marzo
1608, la chiesa venne eretta a collegiata e dotata di un'ampia canonica.
Sempre dell'età barocca è la cella campanaria costruita sull'antico
campanile romanico per volontà dell'arciprete Carlo Litta nel 1662.
Al cadere del secolo l'architetto Filippo Cagnola progettò la
ricostruzione integrale, su pianta ellittica, della cappella del Rosario.
Infine, dopo la costruzione dell'altare maggiore neoclassico progettato
dall'architetto Zanoia nel 1812, venne realizzata, tra il 1856 e il 1910,
una serie di interventi miranti a riportare l'edificio a un presunto
disegno primitivo. Venne costruito il coro e rifatto il presbiterio; fu
aperto il grande occhio della facciata e le finestre portate a sesto acuto
(1856-57). Inoltre tutto l'apparato decorativo interno venne rifatto in
obbedienza al gusto neoromanico del XIX secolo, che preferiva alla
conservazione dell'originalità architettonica, l'arbitrario rifacimento
storico. Per la chiesa di Santa Maria venne proposto dai fabbricieri uno
stile ibrido tra il neogotico e il neobizantino, con un rivestimento delle
pareti e dei pilastri in finto marmo. Nonostante ciò la struttura
fondamentale della chiesa di stile tardogotico lombardo è giunta
leggibile fino a noi. La facciata di questo edificio è
tardoquattrocentesca, a frontone, tripartita da quattro lesene e
terminante con una cornice. Il paramento murario è in pietra calcarea di
Arona e di Angera.
Nella facciata si aprono un occhio e due finestre con vetrate, rifacimenti
ottocenteschi. Al centro vi è un grande portale con due paraste,
capitelli, architrave e trabeazione con stemmi borromei abrasi. Nel
portale, sopra l'architrave della porta d'accesso alla chiesa, è
collocata una lunetta ogivale raffigurante il Presepe, riferibile
all'Amadeo (ca. secolo XVI).
Al lato sinistro della facciata è addossato l'edificio della canonica
(1612), voluto dal cardinale Federico Borromeo.
L'interno della chiesa è a tre navate con archi a sesto acuto sostenuti
da pilastri ottagonali con capitelli.
Le volte sono a crociera. Tutta la decorazione dell'interno è della
seconda metà dell'Ottocento. In ciascuna delle navate laterali si aprono
due cappelle e sempre due cappelle concludono, sul fondo, le navate
stesse. La navata centrale termina invece con il presbiterio e il coro. La
pianta è, quindi, di tipo basilicale.
La prima cappella della navata sinistra è il battistero, al centro del
quale vi è il fonte battesimale chiuso da un pregevole lavoro in legno
intagliato del Seicento lombardo. Il battistero conserva due delle sei
tele del "ciclo della vita e dei misteri della Vergine Maria"
dipinte da Pier Francesco Mazzucchelli detto il Morazzone (documentate
nella chiesa nel 1619).
Queste prime due tele rappresentano la Natività della Vergine e la
Visitazione.
La seconda cappella è detta dell'Addolorata ed è un rifacimento
ottocentesco. In essa sono conservate altre due tele del Morazzone: il
Matrimonio della Vergine e l'Annunciazione.
Quindi, lungo la parete della navata sinistra, dopo la piccola porta che
conduce nel quadriportico della canonica, si trova il polittico di
Gaudenzio Ferrari (1511), l'opera d'arte più pregevole della Collegiata,
un tempo nella cappella maggiore, e in seguito nella cappella degli
Innocenti.
La navata termina con la cappella della Natività che conserva una tela
dello stesso soggetto, dipinta da Andrea Appiani (opera neoclassica del
1782). A conclusione della navata centrale vi è il presbiterio con
l'altare maggiore neoclassico dell'architetto Giuseppe Zanoia (1812).
Nello stesso altare è collocato un affresco strappato, raffigurante la
Deposizione, attribuito al Montaldo (secolo XVII). Il coro è un
rifacimento del 1856-57.
