VITA
Nasce a Danzica (Prussia) il 22 febbraio 1788, da una ricca famiglia di
commercianti e banchieri. Suo padre muore suicida nel 1805 lasciandolo
erede di una grossa fortuna.
Nel 1809 si iscrive alla facoltà di medicina dell'università di Gottinga,
per passare subito a quella di filosofia. Si dedica allo studio di Platone
e di Kant, che rimarranno al centro della sua riflessione. Nel 1813 si
laurea a Jena. Nel 1814 rompe anche i rapporti con la madre e si
trasferisce a Dresda.
Nel 1818 porta a termine la sua opera principale: Il mondo come volontà e
rappresentazione. Compie un viaggio in Italia e risalgono a questo periodo
i progetti di matrimonio che però sfumano.
Tornato in Germania, per affrontare una crisi finanziaria pensa di
dedicarsi alla carriera accademica.
Verso Hegel nutrirà costantemente una forte antipatia. Dal 1820 al 1831
tenterà inutilmente di contendergli la fama, programmando le sue lezioni
universitarie gli stessi giorni e le stesse ore del filosofo idealista, ma
le sue lezioni sono disertate dagli studenti, mentre Hegel raccoglieva
folle straboccanti di studenti. Lo definiva "sicario della
verità" e affermava che "il suo sistema filosofico è una
buffonata". Per Schopenhauer la dialettica non è un metodo valido di
pensiero.
Nel 1831 si trasferisce a Francoforte. Nel 1836 pubblica lo scritto Sulla
volontà nella natura. Già nel corso degli anni quaranta si è venuta
formando intorno all'anziano filosofo una piccola cerchia di ammiratori e
seguaci.
E' il primo filosofo che studia a fondo le filosofie orientali,
soprattutto quella indiana, e ne trae degli insegnamenti che inserisce
nella sua visione del mondo.
La morte lo coglie nel 1860 in seguito a una polmonite.
La sua fama come filosofo è in gran parte postuma e si lega alla fortuna
di cui godrà la sua dottrina "pessimistica".
IL MONDO COME
VOLONTA' E
RAPPRESENTAZIONE
Schopenhauer si ispira soprattutto a due filosofi: il "divino"
Platone e il "sorprendente" Kant.
Schopenhauer è un grande ammiratore della "Critica alla ragion
pura" di Kant.
Utilizza un lessico kantiano e da questo punto di vista sembrerebbe un
vero e proprio kantiano. Il realtà usa i termini kantiani in maniera
sviante: Schopenhauer era d'accordo con Kant sul fatto che noi abbiamo
solo una conoscenza fenomenica, perciò la cosa in sé è inconoscibile.
Però se per Kant la conoscenza fenomenica era la vera conoscenza
oggettiva, per Schopenhauer la conoscenza fenomenica è solo una specie di
inganno, una conoscenza illusoria che nasconde l'autentica verità delle
cose.
Nell'opera troviamo due valutazioni della conoscenza fenomenica:
1) il fenomeno è come una corda abbandonata in terra che da lontano
sembra un serpente, ma se ti avvicini ti accorgi che è solo una corda.
Nel senso che l'apparenza può ingannare.
2) il viandante nel deserto vede un oasi, ma questo è solo un miraggio,
in realtà l'oasi non c'è.
In questo senso la conoscenza fenomenica è ingannevole.
Lo scopo della filosofia di Schopenhauer è quello di giungere alla
verità, nonostante l'ostacolo della conoscenza fenomenica; bisogna quindi
trovare la via adatta.
Il soggetto conferisce validità al mondo oggettivo applicandogli le forme
a priori della sensibilità e dell'intelletto: spazio, tempo e causa
(unica categoria kantiana ritenuta indispensabile e sufficiente). Ciò che
viene così conosciuto non è la realtà in se stessa, ma il suo fenomeno.
Quindi come si può uscire dalla conoscenza fenomenica, come si può
oltrepassarla?
Tutto ciò che entra nella nostra mente è percepito e fa parte della
conoscenza fenomenica. Tutto ciò che penso è già conoscenza fenomenica.
Secondo Schopenhauer c'è qualcosa che noi possiamo conoscere fuori dalla
conoscenza fenomenica: il fatto che noi abbiamo dei desideri e vogliamo
qualcosa. Questo desiderio lo avvertiamo immediatamente, lo intuiamo.
Es: quando ho fame, il desiderio di mangiare lo avverto immediatamente,
non ho bisogno dei cinque sensi per saperlo. È chiaro che, una volta che
capisco che ho fame, devo poi usare la ragione per soddisfare questo
desiderio, scegliendo i mezzi idonei per raggiungere il fine .
Schopenhauer dice "La volontà è la vera cosa in sé del nostro
essere". Tutto ciò che conosciamo di noi stessi con i sensi o
l'intelletto è una conoscenza fenomenica e quindi ingannevole. L'essenza
di tutta la realtà è invece la volontà (che è l'unica cosa in sé).
