Cartesio può essere considerato il
fondatore della filosofia moderna. La filosofia moderna va da Cartesio
(inizio 1600) a Kant (le sue opere più importanti sono databili dal 1781
al 1790).
Nella riflessione filosofica dell'800-900 si pensa che vi è una gran
differenza tra la filosofia moderna e quella antica.
Caratteri principali della filosofia moderna:
· Influsso della scienza: uno potrebbe dire che la scienza ha come
compito quello di studiare gli eventi naturali, potremmo quindi
distinguerla dalla filosofia. Però si è riscontrato un influsso della
scienze sulla filosofia, perché spesso scienziati e filosofi erano la
stessa persona. L'influsso è dovuto al fatto che il metodo scientifico
sembrava dare più garanzie e perciò il filosofo tende a cercare un
metodo il più possibile simile a quello scientifico e quindi più
attendibile ed esatto. Perciò la filosofia moderna si distingue
nettamente da quella antica perché subisce l'influenza della scienza.
· Centralità del problema gnoseologico: si può dire che la filosofia
antica - medioevale indaga l'essere, la sua natura, si chiede com'è il
mondo e perché esiste…. La filosofia moderna ha come interesse
principale, dominante, il problema della conoscenza: come l'uomo conosce e
quali sono i limiti della conoscenza umana. Uno potrebbe dire che anche
Aristotele e Agostino si preoccupavano della conoscenza; però per loro
questo non era la cosa più importante, non era il centro della filosofia.
Tendevano, invece, a indagare la realtà.
Nella filosofia moderna troviamo due correnti:
· Razionalismo: gli esponenti di questa corrente, tra cui Cartesio
e Spinoza, credevano che fosse possibile con la sola ragione avere delle
conoscenze, indipendentemente dall'esperienza.
· Empirismo: dottrina della conoscenza secondo la quale tutta la
conoscenza deriva dall'esperienza. Gli esponenti principali sono Locke (inglese),
Berkeley (irlandese) e Hume (scozzese).
CARTESIO (RENÉ DESCARTES) nasce nel 1596 a La Haye, in Turenna.
Vive gran parte della sua vita fuori dalla Francia. Ha infatti partecipato
alla guerra dei Tren'anni in Germania e si era poi trasferito in Olanda,
perché era, al tempo, il paese con meno censura. Frequenta la scuola dei
Gesuiti a La Flèche, una scuola tipica della mentalità della
controriforma, in cui c'era un uso massiccio del latino e un insegnamento
basato sulla filosofia aristotelica - scolastica molto nozionistica.
Proponevano le nozioni di Aristotele e altri come vere solo perché erano
state dette da maestri autorevoli ("Ipse dixit"), atteggiamento
che Cartesio non sopportava. Questo principio di autorità non era
sostenuto neanche dallo stesso Aristotele, il quale ammetteva le critiche
dei suoi allievi.
Scrive due opere fra loro simili, ma indirizzate a due pubblici diversi:
· Discorso sul metodo: lo scrive in francese nel 1637, prima opera
scientifica in francese (sull'ottica, geometria…). Fino ad allora si
scriveva in latino; scrivendolo in francese, Cartesio ne facilita la
diffusione. (La prima opera nell'ambito dei saggi e dei trattati in
italiano si ebbe nel 1513 con il Principe di Machiavelli. La prima
opera filosofica importante in francese è appunto il Discorso sul
metodo di Cartesio del 1637. La prima opera in inglese è di Locke, il
Saggio sull'intelletto umano nel 1690. La prima opera in tedesco si
ha nel 1781 con la Critica della ragione pura di Kant.
· Meditazioni metafisiche: scritto nel 1641 in latino per un
pubblico colto. Lo riscrive poi in francese nel 1647. Ne fa diverse
edizioni, in una delle ultime ha anche raccolto le obiezioni di vari
intellettuali del tempo contro di lui con le rispettive risposte. Il libro
tratta della ricostruzione del sapere su basi sicure.
La morte di Cartesio è abbastanza singolare: con la morte di Gustavo
Adolfo sale al trono di Svezia Cristina, la quale si interessava molto di
filosofia e decise di prendere lezioni da Cartesio. Lo chiama quindi a
corte e Cartesio si trasferisce subito in Svezia, perché per lui era un
grande riconoscimento. Le lezioni iniziavano però alle 6 del mattino,
perché poi la regina era molto affaccendata, e a forza di uscire così
presto con il freddo Cartesio si prende una polmonite e muore. Era il
1650.
Dubbio metodico: Cartesio diceva che i suoi professori gli avevano sempre
riempito la testa di nozioni e che quindi lui, con questo tipo di
insegnamento, si stufava. Per poter cambiare le cose, diceva, bisogna
fondare la conoscenza su basi certe, cioè mettere in dubbio ciò di cui
si può dubitare. Molte volte le esperienze sensibili ci ingannano, quindi
dobbiamo dubitare di tutta la conoscenza sensibile. Si chiama dubbio
metodico perché non dubito di tutto per partito preso o con atteggiamento
scettico, ma solo di qualcosa che posso in qualche modo scegliere, con lo
scopo di fondare la conoscenza su basi incontrovertibili. Se escludo tutta
la conoscenza sensibile posso tener conto solo della conoscenza
matematica. Però ci potrebbe essere un genio maligno che mi inganna: si
parla dunque di dubbio iperbolico che ci fa credere vero qualcosa che non
lo è.
Se uno dubita di tutto è chiamato scettico. Costui però può non
dubitare di dubitare, se è certo di dubitare, è certo di pensare,
perché il dubbio è una forma di pensiero, ma se pensa allora deve
esistere. Simile è il ragionamento che fa Agostino che però lo considera
uno dei vari aspetti della ricerca del rapporto uomo-Dio, Cartesio,
invece, lo considera un fondamento. Prima c'è il dubbio, poi la famosa
affermazione: Cogito, ergo sum.
