Chiara
Tomasi (dicembre 2020)
Non è come
sembra... è questo il pensiero che più volte sorge nel lettore man mano
che la trama si dipana.
“Il Vecchio di San Lorenzo” è un romanzo giallo, con tutti gli elementi
che caratterizzano questo genere narrativo: un omicidio, un assassino che
non si riesce a individuare, un commissario che indaga, una serie di indizi
che si palesano lentamente creando l'effetto suspence. La scrittura
scorrevole sicuramente invoglia il lettore a proseguire la lettura per
scoprire di più.
Eppure il libro non si limita a questa definizione di romanzo giallo.
Il “vecchio” del titolo si chiama Antonio Vinci, vive a Roma
nel quartiere San Lorenzo ed è un tranquillo pensionato di 82 anni,
vedovo, senza figli. Un giorno viene trovato senza vita nei pressi di un
parcheggio nella periferia di Roma. Ucciso con un colpo di pistola alla
testa. Non si tratta di un tentativo di rapina: il portafoglio, con il suo
contenuto, è ancora al suo posto. Non ci sono segni di colluttazione. Cosa
l'ha portato – lui che era abituato a svolgere tutte le commissioni nei
pressi della sua abitazione – a recarsi in un quartiere lontano da casa,
lontano dalle sue abitudini?
Elena lo conosce solo di vista perché lo vede tutti i giorni dalla
finestra di casa sua. È una studentessa universitaria fuorisede, al quarto
anno di Giurisprudenza. Non si sono mai parlati, giusto un saluto quando si
incontrano per strada. Non appena viene a sapere della sua morte, una molla
scatta in lei: forse perché quell'anziano le ricorda suo nonno, o forse
perché sente un richiamo che ha a che fare con il suo percorso di studi, o
forse perché ha ormai terminato la sessione di esami e ha del tempo libero
prima dell'inizio delle lezioni, o forse un po' per tutte queste ragioni
messe insieme, fatto sta che Elena decide di iniziare a indagare su chi può
aver ucciso Antonio Vinci. Tutti le hanno sempre rimproverato quel suo
atteggiamento impulsivo, quel suo gettarsi a capofitto nelle situazioni
senza riflettere; ne è consapevole, eppure non può resistere. Spingendosi
nelle sue ricerche ai limiti del lecito – talvolta anche oltrepassando
questi limiti – inizia a fare una serie di scoperte che lasciano intuire
che Antonio Vinci forse non è soltanto quell'anziano tranquillo che tutti
conoscono. C'è qualcosa nel suo passato che l'ha segnato profondamente.
Le indagini di Elena si incrociano necessariamente con quelle ufficiali: il
commissario Sergio Aronica, 30 anni, è al suo primo incarico come
coordinatore delle indagini preliminari per un caso di omicidio. È un
compito importante, deve dimostrare di essere all'altezza, si impegna al
massimo delle sue capacità, eppure sembra che il fato non lo voglia
aiutare: non si riesce a trovare nulla che possa spiegare il motivo di quel
gesto, nemmeno un minimo indizio. Anche provando a scavare nel passato della
vittima, emergono delle situazioni certamente inaspettate, ma che pare non
abbiano nulla a che vedere con l'omicidio.
L'impressione è che ci sia qualche elemento che sfugge.
Dal punto di vista del lettore, quello che certamente sfugge è una chiara
definizione di chi sono i protagonisti: Elena e il commissario Aronica, che
pure fanno da traino nella narrazione, non sono i soli protagonisti. Tutti i
personaggi coinvolti nella storia hanno la loro parte di protagonismo:
ognuno ha la sua dignità narrativa, ognuno viene caratterizzato non solo
per il suo presente ma anche per il passato che l'ha portato ad essere ciò
che è. È questa la caratteristica che li accomuna tutti: c'è una sorta di
fil rouge che collega la trama delle loro vite con il presente narrato. Ciò
che sono è frutto del loro cammino, delle loro scelte, e nessuno fra loro
è l'eroe negativo o l'eroe positivo: in ogni personaggio ci sono frammenti
di bene e di male, che emergono più o meno prepotentemente a seconda delle
scelte intraprese. La loro realtà non è solo bianco o solo nero, ma è una
serie di sfumature di grigio.
Anche il finale, inaspettatamente, sarà fatto delle stesse sfumature di
grigio: ci sarà sì un punto di arrivo, eppure tante domande resteranno
senza risposta. D'altronde è ciò che succede nella realtà: non sempre
c'è un eroe che riesce a risolvere l'enigma e a scrivere la parola “fine”
su una vicenda. Forse una parte dell'enigma troverà soluzione, eppure tante
domande resteranno immerse nella foschia, e a quel punto si dovrà prendere
consapevolezza e accettare che non sempre è possibile scoprire tutta la
verità.
Il Cantiere, dicembre 2020,
pag. 16-17
|