Parole di amore,
d'incoraggiamento e di conforto.
1. La solennità della Pentecoste, glorioso natale della Chiesa di
Cristo, è all'animo Nostro, diletti figli dell'universo intero, un dolce
e propizio invito fecondo di alto ammonimento, per indirizzarvi, tra le
difficoltà e i contrasti dei tempi presenti, un messaggio di amore
d'incoraggiamento e di conforto. Vi parliamo in un momento, in cui tutte
le energie e forze fisiche e intellettuali di una porzione sempre
crescente dell'umanità stanno, in misura e con ardore non mai prima
conosciuti, tese sotto la ferrea inesorabile legge di guerra: e da altre
parlanti antenne volano accenti pregni di esasperazione e di acrimonia, di
scissione e di lotta.
2. Ma le antenne del Colle Vaticano, della terra consacrata a
centro intemerato della Buona Novella e della sua benefica diffusione nel
mondo dal martirio e dal sepolcro del primo Pietro, non possono
trasmettere se non parole che s'informano e si animano dello spirito
consolatore della predica, di cui alla prima Pentecoste per la voce di
Pietro risonò e si commosse Gerusalemme; spirito di ardente amore
apostolico, spirito che non sente brama più viva e gioia più santa di
quella di tutti condurre, amici e nemici, ai piedi del Crocifisso del
Golgota, al sepolcro del glorificato Figlio di Dio e Redentore del genere
umano, per convincere tutti che solo in lui, nella verità da lui
insegnata, nell'amore di lui, benefacendo e sanando tutti, dimostrato e
vissuto fino a far sacrificio di sé per la vita del mondo, si può
trovare verace salvezza e duratura felicità per gl'individui e per i
popoli.
3. In quest'ora, gravida di eventi in potere del consiglio divino,
che regge la storia delle nazioni e veglia sulla Chiesa, è per Noi gioia
e soddisfazione intima, nel far sentire a voi, diletti figli, la voce del
Padre comune, il chiamarvi quasi ad una breve e universale adunata
cattolica, affinché possiate sperimentalmente provare nel vincolo della
pace la dolcezza del cor unum e dell'anima una, (cf. At 4,32) che
cementava, sotto l'impulso dello Spirito divino, la comunità di
Gerusalemme nel dì della Pentecoste. Quanto più le condizioni, originate
dalla guerra, rendono in molti casi difficile un contatto diretto e vivo
tra il Sommo Pastore e il suo gregge, con tanta maggior gratitudine
salutiamo il rapidissimo ponte di unione, che il genio inventivo dell'età
nostra lancia in un baleno attraverso l'etere collegando oltre monti, mari
e continenti ogni angolo della terra. E ciò che per molti è arma di
lotta, si trasforma per Noi in strumento provvidenziale di apostolato
operoso e pacifico, che attua e innalza a un significato nuovo la parola
della Scrittura: "In omnem terram exivit sonus eorum; et in fines
orbis terrae verba eorum" (Sal 18,5; Rm 10,18). Così pare che si
rinnovi il gran miracolo della Pentecoste, quando le diverse genti dalle
regioni di altre lingue convenute in Gerusalemme ascoltavano nel loro
idioma la voce di Pietro e degli Apostoli. Con sincero compiacimento Ci
serviamo oggi di un tal mezzo meraviglioso, per attirare l'attenzione del
mondo cattolico sopra una ricorrenza, meritevole di essere a caratteri
d'oro segnata nei fasti della Chiesa: sul cinquantesimo anniversario,
cioè, della pubblicazione, avvenuta il 15 maggio 1891, della fondamentale
enciclica sociale Rerum novarum di Leone XIII.
Diritto della Chiesa di
intervenire nelle questioni sociali
4. Mosso dalla convinzione profonda che alla Chiesa compete non
solo il diritto, ma ancora il dovere di pronunziare una parola autorevole
sulle questioni sociali, Leone XIII diresse al mondo il suo messaggio. Non
già che egli intendesse di stabilire norme sul lato puramente pratico,
diremmo quasi tecnico, della costituzione sociale; perché ben sapeva e
gli era evidente - e il nostro predecessore di s. m. Pio XI lo ha
dichiarato or è un decennio nella sua enciclica commemorativa
Quadragesimo anno - che la Chiesa non si attribuisce tale missione.
