Premessa
La distinzione tra "antigiudaismo" e "antisemitismo" è
comunemente ammessa dalla maggioranza degli storici, cattolici e non
cattolici: Sergio Romano, ad esempio, parla di "giudeofobia" per
indicare il particolare atteggiamento tenuto dalla Chiesa durante i secoli
nei confronti degli ebrei (1). I due concetti inoltre sono stati posti alla
base del documento sull'Olocausto pubblicato nel 1998 dalla Pontificia
Commissione per i rapporti religiosi con l'ebraismo, allora presieduta dal
card. E. Cassidy, intitolato Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah.
Tale documento distingueva nettamente l'antisemitismo razziale - che la
Chiesa ha sempre condannato, ritenendolo contrario alla dottrina cattolica
sull'originaria uguaglianza del genere umano - dall'antigiudaismo, che nel
corso della storia si è andato di volta in volta strutturando sulla base di
elementi diversi e che nel secolo appena concluso ha assunto
"connotazioni più sociologiche e politiche che religiose".
Dietro la definizione di antigiudaismo non c'è da parte della Chiesa, come
invece sostengono alcuni(2), alcuna volontà di forzare ideologicamente i
fatti né tanto meno di sminuire le proprie responsabilità storiche dietro
l'alchimia di definizioni giustificazioniste, ma soltanto la volontà di
esaminare i fatti storici valutandoli per quello che sono (e su questo è
possibile avere punti di vista differenti) e senza intenti apologetici.
All'opposto invece si nota, dietro la pretesa di chi intende imporre
determinate definizioni (quella di antisemitismo per intenderci), la
volontà di strumentalizzare ideologicamente i fatti storici. La tradizione
cristiana, e in particolare quella cattolica, si è del resto sempre
"capita" su questo particolare problema dentro la definizione di
antigiudaismo o simili(3).
Antigiudaismo religioso e antigiudaismo politico-sociale
Per comprendere l'atteggiamento della Gerarchia ecclesiastica e della
Civiltà Cattolica sul problema ebraico è necessario premettere alcune
considerazioni storico. Da questo punto di vista va distinto un
antigiudaismo religioso o dottrinale da un antigiudaismo per lo più dettato
da considerazioni di ordine socio-politico. Il primo era dovuto a
motivazioni teologico-dottrinali: esso considerava l'ebreo, uomo senza
patria, come un "dannato da Dio" a motivo del suo accecamento per
non aver riconosciuto il Messia, e la sua condizione di esule era intesa e
spiegata secondo particolari categorie religiose. In questo rientravano le
gravi accuse di deicidio e di omicidio rituale. Alla divulgazione di tali
idee contribuì in epoca moderna anche La Civiltà Cattolica con gli
articoli del p. Giuseppe Oreglia di Santo Stefano(4) e successivamente,
sebbene in forma più critica e moderata, dei pp. Raffaele Ballerini e
Francesco Rondina. Tale mentalità antigiudaica, diffusa in ampi settori
dell'opinione pubblica europea e non soltanto tra i cattolici, condannava
l'ebreo a una condizione di emarginazione sociale. Frutto di tale
atteggiamento furono in epoca passata i ghetti, che avevano lo scopo di
tenere sotto controllo gli ebrei, sottoposti a una legislazione sociale
apertamente discriminatoria (emanata si diceva più per "cautela
preventiva che per provvidenza punitiva"), ma anche quello di
proteggerli contro possibili pogrom popolari. In ogni caso l'ebreo, pure
accolto per motivi di carità cristiana, era tuttavia considerato parte
estranea della società.
L'antigiudaismo moderno nasce invece con la Rivoluzione francese e in
particolare con l'emancipazione sociale e politica degli ebrei, sancita dai
Governi liberali. Tale legislazione liberale, scriveva la nostra rivista, ha
reso gli ebrei "baldanzosi e potenti, facendo loro sotto pretesto di
uguaglianza una condizione sempre più preponderante di prestigio, massime
economico, nella società moderna"(5). Altro motivo che spinse a
lottare contro l'influsso che gli ebrei andavano acquistando a livello
sociale, oltre alla loro preponderanza in campo economico e finanziario, fu
il ruolo primario che molti di essi ebbero nella massoneria internazionale
fortemente anticattolica e nei moderni movimenti rivoluzionari e non solo
nella Russia di Lenin, ma anche negli Stati dell'Europa Occidentale. Tale
modo di pensare era alimentato dal fatto che molti capi dei partiti
comunisti europei erano ebrei: la gran parte dei membri del Consiglio dei
commissari del popolo, per esempio, istituito da Lenin dopo la Rivoluzione
russa del 1917 - cioè il Governo rivoluzionario del Paese - era costituito
da ebrei(6).