La navata destra termina con la cappella detta degli Innocenti, la cui
parete di fondo è completamente decorata con un pregevole affresco,
oscurato per secoli dal polittico di Gaudenzio Ferrari, che qui fu
collocato in età barocca. La critica colloca l'affresco, o meglio i due
affreschi, eseguiti da due diversi maestri novaresi, nel penultimo
decennio del secolo XV. Questi affreschi sono l'unica testimonianza della
decorazione interna della quattrocentesca chiesa di Santa Maria che
rimane.
Subito dopo la piccola porta che conduce nella via che separa la chiesa di
Santa Maria dalla chiesa dei Santi Martiri, spazio occupato dal cimitero
fino al XIX secolo, si apre la cappella del Rosario, sede fin dal 1581
della confraternita del Rosario. Essa è opera dell'architetto Filippo
Cagnola che la progettò, secondo modelli borrominiani, su pianta
ellittica, alla fine del secolo XVII. La cappella custodisce altri due
dipinti del Morazzone: l'Adorazione dei pastori e l'Adorazione dei Magi.
Sopra l'altare è posta la statua barocca in legno scolpito e dorato della
Vergine.
Lungo la parete della navata destra si può notare un piccolo lacerto di
affresco con testa di Santo, del primo Cinquecento.
L'ultima
cappella, presso l'uscita, è detta cappella Lovatti e conserva una tela
raffigurante la Crocifissione, opera attribuita a Giovan Battista Crespi
detto il Cerano (secolo XVII).
Infine, sopra l'ingresso è posta la cantano ottocentesca con la coeva
cassa dell'organo, rifatto nel 1986 su modelli barocchi.
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IL
POLITTICO DI GAUDENZIO FERRARI
La grande pala d'altare eseguita nel 1511 da Gaudenzio Ferrari per la
chiesa di Santa Maria è, certamente, la maggiore opera d'arte in essa
conservata. Il polittico (così definito perché costituito da un insieme
di più pannelli dipinti) è, oggi, dopo il recente restauro concluso nel
1996, collocato nella campata antistante la cappella della Natività della
Vergine, presso la porta che conduce nel quadriportico della canonica.
L'opera era originariamente destinata alla parete di fondo della cappella
Maggiore della chiesa, dietro l'altare principale. Il polittico venne
commissionato nel 1510 dai fabbricieri della chiesa di Santa Maria Nuova a
Gaudenzio Ferrari che si impegnava a consegnarla per la Pasqua dell'anno
successivo. I fabbricieri vollero una grande "macchina
architettonica" che con la sua opulenza testimoniasse la ricchezza e
la devozione della comunità aronese. Con grande precisione essi, nel
documento di commissione, dettarono all'artista le immagini da riprodurre
nell'opera, legandola alla tradizione aronese. E Gaudenzio realizzò ciò
che la critica moderna considera il capolavoro del suo periodo giovanile.
Tuttavia il grande polittico non dominò a lungo la nuova chiesa dalla
cappella Maggiore: il mutare del gusto portò allo spostamento della pala
nella cappella di fondo della navata destra, detta degli Innocenti, dove
è rimasta fino al 1990.
Il polittico è costituito da una ricca cornice con elementi
architettonici, in legno intagliato, dipinto e dorato, di chiara
impostazione quattrocentesca, entro la quale sono collocati i sei pannelli
dipinti, disposti a tre a tre, su due registri.
Nella parte inferiore vi è una predella nella quale è raffigurata
L'Ultima Cena. Dei sei pannelli, quello centrale, quadrato, raffigura la
Natività con la Vergine che adora il Bambino, San Giuseppe e due angeli.
È la scena più importante del polittico e ne occupa il posto d'onore.
Ai suoi lati, nel pannello di sinistra, si vedono Santa Caterina
d'Alessandria con Santa Barbara; in quello di destra Sant'Eusebio con San
Pietro Martire e, inginocchiato la donatrice.
Nel registro superiore nella lunetta vi sono Dio Padre benedicente e due
angeli che reggono un cartiglio; ai lati, a sinistra il Santo Martire
Gratiniano con Sant'Ambrogio, a destra il Santo Martire Felino con San
Gerolamo in veste cardinalizia.
