L'anta un
po' scrostata non si apre facilmente. Deve spingere con forza. La luce di
settembre invade la stanza. Si affaccia alla finestra con gli occhi ancora
abbagliati. Il cielo è azzurro terso, lo splendido azzurro di Roma, e non
c'è nemmeno una nuvola.
La piazza dell'Immacolata è affollata dagli studenti del liceo
linguistico che chiacchierano, scherzano e vagabondano aspettando che
suoni la campanella. Qualcuno è in piedi, altri sulle lunghe panche di
pietra, dove la sera si siedono i giovani a bere, fumare e suonare la
chitarra, altri ancora ai tavolini del bar, che lei può vedere solo in
parte, un po' spettrali nel loro luccicare metallico.
Si sofferma un po' ad osservare gli studenti, e sente un pizzico di
nostalgia per il tempo del liceo. Elena è contenta dell'appartamento
affittato a San Lorenzo, in via dei Marsi, con vista sulla chiesa. Al
quarto piano, senza ascensore, non molto ben tenuto, ma in meno di dieci
minuti a piedi è subito in università. E poi la zona è carina, sempre
gente in giro, tanti locali, tanti giovani. Alla sera può uscire a
passeggiare a qualsiasi ora, che è sempre tra la gente, senza alcun
pericolo.
«Il caffè bolle!» E' la voce di Irene, un po' stridula, un po'
assonnata.
Irene, la sua coinquilina, la studentessa di medicina. Irene che la
inquieta con i racconti delle sue esercitazioni in sala operatoria. Irene,
che è diventata la sua confidente, la sua migliore amica, il suo
insostituibile punto d'appoggio.
Corre in cucina e spegne il gas. La moka borbotta furiosamente, ma per
fortuna il caffè non bolle. Torna alla finestra. C'è qualcosa di strano,
di diverso. Ma cosa? Osserva perplessa. Gli studenti continuano a muoversi
con lentezza e a chiacchierare. Poi un lampo, un'intuizione.
Il vecchio.
La sua finestra è ancora aperta, ma lui non c'è.
Lo rivede, sempre affacciato ad osservare gli studenti, ogni mattina.
Talvolta guardava anche verso di lei e le sorrideva. Si muoveva sempre
lentamente, un po' trasognato, la barba incolta, i capelli bianchi. Come
se il tempo scorresse al rallentatore. Anche le sere estive, nella
penombra, lo vedeva seduto al computer, che batteva i tasti con una
lentezza esasperante.
Ogni volta che lo vedeva seduto al computer le veniva in mente suo nonno,
più o meno della stessa età, che come molti anziani era diffidente nei
confronti delle diavolerie elettroniche, come le chiamava.
«Per voi giovani è diverso, usarli è normale e anche molto utile e
comodo, ma noi vecchi non impareremo mai, non siamo tagliati per queste
cose», le diceva spesso.
Quand'era tornata a Mantova gli aveva parlato del vecchio di Roma, che
trascorreva intere serate allo schermo del suo pc.
«Vedi che non è questione di età, basta volerlo!» gli aveva detto con
decisione forse eccessiva.
Il
vecchio per strada l'aveva incontrato raramente, forse avevano orari
troppo diversi, anche se lei per andare all'università doveva
attraversare ogni giorno via dei Sabelli. Un pomeriggio l'aveva salutato
per la prima volta, e lui aveva risposto con un cenno, impacciato ed
esitante. Era prima dell'estate, forse aprile o maggio.
Un paio di volte l'aveva incrociato al banco della frutta del mercatino
rionale di via dei Volsci. Un giorno aveva udito la fruttivendola che lo
chiamava signor Antonio.
E' strano che non sia alla finestra.
Elena non ha tempo per pensare, deve finire di preparare la colazione,
anche per Irene che si sta vestendo. I turni vanno rispettati. Domani
incombe l'esame di Diritto costituzionale, l'ultimo rimasto del terzo
anno, e deve affrettarsi per trovare ancora posto nella sala di lettura di
Diritto privato.
