Il
santo Natale e l'umanità dolorante
Con sempre nuova freschezza di letizia
e di pietà, diletti figli dell'universo intero, ogni anno al ricorrere
del Santo Natale, risuona dal presepe di Betlemme all'orecchio dei
cristiani, ripercuotendosi dolcemente nei loro cuori, il messaggio di
Gesù, luce in mezzo alle tenebre; un messaggio che illumina con lo
splendore di celestiali verità un mondo oscurato da tragici errori,
infonde una gioia esuberante e fiduciosa ad un'umanità, angosciata da
profonda e amara tristezza, proclama la libertà ai figli d'Adamo,
costretti nelle catene del peccato e della colpa, promette misericordia,
amore, pace alle schiere infinite dei sofferenti e tribolati, che vedono
scomparsa la loro felicità e spezzate le loro energie nella bufera di
lotta e di odio dei nostri giorni burrascosi.
E i sacri bronzi, annunziatori di tale messaggio in tutti i continenti,
non pur ricordano il dono divino, fatto all'umanità, negli inizi
dell'età cristiana; ma annunziano e proclamano anche una consolante
realtà presente, realtà come eternamente giovane, così sempre viva e
vivificante; realtà della "luce vera, la quale illumina ogni uomo,
che viene in questo mondo" e non conosce tramonto. L'Eterno Verbo,
via, verità e vita, nascendo nello squallore di una grotta e nobilitando
in tal modo e santificando la povertà, così dava inizio alla sua
missione di dottrina, di salute e di redenzione del genere umano, e diceva
e consacrava una parola, che è ancor oggi la parola di vita eterna,
valevole a risolvere i quesiti più tormentosi, insoluti e insolubili da
chi vi porti vedute e mezzi effimeri e puramente umani; quesiti i quali si
affacciano sanguinanti, esigendo imperiosamente una risposta, al pensiero
e al sentimento di una umanità amareggiata ed esacerbata.
Il motto "Misereor super turbam" è per Noi una consegna sacra,
inviolabile, valida e impellente in tutti i tempi e in tutte le situazioni
umane, com'era la divisa di Gesù; e la Chiesa rinnegherebbe se stessa,
cessando di essere madre, se si rendesse sorda al grido angoscioso e
filiale, che tutte le classi dell'umanità fanno arrivare al suo orecchio.
Essa non intende di prendere partito per l'una o l'altra delle forme
particolari e concrete, con le quali singoli popoli e Stati tendono a
risolvere i problemi giganteschi dell'assetto interno e della
collaborazione internazionale, quando esse rispettano la legge divina; ma
d'altra parte, "colonna e base della verità" (1 Tm 3,15) e
custode, per volontà di Dio e per missione di Cristo, dell'ordine
naturale e soprannaturale, la Chiesa non può rinunciare a proclamare
davanti ai suoi figli e davanti all'universo intero le inconcusse
fondamentali norme, preservandole da ogni travolgimento, caligine,
inquinamento, falsa interpretazione ed errore; tanto più che dalla loro
osservanza, e non semplicemente dallo sforzo di una volontà nobile e
ardimentosa, dipende la fermezza finale di qualsiasi nuovo ordine
nazionale e internazionale, invocato con cocente anelito da tutti i
popoli. Popoli, di cui conosciamo le doti di valore e di sacrificio, ma
anche le angustie e i dolori, e ai quali tutti, senza alcuna eccezione, in
quest'ora d'indicibili prove e contrasti. Ci sentiamo legati da profondo e
imparziale e imperturbabile amore e da immensa brama di portare loro ogni
sollievo e soccorso che in qualsiasi modo sia in Nostro potere.
Rapporti internazionali e ordine interno delle nazioni
L'ultimo Nostro Messaggio natalizio esponeva i princìpi, suggeriti dal
pensiero cristiano, per stabilire un ordine di convivenza e collaborazione
internazionale, conforme alle norme divine. Oggi vogliamo soffermarci,
sicuri del consenso e dell'interessamento di tutti gli onesti, con cura
particolare e uguale imparzialità sulle norme fondamentali dell'ordine
interno degli Stati e dei popoli. Rapporti internazionali e ordine interno
sono intimamente connessi, essendo l'equilibrio e l'armonia tra le Nazioni
dipendenti dall'interno equilibrio e dalla interna maturità dei singoli
Stati nel campo materiale, sociale e intellettuale. Né un solido e
imperturbato fronte di pace verso l'esterno risulta possibile di fatto ad
attuarsi senza un fronte di pace nell'interno, che ispiri fiducia. Solo,
quindi, l'aspirazione verso una pace integrale nei due campi varrà a
liberare i popoli dal crudele incubo della guerra, a diminuire o superare
gradatamente le cause materiali e psicologiche di nuovi squilibri e
sconvolgimenti.
Duplice elemento della pace nella vita sociale
Ogni convivenza sociale, degna di tal nome, come trae origine dalla
volontà di pace, così tende alla pace; a quella tranquilla convivenza
nell'ordine in cui S. Tommaso, facendo eco al noto detto di S. Agostino
(Summa theol.. II-II. q. 29, a. 1 ad 1; S. AUGUSTINUS, De Civitate Dei, l.
19, e. 13. n. 1.), vede l'essenza della pace. Due primordiali elementi
reggono quindi la vita sociale: convivenza nell'ordine, convivenza nella
tranquillità.
