Il giallo del presunto ordine di rapimento di Pio XII da parte di Hitler

a cura di Maurilio Lovatti

 

 

 

 

Karl Wolff, generale delle SS, in una dichiarazione del 9 aprile 1974 al Tribunale arcivescovile di Monaco di Baviera, in una seduta per il processo di beatificazione di Pio XII, affermò di aver ricevuto il 13 settembre 1943, pochi giorni dopo l'armistizio, l'ordine di Hitler di rapire il Papa.

In tale dichiarazione Wolff riporta così il colloquio con Hitler: 

Hitler: "Ora ho ancora un incarico particolare per lei, Wolff, che io, a motivo della sua importanza mondiale, voglio darle personalmente. Le impongo l'obbligo di non parlare ad alcuno, prima che io glielo permetta, ad esclusione del comandante supremo delle SS (Himmlerl) che ho già messo al corrente. Mi ha capito?".
Wolff: "Agli ordini mio Fuhrer!"
Hitler: "Desidero che lei, con le sue truppe, nel quadro delle reazioni tedesche contro questo inaudito "tradimento Badoglio", occupi, il più presto possibile, il Vaticano e la Città del Vaticano; metta al sicuro gli archivi ed i tesori d'arte che hanno un valore unico al mondo, e trasferisca al Nord papa Pio XII, insieme alla curia "per sua protezione", affinché egli non possa cadere nelle mani degli alleati e subire le loro pressioni e l'influenza politica. Secondo gli sviluppi politici e militari farò sistemare il papa possibilmente in Germania o nel neutrale Liechtenstein. Quanto tempo le occorre per poter eseguire questa operazione il più presto possibile?".
Wolff: (sforzandosi anzitutto di guadagnare tempo): "Francamente non posso dare una risposta immediata a questa domanda, mio Fuhrer. Le mie unità delle SS e di polizia, per la maggior parte, stanno ancora entrando in Italia. Presentemente, mi sto dando da fare per formare dal nulla truppe di rinforzi, e cioè unità ausiliarie volontarie dai gruppi etnici alto-altesini, come pure da italiani conservatisi fascisti; ma nonostante la massima energia, tutto ha bisogno di un certo tempo. Quale termine mi può accordare per l'adempimento del suo incarico?".
Hitler: (con una faccia che denota un certo disappunto): " In questo caso non mi resta che pazientare finché lei non abbia terminato i preparativi. Non posso, in questo momento, togliere unità dell'esercito dal fronte meridionale. Poi preferisco fare assegnamento sui miei nuclei di SS. Quanto tempo pensa che le sarà necessario per la preparazione del piano?".
Wolff: "Mi permetto di farle notare che per l'esecuzione accurata del suo ordine devo poter disporre di un numero minimo di esperti che siano padroni non solo della lingua italiana e delle principali lingue straniere, ma anche del latino e del greco. Altrimenti mi sarà impossibile mettere al sicuro i documenti contenuti negli archivi vaticani. Questi specialisti qualificati, purtroppo, mancano attualmente in Germania e li dovrò quindi cercare, in gran parte, nel gruppo alto-atesino. Calcolo, perciò, che per questa operazione mi occorreranno dalle quattro alle sei settimane, forse anche un po' di più ".
Hitler: (impaziente): " Mi sembra troppo! Acceleri i preparativi assolutamente necessari per quanto è possibile e mi informi personalmente a quattr'occhi - ogni due settimane circa - sui progressi ed il punto della situazione. Avrei preferito attaccare e sgomberare il Vaticano subito".

Il generale tornò da Hitler all'inizio di dicembre per riferirgli che il piano era pronto. L'incontro con il Fuhrer si sarebbe svolto alla " Tana del Lupo " (Wolfschanze), il quartier generale di Hitler nella Prussia Orientale.
Il colloquio con Hitler si sarebbe svolto come segue (sempre secondo la dichiarazione di Wolff):

