Il 14
ottobre dello scorso anno, è morto a Roma Domenico Rosati, ottavo
presidente nazionale delle ACLI dal 1976 al 1987. Aveva 95 anni.
Nato nel 1929, originario di Vetralla in provincia di Viterbo, laureato in
legge, specializzatosi alla Facoltà di giornalismo dell'università Pro
Deo, aveva iniziato a collaborare a tempo pieno con le ACLI dal novembre
1951, quale addetto stampa e coordinatore del settimanale Azione Sociale,
allora in fase di preparazione, quando presidente era ancora Ferdinando
Storchi. Direttore del settimanale fino al 1960, aveva lavorato poi
come capo ufficio stampa del ministro del lavoro Fiorentino Sullo, e
successivamente alla Cassa Mutua dei commercianti fino al 1968.
Consigliere nazionale delle ACLI dal 1959, entra nella Presidenza
nazionale nel 1968. Dopo il congresso di Cagliari (1972) è eletto
vicepresidente.
Quando diviene presidente nazionale delle ACLI, nel 1976, ha 46 anni.
Succede a Marino Carboni che si era dimesso per candidarsi alle
elezioni del Senato, ed è eletto all'unanimità dal Consiglio nazionale.
L'elezione di Rosati avviene sulla base di un documento approvato
all'unanimità dal Consiglio nazionale, che definisce alcuni punti
fermi sull'ispirazione cristiana del movimento e il rapporto coi vescovi,
nel quale si afferma l'impegno delle ACLI a “vivere nella comunità
ecclesiale, dando un contributo alla ricerca che in essa è in atto, con
la propria autenticità, con la propria scelta […] di classe ed
anticapitalistica […] In questo spirito le ACLI, mentre riaffermano il
pluralismo, ritengono legittimo, anche in questo campo, l'esercizio della
funzione dei Vescovi, ribadendo il dovere dell'ascolto, dell'attenzione e
della necessaria riflessione”. In sostanza Rosati e la Presidenza
nazionale si impegnano a continuare e completare il processo di
riconciliazione col mondo cattolico e la Gerarchia, dopo la deplorazione
di Paolo VI del 1971, mantenendo però ferma la scelta
anticapitalista, il principio del pluralismo politico dei cattolici
(affermato dal Congresso di Torino del 1969) e la gestione unitaria delle
ACLI.
Durante la sua presidenza, a partire dal convegno di Vallombrosa del 1979,
prende forma l'idea delle ACLI come protagoniste della attivazione di un
“movimento della società civile” per la riforma della politica,
fondato sulla convinzione che questa non sia una competenza esclusiva dei
partiti, dei sindacati e delle istituzioni. Nel congresso di Bari
(dicembre 1981) le ACLI ribadiscono la propria natura di movimento
educativo e sociale che non si esaurisce nella pur importante e
qualificante erogazione di servizi ai lavoratori, e individuano tre
finalità principali per la società civile: l'impegno per la pace, per la
“pianificazione globale” (nel senso della Laborem exercens di Giovanni
Paolo II) e per la diffusione dei poteri.
Come ha scritto nel libro Il laico esperimento (una sorta di
bilancio della sua attività aclista) per spiegare le ragioni della sua
giovanile adesione al movimento, le ACLI gli sembravano in grado di
soddisfare le sue “due istanze psicologicamente pressanti: da un lato
l'esigenza di cercare una risposta ai problemi drammatici dell'ingiustizia
e della disuguaglianza, dall'altro la possibilità di farlo senza entrare
in conflitto con i fondamenti di una fede religiosa che non avrei potuto
vivere se fosse stata sinonimo di conservazione sociale e di indifferenza
politica.”
A questi ideali si è sempre mantenuto fedele nel corso della sua lunga
vita.
Maurilio Lovatti
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