Il 23 novembre a Baku,
nell'Azerbaigian, si è conclusa la 29° conferenza internazionale sul
clima. Da anni l'obiettivo di fondo delle nazioni è riconfermato e
condiviso: limitare il riscaldamento globale del pianeta per evitare
effetti catastrofici irreversibili, come l'innalzamento dei mari, lo
scioglimento dei ghiacciai, la desertificazione di ampie zone del pianeta e
gli eventi climatici estremi (inondazioni, uragani, ecc.). Le divisioni
riguardano invece i modi e i tempi per raggiungere l'obiettivo. In
particolare si è discusso, e litigato, sulla quantificazione e ripartizione
delle risorse necessarie per finanziare le azioni per il clima.
Nel comunicato finale la Conferenza invita «tutti gli attori a lavorare
insieme per consentire l’aumento dei finanziamenti per l’azione per il
clima ai Paesi in via di sviluppo da tutte le fonti pubbliche e private ad
almeno 1,3 trilioni di dollari all’anno entro il 2035». Un passaggio
contestato apertamente dai Paesi in via di sviluppo: i Paesi ricchi hanno
innalzato la loro quota da 250 miliardi di dollari l’anno (sempre entro il
2035) a 300 miliardi, rimanendo però ben lontani dalle richieste del Sud
globale, che indicava in 500 miliardi la cifra minima e in oltre mille
quella pienamente soddisfacente. Inoltre non è precisato chi siano
esattamente gli “attori” oltre ai governi e come li si “invita” ad
aumentare i finanziamenti.
I Paesi poveri contestano le conclusioni della conferenza, definendole un
insuccesso. I Paesi più industrializzati vedono il bicchiere mezzo
pieno e sottolineano comunque che c'è stato un aumento dei fondi e che gli
Stati partecipanti hanno confermato il vincolo a contenere l'incremento
della temperatura media al di sotto dei 2 gradi rispetto all'era
preindustriale, con un ulteriore impegno a fare quanto possibile per
limitare l'aumento a 1,5 gradi.
Di fronte a problemi così complessi si rischia di farsi travolgere da
sensazioni di impotenza o dal desiderio di delegare ai governanti la
questione e di non pensarci più.
Ma non è questa la soluzione: la salvaguardia del Creato, la difesa della
salute e del futuro degli abitanti della terra è un dovere di tutti, come
ci ricorda ripetutamente l'insegnamento di papa Francesco.
Se ognuno di noi può individualmente fare ben poco, i comportamenti
virtuosi diffusi possono contribuire invece a ridurre le emissioni di CO2 e
quindi a rallentare il surriscaldamento globale. Vi è qui uno spazio
importante per l'impegno delle comunità ecclesiali: la dimensione
educativa, che da sempre caratterizza la loro azione, oggi deve esprimersi
anche nella capacità di formare a comportamenti sostenibili.
Si tratta, in particolare, di ridurre quei consumi che non sono realmente
necessari e di imparare a soddisfare in modo ragionevole i bisogni
essenziali della vita individuale e sociale. Ognuno di noi può cercare di
migliorare il proprio comportamento, in primo luogo evitando sprechi,
come ad esempio lasciare luci accese quando non servono o scaldare troppo le
nostre case, quando invece basterebbe vestirci di più, o sprecare cibo
avanzato. Anche azioni minime, come non lasciare aperto il rubinetto quando
ci si lava i denti, o chiudere immediatamente il frigo dopo aver prelevato
qualche alimento, o differenziare correttamente i rifiuti, se fossero
attuate da milioni di persone ridurrebbero sensibilmente le emissioni,
rallentando il surriscaldamento del pianeta.
E' anche molto importante cercare di usare l'automobile solo quando è
strettamente necessario. E' stato calcolato che circa la metà degli
spostamenti urbani è inferiore ai 5 Km. Basterebbe che questi spostamenti
all'interno della città li facessimo a piedi, o in bici, o con i mezzi
pubblici per dimezzare le emissioni dovute al traffico privato, con benefici
non solo per il clima, ma anche per la salute di noi tutti: i dati ci dicono
che le malattie e le morti dovute alla cattiva qualità dell'aria (in
particolare per l'Italia, in tutta l'area interregionale della Val Padana)
sono quantitativamente significative.
Quasi in ogni momento della giornata, con le nostre scelte, possiamo
contribuire a ridurre le emissioni e quindi a limitare il surriscaldamento
del pianeta. Abbiamo il dovere inderogabile di lasciare alle future
generazioni un pianeta non troppo peggiore di come l'abbiamo trovato.
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