Quest'affermazione può essere pensata come un sillogismo:
Tutti gli enti che pensano esistono (premessa maggiore)
Io sono un ente che pensa (premessa minore)
Io esisto
Dal punto di vista della logica aristotelica il discorso è esatto. Però
Cartesio dice che non possiamo ridurre il cogito a un sillogismo, perché
qualcuno potrebbe dubitare sulla premessa maggiore: uno scettico potrebbe
pensare che siccome gli enti sono infiniti, la verifica della verità
della premessa maggiore non è possibile.
Quando formulo un giudizio universale (mediante il "tutti") non
è riscontrabile empiricamente: se dico che tutti i corvi sono neri
intendo anche fra 2000 anni, ma io allora non ci sarò e magari le cose
sono cambiate.
Il cogito cartesiano non è una risultante di una dimostrazione logica, ma
di un'esperienza personale.
Il soggetto della frase "cogito, ergo sum" è IO. L'io può
essere inteso in due modi:
io, il mio corpo (nella frase: io ho male al piede); io, la mia mente (io
sto pensando che il teorema è esatto).
Per Cartesio il soggetto in questa seconda frase è io, inteso come la mia
mente. Io potrei dubitare che il mio corpo esista (perché come abbiamo
già detto si è messa da parte la conoscenza sensibile) però non posso
dubitare che la mia mente esista.
Esistono due tipi di realtà: Res cogitans (pensiero) e Res extensa
(materia)
Cartesio giunge a questo dualismo grazie al cogito, che mi rende sicuro
che esita il pensiero, mentre mi lascia in dubbio riguardo all'esistenza
della materia.
Il percorso sviluppato sia nel Discorso sul metodo, sia nelle Meditazioni,
può essere così schematizzato: DUBBIO, COGITO ERGO SUM, CERTEZZA CHE
ESISTA LA RES COGITANS, ESISTENZA DI DIO, dottrina dell'ERRORE, ESISTENZA
DI RES EXTENSA.
Dimostrazione dell'esistenza di Dio
I PREMESSA: l'idea per Cartesio non ha più significato platonico
(qualcosa di universale, solo i concetti universali erano idee). In
Cartesio (e anche negli empiristi) con il termine idea non si intendeva
più il concetto universale, ma un qualunque contenuto mentale, una
qualunque rappresentazione nella mia mente. Il termine idea quindi
racchiude tutto ciò che la nostra mente può contenere.
Le idee si dividono in:
· Innate: indipendenti dall'esperienza, idee che sono nella mente
indipendentemente dalla conoscenza dei sensi. Per esempio l'idea di Dio,
del pensiero, di estensione.
· Avventizie: idee che provengono dall'esperienza sensibile che
potrà anche essere ingannevole e portarci a idee non vere.
· Fattizie: prodotte dall'intelletto umano. Come per esempio
l'idea di ippogrifo, cavallo alato: abbiamo tratto dall'esperienza l'idea
di cavallo e l'idea di ali e le abbiamo fuse insieme.
Per Cartesio non esistono altre possibilità, tutte le idee appartengono a
una di queste categorie.
Per provare l'esistenza di Dio Cartesio elabora 3 prove, le prime due a
posteriori e di trovano nella "III meditazione metafisica", la
terza a priori che si trova nella "V meditazione metafisica".
I PROVA A POSTERIORI :
L'idea di Dio nella nostra mente è quella di ente perfetto con tutte le
qualità positive al massimo grado. A quale tipo di idea appartiene l'idea
di perfezione? Avventizia sicuramente no, perché con i 5 sensi non
percepiamo niente di perfetto. Cartesio credeva allora che fosse innata.
Qualcuno potrebbe però obiettare che è fittizia, perché l'ente perfetto
lo possiamo suddividere in tante caratteristiche, che messe insieme mi
danno la perfezione: onnipotente+onnisciente+infinitamente buono. Queste
tre caratteristiche sono tutte e tre fattizie (perché non possono essere
avventizie). Per farci l'idea di onnisciente possiamo trovare la persona
più sapiente di tutti, quindi vedendo che c'è un diverso grado di
ignoranza possiamo pensare che ce ne sia uno onnisciente. Lo stesso
ragionamento può essere fatto anche con le altre caratteristiche.
Cartesio sostiene che l'idea di perfezione è innata, perché quando mi
costruisco l'idea di onnisciente, devo riconoscere come imperfetto colui
che ignora qualcosa. Per giudicare imperfetta la realtà che conosco al
fine di costruire l'idea di perfezione, devo in qualche modo avere già
una qualche nozione di perfezione. Per esempio per giudicare se un compito
è giusto o sbagliato, devo prima sapere com'è quello giusto.
L'idea di perfezione, quindi, è innata, non fattizia. Questa premessa è
determinante per credere alla prima prova: Cartesio dice che un'idea
innata è nella nostra mente, ma poiché tutto ciò che accade ha una
causa, allora dobbiamo dire che anche l'idea di Dio ha una causa.
Cosa possiamo sapere sulla causa? Fa riferimento a un assioma della
filosofia scolastica:"La causa di un'idea deve possedere tanta
realtà formale quanta è la realtà oggettiva dell'idea". Si fa la
distinzione tra realtà oggettiva con la quale intendevano il contenuto
dell'idea (l'idea di albero contiene l'idea di foglia, indipendentemente
dal fatto che l'albero esista o no) e realtà formale ossia ciò che
esiste, che è formalmente tale, realtà che esiste effettivamente.
Come in generale la causa deve possedere tanta realtà quanta ce n'è
nell'effetto, la causa di un'idea deve possedere tanta realtà formale
quanta è la realtà oggettiva dell'idea.
La realtà oggettiva di Dio è la perfezione. La causa dell'idea di
perfezione deve avere tanta perfezione quanta quella che c'è nell'idea
stessa di perfezione. La perfezione non può essere altro che Dio, perché
solo Dio è l'ente perfetto, ed essendo l'ente perfetto è anche la causa
dell'idea di perfezione.
Solo dell'idea di Dio, ossia dell'idea di sostanza infinita e perfetta,
non posso essere la causa io, che sono una sostanza finita e imperfetta.
