IN NOME DI UMBERTO
PRINCIPE DI PIEMONTE LUOGOTENENTE GENERALE DEL REGNO
LA REGIA CORTE STRAORDINARIA D'ASSISE di BRESCIA
composta dai Sigg:
Basile dott. cav. uff.
Giuseppe Presidente
Filisino Guido
giudice popolare
Panteghini Pietro
"
"
Antonelli Giuseppe
"
"
Pedergnaga Guido
"
"
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa per citazione diretta
contro
CANDRILLI MANLIO fu
Calogero e di Notarianni Teresa, nato a Villarosa (Enna) il25 marzo 1893,
residente a Brescia, ex - questore -detenuto nelle carceri giudiziarie di
Brescia
Imputato
del delitto previsto e punito dall'art. 5 decreto
legislativo luogotenenziale 27 luglio 1944 n. 159 e art. 1 D.D.L. 22.4.45
n. 142, in relazione all'art. 51 e 54 C.P.M.G. per avere in Brescia
dall'ottobre 1943 al 25 aprile 1945 collaborato con il tedesco invasore
ospitandolo ed aiutandolo in tutti i più svariati modi, perseguitando i
patrioti, dandogli liste di ostaggi, procedendo o facendo procedere i
rastrellamenti di giovani da inviare in Germania coattivamente, dando la
caccia a coloro che si volevano sottrarre al servizio militare
dell'esercito della sedicente Repubblica Sociale Italiana, seviziando e
facendo seviziare persone, carpire loro notizie relative alle bande di
patrioti ed in altre svariate maniere.
In esito all'odierno dibattimento:
FATTO E DIRITTO
Candrilli Manlio, già segretario federale a
Catanzaro e ad Agrigento, e iscritto al Partito Repubblicano, il 13
novembre 1943, fu nominato questore di Brescia, carica che tenne ed
esercita sino all'aprile 1945; arrestato il 15 maggio 1945 a Como, fu
tradotto alle carceri di Brescia e interrogato, fu chiamato al giudizio di
questa Corte per rispondere del reato come in epigrafe a lui ascritto.
La compiuta istruttoria ha messo in evidenza la personalità morale
dell'imputato: uomo violento, brutale e volgare, la cui natura
essenzialmente criminale ebbe agio di manifestarsi nell'esplicazione delle
sue funzioni di questore che egli diresse nel campo politico e
principalmente nella lotta contro gli antifascisti e patrioti.
Egli si vantò col Crocitti (funzionario di P.S.) di avere appartenuto da
giovane in Sicilia alla mafia e di avervi commesso un omicidio, dal quale
riuscì ad essere assolto in Corte di Assise. E veramente mafioso si
dimostrò in tutta la sua attività esplicata in Brescia.
Egli fu un questore prettamente ed esclusivamente politico, o meglio, in
tale carica continuò a fare il federale della peggiore specie,
trasformando l'ufficio della questura in un covo politico al servizio
della lotta contro gli antifascisti ed i patrioti e degli interessi
politici della Repubblica e dell'invasore tedesco. Invero nei rapporti con
i funzionari ed agenti di questura, che egli sapeva e sospettava non
essere fascisti e ligi alle sue direttive politiche, si comportava
sopraffattore e vessatorio, minacciandoli dei rigori più estremi, della
deportazione e della fucilazione.
Soleva dire nei suoi lunghi e frequenti rapporti. "vi liquido, e
quando vi avrò liquidato, è inutile che veniate a piangere" (Barta),
"chi non è fascista lo ammazzo io" (De Petris), "Vi
stangherò" (Rossi), chi non esegue i miei ordini lo pianto al muro,
ho il coltello per il manico" (Imbimbo).
Quando teneva tali rapporti nel suo ufficio, stava appeso al muro il
manganello, e teneva sul tavolo un fucile mitragliatore (Rossi). La
minaccia di deportazione fu qualche volta seguita dal fatto, come avvenne
nei riguardi dell'agente Costa, che fu deportato in Germania (Del Monte).
Faceva arrestare i funzionari sospetti di antifascismo, quando venne a
conoscenza che il funzionario di P.S. Crocitti era antifascista, prese a
vessarlo e incaricò il commissario De Angelis di provocare dallo stesso
dichiarazioni politiche (De Angelis).
