Non ci
sono solo drammatiche pagine di storia bergamasca nel Diario di guerra
del vescovo Adriano Bernareggi, pubblicazione promossa dai Preti del Sacro
Cuore e coordinata dalla Fondazione Papa Giovanni XXIII (a cura del
compianto monsignor Antonio Pesenti, testo rivisto e completato da
Alessandro Angelo Persico, Studium, pp. 547, euro 40). Nel volume, sono
parecchi i rimandi a Brescia e al vescovo Giacinto Tredici che condivise
le stesse preoccupazioni durante la Repubblica di Salò. Ed è proprio a
Bernareggi e all'amico Tredici che - dopo la riunione dell'episcopato
lombardo presso il cardinal Schuster il 5 maggio 1944, dedicata alla
posizione da assumere di fronte alle richieste di collaborazione del clero
per il reclutamento (soldati, ma pure operai per gli stabilimenti
tedeschi), sia verso il movimento comunista (sempre più attivo) - fu
chiesta una sintesi dell'orientamento fra i presuli. E ciò in
preparazione della lettera pastorale collettiva.
Come sottolinea Persico nell'introduzione, d'accordo con Tredici,
Bernareggi tolse da una prima bozza condivisa fra i vescovi "quei
periodi la cui ambiguità poteva essere interpretata come un assenso
implicito alla Repubblica Sociale Italiana". A suo giudizio si
trattava di "cose a mezzo" - così scrivendo a Tredici il 9
maggio '44 - che finivano "poi con l'avere l'aria di
semiconcessioni".
La posizione fra i due prelati presentava una certa sintonia, non però
sulla Resistenza armata. Ad esempio, Tredici spiegava al confratello a
Bergamo di vedere "difficoltà a dire per esempio che la Chiesa non
vuole assommare le sue sorti con quelle dei governi, che sono temporanei,
e dire (proprio in faccia a loro) che li consideriamo provvisori, che
diamo all'opposizione (anche armata?) un valore speciale, ecc.".
Rivista la sua stesura alla luce delle considerazioni di Tredici, Bernareggi
inviò a Schuster entrambe le redazioni: la sua e quella del vescovo di
Brescia. Ridimensionata la posizione sui resistenti armati (proprio per il
parere contrario di Tredici), le differenze principali - spiegava il
prelato al cardinale di Milano - riguardavano l'apoliticità del clero e
dell'associazionismo cattolico, e il trasferimento di operai all'estero.
Riguardo al primo punto aveva chiarito la competenza esclusivamente
religiosa del clero (senza precludere alla Chiesa future attività); sul
secondo (nell'impossibilità di formulazioni esplicite), si sottaceva il
problema. La lettera collettiva apparve a fine mese.
Oltre questa rilevante collaborazione fra i due presuli sono parecchi gli
altri tasselli bresciani del mosaico. Davanti ai rilievi mossi a don
Andrea Spada - futuro direttore dell'Eco di Bergamo - per essersi fatto
cappellano militare, Bernareggi cita "gli esempi fulgidi di p. Bevilacqua,
don Tedeschi, p. Marcolini", "sufficienti per dimostrare che il
volontarismo torna a suo onore". E, in alcune lettere allegate al
diario, si ricordano soprattutto fatti tragici. La rappresaglia di Lovere
- provincia di Bergamo, ma diocesi di Brescia, come Bernareggi ricorda al
Comando nazista - del 22 dicembre 1943 ("Stamane sono stati passati
alle anni tredici partecipanti alla spedizione" si legge nel diario
che s'interroga sull'assistenza religiosa prestata). I bombardamenti su
Brescia ("Lunedì abbiamo avuto la prima incursione: 25 morti, a cui
si aggiungerà qualche altro; danni, non molti però, alla casa e alla
chiesa provvisoria dei Salesiani. Tendevano alla linea ferroviaria; hanno
sbagliato un po' stando più a sud verso la campagna; se avessero
sbagliato di altrettanto verso nord sarebbe stato un disastro più grande.
Sia fatta la volontà di Dio. E voi, niente?", così il i6 febbraio
'44 Tredici a Bernareggi. "Avrai forse già avuto notizie del nostro
disastroso bombardamento del 2marzo, seguito a due altri, pure gravi, del
24 e 28 febbraio. Distrutte la chiesa di S. Afra (dove era il corpo di S.
Angela, messo in salvo), e di S. M. dei Miracoli [...]; danneggiato il
campanile e in piccola parte la chiesa di S. Francesco. A S. Afra il
Prevosto (un buon Prevosto) è morto sotto le macerie [...], dopo di aver
dato l'assoluzione a molti parrocchiani colà scesi con lui, ed in parte
pure travolti ed uccisi. E pensa che il 29 gennaio, a Gavardo, nel crollo
della casa canonica rimasero uccisi quattro sacerdoti,tra cui il buon p.
Giuliani. Nelle ultime incursioni ebbero danni gravi anche i
Fatebenefratelli, la Casa di Dio, le Poverelle, le Suore della
Visitazione, la Banca S. Paolo, ecc. Io, l'Episcopio, il Seminario,
incolumi. Che il Signore ci preservi da altri guai", così il 7 marzo
'45.
Altre note si soffermano sull'aiuto a laici o preti detenuti, talvolta
bergamaschi e bresciani nella stessa cella, oppure sulla censura e la
stampa cattolica. Ma si guarda anche al futuro. Ed è sempre il vescovo di
Brescia che il i6 settembre'44 rivolgendosi a quello di Bergamo pone
quesiti cruciali: "1°: Quale sarà il nostro atteggiamento nel caso
di venuta delle truppe alleate? Verso le medesime, e verso i
rappresentanti del governo italiano di là? Io penso che il nostro
atteggiamento, Vescovi e Clero, dovrebbe essere una continuazione
dell'atteggiamento presente: riserbo e non partecipare alla politica.
Rimarrebbe una divisione del popolo italiano; rimarrebbe una guerra
spietata con intendimenti intransigenti di schiacciamento:non sono cose
che noi possiamo avallare colla religione. 2°: Quanto ai partiti,
naturalmente. noi e il Clero ufficialmente restiamo fuori, pur affiancando
di consiglio, d'appoggio indiretto il partito (o i partiti?) d'ispirazione
Cristiana. 3°: Se venisse chiesta qualche funzione di ringraziamento: Te
Deum etc.? Io penserei negativamente. La guerra non sarebbe finita: le
cose potrebbero anche cambiare. La così detta liberazione non lo è
veramente: governi e truppe straniere in guerra, con un governo poco più
che nominale... So che il Cardinale, interrogato privatamente, prima
avrebbe detto astensione; ma poi avrebbe aggiunto: "Bisognerebbe
anche tener conto del sentimento del popolo"... E' il caso di
assecondarlo? 4°: E se le nostre città, o campagne, o montagne,
diventassero teatro di guerra, restare? E se ci facessero evacuare? Dove?
E le cose nostre, i capitali, arredi...? […]. 5°: E la questione del
giornale? So che a Milano i DC aspirano all'Italia [...] Qui i miei
vorrebbero uscire con un giornale politico. Tu cosa pensi?". Le
risposte di lì a poco in quegli "anni difficili" che Maurilio
Lovatti ha raccontato nel suo profilo di Tredici edito dalla Fondazione
Civiltà Bresciana.
Corriere della Sera, ed. BS,
sabato 4 gennaio 2014, p. 7
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