Così la figura dell'ebreo, nell'immaginario collettivo cattolico, e non
soltanto in esso, fu assimilata, da una parte, al capitalista che sfruttava
la popolazione cristiana, dall'altra al rivoluzionario, che lottava per
minare le basi della vita associata. All'ebreo inoltre, in un'epoca di
nazionalismo esasperato, si rimproverava di non nutrire "amor
patrio", sentendosi egli, si diceva, non cittadino dello Stato che lo
accoglieva, ma semplicemente membro virtuale della "nazione
ebraica", che non aveva a quel tempo nessuna terra da difendere. Molti
esponenti della cultura cattolica accettavano per motivi sia religiosi,
cioè di difesa dell'identità cristiana, sia patriottici e di tutela
dell'ordine costituito queste idee, e La Civiltà Cattolica ebbe un ruolo
non secondario nella loro divulgazione. Tale stato di cose perdurò, come è
noto, fino al Concilio Vaticano II, sebbene già durante la seconda guerra
mondiale si levassero all'interno del mondo cattolico, soprattutto in area
francese(7), significative voci di dissenso contro il tradizionale
antigiudaismo professato in ambienti cattolici.
Altro problema è però l'antisemitismo, in particolare quello razziale, che
si sviluppò nei primi decenni del Novecento, anche se le sue radici
ideologiche sono ottocentesche e in ogni caso, come è risaputo, non
cristiane: esso trovò nelle dottrine razziste professate dal nazismo prima
e dal fascismo poi (sebbene in forma più attenuata) il suo culmine, nonché
una ferma volontà di traduzione pratica da parte dei due regimi
dittatoriali. Contrariamente a quanto viene affermato da alcuni studiosi
contemporanei, il Magistero della Chiesa (e con esso La Civiltà Cattolica)
non professarono mai l'antisemitismo razziale. D'altra parte
l'antigiudaismo, sia classico sia moderno, non è stato, come viene spesso
ripetuto, il terreno di coltura da cui poi si è sviluppato l'antisemitismo
razziale, anche nella sua forma più popolare, sebbene, dal punto di vista
socioculturale, esso in alcuni casi possa aver favorito una forma di
risentimento nei confronti degli ebrei, soprattutto negli Stati in cui essi
erano più potenti e organizzati.
Tra antisemitismo e antigiudaismo esiste in ogni caso una differenza
sostanziale che non va sottovalutata. L'antigiudaismo rispondeva a
un'esigenza di tutela dell'antica societas christiana - che di fatto da
tempo non esisteva più in Europa, ma che nella mente di molti uomini di
Chiesa continuava ad essere ancora valida -, per cui erano considerate
legittime legislazioni civili, approvate da Stati a maggioranza cattolica,
che, facendo salvi i doveri di moderazione e di carità cristiana verso
tutti, trattassero in modo differente cristiani ed ebrei. Questo è il senso
di alcuni articoli scritti dalla Civiltà Cattolica negli anni Trenta in
difesa di una legislazione statale che limitava in qualche modo i diritti
civili degli ebrei, commisurandone il godimento ad alcune condizioni: ad
esempio, fissando il numero chiuso per l'accesso ad alcune professioni
liberali, ritenute vitali per la società. Questo fu il caso della
legislazione ungherese del 1938, che la nostra rivista considerò con una
certa simpatia a motivo della sua "moderazione" e dell'assenza di
ogni forma di violenza nei confronti degli ebrei(8). Questo tipo di
legislazione, secondo La Civiltà Cattolica, aveva anche lo scopo di
difendere la stessa comunità ebraica da possibili insurrezioni popolari,
"allontanando da essa i mali e i pericoli di ogni fatta".
L'antisemitismo razziale era invece fondato su un elemento materialistico e
biologico: il principio della "razza ariana" quale stirpe
superiore e dominante, e quello del culto del sangue e della terra(9). Chi
conosce la teologia cristiana sa che mai la Chiesa cattolica approvò teorie
di questo tipo: per essa non esiste nessuna razza eletta o superiore, ma un
solo popolo di Dio sparso su tutta la terra. Per la Chiesa un ebreo
convertito al cattolicesimo è semplicemente un cristiano: di fatto, durante
la deportazione nazista essa fece di tutto per difendere anche gli ebrei
cristiani, considerandoli suoi fedeli al pari degli altri. Questo punto
della dottrina cristiana fu sempre difeso con tutti i mezzi dalla Gerarchia
cattolica e, nei tempi moderni (a motivo dell'antisemitismo razzista),
soprattutto da Pio XI e Pio XII(10).
"La Civiltà Cattolica" e l'antisemitismo
Com'è noto, La Civiltà Cattolica, su indicazione di Pio XI, si oppose con
forza alla teoria neopagana e anticristiana dell'antisemitismo razzista.
Questo appare chiaramente, oltre che dagli articoli pubblicati in quegli
anni dalla nostra rivista, anche da alcuni documenti inediti conservati nel
nostro archivio. Il 16 gennaio 1934 il Papa fece sapere al direttore p.