Nell'ambito generale del lavoro, allo sviluppo sano e responsabile di
tutte le energie fisiche e spirituali degl'individui e alle loro libere
organizzazioni si apre un vastissimo campo di azione multiforme, dove il
pubblico potere interviene con una sua azione integrativa e ordinativa,
prima per mezzo delle corporazioni locali e professionali, e infine per
forza dello Stato stesso, la cui superiore e moderatrice autorità sociale
ha l'importante ufficio di prevenire i perturbamenti di equilibrio
economico sorgenti dalla pluralità e dai contrasti degli egoismi
concorrenti, individuali e collettivi.
5. È invece inoppugnabile competenza della Chiesa, in quel lato di
ordine sociale dove si accosta ed entra a toccare il campo morale, il
giudicare se le basi di un dato ordinamento sociale siano in accordo con
l'ordine immutabile, che Dio creatore e redentore ha manifestato per mezzo
del diritto naturale e della rivelazione: doppia manifestazione, alla
quale si richiama Leone XIII nella sua enciclica. E con ragione: perché i
dettami del diritto naturale e le verità della rivelazione promanano per
diversa via, come due rivi d'acque non contrarie, ma concordi, dalla
medesima fonte divina; e perché la Chiesa, custode dell'ordine
soprannaturale cristiano, in cui convergono natura e grazia, ha da formare
le coscienze, anche le coscienze di coloro, che sono chiamati a trovare
soluzioni per i problemi e i doveri imposti dalla vita sociale. Dalla
forma data alla società, consona o no alle leggi divine, dipende e
s'insinua anche il bene o il male nelle anime, vale a dire, se gli uomini
chiamati tutti ad essere vivificati dalla grazia di Cristo, nelle terrene
contingenze del corso della vita respirino il sano e vivido alito della
verità e della virtù morale o il bacillo morboso e spesso letale
dell'errore della depravazione. Dinnanzi a tale considerazione e
previsione come potrebbe esser lecito alla Chiesa, madre tanto amorosa e
sollecita del bene dei suoi figli, di rimanere indifferente spettatrice
dei loro pericoli, tacere o fingere di non vedere e ponderare condizioni
sociali che, volutamente o no, rendono ardua o praticamente impossibile
una condotta di vita cristiana, conformata ai precetti del Sommo
Legislatore?
6. Consapevole di tale gravissima responsabilità Leone XIII,
indirizzando la sua enciclica al mondo, additava alla coscienza cristiana
gli errori e i pericoli della concezione di un socialismo materialista, le
fatali conseguenze di un liberalismo economico, spesso inconscio o
dimentico o sprezzante dei doveri sociali; ed esponeva con magistrale
chiarezza e mirabile precisione i principi convenienti e acconci a
migliorare - gradatamente e pacificamente - le condizioni materiali e
spirituali dell'operaio.
La "Rerum novarum" e i
suoi benefici effetti
7. Che se, diletti figli, oggi, dopo un cinquantennio dalla
pubblicazione dell'enciclica, voi Ci domandate fino a qual segno e misura
l'efficacia della sua parola corrispose alle nobili intenzioni, ai
pensieri ricchi di verità, ai benefici indirizzi intesi e suggeriti dal
suo sapiente Autore, sentiamo di dovervi rispondere: proprio per rendere a
Dio onnipotente, dal fondo dell'animo Nostro, umili grazie per il dono,
che, or sono cinquant'anni, largì alla Chiesa con quell'enciclica del suo
vicario in terra, e per lodarlo del soffio dello Spirito rinnovatore, che
per essa, da allora in modo sempre crescente, effuse sull'umanità intera.
Noi, in questa solennità della Pentecoste, Ci siamo proposti di
rivolgervi la Nostra parola.