Wolff: "Mio Fuhrer, le comunico la conclusione della mia preparazione per l'esecuzione del suo ordine segreto contro il Vaticano. Mi è permesso di fare ancora, brevemente, alcune osservazioni sull'attuale situazione in Italia, prima che lei dia il suo ordine definitivo? ".
Hitler: "Si, prego".
Wolff: "Il duce è caduto il 25 luglio di quest'anno, senza che un singolo fascista abbia sacrificato la sua vita in sua difesa; secondo i miei accertamenti, fatti nel frattempo, nell'Italia centrale e settentrionale da noi occupata, da allora il 5% o al massimo il 10% della popolazione è fascista di nome, compresi i loro familiari. Solo una piccola percentuale di idealisti è oggi ancora disposta a combattere per il duce. La massa degli italiani, dopo la mancanza di ulteriori vittorie-lampo tedesche, è estremamente stanca di guerra, in particolare da quando la guerra d'Africa è stata portata nella madrepatria italiana. E vero che lo stato d'animo della popolazione italiana non è direttamente ostile ai tedeschi, ma, in conseguenza dell'ininterrotta crescente distruzione sul suolo italiano ed anche delle perdite nella popolazione civile, ci si guarda con risentimento come coloro che in modo sgradito prolungano la guerra. L'unica autorità rimasta incontestata in Italia è attualmente quella della Chiesa cattolica, saldamente strutturata che, indirettamente, attraverso le donne italiane molto devote, esercita un'influenza che non è da sottovalutarsi, persino sui meriti, fratelli e figli che non sono favorevolmente disposti verso la Chiesa. Quando ho saputo questo, - ogni qualvolta se ne offriva l'occasione - per lo più richieste di grazia dell'alto clero a favore di italiani condannati o arrestati, ho subito stabilito, con la mia cortesia, dei buoni contatti con alti dignitari ecclesiastici, anche in Vaticano, e che, infine, culminarono nella mia proposta: "Io proteggo le vostre istituzioni ecclesiastiche, la vostra autorità di fronte al popolo italiano ed alle forze di occupazione, le vostre proprietà e la vostra vita, e voi agite nel vostro campo per favorire l'obbedienza verso le autorità tedesche". Mio Fuhrer! Questa politica della mano leggera e della ragione, nei tre mesi della mia attività, svoltasi finora in Italia, grazie all'appoggio discreto del clero, ha già dato frutti abbondanti. Devo ammettere che, senza questa cooperazione della Chiesa, che ha tenuto tranquille le masse popolari, io non avrei potuto svolgere il mio compito con successo, poiché le scarse unità delle SS e della polizia messe a mia disposizione bastano a stento per assicurare i rifornimenti necessari per il fronte meridionale, impegnato in duri combattimenti, sul lungo tratto che si snoda per due terzi dell'Italia, davanti ai costanti, crescenti atti di sabotaggio da parte di numerosi partigiani.
Come già le ho reso noto in diversi miei rapporti quindicinali, ho da fare in questo, non soltanto con i 39.000 prigionieri di guerra jugoslavi, che sono evasi dai campi di prigionia lasciati insorvegliati dagli italiani e sono andati sulle montagne, ma anche con truppe scelte regolari di bersaglieri e di alpini del regio esercito italiano, che non vollero accettare d'essere prigioniere dei tedeschi. A questo si aggiungono ancora, ovunque, unità partigiane socialiste e comuniste in gruppi regionali e compatti; complessivamente, al momento attuale, dai 150.000 a 200.000 uomini circa, che io posso tenere a bada soltanto a fatica.
Per di più il comandante in capo delle SS del Reich, in conseguenza della difficile situazione bellica, non può trasferire in Italia, entro un termine prevedibile, rinforzi delle SS o della polizia e le mie nuove formazioni improvvisate non sono ancora pronte all'azione; io, sono, è vero, in base alle forze, in grado di eseguire il suo "ordine Vaticano" fulmineamente con successo, mio Fuhrer, ma non sono in grado, dopo di ciò, con le mie forze insufficienti, di costringere stabilmente alla calma la popolazione italiana che reagirà, sicuramente, con indignazione contro la nostra mossa, e di garantire al feldmaresciallo Kesselring i rifornimenti dei quali ha bisogno. Dagli accertamenti frattanto compiuti, devo, in tal caso, prevedere grossi scioperi e dimostrazioni di massa, che potrò reprimere con la forza delle armi, ma che porteranno poi alla paralisi dell'industria bellica e della produzione in genere per noi tanto importanti, modificando con ciò a nostro sfavore la situazione generale in Italia. Se lei, invece, rinuncia all'esecuzione del suo "piano Vaticano", le posso - anche con le sole forze attualmente a mia disposizione - garantire tranquillità e ordine nei territori che si trovano alle spalle del nostro esercito in Italia, purché lei mi permetta di intervenire con forza e decisione là dove è assolutamente necessario per salvare la nostra faccia e mi conceda in tutto il resto, tacitamente, il permesso di continuare possibilmente la mia politica della mano leggera in Italia, che, in fin dei conti, dopo la reintegrazione del duce, è di nuovo un paese a noi alleato".
Hitler: (il quale inizialmente aveva ascoltato il mio rapporto con la fronte corrugata e con evidente disapprovazione, poi, invece, con interesse e con un certo sollievo): "La ringrazio Wolff per il suo rapporto obiettivo. Questi particolari mi riescono, in gran parte, nuovi e richiedono perciò un'accurata valutazione del pro e del contro. Che cosa consiglierebbe lei, come esperto della questione italiana?".
Wolff: "Rinuncerei all'esecuzione del "progetto Vaticano", nato da una comprensibile irritazione per il tradimento Badoglio, e sceglierei perciò la seconda, positiva soluzione. A mio giudizio, un'occupazione del Vaticano e la deportazione del papa, porterebbero ad una reazione estremamente negativa per noi, da parte sia dei cattolici tedeschi in patria ed al fronte, come di tutti i cattolici nel resto del mondo e negli Stati neutrali: reazioni che non sarebbero in alcun rapporto con il transitorio vantaggio dell'eliminazione del Vaticano dalla politica e del bottino degli archivi vaticani e dei tesori d'arte. In ciò si dovrebbe anche tener presente che, presumibilmente, nel futuro, potremmo, forse, servirci a nostro vantaggio delle autorevoli relazioni che l'attuale papa ha in tutto il mondo, se noi, contrariamente alle sue aspettative, non sfruttiamo il suo attuale stato di emergenza, ma accondiscendiamo, invece, persino ai suoi desideri occasionali e, possibilmente, gli siamo di aiuto. Mio Fuhrer, la prego con la massima devozione, mi conceda la fiducia che io risolva positivamente l'attuale problema vaticano a modo mio. Il risultato mi darà ragione e la libererà dalle sue preoccupazioni per i rifornimenti e per la tranquillità e la sicurezza nel teatro di guerra italiana".
Hitler: (sorridente): "Va bene, Wolff, faccia ciò che lei ritiene opportuno come esperto della questione italiana, ma non dimentichi che dovrò ritenerla responsabile, qualora lei non potesse realizzare la sua promessa di "garanzia" ottimistica. Buona fortuna, Wolff! ".
Wolff: "Devotissimo grazie, mio Fuhrer".

