6.1. RIEPILOGO DELLE PRINCIPALI
INTERPRETAZIONI TEORICHE
Per procedere verso le conclusioni della presente
tesi è necessario, da un lato, richiamare brevemente i limiti che, per
ogni posizione teorica, sono stati evidenziati dagli studiosi, e
dall'altro prospettare le direttrici di una possibile ricerca. Per questo
secondo aspetto, poiché l'impostazione delle ricerche sperimentali
dipende strettamente dall'assunzione di ipotesi teoriche, ci si limiterà,
dopo aver brevemente elencato le varie direttive di ricerca, ad esaminare
in particolare la proposta avanzata da H.Y. Kornadt nel saggio Teoria
della motivazione all'aggressione e sviluppo dell'aggressività pubblicato
nel 1985, all'interno del volume L'aggressività umana: studi e ricerche,
a cura di G.V. Caprara e P. Renzi.
Con questa scelta si intende delineare a titolo puramente esplicativo una
possibile tendenza della ricerca, nella consapevolezza che un'analisi
completa di tutte le posizioni, con i relativi agganci teoretici,
implicherebbe una mole tale da esorbitare dai limiti del presente scritto.
All'inizio degli anni Ottanta si è diffusa la consapevolezza che,
nonostante il numero veramente notevole di pubblicazioni sull'argomento
nel corso degli anni Settanta, gli studi sull'aggressività erano da
ritenersi gravemente insoddisfacenti [Caprara, 1981; Di Maria - Di Nuovo,
1984; Kornadt, 1985], principalmente a causa dell'irriducibilità delle
diverse posizioni teoriche che tendono tutte ad assolutizzare o ad
attribuire importanza prevalente ed aspetti parziali del comportamento
aggressivo.
Le posizioni teoriche fondamentali esaminate nel corso della presente tesi
si possono raggruppare in tre ordini fondamentali:
1) le teorie della pulsione o istintiviste esaminate per quanto riguarda
le interpretazioni psicoanalitiche nel cap. 2° e per quanto riguarda le
teorie etologiche e biologiche nel cap. 3°);
2 la teoria della frustrazione-aggressione elaborata da Dollard e
successivamente revisionata (vedi cap. 4°);
3)le teorie dell'apprendimento, tra le quali la più organica e la più
diffusa è quella di A. Bandura (vedi cap. 4°).
Le ricerche e gli esperimenti degli anni '70 ed '80
hanno chiaramente mostrato che ognuna di queste posizioni teoriche
fondamentali si può appoggiare ad un gran numero di fatti empirici e che,
quindi, di conseguenza, nessuna di esse può essere respinta a priori
[Di Maria - Di Nuovo, 1984; Kornadt, 1985].
E! evidente quindi che questa pluralità dì teorie non può che
influenzare sia le ricerche e gli esperimenti e sia anche le proposte,
anche a livello educativo di intervento sociale per ridurre
l'aggressività.
Ad esempio, per le teorie della pulsione, è necessario fornire ai bambini
delle possibilità per sfogare l'aggressività, anche se con modalità
socialmente non dannose o in forma ritualizzata. Per la teoria della
frustrazione-aggressione si deve intervenire sull'ambiente al fine di
ridurre o di evitare le frustrazioni, senza tuttavia sopprimere od
impedire l'aggressività, perché ciò potrebbe ingenerare maggiore
frustrazione, che aumenterebbe ulteriormente il grado di aggressività.
Infine, per le teorie dell'apprendimento, l'educazione dovrebbe evitare di
offrire qualsiasi modello di comportamento aggressivo ed in particolare
evitare il rinforzo positivo derivante da una sequenza comportamentale
avente successo.
6.2. VALUTAZIONI CRITICHE DELLE TEORIE
Se, come si è visto, tutte le posizioni
precedentemente richiamate possono addurre numerosi dati empirici a loro
sostegno, è innegabile che ognuna di esse si presti a obiezioni e
critiche relative agli stessi principi teorici essenziali, cioè fondativi
delle stesse; in particolare:
1) le teorie pulsionali psicoanalitiche assumono come ipotesi preliminare
l'esistenza di un istinto di morte (Freud) o comunque di un'energia
pulsionale che, se non adeguatamente gestita, provoca necessariamente
comportamenti distruttivi o autodistruttivi; è quindi evidente che
quest'ipotesi preliminare non possa essere confermata sul piano
sperimentale (ciò senza nulla togliere al grande valore ermeneutico della
psicoanalisi ed alla sua utilità nell'alleviare le sofferenze umane).