In occasione di un funerale di un fascista, il detto Crocitti, per non
avere voluto salutare il gagliardetto del Partito Fascista Repubblicano,
venne schiaffeggiato da un giovinastro repubblicano, e avendone riferito
al Candrilli, questi molto volgarmente gli disse: " meriteresti calci
nel culo, appena saremo in questura ti darò il resto. In questura il
Candrilli non solo non volle dare corso al verbale di oltraggio steso dal
Crocitti, sostenendo che il Giusti lo aveva giustamente punito, ma
l'obbligò altresì a chiedere scusa al Giusti (Crocitti, Monorchio, Del
Monte). Animato dal suo spirito fazioso ed intransigente, ritirava le
licenze di porto d'armi e di rinnovo di esercizio a persone antifasciste,
segnalate dalla squadra politica, o quando avvenivano incidenti fra
appartenenti alla G.N.R. o alle Brigate Nere ed agenti, faceva ricadere la
colpa su questi ultimi punendoli. Tutta la sua attività era
caratterizzata e improntata dalla mancanza della coscienza della
legalità. Se qualche funzionario gli faceva rilevare che occorreva
osservare il codice penale, gli rispondeva: "io mi chiamo maggiotto e
me ne fotto" intendendo significare che era in grado di calpestare la
legge. Una volta Crocitti gli disse che occorreva fare rapporto per un
reato al Procuratore di Stato, e egli rispose: "chi è costui?
perché non lo arresti?" ritenendo che il Procuratore gli mettesse il
bastone fra le ruote (Crocitti, Monorchio). Soleva anche dire:. "la
legge la faccio io", "queste leggi non vanno, perché firmate da
quel cornuto del Re" (Riccardi). Non volle che venisse informata
l'autorità giudiziaria per un furto commesso in una casa sinistrata da un
milite della G.N.R.Voleva anche provvedere all'arresto del Vescovo di Brescia, ma ne fu dissuaso dal vicequestore di Brescia (Barta). Aveva per
collaboratori nella sua opera nefasta contro l'antifascismo e i patrioti
il capo di gabinetto Sciabica, commissario capo Broccardi, capo
dell'ufficio politico, il Commissario Cosentino addetto all'Ufficio
Politico, Quartararo Capo della squadra politica. Non si limitava ad
essere un ammiratore tedesco, ma svolgeva altresì una attività al
servizio di esso. Era intimo collaboratore del capitano Priebke comandante
della S.S. tedesca. Offriva agli ufficiali tedeschi apparecchi radio
sequestrati ad elementi antifascisti (Crocitti, Chimienti).
La sua collaborazione con il tedesco invasore si manifestò maggiormente
nei rastrellamenti e nella lotta spietata e feroce contro i patrioti.
Prendeva accordi per eseguire i rastrellamenti con Charobon, Capo dì
Gabinetto del questore della direzione speciale di polizia presso la
organizzazione Todt (Del Monte, Crocitti). Eseguiva tali rastrellamenti
dirigendoli personalmente o affidandone la direzione al Quartararo. Egli
stesso ha ammesso di avere partecipato personalmente ai seguenti
rastrellamenti: 4 dicembre 1943 in corso Zanardelli, 10 dicembre 1943 a
Gardone V.T., 4 gennaio 1944 a Villa Carcina, 23 febbraio 1944 in Corso
Zanardelli, 22 giugno 1944 in città, 11 aprile 1944 al Carmine. I giovani
rastrellati venivano inviati in Germania o fatti arruolare nell'esercito
repubblicano. La squadra politica, capeggiata dal Quartararo, e della
quale facevano parte Guido e Remo (figlio) Spinelli aveva per funzioni di
condurre a fondo la lotta contro gli antifascisti e contro i patrioti
mediante rastrellamenti e mediante le sevizie. Se non aveva la confessione
dei patrioti dei nomi dei loro compagni di fede, nell'ufficio del
Quartararo non veniva risparmiata nessuna tortura: percosse con il nerbo
di bue, col cordone a filo di rame, botte alle palme dei piedi,
surriscaldamento delle stesse, soffocamento a mezzo di una bottiglia di
acqua, applicazione di un cerchietto di ferro alla testa che veniva
stretto fino a fare scricchiolare le ossa (Romelli, Sella, Rondineili,
Ronchi). Quante nefandezze inumane e brutali venivano commesse per ordine
del Candrilli il quale anche vi partecipava personalmente con sadica,
feroce bestialità. Infatti nel dicembre 1944, arrestato Verginella
Giuseppe e malmenato dalla squadra politica, fu presentato grondante di
sangue al Candrilli.