I. Convivenza nell'ordine
L'ordine, base della vita consociata di uomini, di esseri cioè,
intellettuali e morali, che tendono ad attuare uno scopo consentaneo alla
loro natura, non è una mera estrinseca connessione di parti numericamente
diverse; è piuttosto, e ha da essere, tendenza e attuazione sempre più
perfetta di una unità inferiore, ciò che non esclude le differenze,
realmente fondate, e sanzionate dalla volontà del Creatore o da norme
soprannaturali.
Una chiara intelligenza dei fondamenti genuini di ogni vita sociale ha
un'importanza capitale oggi più che mai, mentre l'umanità, intossicata
dalla virulenza di errori e traviamenti sociali, tormentata dalla febbre
della discordia di desideri, dottrine e intenti, si dibatte
angosciosamente nel disordine, da essa stessa creato, e risente gli
effetti della forza distruttrice di idee sociali erronee, le quali
dimenticano le norme di Dio o sono ad esse contrarie. E poiché il
disordine non può essere superato se non con un ordine, che non sia
meramente forzato e fittizio (non altrimenti che l'oscurità coi suoi
deprimenti e paurosi effetti non può essere bandita se non dalla luce, e
non da fuochi fatui); la salvezza, il rinnovamento e un progressivo
miglioramento non può aspettarsi e originarsi se non da un ritorno di
larghi e influenti ceti alla retta concezione sociale; un ritorno che
richiede una straordinaria grazia di Dio e una volontà incrollabile,
pronta e presta al sacrificio, degli animi buoni e lungimiranti.
Da questi ceti più influenti e più aperti per penetrare e ponderare la
bellezza attraente delle giuste norme sociali, passerà ed entrerà poi
nelle moltitudini la convinzione della origine vera, divina e spirituale,
della vita sociale, spianando in tal modo la via al risveglio,
all'incremento e al consolidamento di quelle concezioni morali, senza cui
anche le più orgogliose attuazioni rappresenteranno una Babele, i cui
abitanti, se pure hanno mura comuni, parlano lingue diverse e
contrastanti.
Iddio prima causa ed ultimo fondamento della vita individuale e sociale
Dalla vita individuale e sociale conviene ascendere a Dio, Prima Causa e
ultimo fondamento, come Creatore della prima società coniugale, fonte
della società familiare, della società dei popoli e delle nazioni.
Rispecchiando pur imperfettamente il suo Esemplare, Dio Uno e Trino, che
col mistero dell'Incarnazione redense ed innalzò la natura umana, la vita
consociata, nel suo ideale e nel suo fine, possiede al lume della ragione
e della rivelazione un'autorità morale ed una assolutezza, travalicante
ogni mutare di tempi; e una forza di attrazione, la quale, lungi
dall'esser mortificata e scemata da delusioni, errori, insuccessi, muove
irresistibilmente gli spiriti più nobili e più fedeli al Signore a
riprendere, con rinnovata energia, con nuove conoscenze, con nuovi studi,
mezzi e metodi, ciò che in altri tempi e in altre circostanze fu tentato
invano.
Sviluppo e perfezionamento della persona umana
Origine e scopo essenziale della vita sociale vuoi essere la
conservazione, lo sviluppo e il perfezionamento della persona umana,
aiutandola ad attuare rettamente le norme e i valori della religione e
della cultura, segnati dal Creatore a ciascun uomo e a tutta l'umanità,
sia nel suo insieme, sia nelle sue naturali ramificazioni.
Una dottrina o costruzione sociale, che rinneghi tale interna, essenziale
connessione con Dio di tutto ciò che riguarda l'uomo, o ne prescinda,
segue falso cammino; e mentre costruisce con una mano, prepara con l'altra
i mezzi, che presto o tardi insidieranno e distruggeranno l'opera. E
quando, misconoscendo il rispetto dovuto alla persona e alla vita a lei
propria, non le conceda alcun posto nei suoi ordinamenti, nell'attività
legislativa ed esecutiva, lungi dal servire la società, la danneggia;
lungi dal promuovere e animare il pensiero sociale e attuarne le
aspettative e le speranze, le toglie ogni valore intrinseco, servendosene
come di frase utilitaria, la quale incontra in ceti sempre più numerosi
risoluta e franca ripulsa.
Se la vita sociale importa unità interiore, non esclude però le
differenze, cui suffragano la realtà e la natura. Ma quando si tiene
fermo al supremo regolatore di tutto ciò che riguarda l'uomo, Dio, le
somigliamo non meno che le differenze degli uomini trovano il posto
conveniente nell'ordine assoluto dell'essere, dei valori, e quindi anche
della moralità. Scosso invece tale fondamento, si apre tra i vari campi
della cultura una pericolosa discontinuità, appare una incertezza e
labilità di contorni, di limiti e di valori, talché solo meri fattori
esterni, e spesso ciechi istinti, vengono poi a determinare, secondo la
dominante tendenza del giorno, a chi spetti il predominio dell'uno o
dell'altro indirizzo.
Alla dannosa economia dei passati decenni, durante i quali ogni vita
civile venne subordinata allo stimolo del guadagno, succede ora una non
meno dannosa concezione, la quale, mentre guarda tutto e tutti sotto
l'aspetto politico, esclude ogni considerazione etica e religiosa.
Travisamento e traviamento fatali, pregni di conseguenze imprevedibili per
la vita sociale, la quale mai non è più vicina alla perdita delle sue
più nobili prerogative di quando s'illude di poter rinnegare o
dimenticare impunemente l'eterna fonte della sua dignità: Dio.