2) Le teorie pulsionali sostenute dagli etologi presentano spesso, come si
è già visto nel cap.3°, un'arbitraria estensione all'uomo di leggi
comportamentali osservate per gli animali, nonostante lo stesso Lorenz
abbia esplicitamente dichiarato di voler evitare questo passaggio
arbitrario, sostenendo che l'etologia può mostrare come determinati
atteggiamenti, metodi e principi che vengono usati nello studio di
animali, possano essere applicati anche all'uomo.
3) I limiti dell'impostazione originaria della teoria della
frustrazione-aggressione formulata da Dollard sono già stati ampiamente
delineati nel cap. 4°, al quale si rimanda.
4) Più complessa appare la possibilità di una valutazione critica
dell'opera di Bandura, poiché, come si è visto nel cap. 4°, egli stesso
si propone di integrare in una coerente visione teoretica anche gli
aspetti positivi ricavabili dalla teoria della pulsione e dall'ipotesi
della frustrazione-aggressione di Dollard. Questo atteggiamento di fondo
porta Bandura alla consapevolezza che l'aggressività, per come si
manifesta, si sviluppa e si modifica, è largamente determinata dalle
relazioni sociali e da vari fattori socio-culturali. Quindi, la concezione
teorica di Bandura si apre a contributi di orientamenti diversi senza che
ciò vada a sminuire la possibilità di recepire quanto scaturisce dai
numerosi esperimenti condotti in campo comportamentista.
Nonostante questi aspetti indubbiamente positivi alcuni studiosi hanno
rilevato anche in Bandura dei limiti teoretici propri della tradizione
comportamentista.
In particolare, come scrive Caprara: "Si rivela insufficiente
l'analisi di come i processi di maturazione si integrano con quelli di
socializzazione e perciò l'analisi di ciò che, nei diversi stadi
evolutivi e nelle diverse situazioni ambientali, viene a
contraddistinguere differentemente il rapporto organismi-ambiente per
tradursi, successivamente, in differenti vissuti, capacità,
caratteristiche di personalità. In particolare, sembra essere largamente
trascurata l'importanza delle intuizioni di Piaget sulla natura dei
processi di maturazione, in quanto progressiva costruzione di strutture, e
sui vincoli che le strutture cognitive precedenti pongono alla costruzione
delle strutture cognitive successive." (1)
Da questo punto di vista la debolezza fondamentale della concezione di
Bandura, che può compromettere la portata di tutta la teoria, è
costituita dalla "timidezza" del suo approccio di fronte alla
dimensione storica di ciascuna persona: "La preoccupazione di
cogliere l'hic et nunc porta spesso all'illusione che la persona si
risolva nell'hic et nunc". (2) Inoltre, sempre per Caprara,
nell'approccio di Bandura la prospettiva descrittiva prevale decisamente
su quella interpretativa, così come quella puramente fattuale su quella
critica. Spesso l'attenzione al singolo meccanismo ha fatto perdere di
vista troppi aspetti collaterali del problema. Ad esempio, come scrive
sempre Caprara: "Bandura sembra confondere la causa con gli effetti
quando si accanisce contro i messaggi trasmessi dai mass-media, la cui
funzione è probabilmente quella di riflettere, od eventualmente
consolidare, piuttosto che di generare, delle condotte o dei valori."
