A Roma, nel Museo della Liberazione di via Tasso,
sorto nel luogo dove la Gestapo durante l'occupazione torturava gli
oppositori del regime, c'è un interessante elenco appeso al muro della
cella numero 10. E la lista delle 155 case religiose e collegi che nella
sola capitale hanno dato segretamente ospitalità a 4.447 cittadini Ebrei,
salvandoli dalla folle ira dei nazisti.
Di essi, 680 avevano trovato alloggio nei locali di chiese e conventi per
alcuni giorni, prima di fuggire o trovare sistemazioni più sicure, mentre
altri 3.700 erano rimasti per molti mesi presso 100 congregazioni
religiose femminili e 55 parrocchie, istituti, case, ospizi. I soli
francescani di San Bartolomeo all'Isola Tiberina ne ospitarono 400.
"Fin dai primi giorni della guerra, il Papa Pio XII destinò ingenti
somme di denaro per gli aiuti agli Ebrei di tutta Europa", sostiene
Joseph Lichten. "Inoltre", continua, "Pio XII controllava
il ricevimento e le modalità di distribuzione dei fondi a lui affidati da
singole persone e da gruppi di solidarietà d'Europa e delle Americhe, fra
cui va ricordato il Catholic Refugee Committee of the United States
(Comitato cattolico degli Stati Uniti per i profughi). Gli Ebrei americani
affidarono ingenti somme di denaro al Papa, che le distribuì secondo i
desideri dei donatori; padre Leiber valuta che Pio XII ricevette qualcosa
come due miliardi e mezzo di lire dagli Ebrei degli Usa fino alla fine del
1945...
Quando i nazisti proibirono agli Ebrei le macellazioni rituali, il Papa
fece venire degli shohetim nella Città del Vaticano per compiere le
macellazioni e raccogliere il cibo per gli ebrei rifugiati. Molti
cittadini ebrei, allontanati da posizioni di governo, rimossi da incarichi
scientifici o di insegnamento, vennero invitati in Vaticano; il presidente
e due professori dell'università di Roma, ed un famoso geografo, tutti
Ebrei espulsi dai fascisti, ricevettero importanti posizioni nella Città
del Vaticano...".
"Da testimonianze frammentarie", scrive Pinchas Lapide,
"appare che Pio XII si occupò personalmente, fra il 1939 e il 1944,
di una élite di 130-200 rifugiati... Non meno di 3.000 Ebrei trovarono
contemporaneamente rifugio nella residenza estiva del Papa a
Castelgandolfo (in realtà questi tremila non erano tutti Ebrei c'erano
anche soldati fuggiaschi e nemici del fascismo nda); sessanta vissero per
nove mesi all'Università Gregoriana dei gesuiti e una mezza dozzina dormi
nella cantina dell'Istituto Biblico Pontificio, il cui rettore era allora
Agostino Bea... Le guardie palatine, che nel 1942 avevano una forza di 300
uomini, contavano nel dicembre '43 quattromila detentori del prezioso
lasciapassare palatino; almeno 400 di questi erano Ebrei, di cui 240 erano
sistemati all'interno dei recinti vaticani... Altrove in Italia, in parte
grazie al fatto che il Papa avesse tolto la clausura e avesse impartito
istruzioni segrete al clero "di salvare con ogni mezzo vite
umane", almeno 40.000 Ebrei - italiani e stranieri fuggiti in Italia
- furono nascosti e salvati... Il cardinale di Genova, Boetto, ne salvò
almeno 800; il vescovo di Assisi ne nascose 300 per più di due anni;
monsignor Palatucci, vescovo di Campagna e due suoi parenti stretti, ne
salvarono 961".
Ad Assisi, scrive il "Palestine Post" del 22 gennaio 1946,
"nello stesso monastero fondato da San Francesco, gli Ebrei
celebravano il loro culto nella sinagoga sistemata nel sotterraneo.
Mentre, sopra, i cattolici assistevano alle loro proprie funzioni, essi
sapevano che i loro simili, vittime dell'oppressione nazista, stavano pure
pregando un piano più sotto. Tutti i simboli sacri e gli oggetti
religiosi propri del culto ebraico furono tenuti al sicuro nel monastero
di Assisi".
A Roma, fuori delle porte di conventi, collegi e istituti religiosi si
moltiplicano i cartelli scritti in tedesco e italiano, con la firma del
generale Rainer Stahel:
"Avviso. Questo edificio serve a scopi religiosi ed è alle
dipendenze dello Stato della Città del Vaticano. Sono interdette
qualsiasi perquisizione o requisizione".