 

Un secondo teste a favore di Wolff si chiama Franz Spoegler, nel 1943 Oberstuermfuehrer (tenente) delle Waffen SS; costui era all'epoca ufficiale di collegamento tra Mussolini con la sua scricchiolante Repubblica di Salò da una parte e l'ambasciatore Rahn e il generale Wolff dall'altra. Spoegler ha raccontato (cfr. Alto Adige, 2 e 3 giugno 1973) che l'atteggiamento temporeggiatore di Wolff rispetto all'Aktion Papst aveva suscitato dei sospetti nelle alte sfere naziste e che Himmler aveva deciso di far spiare Wolff per scoprire se dietro le sue tergiversazioni si nascondesse del sabotaggio. Fu scelto a tale scopo un capitano delle SS di nome Weisse che si recò in Italia e individuò in Spoegler, allora intercettatore telefonico a Verona, quartier generale nazista in Italia, la persona adatta. Weisse faticò non poco a convincere che l'uomo da sorvegliare era nientemeno che Wolff, numero uno in Italia; è proprio in tale contesto che Weisse gli confidò che “il Fuhrer doveva prendere sotto la sua protezione il Papa e i cardinali”. “Innanzitutto spiegò Weisse, cui probabilmente Himmler aveva parlato dell'insano progetto, all'incredulo Spoegler agli occhi del mondo apparirà che Pio XII ha scelto liberamente la sede provvisoria del Liechtenstein, per allontanarsi dal teatro della guerra. E poi lei pensa che russi, americani od inglesi tollererebbero all'interno delle zone da loro controllate l'esistenza palese ed indisturbata di un covo di cospirazione?”. Qualche tempo dopo, verso il dicembre 1943 cioè proprio quando Wolff era riuscito a far recedere Hitler dal suo pazzesco progetto Spoegler ricorda di aver intercettato una telefonata fra Wolff ed un colonnello delle SS in cui quest'ultimo disse: “Meno male che quella brutta faccenda di Roma è rientrata”. Spoegler non comunicò a Berlino il compromettente colloquio. Wolff e Spoegler si incontrarono dopo la guerra ed il generale confidò all'ex tenente sudtirolese che sapeva di essere sotto controllo e che aveva tremato non poco quando l'incauto colonnello si era espresso in quei termini.
(tratto da http://fbertoldi.free.fr, consultato nel 2008, poi rimosso da internet ).

Diversi storici negano l'attendibilità di questa versione e ritengono che Hitler non abbia mai ordinato il rapimento di Pio XII.

Giorgio Angelozzi Gariboldi riporta al proposito due interessanti documenti (op. cit. pag. 220 e 221).