(3)
6.3. PROSPETTIVE DI RICERCA
Il pluralismo delle teorie appare allo stato
attuale non facilmente superabile, di conseguenza la stessa frammentazione
dovrebbe ritrovarsi nelle ricerche sperimentali, che dipendono
inevitabilmente dalle assunzioni teoretiche. Tuttavia, poiché da un lato
si è diffusa l'insoddisfazione per lo stato della ricerca
sull'aggressività e dall'altro si è fatta più viva la consapevolezza
della necessità di un approccio integrato nello studio di questo fenomeno
(che tenga conto cioè degli apporti di discipline quali l'antropologia,
la sociologia, la neurologia, ecc.), a partire dalla seconda metà degli
anni Settanta si sono delineate diverse prospettive di ricerca che possono
essere così sintetizzate:
A) Una prima tendenza deriva dalla convinzione che non si può continuare
a svolgere ricerche empiriche su un concetto non chiaramente definito. Si
dovrebbe prima eliminare questa incertezza, cercando di elaborare una
definizione del concetto di aggressività, poiché non è certa a priori
l'esistenza di una specificità dell'atto aggressivo. Esempio di questa
tendenza sono i lavori di Werbik, Kempf, Mummendey, tutti citati da
Kornadt [1985]. Questi autori, partendo da argomenti logico-formali o
epistemologici, cercano di definire compiutamente le caratteristiche che
distinguono gli atti aggressivi da quelli non aggressivi.
E' chiaramente molto difficile esprimere una valutazione su questa
opzione, poiché la definizione analitica di un fenomeno costituisce
soltanto un passo preliminare rispetto alle concrete strategie operative
di ricerca sperimentale, sulle quali soltanto è possibile formulare
giudizi in merito alla possibilità di fornire nuove e più illuminanti
spiegazioni del fenomeno.
B) Una seconda tendenza, che è certamente la più
diffusa, mira ad un'integrazione delle varie teorie. Partendo dalla
constatazione che le varie impostazioni teoriche sono sostenute da un
numero considerevole di dati (e quindi non possono essere ignorate), si
trae la conseguenza che una valida teoria dell'aggressività non può
essere sviluppata a partire da una sola posizione teorica fondamentale.
Come nota giustamente Kornadt: "Un gran numero di recenti lavori fa
questo, espressamente1 senza però in realtà riuscire a portare a termine
questo progetto [di integrazione]" (4)
Molti critici, i cui commenti sono stati ampiamente citati nei capitoli
precedenti, si richiamano espressamente a questa prospettiva; ad esempio:
Bonino-Saglione [1978]; Caprara [1981]; K.R. Scherer - R.P. Abeles - C.S.
Fischer [1981]; Di Maria - Di Nuovo [1984]. Kornadt riconduce a questa
tendenza anche la posizione di Eibl - Eibesfeldt [1971].
Senza dubbio, in linea teorica, questa proposta ha una sua validità,
perché è indubitabile che l'aggressività è un fenomeno complesso che
può essere studiato da più punti di vista. Tuttavia la principale
difficoltà di questa impostazione consiste nel delineare strategie
operative di ricerca che, da un lato, rimangano fedeli all'assunzione
teorica iniziale, e dall'altro, ottengano risultati che abbiano valore
esplicativo. Inoltre, un altro limite proprio di questa tendenza deriva
dalla difficoltà di conciliare metodi e strumenti di analisi propri delle
varie discipline in uno studio globale del fenomeno dell'aggressività che
eviti quei limiti di parzialità che vengono imputati alle tradizionali
interpretazioni teoriche.
C) Una terza tendenza si è originata dalla consapevolezza dell'urgenza di
problemi sociali quali l'aggressività nella politica, il terrorismo, la
guerra, ecc. e ha praticamente annullato la frontiera tra affermazioni
scientifiche ed opinioni politiche. Questa tendenza privilegia la ricerca
di principi di intervento concretamente ed immediatamente attuabili per
ridurre la portata negativa dei fenomeni distruttivi nella società.
Benché a questa tendenza si possono ricollegare numerosi scritti, essa
non sarà presa in considerazione in quanto esula dall'ambito delle teorie
psicologiche entro il quale si colloca il presente scritto.
D) Infine, in una quarta tendenza possono essere collocati quei lavori che
cercano di collegare la spiegazione dell'aggressività a teorie
psicologiche, come la teoria generale della motivazione, che generalmente
erano trascurate negli studi esaminati nei capitoli precedenti. In questa
tendenza si inserisce la proposta di Kornadt, di cui si accennerà
brevemente nel paragrafo seguente.
6.4. ESEMPIO DI UNA PROSPETTIVA DI RICERCA: LA
PROPOSTA DI H.Y.