La causa che ha causato in noi l'idea di perfezione è perfetta. Quindi
Dio esiste come ente perfetto, perché dico che esiste l'idea perfetta. Le
idee innate hanno come causa Dio, le idee fittizie hanno come causa
l'uomo.
L'ente perfetto è quindi la causa di se stesso. Ciò può risultare
comprensibile perché, se io non suppongo che nella causa ci sia più
realtà di quella che c'è nell'effetto, allora quello che trovo
nell'effetto è causato da cosa? Se per esempio prendo dell'acqua
scaldata, se l'acqua è più calda della fiamma che l'ha scaldata, da dove
è venuto il calore in più? Dal nulla?
II PROVA A POSTERIORI:
Si fa riferimento alla seconda via di Tommaso. Tommaso partiva
dall'esistenza di oggetti reali (tavolo, albero, sasso), ma Cartesio non
può accettare ciò, perché ha messo in dubbio l'esistenza della materia.
Quindi Cartesio si basa su se stesso, in quanto soggetto pensante: A deve
essere causato da B, B da C… e all'inizio ci deve essere la causa
incausata che è Dio. L'unica differenza è perciò che Cartesio non parte
dalla materia (da un ente esistente percepito coi sensi, come faceva
Tommaso, ma dal soggetto pensante.
III PROVA A PRIORI (ONTOLOGICA):
Si tratta dello stesso argomento di S. Anselmo. Quasi tutti i filosofi del
'600, poiché erano stufi della scolastica, non andavano a leggere le
fonti e quindi non si può sapere se Cartesio avesse mai letto la Summa
Theologiae di San Tommaso, che conteneva l'obiezione alla prova
ontologica. Fatto sta che non ritiene determinante l'obiezione di Tommaso.
Cartesio perfeziona comunque la prova con esempi matematici.
Le riflessioni sull'ERRORE:
Gli errori possono essere divisi in:
· Errore di distrazione, per esempio sbaglio il segno nel calcolare il
valore di un incognita
· Errore di percezione che include l'errore di induzione e di stima
nell'approssimazione.
· Questi errori, dice Cartesio, sono causati tutti dalla volontà.
La volontà può intervenire sottoforma di precipitazione (vedo in una
piazza un tipo che sembra un mio amico e lo scambio per lui, però
avvicinandomi mi accorgo che sto sbagliando). Spesso infatti le persone
tendono ad anticipare il giudizio: la volontà ci mette fretta, impone
all'intelletto di giungere alla conclusione, quando non ci sono ancora
elementi sufficienti per decidere. L'altro tipo di influenza, che si
manifesta soprattutto negli errori di distrazione, è il fatto che, mentre
faccio una cosa, sto pensando ad altro, magari a cosa fare dopo…. Come
conclusione ottengo la distrazione che mi fa compiere l'errore: è sempre
la volontà che mi deconcentra, mi fa pensare ad altro. Quindi riassumendo
la volontà può ingannare o mettendo fretta o facendo pensare ad altro.
A Cartesio interessa questo perché vuole dimostrare che l'intelletto non
sbaglia.
Controprova: se penso alla dimostrazione di un teorema, ogni passaggio che
compio diventa evidente (applicazione del principio di non
contraddizione).
Per quanto riguarda la prova ontologica, Kant sostiene che è stato
compiuto un errore logico, perché non bisogna includere nelle qualità
che determinano l''essenza anche l'esistenza. Per Kant se Anselmo fosse
stato più attento, avrebbe valutato ogni cosa e non avrebbe commesso
l'errore.
L'errore di induzione è causato dalla fretta: osservo i cigni e
ovviamente non potendo osservarli tutti, faccio una affermazione che
conclude le mie osservazioni "Tutti i cigni sono bianchi",
affermazione però che non bisognerebbe assumere come certa, perché
queste conclusioni induttive sono, in realtà, tutte ipotesi provvisorie,
ipotetiche, congetturali.
Nel caso dell'errore di approssimazione, bisogna capire bene in cosa sta
l'errore: se prendo una misura con il centimetro e stimo ad occhio e mi
accontento, allora l'errore non c'è; se però scambio questa misura
approssimata per quella giusta, compio un l'errore di voler misurare una
cosa senza gli strumenti adatti. La causa è sempre la volontà o
dell'individuo o di altri.
Dimostrazione dell'esistenza della "Res extensa"
Sono quattro i passaggi a cui si può giungere alla certezza che la
materia esiste (argomento trattato nella Sesta meditazione metafisica):
· Possibilità: perché qualcosa possa esistere, bisogna prima
dimostrare che non è contraddittorio che esista. L'idea che la materia
esista, secondo Cartesio, non è contraddittoria. Infatti quando il nostro
intelletto ha delle intuizioni geometriche (per esempio cos'è un
triangolo…), abbiamo delle idee chiare e distinte sullo spazio e quindi
abbiamo una concezione non confusa dell'estensione. Siccome la materia è
caratterizzata dal fatto che è estesa e abbiamo una concezione non
contraddittoria dell'estensione, allora possiamo dire che è possibile che
la materia esista.
· Probabilità: noi vediamo e tocchiamo cose estese (albero, muro…)
e se le tocco sento una solidità e tendo a pensare che esista. È vero
che i sensi ci possono ingannare, ma non è detto che ingannino sempre.
Questo non ci da una prova, ma ci dice solo che è probabile che le cose
esistano.
· Verosimiglianza (alta probabilità): secondo Cartesio il
fondamento della verosimiglianza dell'esistenza delle cose è data dal
fatto che possiamo distinguere fra:
· Rappresentazioni necessarie: vedo una biro, perché ho in mano proprio
una biro (sono obbligato)
· Rappresentazioni libere, le posso scegliere: immagino quello che
voglio.
Noi però non possiamo vedere ciò che vogliamo, ma ciò che
necessariamente vediamo. La causa della rappresentazione necessaria è
l'esistenza delle cose stesse: se vedo un automobile e non un elefante, è
perché lì c'è un automobile e non un elefante.
