In
preparazione della marcia nazionale per la pace, che si terrà a Brescia il
31 dicembre (promossa dalla Conferenza Episcopale Italiana, da Pax Christi e
dalla Caritas) si è svolto il 21 ottobre in Cattolica un convegno su pace e
giustizia nel magistero di Giovanni Paolo II. Sono intervenuti i due
relatori: mons. Giovanni Giudici, vescovo di Pavia e presidente nazionale di
Pax Christi, e il prof. Ivo Lizzola, pedagogista, preside della Facoltà di
scienze della Formazione dell'Università di Bergamo.
Mons. Giudici, prima di delineare le linee portanti dell'insegnamento di
Giovanni Paolo II sul tema della pace, con una ricostruzione storica ha
richiamato l'insegnamento della Chiesa su questo tema, a partire dalla Pacem
in Terris di Giovanni XXIII (1963), che ha "messo al bando il
concetto di guerra giusta". Il Concilio Vaticano II, secondo il Vescovo
di Pavia, è stato invece più prudente. Il successivo magistero di Paolo VI
ha sottolineato l'importanza delle giustizia sociale e tra i popoli quale
condizione imprescindibile per la pace, in particolare con la Populorum
Progressio. Per il Vescovo di Pavia, la novità più dirompente
nell'insegnamento di Giovanni Paolo II sulla pace è però rinvenibile nel
messaggio del 1 gennaio 2002, di pochi mesi successivo alla strage dell'11
settembre, laddove si afferma che l'autentica pace non presuppone solo la
giustizia sociale e il rispetto dei diritti umani, ma anche il principio del
perdono (non solo, cioè, il perdono come esperienza personale e talvolta
eroica, ma anche il perdono nelle relazioni internazionali, da parte dei
popoli e degli Stati). Questa tesi, per mons. Giudici, è una novità
assoluta nell'insegnamento della Chiesa e costituisce un messaggio profetico
che ha già iniziato a dare i suoi frutti: come esempio ha citato, tra gli
altri, l'azione di Mandela in Sud Africa, dove il post apartheid, è stato attuato
senza spirito di vendetta.
Al prof. Lizzola è toccato il compito di tratteggiare le condizioni per un
proficuo percorso educativo dei giovani alla pace. Ha riconoscendo che il
nostro tempo non è favorevole all'educazione alla pace, perché è
"tempo dell'incertezza", in cui prevale la ricerca di "troppo
rapide sicurezze", è il tempo di ragazze e ragazzi fragili, troppo
vulnerabili, troppo sottoposti "alle proprie pulsioni" e tentati
dall'indifferenza, ma è anche il tempo in cui si vanno precisando, pur
nelle difficoltà, nuove forme di dignità della persona e la riscoperta del
senso del perdono. Per Lizzola l'educazione alla pace richiede due
precondizioni: il recupero del senso del tempo come promessa e il recupero
del valore simbolico dei gesti e delle parole.
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In
preparazione della marcia nazionale per la pace, che si terrà a Brescia
il 31 dicembre (promossa dalla Conferenza Episcopale Italiana, da Pax
Christi e dalla Caritas) un convegno su pace e giustizia nel magistero di
Giovanni Paolo II si è svolto venerdì 21 ottobre nell'aula magna
dell'Università Cattolica. Dopo brevi introduzioni di don Mario
Benedini, presidente della Commissione Giustizia e Pace, a nome della
Diocesi, e del prof. Luciano Caimi dell'Università Cattolica,
direttore del Centro studi per l'educazione alla legalità, sono
intervenuti i due relatori: mons. Giovanni Giudici, vescovo di
Pavia e presidente nazionale di Pax Christi, e il prof. Ivo Lizzola,
pedagogista, preside della Facoltà di scienze della Formazione
dell'Università di Bergamo.