Questa scritta in nero e giallo costituirà la salvezza per migliaia di
persone. Nel Seminario romano Maggiore, che sorgeva a fianco della
Basilica lateranense, sono accolti Ebrei e perseguitati politici (oltre ad
Alcide De Gasperi, anche i socialisti Giuseppe Saragat e Pietro Nenni, e
Ivanhoe Bonomi, presidente del Comitato di liberazione nazionale).
"Secondo i documenti raccolti in seguito, peraltro incompleti",
scrive Antonio Gaspari, "i rifugiati al Seminario Maggiore furono
circa 200, di cui circa 8i5 Ebrei. Se si aggiungono anche gli altri
stabili del Laterano si raggiunge la cifra di 1.068 ospiti".
I futuri cardinali Vincenzo Fagiolo e Pietro Palazzini, oggi entrambi
scomparsi, hanno ricevuto la medaglia dei "Giusti tra le
Nazioni" e un albero con il loro nome vicino al memoriale dello Yad
Vashem di Gerusalemme, per quanto fecero in favore degli Ebrei.
Le missioni di suor Pascalina e
la medaglia di Montini
Anche suor Augustine, superiora delle religiose di
Nostra Signora di Sion ha ottenuto quel riconoscimento. Nel suo convento
di via Garibaldi a Roma sono stati infatti salvati 187 Ebrei. Suor Dora
Rutar, che all'epoca si trovava lì come novizia, racconta un episodio che
la dice lunga sull'atteggiamento delle più alte autorità vaticane:
"Il 16 ottobre 1943, quando inizia la persecuzione degli Ebrei, tante
persone si presentarono al cancello della nostra casa per chiedere asilo.
Ogni giorno se ne presentavano delle nuove, e così abbiamo facilmente
raggiunto il numero di 187. La gente dormiva per terra, sulle scale, e non
c'era più un solo spazio libero. La superiora accolse tutti perché
sapeva che significava salvargli la vita.... All'inizio si credeva che la
persecuzione sarebbe durata poco, invece siamo andati avanti per circa
nove mesi. Così sono iniziate le difficoltà, non avevamo abbastanza cibo
e abbiamo chiesto aiuto in Vaticano. Fu così che monsignor Bellando,
monsignor Montini e madre Pascalina organizzarono il rifornimento di cibo.
Madre Pascalina ci ha aiutato tanto; una volta è venuta lei stessa con un
furgoncino per portarci generi alimentari... Se non ci fosse stato l'aiuto
del Vaticano sarebbe stato impossibile dare da mangiare a tutti... La
Segreteria di Stato ci aveva dato un foglio in cui era scritto
"Proprietà del Vaticano" in modo da impedire ogni ingerenza...
Ci sono stati anche momenti piacevoli. Ricordo che il 14 dicembre 1943,
quando feci la professione, gli Ebrei vennero ad assistere alla
Messa".
Monsignor Montini, futuro Paolo VI, era il Sostituto alla Segreteria di
Stato. Suor Pascalina, la governante dell'appartamento del Papa. Se lei
stessa si metteva alla guida di un mezzo per portare viveri e aiuti ai
conventi che nascondevano gli Ebrei perseguitati, come si può pensare che
tutto ciò avvenisse all'insaputa di Pio XII? Come si può anche solo
lontanamente immaginare che nella "centralistica" e
"romano-centrica" Chiesa preconciliare, per di più durante il
pontificato di un Papa notoriamente accentratore, questo fiorire di
attività clandestine avvenisse senza il suggerimento e il beneplacito
dell'autorità superiore?
Nel 1935, anno in cui l'Italia celebrava il primo decennale della
liberazione, gli Ebrei del nostro Paese stabilirono che il 17 aprile fosse
celebrata la "Giornata della gratitudine" e scelsero a titolo
d'esempio 23 personalità da onorare con la medaglia dei "Giusti tra
le Nazioni". Fra di loro ci doveva essere anche Montini, il braccio
destro di Papa Pacelli, nominato nel frattempo arcivescovo di Milano.
Avvicinato in modo informale da una delegazione ebraica che gli chiese se
accettasse il riconoscimento, Montini si mostrò grato e commosso ma
decise di rifiutare la medaglia dicendo: "Non ho fatto che il mio
dovere. E per di più ho agito solo secondo gli ordini di Sua Santità.
Nessuno merita una medaglia per questo".
