In
ottobre nell'Unione Europea si sono intensificate le riunioni per definire
un piano per la difesa dell'ambiente. Gli obiettivi essenziali per il 2020
sono la riduzione del 20% delle emissioni d'anidride carbonica (principale
causa dell'effetto-serra), l'aumento del 20% nell'efficienza energetica e,
contestualmente, garantire che almeno il 20% della produzione energetica
sia da fonti rinnovabili, come il solare, l'eolico o l'idroelettrico.
L'Italia e la Polonia hanno pubblicamente manifestato il loro dissenso sul
piano proposto dalla Commissione europea, ma dietro di loro altri Paesi
dell'Est sono titubanti. Il governo italiano e la Confindustria temono che
il raggiungimento di questi obiettivi comporti costi insostenibili per le
imprese (dai 18 ai 25 miliardi di euro l'anno, secondo il governo; dai 9,5
ai 12,3 secondo l'Unione europea). L'Italia si trova in difficoltà anche
perché fino ad oggi non ha rispettato il protocollo di Kyoto, che prevede
per noi una riduzione del 6,5% delle emissioni di Co2 entro il 2012
(rispetto al 1990) e rischia pesanti sanzioni per un comportamento che si
traduce in una sorta di "concorrenza sleale" rispetto agli altri
Stati europei virtuosi. Per noi bresciani va aggiunto che, nella nostra
provincia, l'emissione di Co2 è tra le più alte in Italia (pari a circa
8,5 tonnellate annue pro-capite), dovuta in gran parte al comparto
industriale.
Due osservazioni s'impongono: in primo luogo, a fronte dei costi non
trascurabili per le imprese richiesti dal piano europeo (resi ancor più
rilevanti dall'aggravarsi della crisi economica) occorre tener presente
che le misure di risparmio energetico e per la riduzione delle emissioni
possono essere una fonte di sviluppo economico e un'opportunità per
quelle imprese capaci di investire in nuove tecnologie. Le politiche per
l'ambiente non vanno considerate solo come un costo aggiuntivo per il
sistema delle imprese, anche se è vero che per l'arretratezza culturale e
la scarsa efficienza della pubblica amministrazione non tutte le
opportunità saranno ben sfruttate in Italia. Inoltre il tanto criticato
meccanismo sanzionatorio previsto dall'Europa per le imprese che non
rispettano i parametri ambientali, anche se può essere
"pesante" per alcuni settori dell'economia italiana, è in fondo
giusto, perché evita che gli operatori virtuosi siano danneggiati.
Rimane il paradosso che i governi dei due Paesi più cattolici d'Europa
(Italia e Polonia) siano di fatto coloro che maggiormente ostacolano le
politiche ambientali in Europa, mentre negli ultimi anni la Chiesa
cattolica ha ripetutamente e sempre più fermamente richiamato i fedeli e
l'umanità tutta a adoperarsi, negli stili di vita personali, come nelle
scelte collettive, per salvaguardare il creato, consegnarlo intatto alle
future generazioni ed evitare una catastrofe ecologica, che ci minaccia in
mancanza di decisi interventi correttivi dell'attuale sviluppo economico.
Maurilio Lovatti
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