Questa è fino ad ora l'unica biografia di Giacinto Tredici, cioè del
vescovo di Brescia di gran lunga più importante nel XX secolo. Nato nel
1880 a Milano (dove prima insegnò filosofia al seminario, poi fu parroco e
poi ancora vicario generale della diocesi), e morto nel 1964 a Brescia,
durante i lavori del Concilio Vaticano II cui partecipò..
Quando uno storico si accinge a scrivere la prima biografia su una persona
del passato e poi lo fa con grande lavoro di tempo ed attenzione per
ricercare le fonti primarie in tutti gli archivi disponibili sul suo
argomento, e con uno spoglio altrettanto completo delle fonti secondarie,
per poi produrre dopo anni un libro di 450 pagine fitto di fatti e documenti
e delle discussioni su di essi, beh, egli deve avere delle Buone Ragioni per
farlo! Ne presento sei.
Prima. Lovatti è un bresciano doc, che ama la sua città di amore
adulto e, dunque, volto alla comprensione della sua storia. Ecco allora che
una persona così importante per Brescia, il suo vescovo in "anni
difficili" (e cioè quelli del fascismo e del nazismo e dello
stalinismo e della Seconda Guerra Mondiale con la Repubblica di Salò e la
Resistenza nel bresciano, e il dopoguerra con la Guerra Fredda e i vari
rapporti conflittuali sia tra DC e PCI, sia tra le diverse correnti interne
della DC, e, infine, la preparazione al Concilio Vaticano II), beh,
non poteva esser ignorata dallo storico che vuole comprendere e presentare
l'identità della sua amata città.
Seconda. Più in specifico Tredici era un vescovo, e Lovatti non solo è un
cattolico praticante autentico (da ben distinguersi dai " devoti",
atei o meno ma sempre opportunisti!), ma egli peculiarmente è anche un
Laico che ha una forte simpatia per il Clero !... non per il potere del
clero nella chiesa, ma per la psicologia e spiritualità di questo gruppo
umano numericamente molto minoritario all'interno della chiesa, fatto da
ministri (letteralmente "servitori") consacrati, persone che sono
poi i sacerdoti e i vescovi. Essi vivono (o, almeno, dovrebbero vivere) una
speciale condizione di "distacco" dal mondo secolare e dalle sue
imprese pratiche, anche giuste e necessarie; ma dall'altra devono sempre
avere interesse e amore, e poi dunque, in realtà, conoscere ed incontrare e
avere amicizia con i laici, che in queste vicende sono direttamente
coinvolti. Preti e vescovi devono cioè esser "pastori". E Tredici
pastore effettivo lo è stato sin dai tempi giovanili a Milano e poi, in
grande e lungamente, da vescovo a Brescia.
Terza. Inoltre, come emerge in numerose tappe della vita di Tredici, questo
vescovo non era intruppato nel gregge o meglio nei vari "greggi",
prima professorali, poi ecclesiali e politici... ma aveva posizioni sue,
anticonformiste e anche, almeno su alcuni punti della vita umana,
progressiste. Prima di diventare pastore a tempio pieno, negli Anni Dieci e
Venti aveva preso posizione nella grande questione del Modernismo: una
posizione di comprensione e moderazione contro gli eccessi repressivi, per
esempio, della gesuita "Civiltà Cattolica"; in occasione della
proclamazione del dogma della Assunzione da parte di Pio XII nel 1950, egli
espresse contrarietà a tale definizione in quanto ostacolo al dialogo
ecumenico con i Protestanti (in tutto il Mondo furono solo sei vescovi su
1681 a farlo, e tra questi sei ci fu lui) ; nel sinodo diocesano bresciano
del 1952 aveva mostrato apertura verso una maggiore ruolo dei laici
all'interno della chiesa, come poi il Concilio comincerà a realizzare. E
questo progressismo cattolico di Tredici ha attirato Lovatti, perchè questi
è un cattolico progressista legato al rinnovamento epocale teologico ed
ecclesiologico del Concilio Vaticano II , alla Lumen Gentium e alla Gaudium
et Spes .