Essendo stato intercettato un biglietto scritto dal Verginella in cui
questi chiedeva ai suoi amici che venisse catturato un alto personaggio
fascista onde ottenerne il cambio con la sua liberazione, fu decisa dal
Candrilli la sua uccisione che venne eseguita dalla squadra politica
all'ordine di Quartararo in Lumezzane e lo stesso Quartararo subito dopo
l'uccisione del Verginella telefonò al Candrilli che tutto era andato
bene (Del Monte). Ed in seguito all'arresto di detto Verginella, il
Candrilli propose un premio di lire 20.000, - per ciascuno, al Quartararo
e allo Spinelli. Il Ronchi, arrestato il 20 novembre 1943 per avere
lanciato una bomba alla caserma Pastori, essendosi rifiutato di
sottoscrivere un verbale di interrogatorio predisposto dal Candrilli, per
ordine di costui ed in sua presenza fu sottoposto alle più inumane e
bestiali torture. Fappani, confidente del Candrilli, denunciò Ronchi,
Gentilini e Ghitti perché costretto dal Candrilli con fucile
mitragliatore spianato contro il viso. Al Gentilini diede due minuti di
tempo per confessare facendogli puntare in bocca la canna del fucile
mitragliatore (Ronchì). Il Rondinelli, arrestato nel dicembre 1944 venne
colpito con nerbo di bue e con treccia di rame in presenza del Candrilli (Rondinelli).
Il Mazza arrestato nel dicembre 1944, fu sottoposto a torture pure in
presenza del Candrilli, il quale non esitò a compiere l'atto schifoso di
sputargli in faccia. Robertelli, condotto in questura. e arrivato
all'ufficio del Quartararo, senti che il Rondinelli veniva battuto. Uscito
dal detto ufficio il Candrilli, rivoltosi al Robertelli, gli disse:
"34 sono stati arrestati, tu sei il 35, tua moglie 36, abbiamo metodi
convincenti e vi stermineremo tutti e dovrete parlare". Per due volte
il Candrilli presenziò alle torture del Robertelli ed una volta egli
stesso gli surriscaldò le palme dei piedi gonfie dalla battute, con un
grosso accendisigaro (Robertelli). Per 27 giorni Romelli fu torturato
nell'ufficio del Quartararo col quale il Candrilli si congratulò quando
vide arrestato e tramortito dalle percosse il Romelli dando ordine che
nulla si tralasciasse perché esso cantasse. Nell'ufficio del commissario
De Angelis, Candrilli disse al Romelli: "tengo ancora il vecchio
manganello coi chiodi e se non canterai a mio piacimento, te lo batterò
sulla testa finché il sangue spruzzerà il soffitto" e poi diede
ordine a Quartararo e Spinelli, di portarlo con loro per farlo maturare.
La sua volgare crudeltà non risparmiò la signora Pasotti Maria che fece
frustare in sua presenza dai fratelli Speciale, per non avere voluto
ritirare una denuncia di furto a carico di un sedicente avvocato Gramigna
allora suo protetto. In seguito a bombardamento aereo, nella notte del 12
al 13 luglio, evasero dal carcere 249 detenuti, fra i quali circa un
centinaio di detenuti politici, il Candrilli che serbava rancore contro il
direttore del carcere Pandolfelli, perché convinto che trattasse
umanamente i detenuti politici, fece convocare il tribunale militare
straordinario per giudicare il Pandolfelli, il capo guardia ed otto agenti
arrestati, e sulla base di una sua denunzia per favoreggiamento in
evasione, richiese l'applicazione almeno di due pene esemplari che furono
pronunziate da un tribunale straordinario. Non potevano che essere pene
capitali ed a tale scopo fece approntare un plotone di esecuzione al
comando del sottotenente Spinelli (Chimienti, Crocitti). Fortunatamente il
tribunale sì dichiarò incompetente. Questa fu l'opera criminale svolta
dal novembre 1943 all'aprile 1945 da questo uomo abbruttito da una insana
e nefanda ferocia e nella quale sfogò la sua smania di persecuzione
contro gli antifascisti e contro i patrioti e nella quale non si può non
ravvisare la sua responsabilità per il delitto di collaborazione
contestatogli per virtù degli art. 5 D.L.L. 27 luglio 1944 n. 157, 1
D.L.L. 22 aprile 1945, 142 in relazione all'art. 51 C.P. militare di
guerra. Escludendo l'ipotesi di intelligenza e corrispondenza col nemico
di cui l'art. 54 del detto codice, per la quale non sussistevano
sufficienti elementi di prova, è manifestamente e ampiamente provato la
colpevolezza dell'imputato per il delitto di aiuto, al nemico previsto e
punito dall'art. 51 C.P.M.G.