La ragione, illuminata dalla fede, assegna alle singole persone e
particolari società nell'organizzazione sociale un posto fisso e nobile;
e sa, per parlare solo del più importante, che tutta l'attività dello
Stato, politica ed economica serve per l'attuazione duratura del bene
comune; cioè, di quelle esterne condizioni, le quali sono necessarie
all'insieme dei cittadini per lo sviluppo delle loro qualità e dei loro
uffici, della loro vita materiale, intellettuale e religiosa, in quanto,
da un lato, le forze e le energie della famiglia e di altri organismi, a
cui spetta una naturale precedenza, non bastano, e, dall'altro, la
volontà salvifica di Dio non abbia determinata nella Chiesa un'altra
universale società a servizio della persona umana e dell'attuazione dei
suoi fini religiosi.
In una concezione sociale, pervasa e sanzionata dal pensiero religioso,
l'operosità dell'economia e di tutti gli altri campi della cultura
rappresenta una universale nobilissima fucina di attività, ricchissima
nella sua varietà, coerente nella sua armonia, dove l'uguaglianza
intellettuale e la differenza funzionale degli uomini conseguono il loro
diritto ed hanno adeguata espressione; in caso diverso si deprime il
lavoro e si abbassa l'operaio.
Ordinamento giuridico della società e suoi scopi
Affinché la vita sociale, quale è voluta da Dio, ottenga il suo scopo,
è essenziale un ordinamento giuridico, che le serva di esterno appoggio,
di riparo e protezione; ordinamento la cui funzione non è dominare, ma
servire, fendere a sviluppare e accrescere la vitalità della società
nella ricca molteplicità dei suoi scopi, conducendo verso il loro
perfezionamento tutte le singole energie in pacifico concorso e
difendendole, con mezzi appropriati ed onesti, contro tutto ciò che è
svantaggioso al loro pieno svolgimento. Un tale ordinamento, per garantire
l'equilibrio, la sicurezza e l'armonia della società, ha anche il potere
di coercizione contro coloro, che solo per questa via possono essere
trattenuti nella nobile disciplina della vita sociale; ma proprio nel
giusto compimento di questo diritto un'autorità, veramente degna di tal
nome, non sarà mai che non senta l'angosciosa responsabilità di fronte
all'Eterno Giudice, al cui tribunale ogni falsa sentenza, e soprattutto
ogni sconvolgimento delle norme da Dio volute, riceverà la sua
immancabile sanzione e condanna.
Le ultime, profonde, lapidarie, fondamentali norme della società non
possono essere intaccate da intervento d'ingegno umano; si potranno
negare, ignorare, disprezzare, trasgredire, ma non mai abrogare con
efficacia giuridica. Certamente, col tempo che volge, mutano le condizioni
di vita; ma non si da mai manco assoluto, né perfetta discontinuità tra
il diritto di ieri e quello di oggi, tra la scomparsa di antichi poteri e
costituzioni e il sorgere di nuovi ordinamenti. Ad ogni modo, in qualsiasi
cambiamento o trasformazione, lo scopo di ogni vita sociale resta
identico, sacro, obbligatorio: lo sviluppo dei valori personali dell'uomo,
quale immagine di Dio; e resta l'obbligo di ogni membro dell'umana
famiglia di attuare i suoi immutabili fini, qualunque sia il legislatore e
l'autorità, a cui ubbidisce. Rimane quindi sempre e non cessa per
opposizione alcuna anche il suo inalienabile diritto, da riconoscersi da
amici e nemici, ad un ordinamento e una prassi giuridica, che sentano e
comprendano esser loro essenziale dovere di servire al bene comune.
L'ordinamento giuridico ha inoltre l'alto e arduo scopo di assicurare gli
armonici rapporti sia tra gli individui, sia tra le società, sia anche
nell'interno di queste. A ciò si arriverà, se i legislatori si
asterranno dal seguire quelle pericolose teorie e prassi, infauste alla
comunità e alla sua coesione, le quali traggono la loro origine e
diffusione da una serie di postulati erronei. Tra questi è da annoverare
il positivismo giuridico, che attribuisce una ingannevole maestà alla
emanazione di leggi puramente umane, e spiana la via ad un esiziale
distacco della legge dalla moralità; inoltre la concezione, la quale
rivendica a particolari nazioni o stirpi o classi l'istinto giuridico,
quale ultimo imperativo e inappellabile norma; infine quelle varie teorie,
le quali, diverse in sé e procedenti da vedute ideologiche contrastanti,
si accordano però nel considerare lo Stato o un ceto, che lo rappresenti,
come entità assoluta e suprema, esente da controllo e da critica, anche
quando i suoi postulati teorici e pratici sboccano e urtano nell'aperta
negazione di dati essenziali della coscienza umana e cristiana.
Chi consideri con occhio limpido e penetrante la vitale connessione tra
genuino ordine sociale e genuino ordinamento giuridico, e tenga presente
che l'unità interna nella sua multiformità dipende dal predominio di
forze spirituali, dal rispetto della dignità umana in sé e negli altri,
dall'amore alla società e agli scopi da Dio ad essa segnati, non può
meravigliarsi sui tristi effetti di concezioni giuridiche, le quali,
allontanatesi dalla via regale della verità, procedono sul terreno labile
di postulati materialistici; ma scorgerà subito la improrogabile
necessità di un ritorno ad una concezione spirituale ed etica, seria e
profonda, riscaldata dal calore di vera umanità e illuminata dallo
splendore della fede cristiana, la quale fa mirare nell'ordinamento
giuridico una rifrazione esterna dell'ordine sociale, voluto da Dio,
luminoso frutto dello spirito umano, anch'esso immagine dello spirito di
Dio.