L'esecuzione dell'opera avvenne subito dopo il viaggio che il maestro
valsesiano (Valduggia, 1475? - Milano, 1546) compì in Umbria e a Roma tra
il 1508 ed il 1509 al seguito del maestro Bartolomeo Suardi detto il
Bramantino. Notevole fu il processo di maturazione dell'artista dopo
questo viaggio, evidente se si confronta il polittico aronese con quello
di Sant'Anna a Vercelli (1508).
Gaudenzio venne a contatto con la pittura del Perugino, del Pinturicchio
e, forse, del giovane Raffaello, cosicché l'influenza della cultura
pittorica lombarda e, soprattutto del Bramantino, venne riducendosi dopo
questo viaggio.
Il polittico aronese è, dunque, un'opera di sapiente mescolanza di
elementi perugineschi, leonardeschi (e, forse non a caso, Gaudenzio si
firma "Gaudentius Vincius") e anche bramantineschi.
Tuttavia quest'opera non può essere considerata, proprio per questi forti
legami con schemi pittorici di altri autori, una creazione della maturità
dell'artista, che incominciò dopo il 1513 (parete divisoria di Santa
Maria delle Grazie a Varallo Sesia).
Da questo momento gli interessi di Gaudenzio Ferrari si aprirono sull'arte
nordica, il cui influsso è evidente nell'espressionismo accentuato dei
volti e nella magica suggestione dei notturni. Gaudenzio abbandonò la
visione idealizzata ed intellettualistica della realtà che era ancora
presente nell'opera aronese, per scegliere di raffigurare, nel solco della
tradizione pittorica novarese e vercellese, un mondo reale, popolare,
permeato di religiosità, influenzato dalla cultura d'oltralpe. Gaudenzio
si pone così tra gli iniziatori di quel vasto movimento artistico che si
espresse compiutamente nella realizzazione dei Sacri Monti
prealpini.
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IL CICLO DIPINTO DAL MORAZZONE
Nella
Collegiata di Santa Maria Nascente tra parecchie opere importanti dedicate
alla
Vergine, (Polittico della Natività di Gaudenzio Ferrari, la Natività di
Andrea Appiani ed altre ancora) si trovano pure sei tele costituenti il
ciclo della "vita" e "misteri" della Vergine Maria di
Pier Francesco Mazzucchelli detto il Morazzone.
Il pittore deve il suo nome al luogo di nascita: nacque infatti a
Morazzone, un piccolo paese in provincia di Varese il 3 luglio 1573 da
Ermelina da Fagnano e Cesare, maestro di edilizia e di arti decorative.
Non ancora ventenne si trasferì a Roma portatovi dal padre, per trovarvi
migliori condizioni di lavoro e di vita. Era l'inizio del 1592 e subito
iniziò il suo apprendistato e la sua formazione fra le accademie che
colà fiorivano e rifornivano squadre di decoratori per le grandi imprese
di edifici religiosi in costruzione in quegli anni.
Durante questo periodo il pittore si dedicò principalmente
all'apprendimento della tecnica dell'affresco. Tornato da Roma tra il
1597-98 trovò lo sbocco naturale per portare e provare le novità apprese
durante il periodo romano nelle cappelle dei Sacri Monti (Varallo, Orta,
Varese) voluti in modo particolare da San Carlo Borromeo prima, dal
vescovo Bascapè e dal cardinale Federico Borromeo poi, come baluardo
della fede cattolica contro la riforma protestante al di là delle Alpi.
Nato e vissuto a cavallo tra il XVI ed il XVII secolo, dalle sue opere
traspare pure il bagaglio artistico del Cinquecento lombardo (effetti di
controluce, fiotti di luce, festa di colori dal giallo intenso al rosa
ciclamino, tutte le tonalità di azzurro, gamme diverse di rossi, il
bianco puro e serico, chiaroscuri drammatici). Tutto ciò rende le sue
opere pregevoli alla vista e di facile interpretazione.
Durante il primo periodo del secolo XVII il Morazzone operò, oltre che
presso i Sacri Monti, anche a Milano, Como, Varese; in questo periodo è
possibile incominciare a distinguere due filoni del suo lavoro: o
l'affresco su grandi dimensioni di pareti a sfondo popolare (Sacri Monti);
o le tele con scene di "culto", raffinate nella tecnica ad olio
e destinate a committenti colti.