L'università fantasma
Tra le centinaia di episodi e di esempi, citiamo
ciò che è avvenuto nella parrocchia della Chiesa Nuova (Santa Maria in
Vallicella a Roma), dove i sacerdoti, per giustificare la presenza di
rifugiati anziani e giovani, inventarono il "Collegio superiore di
studi filippini". I ragazzi, trasformati in chierici, fingevano di
fare gli alunni. Gli adulti, diventati seduta stante professori,
insegnavano. C'erano anche la segreteria e i bidelli. Grazie a questa
università fantasma, fu possibile chiedere tessere annonarie corredate di
fotografie autentiche ma con dati inventati, e salvare una quarantina di
persone.
Monsignor Pietro Barbieri divenne uno dei più esperti falsari del mondo:
grazie ad una tipografia clandestina installata presso una biblioteca dei
padri Maristi, e grazie alla complicità di un addetto dell'ufficio
anagrafe del Comune di Roma, riusciva a stampare documenti d'identità
contraffatti. Ne furono utilizzati ben ventimila.
Le suore Compassioniste Serve di Maria, invece, accolsero nella loro casa
in via Torlonia, sessanta signore ebree con le loro figlie. Ad ognuna
venne attribuito il titolo di suora e assegnato un abito religioso.
Persino le catacombe di San Callisto, gestite dalla comunità salesiana,
con i loro 235 cunicoli sotterranei, divennero rifugio per i perseguitati.
Le suore Maestre Pie Filippini diedero rifugio nei loro tre istituti a
oltre cento clandestini. "Testimoni diretti", racconta suor
Margherita Marchione, "mi hanno confermato come, seguendo la volontà
del Papa, i conventi romani aprirono le loro porte a chiunque avesse
bisogno, senza distinzione di religione o di idee politiche. Così fecero
anche le mie consorelle di via delle Botteghe Oscure. Fu un rischio enorme
nascondere per più di un anno 114 persone, uomini, donne e bambini. Ma le
suore non ebbero mai alcuna esitazione".
Ebrei con nomi di santi
"Uno dei luoghi in cui si nascondevano gli
Ebrei", scrive Joseph Lichten, "era una chiesa (romana) retta
dai gesuiti, che aveva un soffitto finto. Ogni persona che veniva a
rifugiarsi nella chiesa si vedeva assegnato uno spazio situato al di sopra
degli altari laterali e poi veniva indicata con il nome del santo cui era
dedicato quell'altare. I sacerdoti di quella chiesa godevano nel
chiacchierare di "Francesco Saverio", "Roberto Bellarmino"
e "Luigi Gonzaga" in presenza di ufficiali nazisti, che non
afferrarono mai il gioco di parole"
"Durante l'intero periodo in cui gli Ebrei vennero nascosti in
massa", aggiunge l'autorevole membro dell'"Anti Defamation
League of B'nai B'rith", "i tedeschi fecero solo due volte
irruzione, catturando solo pochissime persone. Il Papa levò la sua voce
in una forte protesta, e non si verificarono più irruzioni; per di più,
benché fra le persone rifugiatesi vi fossero molti profughi non Ebrei,
non si ebbe neppure un solo caso di tradimento".
Dopo l'entrata in vigore delle leggi razziali in Italia, nel novembre
1939, gli Ebrei del nostro Paese avevano creato la "Delasem",
un'organizzazione con sede a Genova, che doveva occuparsi di aiutare gli
israeliti, soprattutto i numerosi rifugiati provenienti da altre zone
dell'Europa. Rimase pubblicamente in attività fino all'8 settembre 1943,
quando fu requisita dai nazisti. Poche ore prima che i tedeschi entrassero
in città uno dei suoi dirigenti era riuscito a mettere in salvo tutti i
contanti, circa cinque milioni di lire, equivalenti oggi a diversi
miliardi, consegnandoli al cardinale Pietro Boetto. L'arcivescovo inviò i
soldi a Roma e Pio XII affidò al cappuccino Marie Benoit du Bourg d'Iré,
noto come padre Benedetto la gestione degli aiuti. Alla fine della guerra,
padre Benedetto, poteva affermare che "nel settembre 1943 nella sola
città di Roma la rete di assistenza aveva aiutato poco più di cento
Ebrei stranieri. Nel giugno 1944 tale numero era salito a 4.000; 1500
stranieri e 2.500 italiani".
"Sono almeno due i motivi per cui in Italia il 73 per cento degli
Ebrei si è salvato dall'Olocausto", ha detto il giornalista
televisivo Vittorio Orefice, nato da una famiglia ebraica di Livorno,
"le leggi razziali fasciste non erano meno dure di quelle naziste, la
differenza sta nel fatto che per la loro natura bonaria gli italiani sono
differenti dai tedeschi. Ma tanti Ebrei si sono salvati soprattutto per
l'atteggiamento della Chiesa".
FONTE: Tornielli 2001, pag. 243-250
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