Su questa concezione organica, la sola vitale, in che la più nobile
umanità e il più genuino spirito cristiano fioriscono in armonia, sta
scolpita la sentenza della Scrittura, illustrata dal grande Aquinate;
"Opus iustitiae pax" (Summa theol., II-II, q. 29, a. 3.), che si
applica così al lato interno, come al lato esterno della vita sociale.
Essa non ammette né contrasto, né alternativa: amore o diritto, ma la
sintesi feconda: amore e diritto.
Nell'uno e nell'altro, entrambi irradiazioni dello stesso spirito di Dio,
sta il programma e il suggello della dignità dello spirito umano; l'uno e
l'altro a vicenda s'integrano, cooperano, si animano, si sostengono, si
danno la mano nel cammino della concordia e della pacificazione, mentre il
diritto spiana la via all'amore, l'amore mitiga il diritto e lo sublima.
Entrambi elevano la vita umana in quella atmosfera sociale, dove, pur tra
le manchevolezze, gli impedimenti e le durezze di questa terra, si rende
possibile una fraterna convivenza. Ma fate che il cattivo spirito di idee
materialistiche domini; che la tendenza al potere e al prepotere concentri
nelle sue rudi mani le redini degli eventi; voi allora vedrete apparirne
ogni giorno più gli effetti disgregatori, scomparire amore e giustizia;
tristo preannunzio di minaccianti catastrofi su una società, apostata da
Dio.
II. Convivenza nella tranquillità
Il secondo elemento fondamentale della pace, verso cui tende quasi
istintivamente ogni società umana, è la tranquillità. O beata
tranquillità, tu non hai nulla di comune con il fissarsi duro e ostinato,
tenace e infantilmente caparbio in ciò che è; né con la riluttanza,
figlia di ignavia e d'egoismo, a porre la mente nei problemi e nelle
questioni, che il volgere dei tempi e il corso delle generazioni coi loro
bisogni e col progresso fanno maturare, e traggono seco come improrogabili
necessità del presente. Ma per un cristiano, cosciente della sua
responsabilità anche verso il più piccolo dei suoi fratelli, non vi è
tranquillità infingarda, nè si dà fuga, ma lotta, ma azione contro ogni
inazione e diserzione nel grande agone spirituale, dove è proposta in
palio la costruzione, anzi l'anima stessa della società futura.
Armonia fra tranquillità e operosità
Tranquillità nel senso dell'Aquinate e ardente operosità non
contrastano, ma si accoppiano piuttosto in armonia per colui che è
compreso della bellezza e della necessità del sostrato spirituale della
società, e della nobiltà del suo ideale. E proprio a voi giovani,
inclini a volgere le spalle al passato e rivolgere al futuro l'occhio
delle aspirazioni e speranze, diciamo, mossi da vivo amore e da patema
sollecitudine: esuberanza e audacia da sé non bastano, se non siano, come
bisogna, poste al servizio del bene e di una bandiera immacolata. Vano è
l'agitarsi, l'affaticarsi, l'affannarsi senza riposarsi in Dio e nella sua
legge eterna. Conviene che siate animati dal convincimento di combattere
per la verità, e di farle dedizione delle proprie simpatie ed energie,
degli aneliti e dei sacrifici; di combattere per le eterne leggi di Dio,
per la dignità della persona umana, e per il conseguimento dei suoi fini.
Dove uomini maturi e giovani, sempre ancorati nel mare della eternamente
viva tranquillità di Dio, coordinano le diversità di temperamento e di
attività in genuino spirito cristiano, là, se l'elemento propulsore si
accoppia con l'elemento infrenatore, la differenza naturale tra le
generazioni non diverrà mai pericolosa, ma condurrà anzi vigorosamente
all'attuazione delle leggi eterne di Dio nel mutevole corso dei tempi e
delle condizioni di vita.
Il mondo operaio
In un campo particolare della vita sociale, dove durante un secolo sorsero
movimenti e aspri conflitti, si trova oggi calma, almeno apparente; nel
mondo, cioè, vasto e sempre crescente del lavoro, nell'esercito immenso
degli operai, dei salariati e dei dipendenti. Se si considera il presente,
con le sue necessità belliche, come un dato di fatto, questa
tranquillità potrà dirsi esigenza necessaria e fondata; ma se si guarda
lo stato odierno dal punto di vista della giustizia, di un legittimo e
regolato movimento operaio, la tranquillità non resterà che apparente
finché tale scopo non sia raggiunto.
Mossa sempre da motivi religiosi, la Chiesa condannò i vari sistemi del
socialismo marxista, e li condanna anche oggi, com'è suo dovere e diritto
permanente di preservare gli uomini da correnti e influssi, che ne mettono
a repentaglio la salvezza eterna. Ma la Chiesa non può ignorare o non
vedere, che l'operaio, nello sforzo di migliorare la sua condizione, si
urta contro qualche congegno, che, lungi dall'essere conforme alla natura,
contrasta con l'ordine di Dio e con lo scopo, che Egli ha assegnato per i
beni terreni. Per quanto fossero e siano false, condannabili e pericolose
le vie, che si seguirono; chi, e soprattutto qual sacerdote o cristiano,
potrebbe restare sordo al grido, che si solleva dal profondo, e il quale
in un mondo di un Dio giusto invoca giustizia e spirito di fratellanza?
