I
risultati del recente G8 in Abruzzo sono molto deludenti per quanto
riguarda la difesa dell'ambiente. Certo, con Obama c'è stata una svolta
in positivo rispetto all'era Bush, e alcune conseguenze si son viste: la
prima è l'impegno del G8 a mantenere l'aumento della temperatura del
pianeta entro 2 gradi, il limite oltre il quale gli scienziati annunciano
cambiamenti climatici irreversibili ed ingestibili. Sempre negli aspetti
positivi sta il fatto che la prospettata riduzione del 50% nelle emissioni
di gas serra entro il 2050 (per ottenere questo gli 8 s'impegnano a
ridurre le loro emissioni dell'80%) è quella ritenuta necessaria dal
gruppo di scienziati che studia i cambiamenti climatici sotto l'egida
dell'ONU.
Ma quando si passa dalle enunciazioni di principio ai programmi concreti,
il giudizio si capovolge: ridurre le emissioni dell'80% rispetto a quando?
Per gli scienziati dell'ONU, la riduzione del'80% è da calcolare rispetto
alle emissioni di gas serra del 1990, che nel frattempo sono molto
aumentate. Ebbene, il G8 non ha detto se la riduzione va calcolata
rispetto al 1990 o rispetto ad ora. Si è lasciato tutto nel vago. Non
sono stai fissati obiettivi intermedi: non è stato possibile indicare
risultati raggiungibili e controllabili entro il 2020, com'era nelle
iniziali intenzioni di Obama (queste scelte sono state di fatto rinviate
alla conferenza di Copenaghen prevista per dicembre).
Inoltre la conferenza dei Paesi del Mef, cioè gli 8 grandi, più il G5
(Cina, India, Messico, Brasile e Sud Africa) più Egitto, Australia,
Indonesia e Corea del Sud, che si è svolta parallelamente al G8, non ha
nemmeno accettato, soprattutto per l'opposizione cinese, l'obiettivo della
riduzione del 50% entro il 2050. Da un lato vanno capiti i Paesi
emergenti: i guai col clima da un paio di secoli in qua li ha combinati
l'Occidente. Loro hanno cominciato solo negli ultimi anni, seppur con
indubitabile e crescente vigore. E poi, gran parte delle emissioni dei
Paesi emergenti è legata alla produzione di beni destinati all'Occidente,
che sceglie di impiantare gli stabilimenti dove la manodopera costa meno e
le norme ambientali sono meno rigide. Tuttavia rimane indubitabile che
senza l'accordo con i Paesi emergenti non si arriverà a nulla.
Infine sul lato della spesa per investimenti ambientali, c'è stato solo
un generico impegno degli 8 ad aumentare gli investimenti pubblici nella
Ricerca e nello Sviluppo, con l'ottica di raddoppiarli entro il 2015. E'
stato calcolato che per guarire la grave crisi ecologica servirebbero
circa 110 miliardi di euro l'anno. Sembra una cifra enorme! Ma che dire se
si considera che gli 8 in meno di un anno, per fronteggiare la crisi
economica, hanno erogato in aiuti a banche e imprese circa 2700 miliardi
di euro? L'impressione è che, se a Copenaghen non ci sarà una svolta
radicale, il pianeta rischia di avviarsi verso una crisi ambientale
irreversibile.
Maurilio Lovatti
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