8. Già il nostro Predecessore Pio XI esaltò nella prima parte
della sua enciclica commemorativa la splendida messe, cui aveva maturata
la Rerum novarum, germe fecondo, donde si svolse una dottrina sociale
cattolica, che offrì ai figli della Chiesa, sacerdoti e laici,
ordinamenti e mezzi per una ricostruzione sociale, esuberante di frutti;
sicché per lei sorsero nel campo cattolico numerose e varie istituzioni
benefiche e fiorenti centri di reciproco soccorso in favore proprio e
d'altrui. Quale prosperità materiale e naturale, quali frutti spirituali
e soprannaturali, non sono provenuti agli operai e alle loro famiglie
dalle unioni cattoliche! Quanto efficace e opportuno al bisogno non si è
dimostrato il contributo dei sindacati e delle associazioni in pro del
ceto agricolo e medio per sollevarne le angustie, assicurarne la difesa e
la giustizia, e in tal modo, mitigando le passioni, preservare da
turbamenti la pace sociale!
9. Né questo fu tutto il vantaggio. L'enciclica Rerum novarum,
accostandosi al popolo, che abbracciava con stima e amore, penetrò nei
cuori e nelle menti della classe operaia e vi infuse sentimento cristiano
e dignità civile; a segno tale che la potenza dell'attivo suo influsso
venne, con lo scorrere degli anni, così efficacemente esplicandosi e
diffondendosi, da far diventare le sue norme quasi comune patrimonio della
famiglia umana. E mentre lo Stato, nel secolo decimonono, per soverchio
esaltamento di libertà, considerava come suo scopo esclusivo il tutelare
la libertà con il diritto, Leone XIII lo ammonì essere insieme suo
dovere l'applicarsi alla provvidenza sociale, curando il benessere del
popolo intero e di tutti i suoi membri, particolarmente dei deboli e
diseredati, con larga politica sociale e con creazione di un diritto del
lavoro. Alla sua voce rispose un'eco potente; ed è sincero debito di
giustizia riconoscere i progressi, che la sollecitudine delle autorità
civili di molte nazioni hanno procurato alla condizione dei lavoratori.
Onde ben fu detto che la Rerum novarum divenne la Magna Charta
dell'operosità sociale cristiana.
10. Intanto trascorreva un mezzo secolo, che ha lasciato solchi
profondi e tristi fermenti nel terreno delle nazioni e delle società.
Le questioni, che i mutamenti e rivolgimenti sociali e soprattutto
economici offrivano a un esame morale dopo la Rerum novarum sono state con
penetrante acutezza trattate dal Nostro immediato Predecessore nella
enciclica Quadragesimo anno. Il decennio che la seguì non fu meno ricco
degli anni anteriori per sorprese nella vita sociale ed economica, e ha
versate le irrequiete e oscure sue acque nel pelago di una guerra, che
può avere imprevedibili flutti urtanti l'economia e la società.
11. Quali problemi e quali assunti particolari, forse del tutto
nuovi, presenterà alla sollecitudine della Chiesa la vita sociale dopo il
conflitto che mette a fronte tanti popoli, l'ora presente rende difficile
designare e antivedere. Tuttavia, se il futuro ha radice nel passato, se
l'esperienza degli ultimi anni Ci è maestra per l'avvenire, Noi pensiamo
di servirci dell'odierna commemorazione per dare ulteriori principi
direttivi morali sopra tre fondamentali valori della vita sociale ed
economica; e ciò faremo animati dallo stesso spirito di Leone XIII e
svolgendo le sue vedute veramente, più che profetiche, presaghe
dell'insorgente processo sociale dei tempi. Questi tre valori
fondamentali, che s'intrecciano, si saldano e si aiutano a vicenda, sono:
l'uso dei beni materiali, il lavoro, la famiglia.
Il diritto ai beni materiali
12. L'Enciclica Rerum novarum espone sulla proprietà e sul
sostentamento dell'uomo principi, i quali col tempo nulla hanno perduto
del nativo loro vigore e, oggi dopo cinquant'anni, conservano ancora e
profondono vivificante la loro intima fecondità. Sopra il loro punto
fondamentale, Noi stessi abbiamo richiamata l'attenzione comune nella
Nostra enciclica Sertum laetitiae, diretta ai Vescovi degli Stati Uniti
dell'America del Nord: punto fondamentale, che consiste, come dicemmo,
nell'affermazione della inderogabile esigenza "che i beni, da Dio
creati per tutti gli uomini, equamente affluiscano a tutti, secondo i
principi della giustizia e della carità".