Questo potrebbe essere quindi un argomento che rende verosimile
l'esistenza delle cose materiali. Però la conoscenza sensibile può
essere ingannevole e quindi non dobbiamo basarci solo sulla
verosimiglianza.
· Certezza assoluta: per Cartesio l'esistenza assoluta della
materia si può appoggiare all'esistenza di Dio: Dio non ci ha creato in
modo tale che ci inganniamo sistematicamente. Se la materia non esistesse,
non avremmo gli oggetti e quindi ci inganneremmo sistematicamente. Uno
però potrebbe obiettare: l'uomo per natura erra, allora non è vero che
Dio ci ha creati in maniera tale da non ingannarci sistematicamente e
quindi la materia non esiste. Cartesio risponde dicendo che noi facciamo
degli errori, però se osserviamo la fenomenologia dei nostri errori, ci
accorgiamo che se non ci facciamo influenzare dalla volontà, riusciamo ad
utilizzare l'intelletto senza sbagliare. Dio quindi infinitamente buono,
fa in modo che noi non ci inganniamo sistematicamente e perciò
l'esistenza delle cose materiali ci è data dal fatto che Dio è buono.
Le regole del metodo
Nella seconda parte del Discorso sul metodo, Cartesio enuncia
quattro regole per procedere alla risoluzione dei problemi filosofici.
1)
«Non accogliere mai nulla per vero che non conoscessi esser tale
con evidenza; cioè evitare diligentemente la preoccupazione e la
prevenzione; e non comprendere nei miei giudizi niente di più di ciò che
si presentasse così chiaramente così distintamente al mio spirito che io
non avessi alcuna occasione di metterlo in dubbio». Questa è per
Cartesio la regola più importante: l’evidenza,
l’intuizione chiara e distinta di tutti gli oggetti del pensiero e
la esclusione di ogni elemento sul quale il dubbio fosse possibile.
2)
«Dividere ciascuna delle difficoltà da esaminare nel maggior
numero di parti possibili e necessarie per meglio risolverla». È la
regola dell’analisi,
per la quale un problema viene risolto nelle parti più semplici da
considerarsi separatamente.
3)
«Condurre i miei pensieri ordinatamente, cominciando dagli oggetti
più semplici e più facili a conoscersi per risalire a poco a poco, quasi
per gradi, fino alle conoscenze più complesse; supponendo che vi sia un
ordine anche tra gli oggetti che non precedono naturalmente gli uni agli
altri». È la regola della sintesi,
per la quale si passa dalle conoscenze più semplici alle più
complesse gradatamente, presupponendo che ciò sia possibile in ogni
campo. Qui sintesi non è usata nel significato oggi comune di
"riassunto" (nemmeno nel significato che gli insegnanti usano
nei giudizi scolastici quando parlano di capacità di sintesi) ma nel
significato di ricomposizione o ricapitolazione ordinata.
4)
«Fare in ogni caso enumerazioni così complete e revisioni così
generali da essere sicuro di non omettere nulla». Ad esempio nella prima
prova dell'esistenza di Dio, per asserire che l'idea di Dio è innata, non
basta escludere che sia fattizia o avventizia, ma occorre mostrare che
tutte le idee rientrano necessariamente in uno dei tre sottoinsiemi (idee
innate, avventizie e fattizie).
Problema
Con il dualismo cartesiano è come se la realtà fosse divisa in due
mondi: il pensiero e la materia.
All'interno dei due mondi i rapporti di casualità come sono? All'interno
della realtà materiale un fenomeno A è causato da B e così via e ci
sono quindi catene causali. Queste catene causali possono esserci anche
nella realtà del pensiero, per esempio penso alla vacanza di
quest'estate, mi ricordo di una persona che ho conosciuto, che mi ha dato
un regalo, che ho in camera mia…, perciò un'idea ne può provocare
un'altra.
Ci sono poi delle catene causali che vanno dalla materia al pensiero e
viceversa. Se per esempio vedo una montagna, mi ricordo che sono andata a
funghi e o conosciuto un tipo interessante e simpatico…. Oppure decido
di alzare un braccio (giudizio della mia mente) e lo alzo (fatto fisico).
Come si spiegano queste interazioni? Se per Cartesio esistono questi due
livelli di realtà allora dovrebbero essere indipendenti. Tutto l'universo
può essere concepito come un orologio, come un grande meccanismo. Se
immaginiamo il mondo senza l'uomo, allora ci sarebbe solo la materia
(perché secondo Cartesio gli animali, nè tanto meno i sassi, possono
pensare) e quindi con l'uomo abbiamo il rapporto fra i due mondi: il suo
cervello è materiale e l'uomo pensa. Questo contatto avviene, dice
Cartesio, attraverso la ghiandola pineale (che corrisponde all'epifisi,
ghiandola che si trovo nel mezzo del cervello), nella quale avviene un
contatto tra gli spiriti animali (movimenti del cervello che causano i
pensieri, gli atti che il nostro corpo può compiere comandati dal
cervello) e il pensiero. Alla scelta di questa specifica ghiandola
Cartesio fu portato dall'osservazione che doveva esserci un luogo in cui i
dati doppi, provenienti dagli occhi, dalle orecchie e dagli altri organi
di senso, venissero coordinati, in modo da consentire all'anima una
percezione unitaria degli oggetti.
Però questo modo di porre le cose non è soddisfacente. Uno infatti
potrebbe dire: la ghiandola è materiale e quindi fa parte del mondo della
materia, ma allora come fa ad influenzare il pensiero? Come può una cosa
materiale interagire con il pensiero?
Dell'interazione che c'è tra mondo materiale e pensiero sappiamo per
certo che c'è, però Cartesio non riesce a dimostrare in modo esauriente
la sua tesi, anche se era convinto che quello che aveva detto sulla
ghiandola pineale era coerente anche se non esaustivo.
Conclusione: Cartesio non è in grado di spiegare bene come pensiero e
spiriti animali interagiscono tra di loro. Sul rapporto mente, inteso come
pensiero, e cervello non ci sono teorie del tutto soddisfacenti neppure
oggi.