Il primo è un passo di una lettera del 6 giugno 1983 di Eugen Dollmann, rappresentante fiduciario di Himmler in Italia, indirizzata allo stesso Angelozzi Gariboldi:

"Non ho mai saputo, non ho mai creduto a questo piano... Il "generale" Wolff non mi ha mai detto nulla al riguardo... Wolff ha sempre sostenuto la tesi che almeno Himmler aveva l'intenzione, in certe circostanze, di sequestrare il papa e di trasportarlo in Germania come ostaggio, insieme con le personalità più importanti del Vaticano. "

Il secondo è un passo di una lettera del 1 giugno 1983 del dott. Eitel Moellhausen, stretto collaboratore dell'ambasciatore del Terzo Reich in Italia (Rahn) dal1943 al 1944, indirizzata sempre allo stesso Angelozzi Gariboldi:

"E' difficile dire se il colloquio fra Wolff e il Fuhrer abbia avuto luogo e tanto meno stabilire il suo contenuto. Bisogna tener presente che Wolff oggi (nel 1983, ndr) ha 83 anni e che la memoria lo può tradire e non bisogna neppure sottostimare il suo desiderio di passare alla storia come uomo "ragionevole e disponibile", "malgrado la divisa che indossava". Personalmente posso testimoniare che nel periodo nel quale ho visto operare Wolff, l'ho sempre visto propenso a gettare acqua sul fuoco, desideroso di arrangiare le cose piuttosto che inasprirle... Non posso essere d'accordo con lei sulla supposizione che Hitler avrebbe affidato l'operazione in segreto alle SS, senza sentire il parere di nessun'altra istanza. Hitler non era Gengis Khan: aveva bisogno dei suoi generali della Wehrmacht, dei suoi ministri, dell'opinione pubblica, dei suoi ambasciatori. Quindi una faccenda del genere, Hitler non l'avrebbe mai attuata senza sentire almeno il parere del ministro degli Esteri, del plenipotenziario del Terzo Reich in Italia (Rahn), del feldmaresciallo Kesselring, responsabile dell'intero fronte Sud. Oltre che di Wolff, s'intende... Il punto che mi lascia più perplesso, invece, è un altro e, precisamente, che non credo che la "deportazione del papa" potesse essere un problema da discutere tra il Fuhrer ed un suo generale, foss'anche un fedelissimo SS... Penso che con un po' di buon senso, non si possa dare a questo "supposto colloquio" un valore eccessivo o comunque di documentazione storica. Sono sempre stato convinto che un atto così grave ed una "sciocchezza", come quella di deportare il papa, il Terzo Reich non l'avrebbe mai commessa, tanto meno in un momento in cui la guerra era già virtualmente persa."

All' opposto, Andrea Tornielli scrive:

"In una lettera riservatissima inviata nel settembre 1944 dal federale fascista di Como Paolo Porta al federale fascista di Milano, Vincenzo Costa, si accenna al piano che poi i tedeschi non furono in grado di attuare. "In tutta l'Italia non occupata", scrive Porta, "vennero aumentati i massacri, le deportazioni, le torture agli israeliti, gli incendi alle sinagoghe, le profanazioni di cimiteri. Ciò, oltre che rientrare nel normale programma di distruzione del potere israelita, tendeva a provocare il Papa e la Chiesa cattolica al fine di farli intervenire direttamente in difesa degli Ebrei". "Gli elementi germanici dei reparti dell'8° Divisione di Cavalleria "Florian Geyer" delle SS sarebbero stati vestiti con uniformi italiane catturate l'8 settembre, armati di armi italiane e quindi lanciati di notte contro la Città del Vaticano come se fossero dei partigiani decisi a liberare il Papa, ma nel contempo essi avrebbero cominciato il massacro del clero. Subito sarebbero intervenuti i reparti già pronti e portati dal fronte della "Panzerdivision Hermann Goring" e paracadutisti che avrebbero ammazzato fino all'ultimo le SS camuffate da italiani; per far perdere le testimonianze poi avrebbero terminato il massacro. Se poi il Papa si fosse miracolosamente salvato sarebbe stato deportato in Germania per... salvarlo".
Il piano, sempre secondo il federale Porta, era denominato "Rabat-Fohn", era stato messo a punto da Himmler ed era stato passato agli ufficiali del comando di via Tasso per l'attuazione. La fonte di Porta era "un intimo amico", capo di Stato Maggiore delle SS, con tutta probabilità il generale Hans Leyers, che aveva un'amante proprio sul lago di Como." (Tornielli 2001, pag. 304)

 

 

Prima o poi Pio XII sarà Beato

Ne è convinto padre Gumpel, postulatore della Causa di beatificazione di papa Pacelli, nonostante gli ostacoli che finora hanno rallentato il processo e impedito la firma del decreto


Di Federico Cenci


ROMA, 26 Giugno 2014 (Zenit.org)