13. Ogni uomo, quale vivente dotato di ragione, ha infatti dalla
natura il diritto fondamentale di usare dei beni materiali della terra,
pur essendo lasciato alla volontà umana e alle forme giuridiche dei
popoli di regolarne più particolarmente la pratica attuazione. Tale
diritto individuale non può essere in nessun modo soppresso, neppure da
altri diritti certi e pacifici sui beni materiali. Senza dubbio l'ordine
naturale, derivante da Dio, richiede anche la proprietà privata e il
libero reciproco commercio dei beni con scambi e donazioni, come pure la
funzione regolatrice del potere pubblico su entrambi questi istituti.
Tutto ciò nondimeno rimane subordinato allo scopo naturale dei beni
materiali, e non potrebbe rendersi indipendente dal diritto primo e
fondamentale, che a tutti ne concede l'uso; ma piuttosto deve servire a
farne possibile l'attuazione in conformità con il suo scopo. Così solo
si potrà e si dovrà ottenere che proprietà e uso dei beni materiali
portino alla società pace feconda e consistenza vitale, non già
costituiscano condizioni precarie, generatrici di lotte e gelosie, e
abbandonate in balia dello spietato giuoco della forza e della debolezza.
14. Il diritto originario sull'uso dei beni materiali, per essere
in intima connessione con la dignità e con gli altri diritti della
persona umana, offre ad essa con le forme sopra indicate una base
materiale sicura, di somma importanza per elevarvi al compimento dei suoi
doveri morali. La tutela di questo diritto assicurerà la dignità
personale dell'uomo, e gli agevolerà l'attendere e il soddisfare in
giusta libertà a quella somma di stabili obbligazioni e decisioni, di cui
è direttamente responsabile verso il Creatore.
Spetta invero all'uomo il dovere del tutto personale di conservare e
ravviare a perfezionamento la sua vita materiale e spirituale, per
conseguire lo scopo religioso e morale, che Dio ha assegnato a tutti gli
uomini e dato loro quale norma suprema, sempre e in ogni caso obbligante,
prima di tutti gli altri doveri.
15. Tutelare l'intangibile campo dei diritti della persona umana e
renderle agevole il compimento dei suoi doveri vuol essere ufficio
essenziale di ogni pubblico potere. Non è forse questo che porta con sé
il significato genuino del bene comune, che lo Stato è chiamato a
promuovere? Da qui nasce che la cura di un tal bene comune non importa un
potere tanto esteso sui membri della comunità, che in virtù di esso sia
concesso all'autorità pubblica di menomare lo svolgimento dell'azione
individuale sopra descritta, decidere sull'inizio o (escluso il caso di
legittima pena) sul termine della vita umana, determinare a proprio
talento la maniera del suo movimento fisico, spirituale, religioso e
morale in contrasto con i personali doveri e diritti dell'uomo, e a tale
intento abolire o privare d'efficacia il diritto naturale ai beni
materiali. Dedurre tanta estensione di potere dalla cura del bene comune
vorrebbe dire travolgere il senso stesso del bene comune e cadere
nell'errore di affermare che il proprio scopo dell'uomo sulla terra è la
società, che la società è fine a se stessa, che l'uomo non ha altra
vita che l'attende fuori di quella che si termina quaggiù.
16. Anche l'economia nazionale, com'è frutto dell'attività di
uomini che lavorano uniti nella comunità statale, così ad altro non mira
che ad assicurare senza interrompimento le condizioni materiali, in cui
possa svilupparsi pienamente la vita individuale dei cittadini. Dove ciò,
e in modo duraturo si ottenga, un popolo sarà, a vero dire,
economicamente ricco, perché il benessere generale e, per conseguenza, il
diritto personale di tutti all'uso dei beni terreni viene in tal modo
attuato conformemente all'intento voluto dal Creatore.