Parecchi furono pure i dipinti che raffiguravano le storie della vita
della Vergine e, fra queste, vi è il bellissimo ciclo delle sei tele
sopra menzionato presumibilmente commissionato dal cardinal Federico
Borromeo, allora arcivescovo di Milano ma affezionato ad Arona (1617).
Le tele, che misurano 216 cm x 276 cm, si trovavano già ad Arona presso
la Collegiata nel 1619 ed ora occupano due cappelle laterali sulla
sinistra della chiesa, e la seconda cappella sulla destra. Nella cappella
del Fonte Battesimale vi sono la Natività della Vergine e
l'Annunciazione. Guardando il quadro della Natività si nota la bellissima
ambientazione che l'artista ha saputo dare alla scena, il senso della
intimità domestica che è riuscito a trasmettere: Sant'Anna, la madre
della Vergine, è ancora dolorante ed è accudita da una donna. La Vergine
si trova tra le braccia di una giovinetta, mentre un'altra sta preparando
la culla ed altre ancora sono indaffarate, come solo si può essere dopo
un lieto
evento.
Nel quadro dell'Annunciazione, l'artista, attraverso la capricciosa
acconciatura dei panneggiamenti, l'intonazione del colore, l'espressione
di smarrimento sul viso della Vergine, la grazia dell'Angelo che porta la
bella novella, dimostra la sua personalità e maturità. Nella cappella
della Madonna Addolorata sono invece esposti i dipinti che riproducono: lo
Sposalizio della Vergine e la Visitazione della Vergine a Santa
Elisabetta.
Guardando sulla sinistra del quadro relativo al Matrimonio della Vergine
con San Giuseppe si notano due pretendenti alla mano di Maria ancora con
le verghe (non fiorite) in mano e sembra si scambino un'occhiata d'intesa,
mentre sulla destra oltre alla Vergine, con lo sguardo abbassato e schivo,
sembra che l'autore abbia voluto rappresentare tutte le età di una donna:
la fanciulla, la giovinetta, la donna in attesa di un bimbo ed una più
anziana.
Nel quadro della Visitazione si può notare l'espressione di riverenza sul
viso della Vergine che porta con sé la notizia che ha dell'incredibile.
La cugina Elisabetta la sta ricevendo a braccia aperte, correndole quasi
incontro, Il momento è molto importante e certamente tormentato per le
due donne, ma l'artista è riuscito a contrapporre al loro travaglio
interiore un tranquillo paesaggio collinare che si intravvede dalla
finestra. A queste, seguono le tele conservate presso la cappella della
Madonna del Rosario: l'Adorazione dei Pastori e l'Adorazione dei Re Magi.
Nell'Adorazione dei Pastori l'atteggiamento del Bambin Gesù rispecchia
quello di sua madre nel quadro della Natività della Vergine. La
composizione è impostata su due linee orizzontali; la prima racchiude la
scena della Vergine con il Bambino circondata da San Giuseppe ed i
pastori, la seconda gli angeli adoranti con un cartiglio in mano.
Nel quadro con l'Adorazione dei Magi la scena è impostata su due linee
oblique e rappresenta la riverenza dimostrata dai Re Magi per il Figlio di
Dio. I cartoni di studio e di preparazione dei dipinti Lo sposalizio della
Vergine e l'Annunciazione sono custoditi presso l'Archivio Parrocchiale.
Gaudenzio Ferrari, il grande maestro pittore nato a Valduggia, artista
principale del Sacro Monte di Varallo ed autore del bellissimo polittico
che si trova nella Collegiata, ha influito sulla tecnica del Morazzone il
quale aveva sotto gli occhi prima gli affreschi di Varallo e poi il
polittico. L'espressione dei visi dei personaggi, la dolcezza dei
movimenti, la signorilità degli atteggiamenti, la giusta ambientazione,
l'armonia della composizione, la gamma dei colori, la luce illuminante mai
diretta ma soffusa, capace di creare chiaroscuri indimenticabili, rendono
i quadri un'attrazione irresistibile facendo scaturire nell'animo
dell'osservatore sentimenti di gioia e di curiosità.
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