Le due tesi che intendo sostenere sono
cosi semplici, nella loro essenza, da poter apparire perfino ovvie:
1) la gestione dell'urbanistica a Brescia, dal dopoguerra fino ad oggi, ha
rappresentato per la DC uno degli strumenti fondamentali per consolidare
attorno a sé un ampio consenso;
2) sui temi dell'urbanistica, la sinistra a Brescia ha sempre registrato
pesantissimi ritardi che l'hanno portata ad avallare tutte le scelte della
DC in un primo periodo (1945-1967) e a contribuire con scarsa incidenza e
originalità al relativo rinnovamento degli ultimi anni (dalla Variante
delle zone agricole e collinari del 1968 ai giorni nostri).
In altre parole la DC, con l'appoggio dei gruppi economici del mondo
cattolico, è riuscita a compiere una difficile sintesi, offrendo risposte
concrete alle domande di case in proprietà proveniente dal ceto medio (coop.
La Famiglia, interventi pubblici etc.) riuscendo ad evitare per più di
vent'anni ogni forma di programmazione del territorio che potesse ledere
gli interessi degli operatori economici; anche negli ultimi anni questo
disegno è stato attuato, ma ovviamente, con la svolta
"riformista" di Bazoli e Benevolo, la proprietà immobiliare ha
dovuto pagare qualche prezzo, anche se ridotto al minimo. Purtroppo, di
fronte al disegno democristiano, la sinistra per decenni è stata incapace
di opporre una qualsiasi strategia realistica e anche oggi non riesce a
far approvare qualificanti correzioni o miglioramenti alla gestione
dell'urbanistica.
Per comprendere meglio queste affermazioni basta
ricordare alcuni episodi degli ultimi 35 anni.
Fino al 1967 tutte le decisioni importanti vengono prese dal Consiglio
comunale col voto favorevole delle sinistre e senza approfondite
discussioni.
Fa eccezione solo la seconda adozione del Piano di ricostruzione: a
conclusione del dibattito del Consiglio comunale del 21 marzo 1949 alcuni
consiglieri del PSI e del PCI votano contro, ma sulle motivazioni addotte
(dal consigliere socialdemocratico Quattrini che guida
"l'opposizione" al Piano) è meglio stendere un velo di pietoso
silenzio. Uno dei punti più neri della storia della sinistra bresciana si
tocca il 20.10.54: il Consiglio comunale adotta all'unanimità un Piano
regolatore che ripropone tutti gli sventramenti del centro storico
progettati a suo tempo dal Piacentini, autore del Piano fascista del 1929,
compresi i più aberranti, quali la demolizione di parte dei portici di
via X Giornate e la prevista traversa dalla Pallata a P.za Vittoria.
Un piano che A. Cederna (sul "Mondo" del 4.11.58) definirà
"il peggiore tra i PRG che abbiamo fin qui esaminato, un piano...da
mostrare nelle università come un concentrato delle principali storture
mentali che presiedono la rovina urbanistica italiana".
Fortunatamente il Piano viene bocciato dal ministero dei LL.PP. Ammuffiti
funzionari ministeriali, di prevalente formazione fascista, sembrano dei
pericolosi e illuminati riformatori a confronto dei consiglieri comunali
bresciani dell'epoca! Nonostante ciò, confortato dal sindaco Boni che
afferma la "natura organica e palpitante" del PRG, il Consiglio,
sempre all'unanimità, riadotta il Piano il 13.3.57. Non si pensi che in
quegli anni lontani le scelte urbanistiche rivestissero scarsa importanza.
Anche se la massiccia edificazione è avvenuta dalla fine degli anni '50
ai primissimi anni '70, nel periodo della ricostruzione maturano le scelte
fondamentali: villaggi di case popolari all'estrema periferia che fanno
crescere vertiginosamente la rendita delle aree intermedie e, per quanto
riguarda le grandi infrastrutture, la previsione del cavalcavia Kennedy e
la realizzazione della galleria del Castello, della Panoramica ecc., che
risulteranno determinanti per lo sviluppo urbanistico di Brescia.