La volontà è la cosa in sé di tutta la realtà. Si concepisce la
realtà in una prospettiva monistica: tutto è volontà, vi è un'unica
sostanza, rispetto alla quale le persone e le cose sono come i suoi modi
(nel senso di Spinoza).
La volontà ha quattro caratteristiche:
Cieca e irrazionale: la volontà non ha uno scopo. Se si prende in
considerazione la volontà umana, quando una persona vuole qualcosa è
perché ha un fine. La scelta dei mezzi è in funzione del fine
desiderato. Schopenhauer dice che la volontà vuole tanto per volere, non
le interessa il fine. Perciò il fine ultimo della volontà non esiste.
Quindi la volontà è irrazionale, se per razionalità intendiamo la
scelta di un mezzo adeguato per raggiungere un fine.
Inconscia: non sempre la volontà è consapevole. Una pianta ha una
volontà (l'istinto che la porta a vivere, a tendere verso ciò che
mantiene la vita), ma non è consapevole di questa volontà. La volontà
come un tutt'uno è inconscia. Nella teologia cristiana il soggetto che è
totalmente consapevole della propria volontà è Dio. Perciò la volontà
è inconscia perché non consapevole.
La volontà non è soggetta al principio di individuazione: nella
filosofia scolastica tale principio generava l'individualità.
Es: due biro hanno la stessa essenza, ma sono comunque diverse, sono
individui perché distinti tra loro e dall'universale.
Per Schopenhauer la volontà non è determinata dal fatto di essere
individuata in un singolo uomo, o in un singolo essere vivente, ma è
ontologicamente un tutt'uno, come è uno il mare nonostante si manifesti
come composto da molteplici onde.
Esaminando l'ontologia di Spinoza abbiamo paragonato il mare alla
sostanza, e le onde agli accidenti.
La volontà è il mare, le volontà dei singoli sono le onde (ossia un
modo di essere della volontà come cosa in sé). Il mare sta alle onde,
come la volontà come cosa in sé sta alla volontà dei singoli essere
viventi.
La conoscenza umana è solo fenomenica quindi
illusoria, la vera realtà è data dalla volontà che ha queste
caratteristiche.
La volontà non si manifesta in se stessa, ma lo fa oggettivandosi. La
volontà è una, ma la realtà è molteplice.
Schopenhauer credeva che Platone avesse ragione quando pensava
all'esistenza di un mondo ideale e di due livelli di realtà (idee e
cose).
Anche la volontà quando si oggettiva, cioè diventa realtà, lo fa non
immediatamente, ma in maniera mediata: prima la volontà diventa idea,
modello e poi enti e cose.
Perciò da Platone trae la concezione secondo cui la volontà si oggettiva
prima in un mondo ideale.
CONCEZIONE STRUMENTALE DELLA RAGIONE O RAGIONE
STRUMENTALE
È un'idea che si diffonde soprattutto nel '900, ma che troviamo già in
Hume e Schopenhauer.
Schopenhauer ponendo la volontà come cosa in sé, ribalta quello che era
il più diffuso modo di comprendere i rapporti tra ragione e volontà.
Es: nel mito platonico della biga alata la ragione, impersonata
dall'auriga, guida le passioni e i cavalli sono gli strumenti che
permettono all'anima razionale di agire.
Perciò la ragione decide e la componente volitiva dell'uomo è un mezzo
per attuare le deliberazioni razionali.
Schopenhauer ribalta il discorso: la volontà è quella che guida (il
cavaliere), la ragione è il mezzo, (il cavallo).
La ragione ci serve a scegliere i mezzi adeguati per raggiungere il fine.
È razionale la scelta di mezzi adeguati al fine (ad es. è irrazionale
decidere di andare in America a nuoto).
A -> B -> C -> D -> … -> X
A è adeguato per raggiungere B, B è adeguato per raggiungere C….
X è il fine ultimo, di cui non si può decidere se sia razionale o no, se
per essere razionale deve essere un mezzo adeguato per raggiungere un
fine.
Per definizione il fine ultimo è quel fine che non viene utilizzato come
mezzo per raggiungere un altro fine.
Quindi è la volontà e non la ragione che determina il fine. Con la
ragione possiamo solo individuare i mezzi idonei.
Aristotele aveva detto che l'uomo può deliberare i mezzi per essere
felice, ma il fine non deve essere deciso (è già intrinseco alla natura
umana che il fine sia la felicità).
Per Aristotele essere felici fa parte della natura umana e quindi la
ragione può riconoscere questo fatto, per Schopenhauer, siccome la
volontà è cieca, ci fa volere tanto per volere, ma noi non possiamo dare
una giustificazione razionale a questo volere.
La ragione svolge un compito ausiliario.
Da qui nasce la visione pessimistica.
"Ogni rosa ha molte spine, ma ci sono le spine senza le rose":
per ogni piacere raggiunto ce sono molti altri desideri che non riusciamo
soddisfare.