 "Al povero Pio XII è stato detto di tutto". L'osservazione è di papa Francesco, rilasciata al giornale spagnolo La Vanguardia due settimane fa. Anche l'attuale Pontefice riconosce così che il suo predecessore che si trovò a sedere sul soglio di Pietro negli anni turbolenti della Seconda Guerra Mondiale e dell'occupazione di Roma, è vittima di un giudizio storico sommario e persino fallace. Ma a quali manovre vanno attribuite queste mistificazioni intorno alla figura di Pio XII? Soprattutto, si tratta di manovre che hanno rallentato il processo di Beatificazione del Papa che "in mezzo a San Lorenzo spalancò le ali"? E ora, a che punto si trova il processo? A queste e ad altre domande risponde nell'intervista che segue padre Peter Gumpel, gesuita, nominato nel 1983 relatore della Causa di Beatificazione di Pio XII.



Padre Gumpel, secondo la vulgata, Pio XII fu un pontefice freddo, ieratico, distaccato dai fedeli. Lei che lo ha conosciuto di persona, cosa può dirci in proposito?
Padre Gumpel: "Io ho conosciuto e incontrato varie volte in udienza privata Pio XII, fin da quando ero un giovanissimo insegnante di filosofia al Pontificio Collegio Germanico. Il primo incontro avvenne poiché fui convocato da lui, il quale voleva ringraziarmi di persona per un piccolo lavoro d'archivio che avevo svolto su sua richiesta. Fui accolto con una semplicità assoluta - senza tutti i formalismi che oggi vengono attribuiti a quell'epoca della Chiesa -, fui messo a mio agio sin da subito. Inoltre l'impressione che Pio XII trasmetteva era quella di una persona profondamente spirituale. Questo è ciò che posso dire facendo appello alla mia esperienza personale. Ma poi ci sono una serie di abitudini nel modo di relazionarsi con i fedeli da parte di Pio XII che confermano questa mia impressione. Per esempio lui usava svolgere udienze pubbliche in mezzo alla gente, in alcune grandi sale del Palazzo Apostolico che contenevano circa mille persone. Non faceva lunghi discorsi, piuttosto preferiva mischiarsi tra la folla e parlare con loro, accoglieva le richieste e confessava chi ne avesse bisogno. Come si può dire di un Papa del genere che fosse freddo, ieratico, distaccato? Si tratta di considerazioni costruite artificialmente, su basi ideologiche e lontane dalla realtà dei fatti."

Coloro che hanno costruito queste considerazioni sono forse gli stessi che considerano Pio XII espressione di una Chiesa arcaica, ultimo Papa pre-conciliare e dunque divergente dai suoi successori…
Padre Gumpel: "Pio XII fu piuttosto un precursore del Concilio Vaticano II. Le cito a tal proposito un documento scritto per l'università di Marsiglia da padre Paolo Molinari (postulatore della Causa di beatificazione di Pio XII, ndr): Le presence de Pie XII au Concile Vatican II. Padre Molinari era membro della Commissione teologica del Concilio, pertanto poteva parlare di questo tema con grande competenza. Ebbene, egli confuta tutte le tesi circa la discontinuità tra Pio XII e Giovanni XXIII. Il lavoro di padre Molinari evidenzia che nei documenti del Concilio esistono 219 note con riferimenti alla dottrina di Pio XII: nessun autore è stato più citato di lui, né Sant'Agostino, né San Tommaso d'Aquino, nessun altro Padre della Chiesa. E non è tutto. Negli atti del Concilio sono presenti 1663 citazioni di Pio XII. Ciò che mi chiedo è: le persone che ritengono vi sia stata frattura dottrinale tra Pio XII e i suoi successori, hanno mai studiato questi documenti? Non credo, forse non hanno la conoscenza del latino e la competenza teologica per poterlo fare…"

Il suo lavoro per la Causa di Beatificazione di Pio XII è finito da tempo. A suo avviso quanto c'è ancora da attendere prima che papa Pacelli sia iscritto nell'albo dei Beati?
Padre Gumpel: "La Causa di Beatificazione per un "confessore" (colui che ha testimoniato la sua fede durante la vita terrena) segue una procedura molto meticolosa per documentare che il candidato abbia vissuto in modo esemplare e coerente al Vangelo. Procedura che si è svolta regolarmente nel caso di Pio XII. Abbiamo convocato e ascoltato 98 testimoni che l'hanno conosciuto in vari periodi della sua vita. Dopo di che io, che ero il relatore della Causa, ho raccolto e esaminato tutti i documenti presenti nell'Archivio vaticano. Successivamente, gli stessi documenti sono stati sottoposti a una commissione di storici che ha dovuto valutare, in mia presenza, se il materiale era esauriente, autentico, probativo. E ancora, la questione è passata poi a 9 teologi che hanno documentato che Pio XII ha esercitato tutte le virtù necessarie per la Beatificazione. A fine processo, come prassi, si è dovuta esprimere una commissione di 13 tra cardinali e vescovi di nazioni diverse, i quali hanno dato parere positivo su tutto l'iter di Beatificazione. Non solo, essi hanno pure espresso una raccomandazione al Papa, che era Benedetto XVI, affinché firmasse subito il decreto di approvazione. Firma che tuttavia non è avvenuta, non perché il Papa mettesse in dubbio le virtù di Pio XII, piuttosto - e ciò è comprensibile, in quanto tedesco - per non aver beghe con gli ebrei."