Sappiamo per certo che esiste un'interazione tra mondo materiale e
pensiero ma Cartesio non riesce a dimostrare in modo esauriente la sua
tesi anche se convinto che ciò che aveva detto sulla ghiandola pineale
fosse coerente.
E' ancora attuale il dualismo cartesiano? Cartesio pensava che la
nostra mente fosse ciò che caratterizzava l'uomo e lo rendeva diverso
dagli altri esseri viventi, che erano puri meccanismi. Per lui la mente
era libera di sottrarsi ai condizionamenti del corpo, pur riconoscendo i
vincoli posti all'attività mentale dall'organizzazione materiale del
corpo umano e in particolare del cervello. Una distinzione di tipo
dualistico tra mente e cervello è sostenuta dal filosofo della scienza
Karl Popper, nel XX secolo, come vedremo il prossimo anno. Un dualismo
simile a quello di Cartesio è sostenuto dal biologi contemporanei detti
"ultradarwinisti" come Richard Dawkins. In questo caso la
libertà della mente umana è ipotizzata non come libertà dalla
materialità, dalla res extensa, ma dall'egoismo dei geni, cioè
dalle sequenze di basi azotate che formano il DNA, che hanno come unico
fine quello di replicarsi senza fine. L'uomo, come tutti i viventi, è
concepito da questi biologi come una macchina genica, funzionale a
consentire la replicazione. Ma per Dawkins l'uomo è l'unico vivente che
può ribellarsi in qualche modo alla "tirannia dei replicatori
egoisti". E il sociobiologo Edward Wilson afferma che i geni tengono
la cultura (intesa come espressione della mente umana) al guinzaglio. Come
un cane tenuto al guinzaglio ha qualche margine di scelta, pur essendo
condizionato profondamente dalla volontà del padrone, così la mente
umana è rispetto ai geni. Per questi biologi la mente dell'uomo non è un
semplice epifenomeno della "machina genica", mentre tutte le
altre manifestazioni e comportamenti degli altri esseri viventi sono
causate dall'egoismo dei geni. Le analogia con Cartesio, come si vede,
sono evidenti.
FISICA CARTESIANA
Non c'è uno scritto di Cartesio che tratti sistematicamente tutta la fisica. Per oltre un secolo
la fisica cartesiana è stata seguita e la studiamo perché ci serve a
capire meglio, per differenza, il metodo che si è affermato oggi, quello
di Newton e Galileo.
I 5 presupposti della fisica cartesiana:
a/b) Identificazione tra materia e spazio e negazione del vuoto.
Prendiamo una materia (sasso). Ha tante caratteristiche che Galileo
distingueva tra qualità primarie e secondarie. Cartesio aveva fatto nelle
meditazione metafisiche un esempio: ho in mano un pezzo di cera, questa ha
delle caratteristiche: bianca, leggera, profumata, dura. Se la scaldo le
sue caratteristiche cambiano: da dura diventa liquida…. Quello che non
cambia mai è che occupa uno spazio, che ha volume. Un corpo materiale
mantiene sempre la caratteristica dell'estensione. Questa caratteristica
della materia di occupare uno spazio c'è sempre. Per Cartesio è l'unica
qualità primaria (anche se Cartesio non usa mai questo termine). La
materia la chiama res extensa. Cartesio dice che dire materia e dire
spazio è dire la stessa cosa. Se accettiamo quest'idea, ossia che
l'estensione sia una caratteristica essenziale di materia e spazio, allora
dovremmo dire che il vuoto non esiste. Cartesio infatti diceva questo.
Impossibilità del vuoto:
· Logica: il vuoto sarebbe uno spazio senza materia. Questo è però
contraddittorio perché lo spazio è estensione, il corpo è estensione,
ma un'estensione senza la materia è come dire un'estensione senza
estensione. Questo è contraddittorio.
· Fisica: tutto l'universo è pieno e quando un luogo, un'estensione si
svuota di materia entra subito un'altra materia (come nel caso della
bottiglia: esce l'acqua, ma entra l'aria).
Credeva che tutta la materia fosse formata da 3 tipi di particelle: le
più grosse erano atomi e molecole. L'etere, particelle circolari, è
negli spazi interstellari e fra il sole e il pianeta. Però essendo
circolare avanza dello spazio, tra le particelle di etere, che è perciò occupato dalla raschiatura,
tipo una segatura che riempie tutto (come per esempio la luce).
(breve digressione sul vuoto e sulla materia) Cartesio e Aristotele
pensavano che tutto lo spazio fosse pieno di materia, mentre Democrito,
prima di loro, aveva postulato il vuoto, come condizione necessaria per
rendere possibile il movimento degli atomi.
Le conclusioni della fisica contemporanea lascerebbero molti stupiti sia
Aristotele che Cartesio. Noi, oltre a sapere che esistono porzioni di
spazio prive di atomi, sappiamo che gran parte dello spazio è vuoto.
Prendiamo ad esempio l'atomo più semplice, quello di idrogeno. Le figure
dei libri di fisica e di chimica sono molto ingannevoli, perché non in
scala, e ci sembra che l'elettrone ruoti abbastanza vicino al protone. Se
paragoniamo le dimensioni del nucleo dell'atomo alla monetina da un
centesimo di euro che c'è sulla cattedra, l'elettrone sarebbe un punto
che ruota a circa duecento metri dalla monetina, e in questa sfera di
quattrocento metri di diametro, non ci sono altre particelle di materia
oltre la monetina e il punto in movimento. Ma anche il protone, la
monetina, non è tutta piena: infatti il protone è composto da tre
quark... Se per magia potessimo togliere tutto questo vuoto e
"compattare" tutte le particelle materiali, tutto il volume del
pianeta terra starebbe nel più piccolo dei vostri zaini. Ma le sorprese
della fisica contemporanea (rispetto alla nozione di materia propria del
senso comune, ma anche rispetto alle idee di Aristotele e di Cartesio) non
finiscono qui. Noi tendiamo a pensare, come Cartesio, che la massa
materiale occupi necessariamente uno spazio (la massa e ciò che oppone
resistenza alla forza, vedremo poi parlando di Newton, e quindi esprime
una caratteristica essenziale della materia). Noi sappiamo che un
decimetro cubo di piombo ha una massa maggiore di un decimetro cubo di
acqua (e a parità di forza di gravità il piombo pesa in proporzione più
dell'acqua). Ma sappiamo che la massa del piombo e dell'acqua esistono
perché c'è una parte di spazio "occupata" da piombo e da
acqua. Questa è la nozione più immediata di materia, ciò che occupa uno
spazio, che ha volume, che quindi è potenzialmente divisibile in parti.