Enrico Rosa (uno dei bersagli del recente e controverso libro di D. Kertzer)
che "crede opportuno che si parli nella Civiltà Cattolica della legge
germanica per la sterilizzazione"(11), e il 31 maggio 1938 si rallegrò
dell'articolo della Civiltà Cattolica contro il razzismo e "approvò
il proposito [presentatogli dal direttore] di illustrare in alcuni articoli
le proposizioni anti-razziste". Il che la nostra rivista fece
prontamente.
Al prof. D. Kertzer, che mi interpella su questo punto (in un articolo
pubblicato sul Corriere della Sera(12), in risposta a un mio precedente
intervento sullo stesso tema dato ai microfoni della Radio Vaticana)
chiedendomi: "Perché il p. Sale non ha detto nulla a proposito del
silenzio di Pio XI nei confronti di queste leggi razziali?", rispondo
che il Papa in questa occasione, come in altre, denunciò il nuovo indirizzo
filo-tedesco intrapreso dal Governo italiano in materia razziale, per mezzo
degli articoli della Civiltà Cattolica, che venivano da lui personalmente
revisionati prima di essere pubblicati. La Civiltà Cattolica, come è noto,
fu l'unica rivista italiana che si oppose, già nell'agosto 1938, alla
legislazione razziale emanata da Mussolini nei primi giorni del settembre
dello stesso anno. Del resto anche dal nostro archivio risulta che l'autore
degli articoli, il p. Antonio Messineo, fu contattato da un membro del Gran
Consiglio del fascismo, il quale gli chiese di scrivere contro le teorie
razziste, che il Duce era in procinto di applicare anche in Italia, con la
speranza che gli articoli riuscissero a bloccare il progetto, che aveva
oppositori anche all'interno del fascismo. Gli disse, inoltre, che soltanto
La Civiltà Cattolica poteva fare questo servizio di civiltà alla nazione
italiana, poiché tutte le altre riviste e giornali erano
"imbavagliati" dal regime. Pio XI, al quale l'articolo fu portato
in revisione, diede il proprio assenso. Dopo che il primo articolo uscì, il
4 agosto 1938, sfuggendo alle maglie della censura politica, la questura di
Roma intimò, a nome del Ministero degli Interni, alla tipografia che
stampava allora la nostra rivista, di non pubblicare più scritti contrari
alle teorie razziste, pena la chiusura dell'azienda.
L'articolo condannava la teoria che riduceva la nazione alla razza,
"difesa - scriveva il p. Messineo - con una ostinatezza e un fanatismo
ideologico degno di migliore causa e con una povertà di argomenti
pseudo-storici e pseudo-scientifici, che fanno poco onore alla scienza, da
tutti gli scrittori che traggono ispirazione dal mito razzista della nuova
Germania"(13). Tali teorie razziste, oltre che "antiscientifiche,
sono mostruosamente illogiche". Qualche mese prima il p. Rosa (che pure
in passato aveva assunto posizioni antigiudaiche, per motivi religiosi)
pubblicò sulla rivista un articolo molto forte contro le teorie razziste
divulgate in Germania. Egli vedeva come infatuazione o follia collettiva
quelle teorie che volevano esaltare "la stirpe o la razza germanica al
di sopra di tutte le altre, come la più perfetta […]. Laddove tutte le
altre stirpi del genere umano sarebbero ad essa inferiori, comprese le
mediterranee, e più o meno spregevoli, tutte da posporsi o asservirsi alla
"grande Germania", ovvero anche da sterminarsi, come
l'ebraica"(14). Vanno inoltre ricordati i numerosi interventi che La
Civiltà Cattolica pubblicò dopo l'adozione delle leggi razziali da parte
del fascismo, anche in difesa dei "matrimoni misti" (cioè tra
cattolici ed ebrei), e questo nonostante la rivista fosse tenuta sotto
stretto controllo dall'occhiuta censura del regime; quelle norme erano
considerate da Pio XI lesive, nel loro stesso spirito, della dignità umana
e inoltre del Concordato stipulato dall'Italia con la Santa Sede.
A proposito di queste vicende censorie si legge nel Diario delle consulte
del 18 ottobre 1938: "Il p. Direttore informa compendiosamente sui
principali avvenimenti dei mesi passati [dall'inizio dell'estate, infatti,
si sospendevano le consulte degli scrittori]: 1. Circa il divieto comunicato
dalla Prefettura il 5 agosto di pubblicare il discorso del Santo Padre del
28 luglio, restrizione toltaci poi dal Ministero della Cultura Popolare, e
la proibizione di pubblicare commenti sulla questione razziale divergenti
dal senso del Governo nazionale. 2. Circa la proibizione fatta l'8 agosto
dalla Questura alla nostra tipografia di stampare articoli contro il
razzismo italiano e tedesco [si tratta della vicenda dell'articolo del p.
Messineo], anche se riportati sull'Osservatore Romano. Tutte queste
proibizioni vennero notificate dal p. Direttore alla Segreteria di Stato,
anche per nostra giustificazione"(15).