È giusto dunque attribuire all'intervento di alcuni settori del mondo ebraico il rallentamento della Causa?
Padre Gumpel: "Anzitutto sottolineo che è molto opportuno parlare di alcuni settori e non della totalità degli ebrei. Come in tutti i grandi gruppi, si trovano persone eminenti, altre molto buone, altre mediocri e altre ancora che sono "mele marce". Questo vale per gli ebrei e per qualunque altro gruppo. Fatta questa premessa, aggiungo che comprendo che gli ebrei avrebbero voluto una presa di posizione esplicita di Pio XII contro le deportazioni naziste. Ma a tal riguardo posso raccontare una mia personale esperienza. Io nel 1942 ero in Olanda, esiliato dalla Germania per motivi politici. Essendo un ragazzo cattolico, il 26 luglio 1942 andai alla Messa domenicale e con mia grande meraviglia ascoltai la lettera pastorale dell'unico Arcivescovo olandese, mons. De Jong, che attaccava duramente l'occupazione tedesca dell'Olanda. La mia reazione spontanea fu duplice: dapprima apprezzai il coraggio di questo presule, in un secondo momento tuttavia compresi che un simile gesto avrebbe provocato una risposta dei nazisti. Ebbene, pochi giorni dopo, il 2 agosto, la Germania attuò un'accelerazione della deportazione degli ebrei dall'Olanda, inserendo nella lista anche quegli ebrei battezzati, tra i quali si ricordano Edith Stein e sua sorella. Alla luce di questa esperienza possiamo affermare che una simile protesta non ha salvato la vita di un solo ebreo, anzi ha avuto un effetto controproducente. Pio XII ne era a conoscenza, perciò decise di agire prudentemente."

Prudenza che molti interpretano come una connivenza tra Pio XII e il Terzo Reich…
Padre Gumpel: "Anni fa è stato pubblicato negli Stati Uniti un libro che raccoglie contributi di grandi professori, edito da Joseph Buttom, persona liberale, che non è sospettabile di simpatie filo-cattoliche. Il volume, che s'intitola The Pius War, afferma che i difensori di Pio XII hanno vinto ogni singola battaglia, sfatando ogni opposizione, però non hanno ancora vinto la guerra. E per vincere la guerra, aggiungo io, c'è bisogno dei mezzi d'informazione. Uno dei più grandi storici tedeschi, il prof. Konrad Repgen, mi scrisse in un'occasione che il lavoro meticoloso di noi storici è diffuso solo tra gli specialisti, mentre le masse "bevono" quanto gli viene propinato dai media, dove anche il primo idiota (come dice una citazione che mi è rimasta impressa) che racconta le più grosse stupidaggini, se le ripete più volte e attraverso canali a larga diffusione, diventa credibile alle orecchie della gente. A mio avviso l'opinione pubblica oggi è totalmente in mano a gruppi che sono ostili alla Chiesa, dunque anche a Pio XII."

È recentemente stato pubblicato un libro su un presunto progetto di Hitler per catturare Pio XII e deportarlo in Germania. Lei cosa sa di questa vicenda?
Padre Gumpel: "Sono convinto che sia vero. Nell'ambiente tedesco a Roma, durante l'occupazione, circolava questa voce con una certa insistenza. Esiste la testimonianza di Nikolaus Kunkel, giovane tenente tedesco della sede del governatore militare di Roma, che rivela come si attendesse da un momento all'altro l'ordine di invadere il Vaticano. Non è la sola testimonianza da parte tedesca. C'è poi quella del generale Karl Wolff, Comandante supremo delle SS nel nord Italia, che ha rivelato direttamente a me e padre Molinari la questione. Sotto giuramento, affermò che ricevette personalmente da Hitler l'ordine di invadere il Vaticano e che riuscì però a sabotarlo. Molti pensano che lo disse per "lavarsi" la coscienza, ma a mio avviso invece fu una dichiarazione attendibile. In base a una mia esperienza personale, posso affermare che Wolff non era un criminale e nemmeno un bugiardo."