Ciò sarebbe un silenzio colpevole e ingiustificabile davanti a Dio, e
contrario al senso illuminato dell'apostolo, il quale, come inculca che
bisogna essere risoluti contro l'errore, sa pure che si vuoi essere pieni
di riguardo verso gli erranti e con l'animo aperto per intenderne
aspirazioni, speranze e motivi.
Dio, benedicendo i nostri progenitori, disse loro: "Crescete e
moltiplicatevi e riempite la terra e soggiogatela" (Gn 1,28). E al
primo capo di famiglia diceva poi: "Nel sudore della tua fronte ti
ciberai di pane" (Gn 3,19). La dignità della persona umana esige
dunque normalmente come fondamento naturale per vivere il diritto all'uso
dei beni della terra; a cui risponde l'obbligo fondamentale di accordare
una proprietà privata, possibilmente a tutti. Le norme giuridiche
positive; regolanti la proprietà privata, possono mutare e accordare un
uso più o meno circoscritto; ma se vogliono contribuire alla
pacificazione della comunità, dovranno impedire che l'operaio, che è o
sarà padre di famiglia, venga condannato ad una dipendenza e servitù
economica, inconciliabile con i suoi diritti di persona.
Che questa servitù derivi dal prepotere del capitale privato o dal potere
dello Stato, l'effetto non muta; anzi, sotto la pressione di uno Stato,
che tutto domina e regola l'intera vita pubblica e privata, penetrando
fino nel campo delle concezioni e persuasioni e della coscienza, questa
mancanza di libertà può avere conseguenze ancora più gravose, come
l'esperienza manifesta e testimonia.
Cinque punti fondamentali per l'ordine e la pacificazione della
società umana
Chi pondera al lume della ragione e della fede i fondamenti e gli scopi
della vita sociale, che noi abbiamo tracciati in brevi linee, e li
contempla nella loro purezza ed altezza morale e nei loro benefici frutti
in tutti i campi, non può non avere la convinzione dei potenti principi
di ordine e di pacificazione, che energie rivolte a grandi ideali e
risolute ad affrontare gli ostacoli potrebbero regalare, o diciamo meglio,
restituire ad un mondo, interiormente scardinato, quando avessero
abbattute le barriere intellettive e giuridiche, create da pregiudizi,
errori, indifferenza, e da un lungo processo di secolarizzazione del
pensiero, del sentimento, dell'azione, che venne a staccare e sottrarre la
città terrena dalla luce e dalla forza della città di Dio.
Oggi più che mai scocca l'ora di riparare; di scuotere la coscienza del
mondo dal grave torpore, in cui i tossici di false idee, largamente
diffuse, l'hanno fatto cadere; tanto più che, in questa ora di sfacelo
materiale e morale, la conoscenza della fragilità e della inconsistenza
di ogni ordinamento puramente umano è sul disingannare anche coloro, che,
in giorni apparentemente felici, non sentivano in sé e nella società la
mancanza di contatto coll'eterno, e non la consideravano come un difetto
essenziale delle loro costruzioni.
Ciò che chiaro appariva al cristiano, che, profondamente credente,
soffriva dell'ignoranza altrui, chiarissimo ci presenta il fragore della
spaventosa catastrofe dell'odierno sconvolgimento, che riveste la
terribile solennità di un giudizio universale, persino agli orecchi dei
tiepidi, degl'indifferenti, degl'inconsiderati: una verità, cioè,
antica, che si manifesta tragicamente in forme sempre nuove, e tuona di
secolo in secolo, di gente in gente, per bocca del Profeta: "Omnes
qui Te derelinquunt, confundentur: recedentes a Te in terra scribentur:
quoniam dereliquerunt venam aquarum viventium, Dominum" (ler 17,13).
Non lamento, ma azione è il precetto dell'ora; non lamento su ciò che è
o che fu, ma ricostruzione di ciò che sorgerà e deve sorgere a bene
della società. Pervasi da un entusiasmo di crociati, ai migliori e più
eletti membri della cristianità spetta riunirsi nello spirito di verità,
di giustizia e di amore al grido: Dio lo vuole! pronti a servire, a
sacrificarsi, come gli antichi Crociati. Se allora trattavasi della
liberazione della terra santificata dalla vita del Verbo di Dio incarnato,
si tratta oggi, se possiamo così esprimerci, del nuovo tragitto,
superando il mare degli errori del giorno e del tempo, per liberare la
terra santa spirituale, destinata a essere il sostrato e il fondamento di
norme e leggi immutabili per costruzioni sociali di interna solida
consistenza.
Per sì alto fine, dal presepe del Principe della pace, fiduciosi che la
sua grazia si diffonda in tutti i cuori, Noi Ci rivolgiamo a voi, diletti
figli, che riconoscete e adorate in Cristo il vostro Salvatore, a tutti
quelli che sono con noi uniti almeno col vincolo spirituale della fede in
Dio, a tutti infine, quanti anelano a liberarsi dai dubbi e dagli errori,
bramosi di luce e guida; e vi esortiamo con scongiurante paterna
insistenza non solo a comprendere intimamente l'angosciosa serietà di
quest'ora, ma anche a meditare le sue possibili aurore benefiche e
soprannaturali, e a unirvi e operare insieme per il rinnovamento della
società in spirito e verità.