Mons. Giudici, prima di delineare le linee portanti dell'insegnamento di
Giovanni Paolo II sul tema della pace, con una dotta e chiarissima
ricostruzione storica ha richiamato l'insegnamento della Chiesa su questo
tema, a partire dalla Pacem in Terris di Giovanni XXIII (1963), che
ha "messo al bando il concetto di guerra giusta". Il Concilio
Vaticano II, secondo il Vescovo di Pavia, è stato invece più prudente:
nonostante al suo interno si fosse manifestato un orientamento
"pacifista cristiano radicale", come quello del card. Lercaro o
di La Pira, la Gaudium e Spes, pur auspicando per l'umanità la
fine di tutte le guerre, ha riproposto il tradizionale concetto di
legittimità della guerra intrapresa per ragioni difensive.
Il successivo magistero di Paolo VI ha sottolineato l'importanza delle
giustizia sociale e tra i popoli quale condizione imprescindibile per la
pace, in particolare con la Populorum Progressio (marzo 1967).
Sviluppando queste linee di pensiero, Giovanni Paolo II ha dato inizio al
suo insegnamento su questo tema. Mons. Giudici ha ricordato l'omelia
pronunciata dal Pontefice a Vienna il 10 settembre 1983, nella quale si
riconosceva che in qualche caso anche per i cristiani non è possibile
evitare la lotta armata contro gli oppressori (il riferimento storico per
il Pontefice erano gli assedi di Vienna da parte degli Ottomani nel 1529 e
nel 1683). Per Papa Wojtyla il principio della legittima difesa, che pur
è mantenuto, va finalizzato a "disarmare chi non rispetta la
giustizia e i diritti umani dei popoli": talvolta è necessario
"disarmare gli oppressori".
Nel 1991, in occasione della Guerra del Golfo, il Papa afferma che è
assurda e condannabile ogni guerra condotta "in nome di Dio",
arrivando ad affermare, poco dopo, che anche le Crociate furono
"dissonanti col Vangelo"; nel 1996 promuove il primo incontro
interreligioso per la pace ad Assisi. Per il Vescovo di Pavia, la novità
più dirompente nell'insegnamento di Giovanni Paolo II sulla pace è però
rinvenibile nel messaggio del 1 gennaio 2002, di pochi mesi successivo
alla strage dell'11 settembre, laddove si afferma che l'autentica pace non
presuppone solo la giustizia sociale e il rispetto dei diritti umani, ma
anche il principio del perdono (non solo, cioè, il perdono come
esperienza personale e talvolta eroica, ma anche il perdono nelle
relazioni internazionali, da parte dei popoli e degli Stati). Questa tesi,
per mons. Giudici, è una novità assoluta nell'insegnamento della Chiesa
e costituisce un messaggio profetico che ha già iniziato a dare i suoi
frutti: come esempio ha citato, tra gli altri, l'azione di Mandela in Sud
Africa, dove il post apartheid, è stato attuato senza spirito di vendetta.
Al prof. Lizzola è toccato il compito di tratteggiare le condizioni per
un proficuo percorso educativo dei giovani alla pace. Ha riconoscendo che
il nostro tempo non è favorevole all'educazione alla pace, perché è
"tempo dell'incertezza", in cui prevale la ricerca di
"troppo rapide sicurezze", è il tempo di ragazze e ragazzi
fragili, troppo vulnerabili, troppo sottoposti "alle proprie
pulsioni" e tentati dall'indifferenza, ma è anche il tempo in cui si
vanno precisando, pur nelle difficoltà, nuove forme di dignità della
persona e la riscoperta del senso del perdono. Per Lizzola l'educazione
alla pace richiede due precondizioni: il recupero del senso del tempo come
promessa e il recupero del valore simbolico dei gesti e delle parole. Dopo
aver auspicato che i giovani leggano Il problema dell'empatia di Edith
Stein e gli scritti di Kierkegaard, ha concluso affermando che un percorso
educativo alla pace presuppone l'essere consapevoli dei limiti e delle
ferite della condizione umana.
Maurilio
Lovatti
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