17. Dal che, diletti figli, vi tornerà agevole scorgere che la
ricchezza economica di un popolo non consiste propriamente nell'abbondanza
dei beni, misurata secondo un computo puro e pretto materiale del loro
valore, bensì in ciò che tale abbondanza rappresenti e porga realmente
ed efficacemente la base materiale bastevole al debito sviluppo personale
dei suoi membri. Se una simile giusta distribuzione dei beni non fosse
attuata o venisse procurata solo imperfettamente, non si raggiungerebbe il
vero scopo dell'economia nazionale; giacché, per quanto soccorresse una
fortunata abbondanza di beni disponibili, il popolo, non chiamato a
parteciparne, non sarebbe economicamente ricco, ma povero. Fate invece che
tale giusta distribuzione sia effettuata realmente e in maniera durevole,
e vedrete un popolo, anche disponendo di minori beni, farsi ed essere
economicamente sano.
18. Questi concetti fondamentali, riguardanti la ricchezza e la
povertà dei popoli, Ci sembra particolamente opportuno porre innanzi alla
vostra considerazione oggi, quando si è inclinati a misurare e giudicare
tale ricchezza e povertà con bilance e con criteri semplicemente
quantitativi, sia dello spazio, sia della ridondanza dei beni. Se invece
si pondera rettamente lo scopo dell'economia nazionale, allora esso
diverrà luce per gli sforzi degli uomini di Stato e dei popoli e li
illuminerà a incamminarsi spontaneamente per una via, che non esigerà
continui gravami in beni e in sangue, ma donerà frutti di pace e di
benessere generale.
Il lavoro
19. Con l'uso dei beni materiali voi stessi, diletti figli,
comprendete come viene a congiungersi il lavoro. La Rerum novarum insegna
che due sono le proprietà del lavoro umano: esso è personale ed è
necessario. È personale, perché si compie con l'esercizio delle
particolari forze dell'uomo: è necessario, perché senza di esso non si
può procurare ciò che è indispensabile alla vita, mantenere la quale è
un dovere naturale, grave, individuale.
Al dovere personale del lavoro imposto dalla natura corrisponde e consegue
il diritto naturale di ciascun individuo a fare del lavoro il mezzo per
provvedere alla vita propria e dei figli: tanto altamente è ordinato per
la conservazione dell'uomo l'impero della natura.
20. Ma notate che tale dovere e il relativo diritto al lavoro viene
imposto e concesso all'individuo in primo appello dalla natura, e non già
dalla società, come se l'uomo altro non fosse che un semplice servo o
funzionario della comunità. Dal che segue che il dovere e il diritto a
organizzare il lavoro del popolo appartengono innanzi tutto agli immediati
interessati: datori di lavoro e operai. Che se poi essi non adempiano il
loro compito o ciò non possano fare per speciali straordinarie
contingenze, allora rientra nell'ufficio dello Stato l'intervento nel
campo e nella divisione e nella distribuzione del lavoro, secondo la forma
e la misura che richiede il bene comune rettamente inteso.
21. Ad ogni modo, qualunque legittimo e benefico intervento statale
nel campo del lavoro vuol esser tale da salvarne e rispettarne il
carattere personale, sia in linea di massima, sia, nei limiti del
possibile, per quel che riguarda l'esecuzione. E questo avverrà, se le
norme statali non aboliscano né rendano inattuabile l'esercizio di altri
diritti e doveri ugualmente personali: quali sono il diritto al vero culto
di Dio; al matrimonio; il diritto dei coniugi, del padre e della madre a
condurre la vita coniugale e domestica; il diritto a una ragionevole
libertà nella scelta dello stato e nel seguire una vera vocazione;
diritto quest'ultimo personale, se altro mai, dello spirito dell'uomo ed
eccelso, quando gli si accostino i diritti superiori e imprescindibili di
Dio e della Chiesa, come nella scelta e nell'esercizio delle vocazioni
sacerdotali e religiose.
La famiglia
22. Secondo la dottrina della Rerum novarum, la natura stessa ha
intimamente congiunto la proprietà privata con l'esistenza dell'umana
società e con la sua vera civiltà, e in grado eminente con l'esistenza e
con lo sviluppo della famiglia. Un tal vincolo appare più che
apertamente; non deve forse la proprietà privata assicurare al padre di
famiglia la sana libertà, di cui ha bisogno, per poter adempiere i doveri
assegnatigli dal Creatore, concernenti il benessere fisico, spirituale e
religioso della famiglia?