KORNADT
Nel già citato saggio: Teoria della motivazione
dell'aggressione e sviluppo dell'aggressività, Kornadt avanza una
"teoria integrata" del comportamento aggressivo che, a suo
giudizio può costituire un valido orientamento per la ricerca
sperimentale.
Pur senza procedere ad una ricostruzione analitica di questa proposta si
cercherà solamente di individuare le caratteristiche salienti e di
mostrare come essa possa fungere da esempio paradigmatico di una delle
attuali tendenze di ricerca nel campo degli studi sull'aggressività.
Per Kornadt tale teoria integrata, se vuole rimanere nell'ambito delle
teorie psicologiche, deve partire dall'individuo, cioè dal soggetto in
azione. Inoltre, come nota lo stesso Kornadt, "l'essenziale della
impostazione teorica integrata da noi richiesta è che non si riconosca
solo l'esistenza di vari principi teorici uno accanto all'altro, ma che si
spieghi come stiano tra loro in rapporto questi principi e i loro modi di
interagire". (5)
Secondo Kornadt questa teoria integrata sull'aggressività deve
appoggiarsi sul quadro concettuale fornito dalla teoria generale della
motivazione, così come è stata sviluppata dalla ricerca sulla
motivazione al successo iniziata da McClelland [1951] e Atkinson [1964] e
sviluppata da numerosi studi di autori americani e tedeschi degli anni
Sessanta e Settanta. Kornadt sostiene che sia la teoria dell'apprendimento
sia l'ipotesi frustrazione- aggressività (entrambe centrate sull'analisi
della situazione e degli stimoli ambientali), sia le teorie pulsionali
(centrate sull'individuo) presuppongono impianti teorici meccanicistici e
utilizzano ipotesi "unidirezionali" sulle modalità di reazione.
Viceversa: "Le più nuove teorie della motivazione partono, invece,
principalmente da un concetto di base intenzionalista e interazionista.
Secondo questa teoria, si tiene conto di, sì pongono, si aspira a mete;
le situazioni vengono interpretate e poi ricercate ed evitate, vengono
anticipate reazioni del partner come conseguenza del proprio agire, o
considerate nel processo stesso dell'azione come capaci di modificarsi. Le
esperienze relative vengono accumulate e rappresentano una parte dei
sistemi meta generalizzanti e dei modelli di azione. La teoria della
motivazione è quindi una teoria della reciprocità dì persona e
situazione e può abbracciare principi meccanicistici (per esempio
attivazione dell'affettività), come interazionisti (considerazione e
proponimento di mete)". (6)
Questo impianto teoretico proposto da Kornadt mette in luce in particolare
tre aspetti che interessano direttamente le strategie operative di
ricerca: il rapporto persona - situazione, l'importanza dei processi
cognitivi e l'importanza dei processi emotivo - affettivi.
1) Il rapporto persona-situazione
Viene ipotizzata un'interazione di fattori personali relativamente stabili
e fattori situazionali questi ultimi non provocano automaticamente
l'attivazione dell'affettività, ma solo se sono percepiti dal soggetto.
Occorre cioè individuare e definire una "motivazione stabile
suscettibile ad essere attivata", cioè una caratteristica personale
che può attivarsi solo nella misura e nella forma (motivazione aggressiva
o inibizione all'aggressione, modelli di condotta, ecc.) in cui esiste nel
singolo individuo.
Questa "motivazione stabile" si concretizzerà nella condotta,
combinandosi con le caratteristiche della situazione in rapporto a mete
concrete. E' chiaro quindi che per Kornadt non si può sostenere "né
che la motivazione causa il comportamento, né che la situazione controlla
il comportamento. Al contrario, tutte e due le componenti interagiscono in
quanto entrambe necessarie ai fini del comportamento, e portano ad un
agire che dipende (più o meno) tanto dai bisogni stabili quanto dalla
situazione". (7)
2) L'importanza dei processi cognitivi
Per Kornadt i processi cognitivi giocano un ruolo essenziale nell'
interpretazione e nell'attribuzione dell'intenzione (sulla validità e
sull'opportunità di introdurre il concetto di intenzione, si rimanda alla
contrapposizione tra Buss e Berkowitz, accennata nel capitolo 4°. Sempre
per lo studio dell'aggressività i processi cognitivi svolgono un ruolo
importante sia nell'anticipazione delle conseguenze della condotta, sia
nella considerazione degli incentivi ad un dato comportamento.