Scopo essenziale di questa Crociata necessaria e santa è che la stella
della pace, la stella di Betlemme, spunti di nuovo su tutta l'umanità nel
suo rutilante fulgore, nel suo pacificante conforto, qual promessa e
augurio di un avvenire migliore più fecondo e più felice.
Vero è che il cammino dalla notte a un luminoso mattino sarà lungo; ma
decisivi sono i primi passi sul sentiero, che porta sopra le prime cinque
pietre miliari scolpite con bronzeo scalpello le seguenti massime:
1° Dignità e diritti della persona umana
1) Chi vuole che la stella della pace spunti e si fermi sulla società,
concorra da parte sua a ridonare alla persona umana la dignità concessale
da Dio fin dal principio; si opponga all'eccessivo aggruppamene degli
uomini, quasi come masse senz'anima; alla loro inconsistenza economica,
sociale, politica, intellettuale e morale; alla loro mancanza di solidi
principi e di forti convinzioni; alla loro sovrabbondanza di eccitazioni
istintive e sensibili, e alla loro volubilità; favorisca, con tutti i
mezzi leciti, in tutti i campi della vita, forme sociali, in cui sia resa
possibile e garantita una piena responsabilità personale, così quanto
all'ordine terreno come quanto all'eterno; sostenga il rispetto e la
pratica attuazione dei seguenti fondamentali diritti della persona: il
diritto a mantenere e sviluppare la vita corporale, intellettuale e
morale, e particolarmente il diritto ad una formazione ed educazione
religiosa; il diritto al culto di Dio privato e pubblico, compresa
l'azione caritativa religiosa; il diritto, in massima, al matrimonio e al
conseguimento del suo scopo, il diritto alla società coniugale e
domestica; il diritto di lavorare come mezzo indispensabile al
mantenimento della vita familiare; il diritto alla libera scelta dello
stato, quindi anche dello stato sacerdotale e religioso; il diritto ad un
uso dei beni materiali, cosciente dei suoi doveri e delle limitazioni
sociali.
2° Difesa della unità sociale e particolarmente della famiglia
2) Chi vuole che la stella della pace spunti e si fermi sulla società,
rifiuti ogni forma di materialismo, che non vede nel popolo se non un
gregge di individui, i quali, scissi e senza interna consistenza, vengono
considerati come materia di dominio e di arbitrio; cerchi di comprendere
la società come un'unità interna, cresciuta e maturata sotto il governo
della Provvidenza, unità la quale, nello spazio ad essa assegnato e
secondo le sue peculiari doti, tende, mediante la collaborazione dei
diversi ceti e professioni, agli eterni e sempre nuovi fini della cultura
e della religione; difenda la indissolubilità del matrimonio; dia alla
famiglia, insostituibile cellula del popolo, spazio, luce, respiro,
affinché possa attendere alla missione di perpetuare nuova vita e di
educare i figli in uno spirito, corrispondente alle proprie vere
convinzioni religiose; conservi, fortifichi o ricostituisca, secondo le
sue forze la propria unità economica, spirituale, morale e giuridica:
curi che i vantaggi materiali e spirituali della famiglia vengano
partecipati anche dai domestici; pensi a procurare ad ogni famiglia un
focolare, dove una vita familiare, sana materialmente e moralmente, riesca
a dimostrarsi nel suo vigore e valore; curi che i luoghi di lavoro e le
abitazioni non siano così separati, da rendere il capo di famiglia e
l'educatore dei figli quasi estraneo alla propria casa; curi soprattutto,
che tra scuole pubbliche e famiglia rinasca quel vincolo di fiducia e di
mutuo aiuto, che in altri tempi maturò frutti così benefici, e che oggi
è stato sostituito da sfiducia colà ove la scuola, sotto l'influsso o il
dominio dello spirito materialistico, avvelena e distrugge ciò che i
genitori avevano istillato nelle anime dei figli.
3° Dignità e prerogative del lavoro
3) Chi vuole che la stella della pace spunti e resti sulla società, dia
al lavoro il posto da Dio assegnatogli fin dal principio. Come mezzo
indispensabile al dominio del mondo, voluto da Dio per la sua gloria, ogni
lavoro possiede una dignità inalienabile, e in pari tempo un intimo
legame col perfezionamento della persona; nobile dignità e prerogativa
del lavoro, cui in verun modo non avviliscono la fatica e il peso, che
sono da sopportarsi come effetto del peccato originale, in ubbidienza e
sommissione alla volontà di Dio.
Chi conosce le grandi Encicliche dei Nostri Predecessori e i Nostri
precedenti Messaggi non ignora che la Chiesa non esita a dedurre le
conseguenze pratiche, derivanti dalla nobiltà morale del lavoro, e ad
appoggiarle con tutto il nome della sua autorità. Queste esigenze
comprendono, oltre ad un salario giusto, sufficiente alle necessità
dell'operaio e della famiglia, la conservazione ed il perfezionamento di
un ordine sociale, che renda possibile una sicura, se pur modesta
proprietà privata a tutti i ceti del popolo, favorisca una formazione
superiore per i figli delle classi operaie particolarmente dotati di
intelligenza e di buon volere, promuova la cura e l'attività pratica
dello spirito sociale nel vicinato, nel paese, nella provincia, nel popolo
e nella nazione, che, mitigando i contrasti di interessi e di classe,
toglie agli operai il sentimento della segregazione con l'esperienza
confortante di una solidarietà genuinamente umana e cristianamente
fraterna.