Piano Morini e
"riformismo" di Bazoli
Un poco diversa si presenta la vicenda del Piano
Morini del 1961, con il quale vengono eliminati gli sventramenti, viene
ribaltata la soluzione dei problemi del traffico prevedendo l'attuale
sistema delle tangenziali, viene previsto il centro direzionale di
Brescia-2.
Il Piano Morini, che viene anch'esso approvato all'unanimità nel
Consiglio comunale del 5.6.59, presenta però due caratteristiche
estremamente negative, molto diffuse in Italia nei Piani regolatori dei
primi anni '60: edificabilità quasi totale del suolo comunale (la
previsione era di circa 600.000 vani) e mancanza di una dotazione
sufficiente di aree da riservare al verde e agli usi pubblici.
Sul Piano Morini si verifica la prima opposizione locale. E condotta dalla
sinistra DC e in particolare da Luigi Bazoli e dall'allora giovane e
battagliero Cesare Trebeschi, che afferma:
"...questa inettitudine culturale, questa incapacità sociale, hanno
trovato la loro espressione urbanistica e il loro coronamento nel Piano
regolatore...".
Sul numero 3-4 del "Bruttanome" (1963), Trebeschi non dimentica
di sottolineare che il Piano è stato approvato da tutti i gruppi presenti
in Consiglio comunale, facendo implicitamente rilevare che, mentre negli
altri partiti tutti tacciono, è ancora meglio la DC, dove qualcuno ha il
coraggio di criticare. In effetti in quegli anni la DC riesce a gestire
contemporaneamente sia il governo della città (talvolta malgoverno) sia
l'opposizione, relegando la sinistra al ruolo di puro spettatore. Le
ragioni di questi silenzi della sinistra o, di converso, le cause che
hanno reso possibile a Boni di realizzare il suo abile disegno di
"assorbimento" delle opposizioni sono ancora in gran parte da
scrivere. Stesso identico schieramento si verifica sul Piano
particolareggiato della zona del vecchio Ospedale, approvato in soli 3
minuti dal Consiglio comunale! Eppure l'edificazione speculativa delle
aree dell'ex-ospedale ha costituito l'episodio più grave e irresponsabile
della politica urbanistica del dopoguerra.
Con le elezioni amministrative del 1965 e la nomina
di Bazoli ad assessore all'Urbanistica le cose cominciano a cambiare. Il
primo atto positivo è la Variante per le zone agricole e collinari (1968)
che riduce notevolmente l'edificazione, con un taglio di circa 150.000
vani rispetto alle previsioni del Piano Morini.
Con il 1968 e le lotte del movimento operaio e degli studenti, cominciano
a sorgere anche a Brescia i Consigli di quartiere, che diventeranno uno
dei protagonisti della vicenda urbanistica. Si verifica, a grandi linee,
una saldatura (anche se con momenti di contraddizione) tra la
"modernizzazione" della gestione democristiana dell'urbanistica,
voluta dalla sinistra DC e da Bazoli e, per certi versi, resa necessaria
dall'evolversi dei tempi e dal diffondersi della cultura urbanistica, da
un lato e i bisogni dei cittadini espressi attraverso i Consigli di
quartiere, dall'altro.
Considerato che le forze di sinistra con le Acli furono protagoniste del
movimento dei quartieri, si può affermare che gli anni dal '72 al '79
sono gli anni in cui maggiore fu l'iniziativa politica della sinistra sui
temi dell'urbanistica.
Il coordinamento dei Consigli di quartiere del 25.1.73 chiede in visione
la Variante al PRG ancora prima che fosse ufficialmente presentata.
Sull'urbanistica e sul PRG si tengono tre assemblee cittadine di tutti i
Consigli di quartiere e diverse riunioni del Coordinamento cittadino,
pervenendo ad un documento comune approvato dall'assemblea del 30.4.73.
