Durante la
Repubblica Sociale Italiana (1943-45) la Voce del Popolo, che allora
si chiamava Voce Cattolica, fu soggetta a pesanti interventi di
censura preventiva. Non si sarebbe potuto stampare se non si fosse obbedito
alla richiesta di censura, o addirittura di aggiunta di commenti graditi al
regime.
Come esempio consideriamo il numero del 22 luglio 1944, anno XXII del Regime
Fascista. In prima pagina è pubblicato un articolo dal titolo Qualcuno
ci accusa: cosa avete fatto? Si tratta di una breve esposizione storica
della dottrina e dell'azione sociale della chiesa, in risposta ad un operaio
che accusava la Chiesa di parlar bene, ma di non far nulla di concreto.
L'articolo può essere pubblicato solo con tagli significativi. In
particolare la censura chiede di cancellare le seguenti frasi:
“La Chiesa si sentì profondamente commossa per le misere condizioni che
il liberalismo capitalista, rotti i freni di ogni controllo da parte dello
Stato e delle associazioni professionali, aveva creato alle classi
lavoratrici. […] Quando la giornata lavorativa normale era di 14 e fino a
16 ore, fu un gesuita romano, p. Liberatore, che per primo in Italia
promosse un movimento per portarla a 9 ore. […] La Chiesa è sempre stata
tutt'altro che inattiva, anche su questo campo, quando naturalmente fu
libera di agire.”
Se queste e altre frasi non fossero state cancellate, scrive il censore
fascista “non sarei del parere per la pubblicazione perché i riferimenti
a situazioni politiche (più che sociali) sono evidenti.”
Nello stesso numero è pubblicato un resoconto dei danni del bombardamento
alleato su Brescia del 13 luglio, che aveva provocato 189 morti, case
distrutte e la parziale distruzione della cupola del duomo. Il censore
aggiunge alle bozze: “E nessuna parola di commento in proposito? La
cronaca, a parte la constatazione dei fatti, ha il compito di rendere tali
fatti rispondenti a un sentimento collettivo. […] Si integri lo spazio che
rimane vuoto con parole che per lo meno esprimano rammarico, non nei
confronti degli uomini che muovono la guerra, il che potrebbe essere
«politico», ma per i danni che ha subito la nostra cattedrale. Non ci si
soffermi soltanto sulle parole del presule [mons. Giacinto Tredici] che, per
il suo stesso ufficio, sono di carattere imparziale...”
La redazione è costretta ad aggiungere: “Essa [la cupola del duomo]
rimane così a ricordare un'ora tragica di agonia, sofferta dinnanzi ad un
delitto che ha offeso negli affetti più cari quanti, per origine, per
tradizione, per storia, si sentono legati alla terra bresciana.”
Nel numero del 18 novembre 1944, la Voce Cattolica è costretta a
pubblicare un articolo di un giovane fascista non bresciano che si era
arruolato volontario, dal titolo Meritare la vittoria!, firmato da Luciano
Lucci Chiarissi. Se non altro la firma non impegna il periodico nelle tesi
esposte. Il Lucci invita i giovani ad arruolarsi e sostiene: “Noi sappiamo
dov'è la soluzione della crisi che ci angustia: Al fronte! Al fronte! Siamo
stanchi di quel palliativo che ha nome rastrellamento ove gli uomini cadono
senza la gioia del vero combattimento. Siamo stanchi di assistere alla
tragedia come elementi decorativi e coreografici. Roma, Firenze, Ancona,
Napoli [già liberate dagli alleati] e tutte le nostre belle città devono
essere riconquistate e da nostri soldati e nostre mani. Non chiediamo che di
combattere. […] Contro tutti gli scetticismi ed i positivismi siamo
fanaticamente convinti che, oggi più che mai, «solo il sangue è
spirito», solo il sangue è il motore della storia. Per questo gridiamo:
«slegateci le mani, mandateci al fronte!»”
COMMENTO
Rileggere ad oltre 70 anni le vicende locali della censura fascista alla
stampa fa un certo effetto: siamo talmente abituati alle libertà
costituzionali di opinione, di parola e di stampa, che la stessa idea di
censura preventiva ci pare orribile. Eppure la libertà è un valore perenne
ma mai definitivamente conquistato dall'uomo. La stessa Chiesa è giunta con
ritardo a fare pienamente propri alcuni principi, come il liberalismo e la
democrazia, che pure discendono dal valore della persona umana affermato dal
cristianesimo. Per la prima volta nell'enciclica Pacem in terris di
papa Giovanni XXIII (1963), e dunque nel magistero ufficiale della Chiesa,
sono enunciati e apprezzati esplicitamente i valori fondamentali del
liberalismo europeo e della democrazia. Sul principio cardine del
liberalismo, che rende effettive e tutela tutte le libertà personali, cioè
la separazione dei poteri, legislativo, esecutivo e giudiziario, e che si
radica nel pensiero politico moderno a partire da Locke e Montesquieu, papa
Giovanni è convinto che sia “rispondente ad esigenze insite nella stessa
natura degli uomini l’organizzazione giuridico-politica della comunità
umana, fondata su una conveniente divisione dei poteri in corrispondenza
alle tre specifiche funzioni dell’autorità pubblica. [...] Ciò
costituisce un elemento di garanzia a favore dei cittadini nell’esercizio
dei loro diritti e nell’adempimento dei loro doveri.” (n. 41).
Non basta però affermare a parole che liberalismo e democrazia sono
principi positivi, basi indispensabili per costruire quella che Paolo VI
chiamava civiltà dell'amore: è necessario che tutti ci impegniamo a
rendere operanti tali principi, sia adempiendo al nostro dovere di
informarci e di partecipare a tutte le consultazioni elettorali (dal
quartiere al Parlamento, inclusi i referendum) sia cercando in tutti gli
ambiti, come amici, colleghi e vicini di casa, fino ai social, di
contrastare i pregiudizi, i luoghi comuni, le false notizie, le eccessive
semplificazioni che favoriscono i demagoghi e i nemici della libertà
autentica.
Maurilio Lovatti
La voce del popolo, 29
novembre 2018, pag. 25
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