Il progresso e il grado delle riforme sociali improrogabili dipende dalla
potenza economica delle singole nazioni. Solo con uno scambio di forze,
intelligente e generoso, tra forti e deboli sarà possibile a compiersi
una pacificazione universale in maniera che non restino focolai di
incendio e di infezione, da cui potrebbero originarsi nuove sciagure.
Segni evidenti inducono a pensare, che nel fermento di tutti i pregiudizi
e i sentimenti di odio, inevitabili ma tristi parti di questa acuta
psicosi bellica, non sia spenta nei popoli la coscienza della loro intima
reciproca dipendenza nel bene e nel male, che anzi sia divenuta più viva
e attiva. Non è forse vero che sempre più chiaramente pensatori profondi
vedono, nella rinunzia all'egoismo e all'isolamento nazionale, la via di
salvezza generale, pronti come sono a domandare ai loro popoli una parte
gravosa di sacrifici, necessari per la pacificazione sociale in altri
popoli? Possa questo Nostro Messaggio natalizio, diretto a tutti coloro
che sono animati da buona volontà e cuore generoso, incoraggiare e
aumentare le schiere della Crociata sociale presso tutte le Nazioni! E
voglia Dio concedere alla loro pacifica bandiera la vittoria, di cui è
degna la loro nobile intrapresa!
4° Reintegrazione dell'ordinamento giuridico
4) Chi vuole che la stella della pace spunti e si fermi sulla vita
sociale, collabori ad una profonda reintegrazione dell'ordinamento
giuridico.
Il sentimento giuridico di oggi è spesso alterato e sconvolto dalla
proclamazione e dalla prassi di un positivismo e di un utilitarismo ligi e
vincolati al servizio di determinati gruppi, ceti e movimenti, i cui
programmi tracciano e determinano la via alla legislazione e alla pratica
giudiziale.
Il risanamento di questa situazione diventa possibile a ottenersi, quando
si ridesti la coscienza di un ordinamento giuridico, riposante nel sommo
dominio di Dio e custodita da ogni arbitrio umano; coscienza di un
ordinamento che stenda la sua mano protettrice e punitrice anche sugli
inobliabili diritti dell'uomo e li protegga contro gli attacchi di ogni
potere umano.
Dall'ordinamento giuridico voluto da Dio promana l'inalienabile diritto
dell'uomo alla sicurezza giuridica, e con ciò stesso ad una sfera
concreta di diritto, protetta contro ogni arbitrario attacco.
Il rapporto dell'uomo verso l'uomo, dell'individuo verso la società,
verso l'autorità, verso i doveri civili, il rapporto della società e
dell'autorità verso i singoli debbono essere posti sopra un chiaro
fondamento giuridico e tutelati, al bisogno, dall'autorità giudiziaria.
Ciò suppone:
a) un tribunale e un giudice, che prendano le direttive da un diritto
chiaramente formulato e circoscritto;
b) chiare norme giuridiche, che non possano essere stravolte con abusivi
richiami ad un supposto sentimento popolare e con mere ragioni di
utilità;
c) riconoscimento del principio che anche lo Stato e i funzionari e le
organizzazioni da esso dipendenti sono obbligati alla riparazione e al
ritiro di misure lesive della libertà, della proprietà, dell'onore,
dell'avanzamento e della salute dei singoli.
5° Concezione dello Stato secondo lo spirito cristiano
5) Chi vuole che la stella della pace spunti e si fermi sulla società
umana, collabori al sorgere di una concezione e prassi statale, fondate su
ragionevole disciplina, nobile umanità e responsabile spirito cristiano;
aiuti a ricondurre lo Stato e il suo potere al servizio della società, al
pieno rispetto della persona umana e della sua operosità per il
conseguimento dei suoi scopi eterni; si sforzi e adoperi a sperdere gli
errori, che tendono a deviare dal sentiero morale lo Stato e il suo potere
e a scioglierli dal vincolo eminentemente etico, che li lega alla vita
individuale e sociale, e a far loro rinnegare o ignorare praticamente
l'essenziale dipendenza, che li unisce alla volontà del Creatore;
promuova il riconoscimento e la diffusione della verità, che insegna,
anche nel campo terreno, come il senso profondo e l'ultima morale e
universale legittimità del "regnare" è il "servire".
Considerazioni sulla guerra mondiale e sul rinnovamento della società
Diletti figli! Voglia Dio che, mentre la Nostra voce arriva al vostro
orecchio, il vostro cuore sia profondamente scosso e commosso dalla
serietà profonda, dall'ardente sollecitudine, dalla scongiurante
insistenza, con cui Noi vi inculchiamo questi pensieri, che vogliono
essere un appello alla coscienza universale e un grido di raccolta per
tutti quelli che sono pronti a ponderare e misurare la grandezza della
loro missione e responsabilità dalla vastità della sciagura universale.
Gran parte della umanità, e, non rifuggiamo dall'affermarlo, anche non
pochi di coloro che si chiamano cristiani, entrano in certa guisa nella
responsabilità collettiva dello sviluppo erroneo, dei danni e della
mancanza di altezza morale della società odierna.
Questa guerra mondiale, e tutto ciò che le si connette, si tratti dei
precedenti remoti o prossimi, o dei suoi procedimenti ed effetti
materiali, giuridici e morali, che altro rappresenta se non lo sfacelo,
inaspettato forse agl'inconsiderati, ma intuito e deprecato da coloro i
quali penetravano a fondo col loro sguardo in un ordine sociale, che
dietro l'ingannevole volto o la maschera di formali convenzionali
nascondeva la sua debolezza fatale e il suo sfrenato istinto di guadagno e
di potere?