Anche i partiti della sinistra iniziano a muoversi autonomamente. Nel
giugno del '72, sulla "Verità", il PCI richiede con forza la
Variante in tempi brevi; il PSI sollecita la soluzione del problema
dell'edilizia economico-popolare.
Tuttavia va obiettivamente riconosciuto che le idee-forza della Variante
'73 (concentrazione dei Peep a S. Polo, dislocazione degli standard,
riduzione generalizzata degli indici di edificabilità per diminuire la
previsione dei nuovi vani senza grossi scontri con e tra i proprietari,
normativa di salvaguardia del centro storico e delle colline) erano tutte
contenute nel progetto Bazoli - Benevolo e che la sinistra e i quartieri
hanno contribuito soprattutto a difenderle dagli attacchi di destra
(destra DC, PLI, il sindaco Boni, ordini professionali, costruttori ecc.).
Con la discussione della Variante '77 comincia a incrinarsi la spinta
"riformatrice" di Bazoli, che diviene sempre più debole
all'interno della DC. Contemporaneamente il momento di crisi e riflusso
del movimento dei quartieri rende più difficile il confronto, nonostante
si verifichino alcuni momenti di scontro sui vincoli a S. Polo, specie nel
periodo delle "osservazioni" al Piano. Il PSI propone altre zone
di 167 fuori S. Polo, ma la richiesta non viene accolta. La Variante è
adottata il 7.2.77, fuori tempo rispetto ai termini della legge regionale
del 1975. Il primo PPA (Piano pluriennale di attuazione del PRG), inviato
ai quartieri il 25.7.77 viene adottato dal Consiglio comunale il 8.8.77,
senza che questi possano intervenire con osservazioni o proposte. Siamo al
triste e inglorioso crepuscolo della "svolta riformista" di
Bazoli.
Ed ora: progresso o
involuzione?
Dopo le elezioni del 1980, l'eliminazione di
Bazoli, lo sdoppiamento dell'urbanistica tra il DC Papetti e il socialista
Savoldi, il passaggio all'opposizione del PCI, quale riflesso delle scelte
nazionali, l'uscita del PRI dalla maggioranza, le cose non sono certo
migliorate.
Anzi, per certi versi, alcune recenti scelte lasciano prevedere una certa
involuzione:
- il ritardo che permane nella predisposizione dei piani-quadro per i
servizi e in particolare per le aree verdi e sportive;
- la modifica peggiorativa delle norme del PRG sulle aree sportive
approvata recentemente da tutti i consiglieri comunali ad eccezione del
socialista Frati;
- il rifiuto dell'assessore Papetti di applicare la legge 457/78 per la
parte che prevede la facoltà di subordinare e convenzionare le
ristrutturazioni di rilevante entità anche fuori dalle zone di recupero
(scelta questa spiegabile solo con la preoccupazione di danneggiare la
grande proprietà immobiliare) nonostante le conseguenze negative sul
problema della casa;
- mancanza, nel bilancio triennale del Comune, di un fondo di rotazione
per le aree di 167 fuori S. Polo;
- la recente vicenda della Pendolina. Altre scelte involutive per il
momento non sono passate, per il deciso intervento del PSI, ad esempio il
tentativo di Papetti di vendere le case comunali e di sottrarre alle
circoscrizioni il parere sulle concessioni edilizie.
Nel marzo scorso il PCI, nei "documenti per l'alternativa", ha
avanzato una serie organica di proposte "migliorative" che però
stentano a marciare, nonostante il PCI abbia la presidenza della
Commissione urbanistica.
È necessario riaffermare con forza che il compito fondamentale delle
commissioni consiliari (secondo la scelta compiuta nel 1975, dopo la
grande avanzata elettorale delle sinistre e capovolgendo la logica boniana)
non è soltanto la discussione delle proposte presentate dagli assessori,
ma anche e soprattutto l'elaborazione autonoma di proposte da sottoporre
alla Giunta e al Consiglio comunale. Questo vale in primo luogo per la
Commissione urbanistica - LL.PP., nella quale la presenza della sinistra
è attualmente qualificante e determinante.
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