"La vita umana è un pendolo che oscilla incessantemente tra noia e
dolore, passando talvolta in un momento illusorio di piacere": se non
abbiamo desideri forti ci annoiamo, se abbiamo desideri che non possono
essere soddisfatti proviamo dolore.
Quindi si ha noia o dolore e a volte piacere quando si riesce a soddisfare
il desiderio, anche se questo piacere è considerato come un breve
intervallo di una vita che è infelice.
"Per ogni desiderio appagato ce ne sono almeno 10 che sono
inappagati".
L'uomo è sempre costretto a scegliere quindi le frustrazioni aumentano.
Inoltre la natura umana fa sì che il piacere sia instabile e momentaneo.
È questa una conferma della visione pessimistica.
Schopenhauer dice che tutti gli animali si trovano nella condizione
dell'uomo, ma per l'uomo è peggio perché più consapevolezza equivale a
più dolore. L'uomo, essendo consapevole, soffre di più (sa che, dopo
aver mangiato, il suo piacere non durerà a lungo).
Secondo i romantici l'amore era un elemento importante. Schopenhauer, da
antiromantico, scrive che l'uomo si illude di amare; l'amore non è altro
che un trucco della volontà per perpetuare la specie. Noi siamo dominati
dalla volontà che ci fa desiderare inconsapevolmente la riproduzione
della specie.
Perpetuando la specie si perpetua la volontà.
L'uomo di fronte alla volontà può scegliere: o si adegua alla volontà e
cerca di conseguire il piacere il più possibile, oppure deve fare uno
sforzo per depotenziare e annullare la volontà.
Secondo Schopenhauer la prima soluzione va evitata, perché l'uomo
accettando la volontà va verso l'infelicità. Schopenhauer è invece
convinto che la strada da seguire sia la seconda: depotenziare la
volontà, che però non può essere annullata del tutto, ma può essere
indebolita.
Per indebolirla ci sono tre gradini da salire, tre vie da seguire:
Creazione artistica e contemplazione: nel momento in cui l'artista
concepisce l'opera, o crea l'opera, oppure quando osserviamo un'opera
d'arte, in questo attimo è come se i nostri interessi egoistici siano
messi da parte. Il desiderio da parte dell'artista di dipingere per
ottenere la gloria, datogli dalla volontà, viene messo da parte.
Attraverso la contemplazione e la creazione l'uomo si sottrae al
condizionamento della volontà. Non è però la soluzione definitiva
perché è di breve durata.
Livello etico (empatia, solidarietà): se vedo uno che soffre mi
immedesimo e voglio aiutarlo. In quest'occasione non penso a me stesso e
agisco per il bene dell'altro, mettendo in secondo piano la parte di me
che vuole il mio piacere (volontà). Ma anche questa soluzione è
momentanea e transitoria.
Ascesi: è la castità, il digiuno, l'autoabnegazione, la povertà
volontaria, il sacrificio eroico di sé. Anche nel medioevo c'era
l'ascetismo (es: flagellanti) ma questo tipo di ascesi era finalizzata per
ottenere la salvezza. La vera ascesi è tale se l'uomo vuole l'ascesi per
l'ascesi, senza secondi fini.
Le obiezioni possono essere mosse per quanto riguarda l'ascesi. Prima di
tutto Schopenhauer, nella sua vita reale, non ha messo in pratica quello
che scrive, però una mancanza di coerenza personale non può essere
motivo decisivo di critica.
C'è poi un'aporia poiché la decisione di annullare la volontà proviene
dalla volontà stessa.
L'ascetismo si traduce per Schopenhauer in una morale della compassione.
Essa consiste nell'abolire ogni distinzione fra l'io e l'altro, nella
capacità di patire con l'altro, giungendo a respingere l'egoismo in
quanto forma tipica di cui si serve la volontà di vivere per attuare i
suoi scopi.
Vi sono diversi gradi dell'ascesi. La castità è il primo e
indispensabile gradino dell'ascesi, in quanto rappresenta la scelta, per
l'individuo, di liberarsi dalla subordinazione alla volontà della specie,
che utilizza le lusinghe dell'amore per uno scopo interessato. Essa, con
il suicidio, che viene rifiutato, rappresenta il vero distacco nei
confronti della volontà di vivere.
Non è possibile definire in positivo il termine dell'ascesi, che non ha
in ogni caso di mira l'annullamento nichilistico dell'uomo e dei suoi
valori, quanto piuttosto la loro trasformazione. Schopenhauer può solo
esprimerlo in negativo, con il termine di noluntas: che sta a indicare la
condizione della volontà liberata, non più cieca volontà di vivere, ma
sua catarsi definitiva, non più, propriamente, "volontà", ma
"non volontà".
N. B. Gli appunti sono stati presi durante le lezioni e
non sono stati rivisti, ne integrati con le spiegazioni del manuale di
filosofia in adozione
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