23. Nella famiglia la nazione trova la radice naturale e feconda
della sua grandezza e potenza. Se la proprietà privata ha da condurre al
bene della famiglia, tutte le norme pubbliche, anzitutto quelle dello
Stato che ne regolano il possesso, devono non solo rendere possibile e
conservare tale funzione - funzione nell'ordine naturale sotto certi
rapporti superiore a ogni altra - ma ancora perfezionarla sempre più.
Sarebbe infatti innaturale un vantato progresso civile, il quale - o per
la sovrabbondanza di carichi o per soverchie ingerenze immediate -
rendesse vuota di senso la proprietà privata, togliendo praticamente alla
famiglia e al suo capo la libertà di perseguire lo scopo da Dio assegnato
al perfezionamento della vita familiare.
24. Fra tutti i beni che possono esser oggetto di proprietà
privata nessuno è più conforme alla natura, secondo l'insegnamento della
Rerum novarum, di quanto è il terreno, il podere, in cui abita la
famiglia, e dai cui frutti trae interamente o almeno in parte il di che
vivere. Ed è nello spirito della Rerum novarum l'affermare che, di
regola, solo quella stabilità, che si radica in un proprio podere, fa
della famiglia la cellula vitale più perfetta e feconda della società,
riunendo splendidamente con la sua progressiva coesione le generazioni
presenti e future. Se oggi il concetto e la creazione di spazi vitali è
al centro delle mete sociali e politiche, non si dovrebbe forse, avanti
ogni cosa, pensare allo spazio vitale della famiglia e liberarla dai
legami di condizione, che non permettono neppure la formazione dell'idea
di un proprio casolare?
25. Il nostro pianeta con tanti estesi oceani e mari e laghi, con
monti e piani coperti di neve e di ghiacci eterni, con grandi deserti e
terre inospite e sterili, non è pur scarso di regioni e luoghi vitali
abbandonati al capriccio vegetativo della natura e ben confacintesi alla
coltura della mano dell'uomo, ai suoi bisogni e alle sue operazioni
civili; e più di una volta è inevitabile che alcune famiglie, di qua o
di là emigrando, si cerchino altrove una nuova patria. Allora, secondo
l'insegnamento della Rerum novarum, va rispettato il diritto della
famiglia ad uno spazio vitale. Dove questo accadrà, l'emigrazione
raggiungerà il suo scopo naturale, che spesso convalida l'esperienza,
vogliamo dire la distribuzione più favorevole degli uomini sulla
superficie terrestre, acconcia a colonie di agricoltori; superficie che
Dio creò e preparò per uso di tutti. Se le due parti, quella che concede
di lasciare il luogo natio e quella che ammette i nuovi venuti, rimarranno
lealmente sollecite di eliminare quanto potrebbe essere d'impedimento al
nascere e allo svolgersi di una verace fiducia tra il paese di emigrazione
e il paese d'immigrazione, tutti i partecipanti a tale tramutamento di
luoghi e di persone ne avranno vantaggio: le famiglie riceveranno un
terreno che sarà per loro terra patria nel vero senso della parola; le
terre di densi abitanti resteranno alleggerite e i loro popoli si
creeranno nuovi amici in territori stranieri; e gli Stati che accolgono
gli emigrati guadagneranno cittadini operosi. Così le nazioni che danno e
gli Stati che ricevono, in pari gara, contribuiranno all'incremento del
benessere umano e al progresso dell'umana cultura.
I fondamenti dell'ordine nuovo
26. Sono questi, diletti figli, i principi, le concezioni e le
norme, con cui Noi vorremmo cooperare fin da ora alla futura
organizzazione di quell'ordine nuovo, che dall'immane fermento della
presente lotta il mondo si attende e si augura che nasca, e nella pace e
nella giustizia tranquilli i popoli. Che resta a Noi, se non nello spirito
di Leone XIII e nell'intento dei suoi nobili ammonimenti e fini, esortarvi
a proseguire e promuovere l'opera, che la precedente generazione dei
vostri fratelli e delle sorelle vostre hanno con si ardimentoso animo
fondata? Non si spenga in mezzo a voi o si faccia fioca la voce insistente
dei due pontefici delle encicliche sociali, che altamente addita ai
credenti nella rigenerazione soprannaturale dell'umanità il dovere morale
di cooperare all'ordinamento della società e, in special modo della vita
economica, accendendo all'azione non meno coloro i quali a tale vita
partecipano che lo Stato stesso. Non è forse ciò un sacro dovere per
ogni cristiano? Non vi sgomentino, diletti figli, le esterne difficoltà,
né vi disanimi l'ostacolo del crescente paganesimo della vita pubblica.