Nell'intervista rilasciata a La Vanguardia, papa Francesco si esprime espressamente a favore di Pio XII condannando le calunnie rivolte contro la sua figura. Come interpreta quest'atteggiamento?
Padre Gumpel: "In un'altra intervista sullo stesso tema il Pontefice ha affermato che manca il miracolo per poter firmare il decreto per Pio XII. Affermazione che francamente mi lascia un po' perplesso, in quanto l'attuale Papa ha sempre avuto grande devozione verso il primo sacerdote della Compagnia del Gesù, Pietro Favre, il cui processo di Beatificazione ha seguito una procedura anomala, ossia equipollente. Ciò vuol dire essenzialmente che esclude la necessità del miracolo. Di Beatificazioni avvenute senza miracolo ce ne sono del resto molte."

Crede che assisterà mai alla Beatificazione di Pio XII?
Padre Gumpel: "Francamente non lo so, perché non sono un profeta… Personalmente sono però convinto che prima o poi si arriverà alla Beatificazione di Pio XII. Da storico posso constatare che spesso gli uomini di rilievo, subito dopo la loro morte, suscitano grandi reazioni negative. È solo nel corso del tempo, quando gli animi si raffreddano, che si compie una graduale rivalutazione."

 

 

NEW YORK, venerdì, 28 maggio 2010 (ZENIT.org)