Le piace andare a studiare alla Sapienza. Nei periodi in cui non ci sono
lezioni, vanno a piedi insieme, lei e Irene, pochi minuti di leggerezza
prima di una giornata impegnativa di studio. Parole scambiate senza
fretta, momenti di silenzio e qualche pigro fantasticare sulla giornata
che inizia. Poi solo studio, con qualche piccola pausa, per bere il caffè
alle macchinette o al bar vicino alla Posta, quello coi tavolini
all'aperto, e per mangiare qualcosa per pranzo, nei giardini
dell'università o sotto il portico dietro il Rettorato.
La
mattina dopo esce per tempo, anche se l'esame è solo alle 10.
Nei giorni precedenti ha studiato tantissimo, ma la mattina dell'esame è
abituata a non ripassare più. Non ha ben chiaro nemmeno lei se sia una
forma di scaramanzia o se, semplicemente, non voglia crearsi un'ansia
aggiuntiva col ripasso dell'ultimo minuto, che rivela sempre qualche
lacuna inaspettata.
Per ingannare l'attesa decide di andare a comprare un po' di frutta al
mercatino rionale. Ieri sera era finita l'uva, e sia lei che Irene ne sono
golose. Mentre è in coda al banco, sente la fruttivendola che dice al
marito:
«Il signor Antonio non è passato a ritirare quello che aveva prenotato
sabato. Strano. E' sempre mattiniero. Arriva qui quando stiamo aprendo...
Ci teneva tanto alle sue mele, le aveva prenotate apposta. Che non si sia
sentito bene?»
Le torna in mente che anche quella mattina, come ieri, non era alla
finestra.
Vive solo, pensa Elena, se stesse davvero male, chi se ne accorgerebbe?
Non è tranquilla e si dirige verso via dei Sabelli.
Il portoncino a vetri del condominio del vecchio è aperto, solo
accostato. Ha un attimo d'esitazione. Poi si decide, senza riflettere.
Nell'atrio sente un odore sgradevole. Alcuni contenitori di rifiuti sono
accatastati in disordine. Da quando c'è la raccolta differenziata a San
Lorenzo accade spesso. Anche nella casa dove abita. Capita di frequente
che nei giorni programmati non passino gli addetti a svuotarli. Ormai si
è convinta che a Roma, pur bellissima, molte cose non funzionino. Tutta
un'altra storia dalla raccolta differenziata nel quartiere dei suoi
genitori, a Mantova, che funziona come un orologio.
Sale le scale senza fatica. Quattro piani son tanti, ma è abituata a
farli più volte al giorno. All'ultimo pianerottolo solo due porte. Quella
di destra sembra chiusa da tempo, con lo zerbino appoggiato all'uscio,
probabilmente dalla donna delle pulizie, e non rimesso a posto. La porta
di sinistra è socchiusa. Una targhetta metallica, vecchia e sporca,
indica A. Vinci. Dev'essere questa.
«Permesso» dice esitando.
Spinge delicatamente la porta.
«Permesso!» ripete a voce alta, più decisa.
Silenzio assoluto. Vede una grande stanza, salotto, soggiorno e ingresso
in un unico locale. Sembra tutto in ordine. Un divano e una poltrona a
strisce grigio e rosa sulla sinistra, in mezzo un vecchio tavolo da pranzo
in legno, con le quattro seggiole al loro posto, e a destra una scrivania,
con il computer e una pila di giornali. La finestra è ancora aperta,
nella stessa posizione della mattina del giorno prima. Dev'essere proprio
uscito di fretta per aver dimenticato la porta aperta, si dice.
Si avvicina alla scrivania. Appeso al muro un calendario, con delle
annotazioni sul margine inferiore. Potrebbero essere password, pensa, e le
balzano alla memoria immagini del vecchio di fronte al computer, che
guarda verso il muro, verso il calendario. Si era domandata spesso cosa
facesse, così a lungo, la sera di fronte al pc. Magari stava meglio di
lei, che nelle pause dello studio si affacciava alla finestra per
distrarsi un attimo, o forse solo per non farsi attanagliare dai ricordi
di Mantova, che talvolta, all'improvviso, la ferivano come lamine
taglienti.