3) L'importanza dei processi emotivo-affettivi
Per Kornadt i processi exnotivo-affettivi hanno tanta importanza per lo
studio dell'aggressività quanto i processi cognitivi. Tuttora i processi
cognitivi (strutturanti) sono però chiaramente distinguibili dai processi
affettivi, come ad esempio la rabbia considerata una reazione affettiva ad
esperienze avverse e che per Kornadt è il vero punto di partenza per Io
sviluppo della motivazione aggressiva nell'individuo.
Per evitare il rischio di ricadere in posizioni istintivistiche Kornadt
precisa che: "Anche se viene assunto che la reazione aggressiva come
tale è specifica e ha forme di espressione universali (vegetative,
mimiche e motorie), questa asserzione non implica che la motivazione
aggressiva e il comportamento aggressivo siano totalmente condizionati in
modo ereditario - genetico, Fanno parte della condotta aggressiva, come si
è prima dimostrato, moltissimi rapporti situazionali, la loro percezione
e la loro valutazione, elementi questi ovviamente dipendenti dall'
esperienza". (8)
A questo punto, anche senza entrare nei dettagli della proposta teorica di
Kornadt, è possibile individuare le conseguenze che derivano da essa per
quanto riguarda le strategie operative di ricerca, che è l'aspetto che
maggiormente interessa in questa sede.
Come scrive lo stesso Kornadt: "Il modello di elaborazione della
condotta aggressiva permette di dedurre ipotesi più differenziate su
quali potrebbero essere in dettaglio le differenze individuali
nell'aggressività. Se tanti fattori (più o meno specifici) agiscono
davvero insieme in una condotta aggressiva, le differenze individuali
nell'aggressività non esisteranno solo globalmente, cioè
quantitativamente in un grado di aggressività più "alto" o
più "bassa", ma anche nel modo di esprimersi dell'aggressività
nelle strutture del sistema motivazionale" (9).
Ciò significa che la motivazione aggressiva e l'inibizione
dell'aggressività possono e debbono essere analizzate separatamente. Per
esempio un comportamento aggressivo basso può essere determinato tanto da
una motivazione aggressiva bassa, quanto da una motivazione aggressiva
alta con una alta inibizione. Di conseguenza nelle analisi e negli
esperimenti andranno individuate accuratamente le differenze individuali,
sia determinate dal livello dei segnali-stimolo che inducono la rabbia,
sia che attengono all'inclinazione ad associare intenzione differenti
(malevole invece di benevole) all'esperienza di frustrazione, sia infine
riferibili ai valori connessi all'aggressività (come le convinzioni del
tipo: "la vendetta è una cosa giusta").
In questa prospettiva Kornadt fornisce, nello studio citato, una serie di
schemi interpretativi del comportamento aggressìvo che a suo giudizio
possono fungere da riferimento per possibili ricerche operative. Le parole
conclusive del lavoro di Kornadt possono rappresentare sia un equilibrato
giudizio sul confronto teorico e sulle attuali prospettive di ricerca
sull'aggressività, sia un augurio per il futuro: "E' tempo di fare
ricerche empiriche pianificate per l'esame sistematico di ipotesi che
nascano dalla teoria, in modo da migliorare la nostra conoscenza dei fatti
e di conseguenza, attraverso questa, la nostra comprensione teorica."
(10)
NOTE AL 6° CAPITOLO
(1) G.V. CAPRARA, Personalità e aggressività,
Bulzoni, Roma, 1971, pagg. 137-138.
(2) Ibidem, pag. 128.
(3) Ibidem, pag. 144.
(4) H.J. KORNADT, Teoria della motivazione
all'aggressione e sviluppo dell'aggressività, trad. it. di O. Angelucci,
in G.V. Caprara e P. Renzi (a cura di) "L'aggressività umana: studi
e ricerche", Bulzoni, Roma, 1985, pag. 126.
(5) Ibidem, pag. 128.
(6) Ibidem, pag. 129.
(7) Ibidem, pag. 136.
(8) Ibidem, pag. 138.
(9) Ibidem, pag. 139.
(10) Ibidem, pag. 151.
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