 La Pave the Way Foundation ha avviato un progetto di recupero di documenti per mostrare tutte le informazioni e le testimonianze possibili sul pontificato di Pio XII, il Papa della Seconda Guerra Mondiale, così da porre fine all'"impasse" accademica provocata dalla mancanza di informazioni pubbliche.
Nuove scoperte hanno portato alla luce documenti e testimonianze che mostrano chiaramente che il 16 ottobre 1943 fu la scelta del Papa di non denunciare pubblicamente l'arresto degli ebrei romani a salvare la vita di molti membri della comunità ebraica di Roma.
Esiste una dichiarazione giurata del 1972 del generale Karl Wolff, comandante delle SS per l'Italia e vice di Heinrich Himmler, che afferma che nel settembre 1943 Adolf Hitler ordinò di predisporre un piano per invadere il Vaticano, sequestrare il Papa, incamerare i beni vaticani e uccidere la Curia Romana. Il piano sarebbe stato messo in pratica tempestivamente.
Il generale Wolff sapeva che se l'invasione fosse stata attuata si sarebbero verificati gravi disordini in tutta Europa, il che avrebbe rappresentato un disastro militare per lo sforzo bellico tedesco. Il generale dichiarò di essere riuscito a convincere Hitler a rinviare l'invasione. Questo punto di vista di un potenziale disastro militare era condiviso dal governatore militare di Roma, il generale comandante Rainer Stahel, e dall'ambasciatore tedesco presso la Santa Sede, Ernst von Weizsacker.
Pio XII era a conoscenza del piano di invasione ed era conscio che la sua esecuzione avrebbe portato a grandi disordini, che avrebbero potuto provocare migliaia di vittime innocenti. Inoltre la neutralità vaticana sarebbe stata violata, permettendo così alle forze tedesche di entrare in tutte le proprietà del Vaticano. Esistono atti manoscritti secondo cui il 6 settembre 1943 Pio XII riunì segretamente i Cardinali per comunicare loro che il Vaticano avrebbe potuto essere invaso, e che egli sarebbe stato portato al nord e probabilmente assassinato. I Cardinali dovevano prepararsi a fuggire subito in un Paese neutrale, non appena il territorio del Vaticano fosse stato invaso.
Firmò anche una lettera di rinuncia e la pose sulla sua scrivania. Diede istruzioni ai Cardinali perché, una volta in salvo, formassero un Governo in esilio e scegliessero un nuovo Papa. C'è una lettera manoscritta del Segretario di Stato che ordinava alle Guardie Svizzere di non resistere alle forze d'invasione tedesche con la forza delle armi, e molti documenti spiegano come avrebbero dovuto proteggere la Biblioteca Vaticana e il contenuto del museo.
Durante questo periodo, von Weizsäcker inviò a Berlino messaggi positivi ingannevoli sul Papa per calmare Hitler, per non giustificare un ordine di invasione. Alcuni critici di Pio XII hanno basato erroneamente le proprie teorie relative alla complicità e alla collaborazione del Papa su questi cablogrammi, che l'assistente di von Weizsäcker, Albrecht von Kessel, definì in seguito "bugie tattiche".
Esiste una testimonianza del tenente Nikolaus Kunkel, un ufficiale tedesco della sede del governatore militare di Roma, che corrobora le prove documentate e le testimonianze su come Pio XII abbia salvato direttamente la comunità ebraica romana, e che rivela come si attendesse da un giorno all'altro l'ordine di invasione da Berlino.
Quando iniziarono gli arresti la mattina del 16 ottobre 1943, Pio XII venne avvertito dalla principessa Enza Pignatelli Aragona Cortes. Si mise subito in azione per costringere i tedeschi a fermare le detenzioni. Chiamò il Segretario di Stato vaticano, il Cardinal Maglione, e gli diede istruzioni per lanciare una decisa protesta contro gli arresti. Il porporato avvertì von Weizsäcker quella mattina stessa del fatto che il Papa non poteva restare in silenzio, visto che gli ebrei venivano arrestati proprio sotto le sue finestre, nella sua Diocesi. Pio XII inviò allora suo nipote, Carlo Pacelli, a incontrare un simpatizzante della Germania, il Vescovo Alois Hudal, ordinandogli di scrivere una lettera ai suoi contatti tedeschi per fermare immediatamente gli arresti.
Anche questa mossa risultò priva di efficacia. L'ultimo sforzo di Pio XII, quello che ebbe maggior successo, fu inviare il suo confidente, il Superiore Generale dei Salvatoriani, padre Pankratius Pfeiffer, perché incontrasse direttamente il governatore militare di Roma, il generale Stahel. Padre Pfeiffer avvertì Stahel che il Papa avrebbe lanciato una protesta forte e pubblica contro questi arresti se non si fossero fermati. Il timore che la protesta pubblica provocasse l'ordine di Hitler di invadere la Santa Sede spinse Stahel ad agire.
Il generale telefonò subito a Heinrich Himmler e inventò delle ragioni militari per fermare gli arresti. Confidando nelle valutazioni di Stahel, Himmler avvisò Hitler di bloccare le detenzioni. L'ordine di fermare gli arresti venne comunicato a mezzogiorno del 16 ottobre, e divenne effettivo alle 14.00 di quello stesso giorno.
Questa sequenza di fatti è stata confermata in modo indipendente dal generale Dietrich Beelitz, ufficiale di collegamento con l'ufficio del maresciallo da campo Albert Kesselring e il comando di Hitler. Beelitz ascoltò personalmente la conversazione tra Stahel e Himmler. Quando emerse l'inganno di Stahel, Himmler punì il generale inviandolo sul fronte orientale.
Si sa che in Vaticano c'erano delle spie infiltrate. Il Papa poteva inviare solo sacerdoti di fiducia e confidenti per Roma e l'Italia, con ordini verbali e scritti del Papa di permettere a uomini e donne di entrare nei conventi e nei monasteri cattolici, e ordinando che tutte le istituzioni ecclesiastiche nascondessero gli ebrei dove potevano.
Secondo il celebre storico britannico sir Martin Gilbert, il Vaticano nascose migliaia di ebrei letteralmente in un giorno. Dopo averli nascosti, continuò a nutrire e a mantenere i suoi "ospiti" fino alla liberazione di Roma, il 4 giugno 1944.
Documenti di Berlino e del processo ad Eichmann in Israele mostrano anche che gli 8.000 ebrei romani che dovevano essere arrestati non sarebbero stati spediti ad Auschwitz ma nel campo di lavoro di Mauthausen, dove sarebbero rimasti come ostaggi. Quest'ordine venne tuttavia revocato in seguito da persone sconosciute, e 1.007 ebrei vennero mandati a morire ad Auschwitz. Ne sopravvissero solo 17. Ci sono persone che criticano Pio XII per non aver salvato quelle 1.007 persone, ma tacciono sulle sue azioni dirette, che portarono al salvataggio di una comunità ebraica, quella romana, vecchia di oltre 2.000 anni.
Di recente è stato scoperto negli archivi nordamericani che gli Alleati avevano decifrato i codici tedeschi e sapevano con una settimana d'anticipo dell'intenzione di arrestare gli ebrei di Roma. Decisero di non avvisare i romani perché questo avrebbe potuto mettere in guardia i tedeschi su questa falla nel loro servizio di intelligence. Questa "decisione militare" lasciò Pio XII solo, senza avvisi previ, a cercare di porre fine agli arresti.
Parlando di Papa Pio XII, il maggiore esperto ebreo sull'Olocausto in Ungheria, Jeno Levai, ha dichiarato che è "particolarmente deplorevole il fatto che l'unica persona in tutta l'Europa occupata che agì più di tutti gli altri per frenare il terribile crimine e mitigarne le conseguenze sia diventata oggi il capro espiatorio degli insuccessi altrui".

Gary Krupp è il fondatore della Pave the Way Foundation (PTWF), un'organizzazione la cui missione è quella di individuare e cercare di eliminare gli ostacoli tra le religioni e di avviare azioni positive per migliorare le relazioni interreligiose.

 

 

 

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