Tutto d'un tratto, come spinta da una forza irresistibile, si avvicina al
muro, stacca il calendario ed esce quasi di corsa. Le sembra d'esser
tornata ai tempi del liceo, quando le sue amiche la rimproveravano per la
sua eccessiva curiosità e per i suoi colpi di testa.
«Quando ti metti in testa qualcosa, non ragioni più, procedi come un
bulldozer, senza valutare le conseguenze» le dicevano. Lei si rendeva
conto che loro avevano ragione, che avrebbe dovuto ascoltarle, ma non
c'era niente da fare, era più forte di lei.
Infila il calendario nella borsa dei libri. Posso sempre restituirglielo
senza farmi scoprire. Posso lasciarlo nella buca delle lettere.
Scende le scale sperando di non incontrare nessuno.
Dopo pochi gradini, qualcosa attira la sua attenzione. Un foglietto
bianco, infilato tra il battiscopa e la parete delle scale, che spunta
appena. E' uno scontrino di un negozio di scarpe. Con una graffetta
metallica è fissato ad una piccola foto. La guarda con curiosità. Una
ragazza bruna, dai grandi occhi neri. Avrà più o meno la mia età,
pensa. Chi può essere? Sarà caduta al vecchio? La osserva meglio: la
foto non è perfetta, piuttosto sgranata, sembra ritagliata da una foto
più grande, almeno a giudicare dal formato un poco irregolare. La mette
in borsa, dentro il calendario e torna un attimo a casa.
Ripone il calendario nello sportello basso della libreria bianca del
corridoio, sotto un pacco di carte.
Esce di corsa e si dirige verso l'università: l'appello della commissione
d'esame incombe.
2
Irene
Non ho
mai visto Elena così contenta come in questi giorni. Il 30 e lode in
Diritto costituzionale l'ha galvanizzata. Ha ripulito tutta la casa, e
decisamente ce n'era bisogno. Il frigorifero si è di nuovo riempito, non
si presenta più desolato come negli ultimi giorni. Anche se la sua
abitudine di fare la spesa al Todis di via dei Volsci non mi convince
ancora del tutto. Certamente è molto economico, ma la qualità talvolta
lascia a desiderare.
Dalla sua camera sento in sottofondo la musica che ascolta: non solo
Mozart e Beethoven, che riserva alle grandi occasioni, di solito nei
giorni dopo gli esami andati bene, ma anche Jovanotti e Beyoncé. Ha
perfino tirato giù dalla soffitta la sua bici, e ha fatto la ciclabile
del Tevere al tramonto. Molto suggestiva, indimenticabile, mi ha detto.
Mangia con appetito e sembra ormai passato il periodo in cui un velo di
tristezza per i brutti ricordi di Mantova le spegneva il sorriso come un
lampo inaspettato.
Son proprio contenta di averla come coinquilina.
L'appartamento, è vero, non è particolarmente bello, anche se le nostre
due camere sono abbastanza ampie. Le persiane e le porte sono vecchie e
precarie. I mobili sembrano raccattati in qualche mercato dell'usato. Ma
in fondo è abbastanza comune qui a San Lorenzo. Chi ha una casa la arreda
spartanamente con quattro soldi e riesce ad affittare una camera a 400
euro al mese, qualche volta anche 500, più le spese s'intende. Eppure si
fa fatica a trovarne una di stanza.
San Lorenzo è il top, vicino all'università, e alla sera si riempe di
giovani.
Quando lo scorso anno era stata violentata e uccisa una ragazzina negli
edifici diroccati di via dei Lucani, tanti avevano sentenziato che il
quartiere si era fatto una pessima fama, e il valore degli immobili
sarebbe diminuito di molto, e forse sarebbero diminuiti anche gli affitti.
Ma dopo pochi mesi è tornato tutto come prima.
«Davvero la tua coinquilina è di Mantova?» mi domandava incredula mia
madre ad Otranto, mentre cucinava, la vigilia di Natale. Normalmente i
fuori sede delle università di Roma vengono dal Centro o dal Sud; solo
per medicina, per via del numero chiuso e della graduatoria nazionale,
c'è qualche raro studente del Nord. Ma a legge? Elena sarà pressoché
l'unica a venire dal Nord.
