La voce del popolo, 1 agosto 2019, pag. 26
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Paolo VI, il Papa del dialogo
di Maurilio Lovatti
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Paolo VI è
stato definito da diversi storici Papa del dialogo. In effetti aveva una
spiccata capacità di comprendere le ragioni altrui, anche quando erano
molto lontane dalla sua visione della vita. Era convinto che quando gli
uomini cercano con sincerità il senso delle cose, anche nelle concezioni
più distanti da quella cristiana vi si possono trovare sempre frammenti di
verità. Il momento più significativo del dialogo è quello col mondo
moderno. E non era certo facile, dopo oltre un secolo e mezzo di condanna
della modernità da parte della Chiesa, iniziata con la Mirari Vos di
Gregorio XVI nel 1832 e giunta al culmine con la Pascendi di Pio X
(1907). La visione montiniana della modernità è influenzata dal magistero
di Maritain, di cui Montini stesso fu in gioventù un traduttore e un
ammiratore, nonostante gli ambienti tradizionalisti della Chiesa lo
avversassero. Il progresso, la scienza e la tecnica, la democrazia, il
liberalismo e la separazione dei poteri sono i frutti buoni della civiltà
moderna, che il cristiano deve fare propri per costruire la civiltà
dell'amore, in una sorta di agostiniano “furto sacro” che apra la strada
ad un umanesimo integrale. Con un limite invalicabile: il rifiuto del
pensiero politico di Rousseau, uno dei tre maestri dell'errore (con Lutero e
Descartes), che conduce ad una sorta di statolatria, ad un utopia nella
quale i valori cristiani, come la libertà, l'uguaglianza e la fraternità
sono snaturati, perché privati della loro costitutiva dimensione
sopranaturale. Da questa visione nasce nel Concilio la costituzione
pastorale Gaudium et spes, uno dei documenti più rivoluzionari nella
storia della Chiesa. |
Maurilio Lovatti
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La voce del popolo, 1 agosto 2019, pag. 26
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