Ci sembra quindi che non possa esserci massa senza volume. Prendiamo
l'elettrone: ha una massa ben definita (circa un
milleottocentotrentaseiesimo della massa del protone, come ci dicono i
libri di fisica; nessuna particella materiale ha massa inferiore) ma i
fisici dicono che sembra che l'elettrone abbia raggio zero, cioè non
occupi nessun volume! Finora sono riusciti a dimostrare che il suo raggio
è minore di dieci alla meno 17 millimetri. Ma alcuni, anche premi Nobel,
ipotizzano che il suo raggio sia proprio zero. Se questo fosse confermato
sperimentalmente, sarebbe una prova che può esserci massa, cioè materia,
senza volume. Povero Cartesio! Per lui spazio e materia erano la stessa
cosa!
Riassumendo: per Aristotele e Cartesio l'universo era tutto pieno; per noi
è quasi tutto vuoto (di materia; ma poi ci sono i campi...e la
relatività di Einstein, ne riparleremo in quinta).
c) Infinita divisibilità della materia.
La materia è divisibile all'infinito per lo stesso motivo per cui un
segmento può essere diviso infinitamente. Non possono dunque esistere
atomi indivisibili.
d) Infinita estensione del mondo.
Il cosmo è nello spazio, lo spazio è infinito, perciò il cosmo è
infinito.
e) Rigoroso meccanicismo.
Terra e cieli sono fatti di una stessa materia e la varietà della materia
e le differenze che in essa percepiamo sono tutte causate dal movimento
delle sue parti. Il rigoroso meccanicismo è una concezione secondo la
quale tutto il cosmo è un meccanismo, come un orologio, e il movimento si
trasmette solo per contatto. Uno scienziato olandese (Christiaan Huyghens,
discepolo di
Cartesio) dice: prendiamo un secchio pieno d'olio con in mezzo un bastone
perpendicolare al fondo del secchio e facciamolo girare attorno a questo
asse. Se prendo una pallina di piombo e la metto vicino al bordo del secchio, se il secchio gira molto veloce la pallina andrà verso il
centro con una traiettoria rettilinea, se gira più lentamente la sua
traiettoria si incurva.
Applichiamolo alla Terra: siccome ha il movimento di rotazione, avrà una forza centrifuga, ossia
le particelle d'aria tendono ad allontanarsi (a partire per la
tangente). Siccome per Cartesio la terra è inserita nell'etere (fuori dall'atmosfera)
allora le particelle d'aria non possono allontanarsi indefinitamente dalla terra,
perché vengono fermate dall'etere. Si crea nell'atmosfera una differenza
di pressione: man mano che ci si avvicina alla terra la pressione
diminuisce. Ecco perché se prendo un sasso e lo lascio cadere si avvicina
alla terra per la pressione (la stessa cosa che accade alla pallina di
piombo nel secchio d'olio). Più alto è il punto da cui si lancia il sasso più alta sarà
la pressione e quindi la spinta. Interpretare così la gravità ci fa
ammettere che i gravi cadono con una spinta (dell'aria) e che fuori
dall'atmosfera questa spinta non esista.
Newton, quando formula la legge di gravitazione universale, crede che
qualcosa non vada bene. Ci si chiedeva infatti come due corpi si potessero
attrarre nel vuoto. Un newtoniano, Cotes, aveva teorizzato che la gravità
era una caratteristica dei corpi, che non richiedeva ulteriore spiegazione
(come Democrito diceva che il movimento era una caratteristica intrinseca
degli atomi). L'insoddisfazione comunque rimane.
Il modello di Cartesio adesso sappiamo che è sbagliato, ma lasciava
comunque meno dubbi, e sembrava spigare in modo più brillante i fenomeni
fisici, con pochi principi generali. Ecco perché la fisica di Cartesio non sembrava
implausibile.
Leggi del movimento, conoscibili a priori e da cui si ricavano tutte le
altre leggi fisiche secondo Cartesio:
1) 1^legge: ogni cosa resta nello stato in cui è fino a che nulla la
cambia. Anche Dio non è soggetto a cambiamenti. Ogni cosa continua a
essere nel suo stato per quanto può e mai lo cambia se non per l'incontro
delle altre.
2) 2^legge: ogni corpo che si muove tende a continuare il suo movimento in
linea retta.
3) 3^legge: Dio è la causa prima del movimento e ne conserva sempre una
uguale quantità nell'universo. Dalla sua onnipotenza Dio ha creato la
materia con il movimento e il riposo che conserva adesso nell'universo
tanto movimento o riposo quanto ce ne ha messo creandolo. Quindi Dio,
poiché ha mosso in molte maniere differenti le parti della materia,
quando le ha create e le mantiene tutte nella stessa maniera e con le
stesse leggi che egli ha fatto osservar loro nella creazione, conserva
incessantemente in questa materia una uguale quantità di movimento.
La quantità di moto è il prodotto della massa per la velocità. Quindi la quantità di moto
nell'universo è costante. Qm=k All'inizio si è data la
carica all'orologio che ha continuato da solo fino ad adesso e così
continuerà.
Teoria dei vortici
Cartesio pensa che l'etere crei dei vortici. Attorno alla terra ci sono
dei flussi di etere e paragona il pianeta alla festuca (metto una
pagliuzza sull'acqua di un fiume; se la guardo da riva vedo che si muove,
se invece sono una formica su un guscio sull'acqua la vedo ferma). Quindi
il movimento dipende dal punto di vista: la terra è ferma rispetto
all'etere, ma si muove rispetto al Sole.