Infatti il Candrilli, eseguendo i rastrellamenti che avevano per risultato
le retate di migliaia di giovani da inviare in Germania e di arruolare
nell'esercito repubblicano, nel perseguitare ed arrestare i patrioti,
veniva a favorire le operazioni militari del tedesco invasore eliminando
gli elementi che avrebbero seriamente ostacolato le dette operazioni con
la scienza e la conoscenza di favorire il tedesco invasore che era il
nemico del legittimo Stato italiano, costituito dal Regno d'Italia. Per
questo delitto la pena adeguata è quella di morte che non può essere
evitata da nessuna attenuante, perché l'attività del Candrilli ha sparso
tanto orrore e tanto strazio di molte giovani vite da non destare nessuna
pietà, ma deve essere colpito dalla severa giustizia punitiva con la più
grave sanzione che essa può infliggere.
P. Q. M.
Visti gli artt. 5 D.L.L. 27 luglio 1944 n. 159, 1
D.L.L. 22 aprile 1945 n. 142 in relazione all'art. 51 C.P.M.G. 27 dello
stesso codice, 32 C.P.M.P. n. 483, 484, 488, C.P.P.
Dichiara Candrilli Manlio colpevole del reato ascrittogli come previsto
dagli articoli sopraccitati e lo condanna alla
pena di morte
e alle spese processuali. Ordina che l'estratto di
questa sentenza sia affisso in questo comune e sia inserito per una sola
volta nel "Giornale di Brescia".
Visto l'articolo 9 D.L.L. 27 luglio 1944 sopraccitato, ordina la confisca
dei beni del condannato a favore dello Stato.
Brescia, 13 giugno 1945
Il Presidente f.to Basile
Il Cancelliere f..to Diurisi
Avverso la presente sentenza venne interposto
ricorso per Cassazione dell'imputato Candrilli Manlio.
Addì, 13 giugno 1945 Il Cancelliere f.to Diurisi
Con sentenza 6 luglio 1945 la Corte Suprema di
Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dal Candrilli Manlio.
Brescia, 26 luglio 1945 Il Cancelliere f.to Diurisi
In data 30 luglio 1945 venne dalla cancelleria
trasmesso estratto della sentenza autenticato per la redazione del
fascicolo d'esecuzione alla Procura Generale della Corte Straordinaria
d'Assise locale.
Il Cancelliere f.to Forzenigo
Il 30 luglio 1945 venne trasmessa copia autenticata
della presente sentenza alla locale Regia Intendenza di Finanza per la
procedura della confisca dei beni a favore dello Stato del suddetto
condannato.
Il Cancelliere f.to Forzenigo
Il 30 luglio 1945 spedito estratto all'ufficio di
pubblicità per la pubblicazione sul periodico "Il Giornale di
Brescia".
Il Cancelliere f.to Forzenigo.
In data 31 luglio 1945 venne affisso estratto della
suddetta sentenza all'albo di questo comune come è stato demandato dalla
sentenza stessa.
Il Cancelliere f.to Forzenigo
Si attesta che l'esecuzione della condanna a morte mediante fucilazione
del Candrilli Manlio fu Calogero ebbe luogo il giorno primo settembre 1945
alle ore 6.10 in Brescia e nel poligono di tiro a segno di Mompiano, come
emerge dal relativo verbale redatto dalla Procura Generale della Procura
Generale della Corte Straordinaria d'Assise locale comunicato per visione
a questa Cancelleria.
Brescia, 1 settembre 1945
f.to Forzenigo Cancelliere
Il 12 maggio 1947 trasmessa copia Intendenza di
Finanza di Brescia per profitti Regime
f.to Bressi Cancelliere
Il 27 dicembre 1947 spedita alla locale Intendenza
di Finanza dietro richiesta di questo Ufficio stessa copia della presente
sentenza, munita della formula esecutiva di cui all'ultimo comma dell'art.
475 C. P. Civile.
Il Cancelliere f.to Bressi
Per copia conforme all'originale che si rilascia a
richiesta dell'avv. Antonino Sorgi, per uso di revisione di processo.
Brescia, 14 maggio 1957
Il Cancelliere f.to Merulla
fonte: Ludovico Galli, Una vile
esecuzione. Il dramma di Manlio Candrilli questore di Brescia della
Repubblica Sociale Italiana, Brescia 2001, stampa a cura dell'autore, L.
Galli, via Pavoni, 21 25128 Brescia, pag. 48-57
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