Alla luce di questa nota si capisce bene perché La Civiltà Cattolica non
condannò in modo esplicito - come alcuni studiosi contemporanei avrebbero
voluto che facesse - la legislazione antisemita promulgata nel settembre
1938 dal Governo italiano. Essa però precedentemente in alcuni articoli,
come abbiamo visto, aveva preso le distanze dalle dottrine antisemite e
anticristiane con le quali si intendeva dare giustificazione teorica alla
nuova normativa anti-ebraica. La Civiltà Cattolica, dal canto suo, dava
notizia nella "cronaca" delle leggi razziali italiane (sia di
quelle emanate il 1° e il 2 settembre 1938, sia di quelle del 6 ottobre
dello stesso anno) senza però commentarle(16). Qualche autore interpreta
questo fatto come un'accettazione tacita da parte della rivista delle nuove
direttive razziali dettate dal regime, che secondo la propaganda fascista
altro non erano che l'applicazione pratica di quei princìpi antigiudaici
che la Chiesa aveva predicato, mentre in realtà esse avevano la loro causa
in quelle promulgate da Hitler in quello stesso anno. Il Duce del fascismo
anche in questa materia non voleva essere da meno del suo collega e amico
tedesco.
Il significato vero del "silenzio" osservato dalla nostra rivista
sulla legislazione anti-ebraica è da ricercare invece nella disposizione
ministeriale sopra ricordata, che le imponeva "la proibizione di
pubblicare commenti sulla questione razziale divergenti dal senso del
Governo nazionale". Essa preferì "tacere", non scrivere
nulla su quella legislazione - che riteneva apertamente discriminatoria,
lesiva dei diritti umani e dei diritti della Chiesa, in particolare quelle
dell'ottobre in materia di matrimoni misti - anziché commentarla, come i
fascisti avrebbero voluto, nel senso impostole dal Governo. Il solo fatto
che la rivista pubblicasse l'intero testo della legge (fatto questo non
comune) senza il consueto commento era sufficiente a far capire ai cattolici
italiani quanto queste disposizioni si allontanassero, nei loro stessi
presupposti, dalla genuina dottrina della Chiesa e dal senso comune di
umanità. Questo fatto non sfuggì all'anziano p. Rosa che scrisse in un
articolo(17), sfuggendo alle maglie strette della censura di regime:
"In Italia, udiamo ripeterci da più parti, ed è confermato anche
dalla più autorevole voce della politica italiana, non si vuole imitare la
Germania in genere, né l'acerbità nazista in particolare contro gli
oppositori, venuti dal giudaismo. Ma, anche fra noi, gravi provvedimenti
furono decretati contro gli ebrei, o sono già in corso, e la stampa
quotidiana li commenta, com'è suo costume, e a suo modo li giustifica, con
una vivacità di linguaggio e una così ardimentosa facilità di logica e di
storia, di citazioni e di polemica che noi, senza forti riserve, non
potremmo accettare"(18).
Va ricordato infine, che La Civiltà Cattolica - contrariamente a quanto si
legge in alcuni lavori storici, anche recenti - non riconobbe mai
l'autenticità dei cosiddetti Protocolli dei saggi di Sion (redatti da una
penna ferocemente antisemita per diffamare gli ebrei) e li considerò
"leggende"; molti, scriveva il p. Rosa già nel 1928, "godono
di spargerle tanto più inopportunamente quanto meno sono criticamente
fondate"(19). Qui il gesuita si riferiva ad alcuni ecclesiastici
intransigenti che, d'accordo con i fascisti, si facevano propagatori
dell'antisemitismo più bieco. Tra essi ricordiamo l'enigmatico mons.
Umberto Benigni, fondatore nei primi anni del Novecento del sodalitium
pianum (sorta di agenzia segreta di informazioni per la lotta al modernismo)
e successivamente agente della polizia politica fascista. Ci furono inoltre
alcune riviste cattoliche integraliste (come, ad esempio, Fede e Ragione,
L'Araldo, L'Unità Cattolica) che sposarono le idee di Benigni e del
fascismo in materia di razzismo. Ma tra queste non può essere annoverata La
Civiltà Cattolica, che anzi a partire dagli anni Trenta fu guardata con
sospetto dal regime fascista; fra l'altro, la sua sede nel 1931 fu
devastata, per ordine di Mussolini, da alcuni facinorosi. Era questo un
segnale chiaro che la rivista non era gradita al regime e che si continuava
a tenerla in vita soltanto per non inimicarsi, anche su questo punto, la
Santa Sede.
Pio XI e l'antisemitismo
Alla luce dei fatti sopra ricordati, leggiamo con grande meraviglia nel
libro di Kertzer che Papa Ratti fu antisemita e che non fece nulla per
ostacolare la legislazione antiebraica. Già nel 1928 un decreto del
Sant'Uffizio, per esplicito desiderio del Pontefice, condannò
esplicitamente le moderne teorie antisemite, deprecando con forza
"l'odio diffuso [dal nazismo] contro un popolo già eletto da Dio,
quell'odio cioè che oggi volgarmente suole designarsi
antisemitismo"(20). Ma soltanto a partire dal 1937 assistiamo a un vero
e proprio cambiamento di rotta in Vaticano sulla percezione del problema
ebraico. Il Papa negli anni precedenti era stato completamente assorbito
dalla dolorosa questione della persecuzione contro la Chiesa cattolica da
parte dei nazisti, iniziata già all'indomani della firma del Concordato con
il Reich nel 1933. Sottoscrivendo quell'accordo la Santa Sede sperava di
porre qualche limite allo strapotere del regime (che già iniziava ad
assumere caratteri anticristiani), almeno nelle questioni religiose o in
quelle concernenti l'istruzione e la formazione dei giovani.