Non vi traggano in inganno i fabbricatori di errori e di malsane teorie,
tristi correnti non d'incremento, ma piuttosto di disfacimento e di
corrompimento della vita religiosa; correnti, le quali pretendono che,
appartenendo la redenzione all'ordine della grazia soprannaturale ed
essendo perciò esclusiva opera di Dio, non abbisogna della nostra
cooperazione sulla terra. Oh misera ignoranza dell'opera di Dio! "Dicentes
enim se esse, sapientes, stulti facti sunt" (Rm 1,22).
Quasi che la prima efficacia della grazia non fosse di corroborare i
nostri sforzi sinceri per adempiere ogni di i comandi di Dio, come
individui e come membri della società; quasi che da due millenni non viva
e perseveri nell'anima della Chiesa il senso della responsabilità
collettiva di tutti per tutti, onde furono e sono mossi gli spiriti fino
all'eroismo caritativo dei monaci agricoltori, dei liberatori di schiavi,
dei sanatori d'infermi, dei portatori di fede, di civiltà e di scienza a
tutte le età e a tutti i popoli, per creare condizioni sociali che solo
valgono per rendere a tutti possibile e agevole una vita degna dell'uomo e
del cristiano. Ma voi, consci e convinti di tale sacra responsabilità,
non siate mai in fondo all'anima vostra paghi di quella generale
mediocrità pubblica in cui il comune degli uomini non possa, se non con
atti eroici di virtù, osservare i divini precetti inviolabili sempre e in
ogni caso.
Una fiamma da alimentare
27. Se tra il proposito e l'attuazione apparve talvolta evidente la
sproporzione; se vi furono falli, comuni del resto a ogni umana attività;
se diversità di pareri nacquero sulla via seguita o da seguirsi, tutto
ciò non ha da far cadere d'animo o rallentare il vostro passo o suscitare
lamenti o accuse; né può far dimenticare il fatto consolante che
dall'ispirato messaggio del pontefice della Rerum novarum scaturì vivida
e limpida una sorgente di spirito sociale forte, sincero, disinteressato;
una sorgente la quale, se oggi potrà venire in parte coperta da una
valanga di eventi diversi e più forti, domani, rimosse le rovine di
questo uragano mondiale, all'iniziarsi il lavoro di ricostruzione di un
nuovo ordine sociale, implorato degno di Dio e dell'uomo, infonderà nuovo
gagliardo impulso e nuova onda di rigoglio e crescimento in tutta la
fioritura della cultura umana. Custodite la nobile fiamma di spirito
sociale fraterno, che, or è mezzo secolo, riaccese nei cuori dei vostri
padri la face luminosa e illuminante della parola di Leone XIII: non
lasciate né permettete che manchi d'alimento e, sfavillando ai vostri
commemorativi ossequi, muoia, spenta da una ignava, schiva e guardinga
indifferenza verso i bisogni dei più poveri tra i nostri fratelli, o
travolta nella polvere e nel fango dal turbinante soffio dello spirito
anticristiano o non cristiano. Nutritela, avvivatela, elevatela,
dilatatela questa fiamma; portatela ovunque viene a voi un gemito di
affanno, un lamento di miseria, un grido di dolore; rinfocatela sempre
nuovamente con l'ardenza di amore attinto al Cuore del Redentore, a cui il
mese che oggi si inizia è consacrato. Andate a quel cuore divino, mite e
umile, rifugio per ogni conforto nella fatica e nel peso dell'azione: è
il cuore di colui, che a ogni opera genuina e pura, compiuta nel suo nome
e nel suo spirito, in favore dei sofferenti, degli angustiati, degli
abbandonati dal mondo e dei diseredati di ogni bene e fortuna, ha promesso
l'eterna ricompensa beatificante: Voi benedetti del Padre mio. Ciò che
avete fatto al più piccolo dei miei fratelli, l'avete fatto a me!
Festa di Pentecoste del 1941.
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