Eppure sento di aver trovato un'amica vera.
Le mie compagne di facoltà all'inizio erano scettiche.
«Una del Nord? Una di legge?»
Fin dall'inizio, fin da quando ci siamo conosciute cercando casa due anni
fa, ho capito che saremmo diventate amiche inseparabili. E' nata subito
una sintonia quasi magica tra di noi, a dispetto delle differenze
d'abitudini e della diversità d'interessi.
Solo con Elena mi sento di dire tutto di me. Forse perché lei ha avuto
subito fiducia in me e non mi ha nascosto nulla del suo passato. Forse
perché lei ha trovato in me un sostegno, un'amica che l'ascolta e la
incoraggia.
E' la
prima volta, da quando è iscritta all'università, che a settembre ha
già finito tutti gli esami dell'anno. Potrebbe tornare a Mantova fino
all'inizio delle lezioni. Ma non ne ha voglia. Preferisce rimanere a Roma
e accompagnarmi ogni mattina a studiare in biblioteca.
Tra una settimana c'è l'appello di Diagnostica per immagini, e poi
anch'io avrò finito gli esami di quest'anno. Mentre io ci do dentro, lei
ha cominciato con molta calma a dare un'occhiata ai libri del quarto anno,
in particolare a Procedura penale; ma soprattutto fa lunghe pause,
chiacchiera con i compagni, passeggia per i giardini, sosta a ripetizione
nei bar dell'università.
Questa mattina il cielo è sereno e fa caldo come fossimo ancora in
agosto. Siamo in gruppo a bere il caffè al bar dell'università, quello
vicino alla Posta, coi tavolini all'aperto, nell'unico momento di pausa
che mi sono concessa.
Lei forse si è stancata di sentirci parlare sempre degli esami di
medicina e, finito il caffè, si è spostata sul tavolino accanto a
leggere il giornale. La vedo sbiancare in volto, con lo sguardo
terrorizzato. Mi precipito al suo tavolo. «Cos'è successo?». Con la
voce soffocata mormora: «Guarda!» e mi indica il giornale.
Il Messaggero è aperto su una pagina interna della cronaca di Roma. Sotto
la foto un poco sgranata di un anziano signore, un breve trafiletto:
“Martedì 17 nel primo pomeriggio un bambino di 9 anni, nel
rincorrere il pallone rotolato lungo una discesa, ha scoperto il cadavere
di un uomo. E' corso terrorizzato ad avvertire la madre, che ha subito
avvisato le forze dell'ordine. E' accaduto ai Monti Tiburtini,
vicino a via dei Durantini, in uno stretto sentiero lungo una scarpata
incolta, accanto ad un parcheggio. La vittima è Antonio Vinci, nato a
Roma, di anni 82, pensionato, incensurato, residente nel quartiere San
Lorenzo, in via dei Sabelli 82. Il Vinci era vedovo e senza figli. Gli
inquirenti escludono il movente della rapina, poiché nella tasca del
pensionato è stato rinvenuto il suo portafoglio, con la carta
d'identità, il cellulare, una tessera bancomat Unicredit e alcune decine
di euro.”
«Chi è?» chiedo stupita per la sua reazione.
«Ma come, non lo riconosci?».
«No».
«Ma è il vecchio! Non ti ricordi quando ti avevo detto che lo vedevo
tutte le mattine alla finestra, ad osservare gli studenti che aspettano di
entrare al liceo? E quando ti avevo detto che era sempre solo, che alla
sera lo vedevo nella penombra, sempre al computer?»
«Sei sicura che sia lui?»
«Sicurissima» mi risponde, e inizia a raccontarmi che qualche giorno fa,
anzi proprio la mattina del primo giorno di scuola, aveva notato che non
era alla finestra. La vedo esitare, come se volesse aggiungere qualcosa,
ma poi cambia idea. Legge e rilegge il trafiletto, sempre più preoccupata
e scura in volto.
«Chi l'avrà ucciso? Perché?» mi domanda con ansia, fissandomi negli
occhi.
Senza attendere la risposta, si alza, mi sussurra «Vado a casa», e si
allontana a passo svelto.
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