Nell'enciclica Mit brennender Sorge (14 marzo 1937) diretta ai vescovi
tedeschi - redatta nella parte dottrinale dal card. Faulhaber, arcivescovo
di Monaco, e in quella concernente le denunce sulle violazioni del
Concordato dal card. Pacelli, a quel tempo Segretario di Stato - Pio XI
condannò il nazionalismo esasperato e il culto della razza, nonché le
aberrazioni del nazismo e le dottrine anticristiane da esso sostenute. In
essa si leggono, a questo proposito, parole molto forti: "Chi, con
indeterminatezza panteistica, identifica Dio con l'universo, materializzando
Dio nel mondo e deificando il mondo in Dio, non appartiene ai veri
credenti"(21), e subito dopo: "Solamente spiriti superficiali
possono cadere nell'errore di parlare di un Dio nazionale, di una religione
nazionale e intraprendere il folle tentativo di imprigionare nei limiti di
un solo popolo, nelle ristrettezze etniche di una sola razza, Dio creatore
del mondo, re e legislatore dei popoli"(22). L'enciclica denuncia, poi,
senza mezzi termini le cosiddette "rivelazioni arbitrarie che alcuni
banditori moderni vorrebbero far derivare dal così detto mito del sangue e
della razza", e minaccia l'ira divina contro "colui" [cioè
Hitler] che predica o permette che siano predicate tali aberranti
dottrine(23).
Il Papa, inoltre, durante un'udienza concessa agli operatori belgi delle
radio cattoliche, nel settembre 1938, con le lacrime agli occhi per
l'emozione, pronunciò, in modo informale, alla fine del suo discorso(24) la
celebre frase: "L'antisemitismo è inammissibile. Noi siamo tutti
spiritualmente semiti". Qualche mese prima, il 29 luglio, nella
residenza pontificia di Castelgandolfo, rivolgendosi agli alunni del
Collegio romano di Propaganda Fide, disse: "Il genere umano non è che
una sola e universale razza di uomini. Non c'è posto per delle razze
speciali […]. La dignità umana consiste nel costituire una sola e grande
famiglia, il genere umano, la razza umana. Questo è il pensiero della
Chiesa". Il messaggio del Papa fu molto criticato dalla stampa tedesca;
esso fu considerato contrario alla cultura e alla dignità della Germania
nazista, poiché negava l'esistenza di "razze speciali", e fu
accolto dai capi del nazismo come un'aperta dichiarazione di guerra da parte
del Papato contro il nazionalsocialismo.
Nel giugno dello stesso anno Pio XI aveva dato l'incarico allo statunitense
p. John Lafarge (che fu aiutato in quest'opera da due suoi confratelli
gesuiti: il tedesco p. G. Gundlach e il francese p. G. Desbuquois) di
scrivere una bozza di enciclica contro il razzismo, che il Papa avrebbe poi
emanato. Lo schema fu discusso con Pio XI, a quel tempo già molto malato, e
da lui approvato. Il documento che ci è pervenuto, e che è stato anche
pubblicato(25), si può perciò dire che corrisponda in linea di massima al
progetto originario voluto dal Papa. Gli studiosi considerano in due modi
opposti quest'enciclica mai emanata (che probabilmente avrebbe avuto come
titolo Humani generis unitas), poiché il Pontefice morì nel febbraio 1939,
ed essa non piacque ad alcuni superiori gesuiti che la ebbero in esame,
compreso il Generale. Secondo alcuni(26), essa riproponeva i vecchi modelli
"dell'antisemitismo cattolico" e della cosiddetta
"segregazione amichevole", in ogni caso non rispondeva alle
urgenze del tempo e alla gravità del momento. Secondo altri invece(27),
essa avrebbe segnato un punto importante nella storia del magistero
pontificio: per la prima volta in un documento solenne della Chiesa
l'antisemitismo razzista sarebbe stato condannato, e questo avrebbe alla
lunga indebolito il tradizionale antigiudaismo cattolico(28). Secondo noi
invece il progetto di enciclica raccoglieva in sé ambedue le istanze,
frutto anche della mentalità delle persone che la redassero: quella
tradizionale, che ripeteva i soliti temi dell'antigiudaismo religioso(29), e
quella più moderna, più vicina alla sensibilità di Papa Ratti, tendente
alla denuncia pubblica dell'antisemitismo razziale(30).