La teoria è: tutte le particelle sono in movimento e questo movimento non
è caotico. Per esempio le particelle d'aria di questa stanza si muovono
caoticamente e io non le vedo. Il vento invece lo sento perché le
particelle vanno tutte nella stessa direzione. Le particelle d'etere negli
spazi interstellari si muovono secondo dei vortici, come il vento. In
questi vortici si muovono i pianeti.
Si osservi la cura con la quale vengono istituiti i rapporti di
corrispondenza tra modello esplicativo e realtà. Il vortice sta al
sistema solare, come le festuche che esso trascina stanno ai pianeti che
ruotano intorno al sole; come il movimento delle festuche attorno al
proprio centro sta alla rotazione di ogni pianeta attorno al proprio asse;
come la maggior velocità delle festuche che vorticano in prossimità del
centro, sta al minor tempo nel quale i pianeti più interni concludono,
rispetto a quelli esterni, la propria rivoluzione intorno al sole; come la
forma non perfettamente circolare del vortice d'acqua sta alla forma
ellittica assegnata da Keplero alle orbite planetarie.
MORALE E PASSIONI
Nell'uomo tra la stimolazione nervosa dell'organo periferico e la risposta
del cervello si inserisce, tramite la ghiandola pineale, l'azione
dell'anima. Quando essa subisce i moti che le terminazioni nervose portano
al cervello, si hanno le percezioni; quando essa fa pervenire le sue
risposte al sistema nervoso, mettendo in moto gli spiriti animali, si
hanno le volizioni.
Gli stati mentali sono i contenuti della nostra mente.
Le volizioni sono i desideri.
Le percezioni sono ciò di cui sono consapevole, ciò che percepisco.
Possono essere puramente mentali se riguardano solo la mente: non capisco
un passaggio di una dimostrazione e percepisco di avere un dubbio
(riguardano quindi la res cogitans). Oppure corporee se riguardano la
mente che percepisce qualcosa tramite il corpo. Delle percezioni corporee
abbiamo tre casi:
· Sensazioni esterne tramite i 5 sensi
· Sensazioni interne: per esempio mi brucia lo stomaco e sento con la
mente il bruciore. La mente ha la percezione del dolore corporeo.
· Passioni le colloca tra le percezioni perché, a differenza degli atti
volontari, sono subite: noi le volizioni possiamo averle volontariamente
(la mente è attiva), mentre le percezioni presuppongono una mente
passiva. A differenza delle idee non rappresentano oggetti esterni. A
differenza di altri modi di sentire (la sete, la fame) non sono riferite
al corpo, ma all'anima. Sono percezioni che si riferiscono all'anima, ma
che sono mantenute, causate, rafforzate dal movimento degli spiriti
animali, dal corpo. L'anima non è quindi padrona delle proprie passioni.
Prendiamo per esempio la paura o la gioia: il soggetto è l'anima (mente)
e sono causate e mantenute dal modificarsi del corpo. Per esempio mi batte
il cuore per la gioia. Queste non le posso eliminare o produrre ad hoc, ma
ne posso limitare le conseguenze. Posso cioè opporre alla forza delle
passioni una strategia indiretta, suggeritami dalla ragione. Posso
respirare a fondo se ho paura, ecc. Non c'è anima, per quanto debole, che
non possa, se ben guidata, acquistare un dominio assoluto sulle proprie
passioni. Se persino gli animali privi di ragione possono essere
addestrati e ammaestrati ad assumere comportamenti contrari al loro
istinto, la natura razionale dell'uomo troverà in sé sufficienti motivi
per educarsi moralmente.
Cartesio individua sei passioni originarie: ammirazione, amore, odio,
desiderio, gioia e tristezza. Cartesio ritiene che le passioni siano sì
controllate dalla ragione, ma che siano una risorsa della natura umana e
per questo ineliminabili. Nella cultura francese del '600 erano tornate le
idee stoiche: gli stoici sostenevano che l'uomo che seguiva le passioni,
sia buone sia cattive, sbagliava. Il loro ideale di uomo era un uomo
apatico, al tempo con il significato (oggi negativo) di colui che non si
faceva turbare dalle passioni, ma seguiva solo la ragione. Le passioni
andavano quindi estirpate secondo la mentalità stoica. E Cartesio sarà
contro gli stoici. Per Cartesio dunque le passioni appartengono all'anima
e non al corpo, anche se sono in essa suscitate per effetto del suo legame
con il corpo. Azioni (volontà) e passioni appartengono entrambe all'anima
come res cogitans, rientrando quindi nell'esercizio della libertà e della
razionalità.
Nonostante il fatto che Cartesio sia un dualista, su questo piano
antropologico, sullo studio della natura umana, tiene conto delle
interazioni tra corpo e anima con cui spiega le passioni ed è perciò
realista: nello studiare le passioni mette da parte il dualismo.
Ontologicamente e gnoseologicamente rimane un dualista.
MORALE
Cartesio distingue tra morale PROVVISORIA e DEFINITIVA.
Sulla morale provvisoria troviamo un piccolo accenno nel "Discorso
sul metodo". Quella definitiva non è presentata in un'opera
sistematica, probabilmente perché è morto prematuramente, ma la troviamo
in alcune lettere: a Chanut, filosofo francese suo contemporaneo; a
Cristina, regina di Svezia; a Elisabetta, principessa di Baviera.
C'è bisogno di una morale provvisoria perché, quando siamo nel dubbio
teoretico (ho dei dubbi sull'esistenza della materia), l'uomo non può
rinviare le decisioni etiche, ma deve scegliere al momento. Noi ogni
giorno dobbiamo prendere tante decisioni.