Ciò che in tempi di pace giaceva compresso, al rompere della guerra
scoppiò in una trista serie di azioni, contrastanti con lo spirito umano
e cristiano. Le convenzioni internazionali per rendere meno disumana la
guerra, limitandola ai combattenti, per regolare le norme dell'occupazione
e della prigionia dei vinti, rimasero lettera morta in vari luoghi; e chi
mai vede la fine di questo progressivo peggioramento?
Vogliono forse i popoli assistere inerti a così disastroso progresso? O
non debbono piuttosto, sulle rovine di un ordinamento sociale, che ha dato
prova così tragica della sua inettitudine al bene del popolo, riunirsi i
cuori di tutti i magnanimi e gli onesti nel voto solenne di non darsi
riposo, finché in tutti i popoli e le nazioni della terra divenga legione
la schiera di coloro, che, decisi a ricondurre la società
all'incrollabile centro di gravitazione della legge divina, anelano al
servizio della persona e della sua comunanza nobilitata in Dio?
Questo voto l'umanità lo deve agli innumerevoli morti, che giacciono
sepolti nei campi di guerra: il sacrificio della loro vita nel compimento
del loro dovere è l'olocausto per un nuovo migliore ordine sociale.
Questo voto l'umanità lo deve all'infinita dolente schiera di madri, di
vedove e di orfani, che si son veduti strappare la luce, il conforto e il
sostegno della loro vita.
Questo voto l'umanità lo deve a quegli innumerevoli esuli che l'uragano
della guerra ha spiantati dalla loro patria e dispersi in terra straniera;
i quali potrebbero far lamento col Profeta:
"Hereditas nostra versa est ad alienos, domus nostrae ad extraneos"
(ler. Lam. 5,2).
Questo voto l'umanità lo deve alle centinaia di migliaio di persone, le
quali, senza veruna colpa propria, talora solo per ragione di nazionalità
o di stirpe, sono destinate alla morte o ad un progressivo deperimento.
Questo voto l'umanità lo deve alle molte migliaia di non combattenti,
donne, bambini, infermi e vecchi, a cui la guerra aerea, - i cui orrori
Noi già fin dall'inizio più volte denunziammo, - senza discernimento o
con insufficiente esame, ha tolto vita, beni, salute, case, luoghi di
carità e di preghiera. Questo voto l'umanità lo deve alla fiumana di
lagrime e amarezze, al cumulo dì dolori e tormenti, che procedono dalla
rovina micidiale dell'immane conflitto e scongiurano il cielo, invocando
la discesa dello Spirito, che liberi il mondo dal dilagare della violenza
e del terrore.
Invocazione al Redentore del mondo
E dove potreste voi deporre con più tranquilla sicurezza e fiducia e con
fede più efficace questo voto per il rinnovamento della società, se non
ai piedi del "desideratus cunctis gentibus", che giace davanti a
noi nel presepio in tutto l'incanto della sua dolce umanità di Pargolo,
ma anche nell'attrattiva commovente della sua incipiente missione
redentrice? In qual luogo potrebbe questa nobile e santa crociata per la
purificazione ed il rinnovamento della società avere consacrazione più
espressiva e trovare stimolo più efficace che a Betlemme, dove
nell'adorabile mistero dell'Incarnazione apparve il nuovo Adamo alle cui
fonti di verità e di grazia conviene in ogni modo che l'umanità attinga
l'acqua salutare, se non vuole perire nel deserto di questa vita? "De
plenitudine eius nos omnes accepimus" (Io 1,16). La sua pienezza di
verità e di grazia, come da venti secoli, si riversa anche oggi sull'orbe
con forza non diminuita; più potente delle tenebre è la sua luce, il
raggio del suo amore più valido dell'agghiacciante egoismo, che rattiene
tanti uomini dal crescere ed eccellere nel loro essere migliore. Voi,
volontari crociati di una nuova nobile società, alzate il nuovo labaro
della rigenerazione morale e cristiana, dichiarate lotta alle tenebre
della defezione da Dio, alla freddezza della discordia fraterna; lotta in
nome d'una umanità gravemente inferma e da sanare, in nome della
coscienza cristianamente elevata.
La Nostra benedizione e il Nostro paterno augurio e incoraggiamento sia
colla vostra generosa intrapresa, e perduri con tutti coloro che non
rifuggono dai duri sacrifici, armi più che il ferro potenti a combattere
il male, di cui soffre la società. Sulla vostra crociata per un ideale
sociale, umano e cristiano, splenda consolatrice ed incitatrice la stella
che brilla sulla grotta di Betlemme, astro augurale e perenne dell'era
cristiana. Alla sua vista attinse, attinge e attingerà forza ogni cuore
fedele: "Si consistant adversus me castra... in hoc ego sperabo"
(Ps 26,3). Dove questa stella risplende, è Cristo: "Ipso ducente,
non errabimus; per ipsum ad ipsum eamus, ut cum nato hodie puero in
perpetuum gaudeamus" (S. AUGUSTINUS, Sermo 189, c. 4: PL 38, 1007).
Pio PP. XII
Radiomessaggio Con sempre nuova freschezza nella
vigilia del Natale 1942, [A tutti i popoli del mondo], 24 dicembre 1942:
AAS 35(1943).
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