Il nuovo Pontefice, Pio XII, non pubblicò l'enciclica, che era ancora in
elaborazione. Ma ciò non significa che egli non fosse sensibile ai problemi
da essa affrontati. Era stato Segretario di Stato del suo Predecessore e ne
aveva condiviso tutte le più importanti e coraggiose iniziative di governo.
Nel frattempo però era cambiato il contesto storico-politico nel quale
l'enciclica era stata pensata (Hitler si preparava a occupare la Polonia):
il problema grave da risolvere era ormai quello della guerra da evitare e in
particolare quello di limitarne i danni. Il Papa nella sua prima enciclica,
Summi Pontificatus (20 ottobre 1939), indicava ai credenti un nuovo modello
di società cristiana da realizzare, fondata sul diritto naturale e sul
rispetto di tutti gli uomini indipendentemente dalla loro nazionalità o
razza. L'enciclica in realtà era capita e interpretata dai suoi
contemporanei come un atto di condanna di ogni forma di totalitarismo. I
capi nazisti compresero che il documento pontificio era una forte denuncia
contro la loro politica di aggressione e di violazione dei diritti umani e,
per questo motivo, ne impedirono la diffusione nel Reich. Migliaia di copie
però furono paracadutate in Germania e in Polonia dagli Alleati: e questo
dice molto sul valore che essi attribuivano al documento pontificio. Lo
stesso Pio XII chiese alla nostra rivista di tener presente negli articoli
di commento "gli errori condannati dall'enciclica, in particolare si
difenda l'unità del genere umano contro i razzismi, e la dipendenza dello
Stato dalla legge morale"(31).
In conclusione, va detto chiaramente che la Chiesa non intende nascondersi
dietro definizioni di comodo o strumentali, quale sarebbe, secondo alcuni
studiosi, la distinzione tra antigiudaismo e antisemitismo, per non
riconoscere le proprie responsabilità nei confronti degli ebrei. Al
contrario, essa non ha difficoltà ad affermare che l'antigiudaismo
professato da molti cattolici durante i secoli ha fortemente contribuito
alla discriminazione delle comunità ebraiche della diaspora - condannandole
a una forma spesso disumana di segregazione e di aperta discriminazione
sociale - e quindi a chiedere perdono per gli errori commessi dai suoi figli
contro i loro "fratelli maggiori", come del resto Giovanni Paolo
II ha già fatto a Gerusalemme davanti al Muro del Pianto. Ma gli storici
non possono addossare alla Chiesa responsabilità di fatti (come
l'antisemitismo razziale) che non ha commesso e che anzi ha combattuto e
condannato.
NOTE
1. Cfr S. ROMANO, I volti della storia. I protagonisti e le questioni aperte
del nostro passato, Milano, Rizzoli, 2001, 456-458.
2. Cfr D. I. KERTZER, I Papi contro gli ebrei. Il ruolo del Vaticano
nell'ascesa dell'antisemitismo moderno, Milano, Rizzoli, 2002; R. TARADEL -
B. RAGGI, La segregazione amichevole. La Civiltà Cattolica e la questione
ebraica: 1850-1945, Roma, Editori Riuniti, 2000; R. TARADEL, L'accusa del
sangue. Storia politica di un mito antisemita, ivi, 2002; ID.,
"L'antisemitismo ci fu. Perché nasconderlo?", in Liberazione, 17
marzo 2002; M. PHAYER, La Chiesa cattolica e l'Olocausto, Milano, Newton
& Compton, 2002; S. ZUCCOTTI, Il Vaticano e l'Olocausto in Italia,
Milano, Bruno Mondadori, 2001.
3. La Civiltà Cattolica, specialmente negli anni Trenta e Quaranta,
utilizza spesso questa definizione per indicare il proprio atteggiamento nei
confronti degli ebrei, mentre all'opposto fa uso della nozione di
"antisemitismo" per indicare le moderne dottrine razziste, che
essa condannava apertamente come anticristiane.
4. Il p. Oreglia nel 1881 ripropose all'attenzione dell'opinione pubblica il
caso ormai dimenticato del presunto omicidio rituale del piccolo Simoncino
(che fu inoltre venerato come santo) avvenuto nel Medioevo e di cui il
gesuita aveva trovato gli atti del processo (tenutosi a Trento nel 1475)
nell'Archivio Segreto Vaticano. Il p. Oreglia riteneva che gli ebrei
"per obbedire a una loro legge e rito rabbinico-talmudico e perciò per
ispirito di pietà, di devozione e religione nefanda" (Civ. Catt. 1881
IV 225) usassero celebrare la pasqua impastando gli azzimi con sangue
cristiano. La questione, oltre che suscitare molta curiosità, fece molto
rumore tra i cattolici e non soltanto in Italia: da più parti fu ripetuta
l'accusa, che sembrava ormai da tempo dimenticata, di omicidio rituale nei
confronti degli ebrei (cfr R. TARADEL, L'accusa del sangue…, cit., 215).
5. E. ROSA, "Il pericolo giudaico e gli "Amici
d'Israele"", in Civ. Catt. 1928 II 340.