Quarta. Ancora, Lovatti , essendo - oltre che un cattolico progressista come
membro della Chiesa - anche un "cattolico democratico" (come si
diceva qualche anno o decennio fa, per distinguerli da quelli reazionari)
come cittadino italiano e attivamente coinvolto nelle sue vicende politiche
e partitiche, ha concepito simpatia per Tredici. Questi, infatti, lo vediamo
sfuggire con diplomazia dalle cerimonie congiunte tra "autorità"
civili e religiose nel regime fascista post-concordatario; fare da
intermediatore tra i partigiani e Priebke, comandante nazista di Brescia;
disporre che dei curati siano mandati dai partigiani in montagna per fornire
loro i sacramenti; nel dopoguerra appoggiare la linea della "scelta
religiosa" anti-Gedda, cioè della sempre minore intrusione del clero
negli affari del laicato politico cattolico e così difendere il presidente
dei giovani della Azione Cattolica Mario Rossi dagli attacchi portati contro
di lui dai reazionari; appoggiare poi come sindaco di Brescia Bruno Boni
(fanfaniano, non "doroteo") contro la linea reazionaria di
Ludovico Montini.
Quinta. Un'ulteriore ragione che ha avuto Lovatti (lui stesso filosofo) per
questa sua grande fatica è stata appunto la Filosofia: Tredici fino a
quando diventò parroco nel 1924 si dedicò allo studio e all'insegnamento
della filosofia, e fu invitato da Agostino Gemelli a fondare e redigere la
"Rivista di Filosofia Neo-scolastica". Sostenitore del Tomismo,
approfondì soprattutto le tematiche della gnoseologia, intervenendo in
dispute molto specialistiche con Masnovo ed Olgiati sulla criteriologia del
cardinal Mercier. Lovatti inoltre porta un'ampia documentazione su come
Tredici - oltre che teoreta aristotelico-tomista - fosse del tutto
aggiornato sui filosofi e le correnti italiane ed estere della seconda metà
del XIX secolo e dei primi decenni del XX. Fu poi autore di un Breve corso
di storia della filosofia, manuale dalle molte edizioni e molto adottato nei
seminari e nelle scuole cattoliche italiane e dell'America Latina.
Sesta. Infine una buona ragione che Lovatti ha avuto per dedicare un pezzo
della sua vita al ricordo di Tredici, è stata la simpatia per la
personalità morale di lui. Apprezza il "senso del dovere",
individuato come il dato caratteriale più forte, che fa, per esempio,
rinunciare Tredici al ruolo di parroco (l'unico che avesse desiderato nella
sua vita, per il bisogno di contatti umani e di paternità spirituale) per
obbedienza ai superiori che lo ritenevano necessario in incarichi di governo
ecclesiale, e che, per fare un altro esempio, lo faceva esser sempre
impegnato in mille appuntamenti e mille pratiche. Lovatti ha anche simpatia
per la continua "dolcezza" di Tredici verso tutti, intendendo con
tale parola la mancanza di polemica e sarcasmo, la capacità di ascolto, la
non rigidità negli affari controversi che non coinvolgessero "i
pochissimi valori fondamentali". Lovatti, d'altra parte, è anche
critico, perchè individua in Tredici il difetto di poca profondità
sapienziale: era troppo idealizzante il passato, il buon tempo antico visto
come un modello e senza macchia; Tredici era attratto da una infantile laus
temporis acti.
* * *
Qual è la mia valutazione sintetica di questa biografia? A livello di
serietà documentaria, ottimo. Non saprei pensare una acribia ed un'onestà
di ricerca di completezza nelle fonti maggiori di queste. A livello di
leggibilità, invece, direi discreto. La narrazione di miriadi di
"fatti" richiede un Lettore con una vocazione molto forte alla
storia locale (in questo caso bresciana) , perchè invece il Lettore
"medio" di libri di storia spesso troverà faticoso
l'interessarsi. D'altra parte ci vuole pur qualcuno (non dico tanti, ma
almeno qualcuno...!) che si interessi anche dei fatti minuti e che - nel
mentre li scova, li edita, li districa e li conserva - anche ogni tanto (e
non poco spesso) li colleghi alle vicende più grandi della politica e della
cultura nazionali ed internazionali del XX secolo.
Il trattamento del suo personaggio mi sembra adeguato all'80%... un difetto
che rilevo è una certa sordità … ai difetti di Tredici! Per esempio
Lovatti non nota e non fa notare il manchevole sensus personae di Tredici
che, per esempio, gli fece dare troppo potere al suo vicario monsignor
Almici , una persona piena di sé e delle sue fantasie di onnipotenza.
Infine osservo che una scoperta particolare fatta da Lovatti (le azioni di
proprietà del "Giornale di Brescia" regalate dall'imprenditore
Antonio Folonari alla diocesi di Brescia) abbia stimolato in Lovatti stesso
una vitalità di ricerca, realizzatasi in due suoi successivi studi sui
"poteri forti" (e per nulla trasparenti!) editoriale e finanziario
di due potenti bresciani (Giuseppe Camadini e Giovanni Bazoli): Storia
segreta del Giornale di Brescia (2012) , e Un cinico baratto? (2013)
.
|