Morale provvisoria: consiste in criteri dell'agire che uso nelle fasi
della vita in cui sono condizionato da dubbi teorici e quindi non posso
prendere decisioni definitive. Prendo quindi decisioni provvisorie che
devono rispettare alcuni principi:
1) Regola del conformismo: rispetto della tradizione. Ognuno deve obbedire
alle norme della civiltà in cui è nato.
2) Regola della coerenza (perseveranza nelle decisioni assunte): se uno è
ancora nel dubbio deve mantenere la sua scelta.
3) Regola dell'autodominio: è più facile cambiare noi stessi che il
mondo.
Scrivendo la lettera allo Chanut, Cartesio sottolinea come la conoscenza
della fisica gli sia molto servita "per stabilire i fondamenti sicuri
della morale". Con fisica intende in generale la scienza. Abbiamo
visto che le passioni hanno come causa i movimenti corporei. Per capire le
passioni dobbiamo capire i movimenti corporei.
Cartesio condivide l'impostazione di Platone (metafora della biga alata
nel Fedro): la ragione (l'auriga) che guida le passioni (cavallo nero e
bianco). Nella lettera a Elisabetta enuncia i quattro postulati metafisici
(sono postulati perché nell'etica sono presi per veri, ma vengono
dimostrati nella metafisica):
1) "L'esistenza di un Dio da cui dipendono tutte le cose, le cui
perfezioni sono infinite, il cui potere è immenso, i cui decreti sono
infallibili": il fatto di aver dimostrato l'esistenza di Dio ha
influenza sulla morale, perché se uno è ateo e gli capita una disgrazia
la vede come qualcosa di grave, se invece ha la fede la disgrazia è più
facile da superare. Quindi la fede ci porta ad accettare di buon animo
tutto quello che ci capita, come se fosse espressamente inviato da Dio.
2) Se uno crede nell'immortalità dell'anima valuterà di poca importanza
i beni e le ricchezze terrene. Chi invece non crede nella vita eterna da
più importanza alle cose terrene. Questo discorso è chiamato dai
teologi-filosofi escatologia (prospettiva ultraterrena). Perciò la teoria
escatologica ridimensiona l'importanza dei beni terreni.
3) "Una degna opinione delle opere di Dio e quella vasta idea
dell'estensione dell'universo che io ho tentato di determinare nel terzo
libro dei miei Principi"; liberandoci da un ingenuo antropomorfismo;
tale consapevolezza ci impedisce di pensare che questa terra sia la nostra
principale dimora e questa vita la nostra vita migliore.
4) Le norme morali non sono finalizzate solo al perseguimento del nostro
fine, ma sono viste in una prospettiva sociale. I criteri etici che l'uomo
adotta (comandamenti) hanno alla base il principio di trattare bene gli
altri, considerare gli altri come se stessi (tutti gli uomini sono
fratelli e quindi sono tutti uguali). In generale la morale cristiana ha
il principio di universalizzazione: tutti sono uguali; quando io dico
"devo essere sincero" è come se dicessi che tutti devono essere
sinceri, che questa norma vale per tutti. Cartesio allora si chiede: come
si fonda questo principio? Se con la ragione capiamo di far parte di una
collettività (Aristotele aveva detto che l'uomo è un bios politico) è
meno sentito come un dovere opprimente, ci viene più spontaneo trattare
tutti allo stesso modo.
In questa linea di pensiero metafisica si situa la definizione cartesiana
del sommo bene, che viene a coincidere con l'esercizio, da parte dell'uomo
con il libero arbitrio. Interrogato sull'argomento da Cristina di Svezia
in una lettera il filosofo distingue
· La bontà di ciascuna cosa per se stessa: si capisce che il bene
supremo è Dio, in quanto è la più perfetta delle creature.
· La bontà considerata in rapporto a noi: è bene ciò che ci appartiene
e tale che per noi è una perfezione il possederlo.
Per gli uomini considerati nel loro complesso, il sommo bene pare
consistere in "una raccolta o insieme di tutti i beni, tanto
dell'anima come del corpo. Per l'individuo consiste "in una ferma
volontà di far bene e nella soddisfazione che ne deriva". I beni del
corpo e della fortuna non dipendono infatti assolutamente da noi e quelli
dell'anima si riducono a due: al conoscere e al volere ciò che è bene.
Ma la conoscenza è spesso al di là delle nostre capacità; non resta
perciò che la nostra volontà di cui possiamo assolutamente disporre. In
ciò consiste dunque la virtù: nel fare ciò che si giudica migliore e
sforzarsi di conoscerlo bene.
L'esercizio del libero arbitrio (che consiste nella facoltà, propria
dell'attenzione, di sospendere il giudizio anche su ciò che in passato ci
è parso evidente, per riaffermare l'evidenza razionale con uno sforzo
della volontà) è l'atto di un soggetto intimamente unito e mescolato con
il corpo. Nell'uomo (unica creatura vivente in cui si incontrino le leggi
del meccanismo corporeo e gli atti intenzionali di un'anima razionale) la
spiritualità si attua in concreto nella dialettica di ragione e passioni.
Abbiamo già detto che Cartesio non ha sentito l'urgenza di scrivere un
trattato sulla morale. Secondo gli studiosi è perché Cartesio in campo
etico non si distacca dai tradizionali valori cristiani e quindi non
credeva di dover porre su basi razionali l'etica. In pratica dal punto di
vista etico non era un rivoluzionario.
BILANCIO CRITICO:
In campo scientifico non è stato proprio così grande, era meglio come
filosofo e matematico.Tuttavia la sua fisica è sembrata a molti
scienziati più credibile e con più potere esplicativo rispetto a quella
galileiano-newtoniana, e ciò per quasi un secolo, ma alla fine ci si è
resi conto che era sbagliata.
L'idea di Cartesio di spiegare tutto l'universo
come un grande meccanismo aveva un suo fascino, però noi sappiamo che non
è vera.
In matematica è famoso (per gli assi cartesiani, la
geometria analitica, la definizione del concetto di derivata come limite
tendente a zero del rapporto incrementale). Ciò che non riesce a spiegare
bene sono i rapporti di interazione tra res cogitans e res extensa.
|