6. Cfr Civ. Catt. 1922 IV 112-121.
7. Ricordiamo i 16 numeri dei Cahiers du témoignage chrétien pubblicati a
partire dal novembre 1941 dal p. G. Fessard, il celebre L'impossible
antisémitisme di J. Maritain, pubblicato già nel 1937, nonché alcuni
scritti di quello stesso tempo del poeta P. Claudel e del teologo p. H. de
Lubac.
8. L'appoggio alle leggi razziali emanate in Ungheria nel 1938 da parte
della Civiltà Cattolica è da comprendere sulla base di elementi non
antisemitici. Il p. A. Barbera, autore dell'articolo, sosteneva che era
dovere di uno Stato cattolico tutelare i cittadini cristiani e che
l'equiparazione giuridica tra cattolici ed ebrei, oltre che danneggiare lo
Stato magiaro (in quanto si sarebbe allontanato dalla sua gloriosa
tradizione cristiana), alla lunga avrebbe anche danneggiato gli stessi
ebrei, i quali, ricoprendo cariche importanti nella società, avrebbero
alimentato l'animosità dei "locali" nei loro confronti. L'Autore
lodava il modo non violento con cui fu elaborata tale legislazione e
guardava con simpatia al fatto che l'accesso alle cariche più importanti
avvenisse attraverso il sistema dei numero chiuso (20% di posti riservati
agli ebrei, che erano il 5% dell'intera popolazione). Altra cosa è però
dire che la rivista sposò tesi antisemite e che anzi si fece propugnatrice
di un antisemitismo razziale, come si afferma da alcune parti (cfr A.
BARBERA, "La questione dei giudei in Ungheria", in Civ. Catt 1938
I 146-153).
9. Sul rapporto tra "razzismo biologico" e nazismo si veda il
lavoro dello storico ebreo D. DINER, Raccontare il Novecento. Una storia
politica, Milano, Garzanti, 2001.
10 C'è inoltre un altro elemento, a nostro avviso, che prova come la teoria
razzista professata dal nazismo non avesse come proprio fondamento culturale
la dottrina o la tradizione cristiana e neppure il suo secolare
antigiudaismo. Ciò è dimostrato dal fatto che il culto razzista della
"pura razza ariana" oltrepassa in realtà perfino l'antisemitismo
vero e proprio. Classifica i non ariani come uomini di stirpe inferiore, che
devono essere forzatamente o asserviti, come gli slavi e i mediterranei, o
sterilizzati, come i neri, o addirittura sterminati come gli ebrei e gli
zingari. Ora è certo che la tradizione cristiana non ha mai creato
gerarchie tra popoli o razze diverse: per essa tutti gli uomini
indistintamente sono chiamati a divenire "membra" della stessa
Chiesa di Cristo (cfr M. A. CHARGUERAUD, Les Papes, Hitler et la Shoah,
Genève, Labor et Fides, 2002, 66).
11 Cfr ARCHIVIO CIVILTÀ CATTOLICA (ACC), Diario delle consulte, 16 gennaio
1934. In un'altra parte si legge: "Il Santo Padre nell'ultima udienza
si è intrattenuto intorno alla disputa cui hanno dato luogo le nuove teorie
di eugenetica applicate dal Governo nazional-socialista in Germania, in seno
al recente Congresso internazionale dell'Ospedale che si è tenuto a Roma.
Il Santo Padre ha dimostrato la sua viva soddisfazione per l'atteggiamento
assunto dalla grande maggioranza dei congressisti contro la mozione
presentata dalla rappresentanza tedesca" (ivi, 11 giugno 1934).
12 Cfr D. KERTZER, "La Chiesa e la trappola del "sano
antisemitismo". Dopo gli attacchi di Civiltà Cattolica lo storico
Kertzer rilancia le accuse a Pio XI", in Corriere della Sera, 26
febbraio 2002. Come risposta a quest'articolo vedi G. SALE, "Altro che
leggenda nera, i gesuiti non furono mai antisemiti", ivi, 28 febbraio
2002.
13 A. MESSINEO, "Gli elementi costitutivi della nazione e della
razza", in Civ. Catt. 1938 III 216. Sulla questione trattata si veda
anche C. CAPIZZI, "Marxismo e scienza delle religioni. In margine ad
una nuova enciclopedia", ivi, 1978 I 469.
14 E. ROSA, ""La teoria moderna delle razze" impugnata da un
acattolico", ivi, 1938 III 63.
15 ACC, Diario delle consulte, 18 ottobre 1938.
16 Cfr "Cronaca contemporanea", in Civ. Catt. 1938 III 558-561; IV
269-271.
17 In esso p. Rosa rimproverava Farinacci di aver utilizzato in un suo
articolo del 30 agosto 1938, pubblicato sul Regime fascista, articoli della
Civiltà Cattolica scritti nel 1890 dal p. R. Ballerini (in verità di
sapore antigiudaico) per dare una qualche legittimazione alla nuova
legislazione antisemita, interpretandoli poi in senso diverso dal loro
tenore letterale (cfr E. ROSA, "La questione giudaica e La Civiltà
Cattolica", ivi, 1938 IV 3-16).
18 Ivi, 3. Le ultime parole riportate nel Diario delle consulte del tanto
vituperato "antisemita" p. Rosa furono le seguenti: "Il P.
Rosa propone che si parli nella nostra rivista del nuovo Codice Civile
(libro I) dove sono delle disposizioni poco conformi all'etica naturale e
chiede, poi, che si scriva qualche cosa sulla presente controversia
razzistica, soprattutto in ordine al Concordato violato" (ACC, Diario
delle consulte, 15 novembre 1938). Il p. Rosa morì undici giorni dopo.
19 E. ROSA, "Il pericolo giudaico e gli "Amici di
Israele"", in Civ. Catt. 1928 II 341.
20 Ivi, 338.
21 "Lettera enciclica di S. S. Pio XI sulle condizioni della Chiesa
cattolica nel Reich germanico", in AAS 29 (1937) 145-147 e in Civ. Catt.
1937 II 196.
22 Ivi, 197.
23 Ivi, 200. Sono note le vicende sulla divulgazione di questa enciclica,
che fu stampata di nascosto contemporaneamente in sette tipografie ubicate
in altrettante città della Germania e letta dai pulpiti delle chiese nella
stessa domenica. Le copie ancora in commercio furono immediatamente
confiscate dal regime, che protestò energicamente in Vaticano. A questo
proposito si legge nel nostro Diario delle consulte: "Il Santo Padre
passò a parlare delle vicende religiose e politiche in Germania per effetto
della recente Enciclica che riguarda quei fedeli e della inconcepibile
pretesa espressa nella protesta diplomatica del Governo del Reich, che dalla
Santa Sede non si sarebbe davvero dovuto fare quel passo, senza preavvisarne
il Governo" (ACC, Diario delle consulte, 12 maggio 1937).
24 La frase pronunciata dal Papa alla fine dell'udienza in modo informale,
non essendo riportata nel testo ufficiale che il Pontefice lesse ai
pellegrini, non fu poi riportata dall'Osservatore Romano né dalla Civiltà
Cattolica. Alcuni studiosi hanno costruito su questo fatto leggende a dir
poco fantasiose. La celebre frase del Papa, subito divulgata dai pellegrini
(poi accuratamente riportata nel suo diario dal capodelegazione belga), fece
immediatamente il giro del mondo. E ciò dispiacque molto ai nazisti.
25 Cfr G. PASSELECQ - B. SUCHECKY, L'enciclica nascosta di Pio XI, Milano,
Corbaccio, 1997. Su questa materia si veda G. MICCOLI, I dilemmi e i silenzi
di Pio XII, Milano, Rizzoli, 2000, 312-324.
26 Cfr D. KERTZER, I Papi contro gli ebrei…, cit.; M. PHAYER, La Chiesa
cattolica e l'Olocausto, cit.; R. TARADEL, "L'antisemitismo ci fu.
Perché nasconderlo?", cit.
27 Cfr G. MICCOLI, I dilemmi e i silenzi di Pio XII, cit., 312-324; R. MORO,
La Chiesa e lo sterminio degli ebrei, Bologna, il Mulino, 2002, 88.
28 Secondo G. Miccoli la novità di questo progetto di enciclica, rispetto
alla Mit brennender Sorge, sta nel fatto che nel primo non si condanna
soltanto il razzismo neopagano e anticristiano, ma l'antisemitismo in
genere. Nel progetto di p. Lafarge si dice chiaramente che il razzismo è un
puro pretesto per perseguitare gli ebrei: "Risulta chiaramente che la
lotta per la purezza della razza finisce coll'essere unicamente la lotta
contro gli ebrei" (G. PASSELECQ - B. SUCHECKY, L'enciclica nascosta di
Pio XI, cit., 284).
29 Si legge nel progetto di enciclica su questo punto: "La pretesa
questione giudaica nella sua essenza non è una questione né di razza, né
di nazione, né di nazionalità terrena, e neppure di diritto di
cittadinanza fra gli Stati. È una questione di religione" (ivi, 243).
30 Significative sono le ultime parole che Pio XI, un mese prima della
morte, disse al direttore della nostra rivista. Come in una profezia esse
annunciavano alla Chiesa l'avvento di giorni tristi e bui in un mondo
devastato dalla guerra totale: "Il Santo Padre si intrattenne a parlare
sui giorni cattivi che corrono per la religione, in particolare nella
Polonia colpita dalla recente morte del cardinale A. Kakowski, nella
Germania dove la persecuzione rinverdisce sempre più, e in Italia nella
quale si procede con poca lealtà da parte del Governo su una via
cattiva" (ACC, Diario delle consulte, 3 gennaio 1939).
31 Ivi, 30 ottobre 1939.
tratto da La Civiltà Cattolica, 2002, pp. 419-431
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