LO
SCOOP. Dalle carte dell’archivio diocesano una rivelazione sulla storia
dell’informazione locale
I
cattolici e quel «baratto» per il Giornale di Brescia
di
Massimo Tedeschi
La moral
suasion, l'influenza che la Chiesa di Brescia da mezzo secolo esercita
sul Giornale di Brescia (pur non detenendo in forma diretta azioni
dell'Editoriale bresciana) si basa sull'orientamento culturale e religioso
di chi ha il controllo della maggioranza azionaria, ma discende anche da un
ruolo svolto direttamente dalla diocesi, e in particolare da mons. Tredici,
nella storia del giornale. Lo rivelano i documenti che Maurilio Lovatti ha
potuto consultare in archivio diocesano.
La vicenda è sempre stata circondata da uno stretto riserbo, e s'era
affacciata parzialmente sull'Enciclopedia Bresciana di don Fappani. Ma ora
trova completa illustrazione nella ricerca storica di Lovatti.
Il Giornale, in edicola dal 27 aprile del 1945 come Organo del Cln, era
tornato dopo poco tempo sotto il controllo di un pool di azionisti
comprendente Banca San Paolo, Credito Agrario, Tassara e alcuni azionisti
privati. Nell'aprile del 1949 Antonio Folonari di Ludriano di Roccafranca,
possidente e agricoltore illuminato, più tardi presidente dello
Zooprofilattico e delle Iar, rastrella alcune azioni e, alleandosi con
Tassara, conquista il controllo del giornale. Dell'operazione lo stesso
Folonari aveva probabilmente avvisato mons. Tredici, che l'aveva ricevuto
l'11 febbraio.
IL NUOVO ASSETTO determina la fine della direzione di Leonzio Foresti,
esponente della Dc, a cui il 19 aprile succede Mino Pezzi. Intenzione di
Folonari è quella di avere un giornale non più schiacciato sulle posizioni
della Dc, anche se ossequiente verso l'autorità del vescovo. Una svolta
comunque laica che mette a rumore gli ambienti cattolici. Il vescovo e mons.
Almici - ricostruisce Lovatti - erano "indignati" per il
licenziamento di Foresti e temevano il venir meno di un prezioso sostegno
alla Dc in vista delle elezioni amministrative del '51. Il 20 aprile sul
tema dell'assetto proprietario del Giornale di Brescia si riuniscono in
curia Tredici, Almici, l'avvocato Fausto Minelli per la Banca San Paolo,
l'on. Lodovico Montini e l'on. Stefano Bazoli. In precedenza, sullo stesso
argomento, il vescovo aveva già incontrato individualmente Minelli, Boni,
Foresti, Montini e Bazoli.
IN LUGLIO Francesco e Lodovico Montini prospettano al vescovo la
possibilità che Folonari ceda le azioni da lui controllate per 35 milioni,
e si pensa a mons. Montini per mobilitate la finanza cattolica nell'onerosa
impresa. In agosto lo stesso Folonari chiude però la strada a questa
possibilità pur dicendosi pronto a includere nel consiglio
d'amministrazione due nomi graditi alla diocesi, Minelli e Rampinelli.
La Dc a quel punto medita di dar vita a un proprio quotidiano, e forte di
questo "spettro" mons. Almici incontra Folonari. In
quell'occasione viene prospettata a Folonari (molto sensibile all'argomento)
la possibilità che, in cambio della sua rinuncia alle azioni, il Vaticano
gli attribuisca il titolo di conte. Lo stesso mons. Tredici scrive dopo
pochi giorni a Folonari offrendosi come garante dell'accordo: nessun nuovo
quotidiano della Dc e "sì" al titolo nobiliare in cambio della
cessione gratuita delle azioni. L'operazione è complicata dal fatto che
parte delle azioni controllate da Folonari rientra in un patto di sindacato.
A ridosso del Natale del 1950, la svolta. Monsignor Tredici riceve in dono
le 1.050 azioni personali di Folonari e le 3.300 del patto: esse vengono
formalmente intestate al notaio Giuseppe Bianchi, presidente diocesano degli
uomini di Azione Cattolica, che riconosce essere le azioni "di
effettiva ed esclusiva proprietà di Sua Eccellenza il vescovo di
Brescia". Il quale il 25 dicembre scrive a Folonari ringraziandolo del
passo compiuto che consentiva al vescovo "di influire così che il
Giornale si mantenga indipendente dai partiti, ma rispettoso dell'indirizzo
che a me sta a cuore per il bene della religione e insieme della
tranquillità e del benessere della provincia che ci è cara". Tre
giorni dopo mons. Tredici scrive a mons. Montini, a Roma, per informarlo che
il progetto di "assicurare colla maggioranza delle azioni l'influenza
decisiva sull'indirizzo del Giornale di Brescia ora è un fatto compiuto,
quantunque non pubblico, come del resto doveva essere".
FOLONARI, da parte sua, dopo la donazione di altri 15 milioni per
contribuire alla costruzione di una chiesa a Roma, come omaggio al Papa, e
dopo aver costruito a proprie spese la chiesa di Ludriano, alla cui
inaugurazione intervengono sia mons. Tredici sia mons. Montini, ottiene nel
1951 il titolo di conte dello Stato della Città del Vaticano. È l'ultimo
titolo nobiliare concesso dal Vaticano. Folonari, che non aveva eredi
diretti, non lo trasmise a nessun discendente.
Il vescovo tratterrà le azioni per il tempo necessario a un riassetto
proprietario che assicurerà, da allora e per sempre, il controllo del
giornale da parte della componente cattolica. All'indomani delle elezioni
del '51 Tredici poteva scrivere a Montini: "La faccenda del Giornale di
Brescia ora è sistemata. Anche altri amici hanno acquistato alte azioni,
cosicchè l'influenza nostra sul giornale è assicurata. Si è avuto il
collaudo in queste elezioni: il giornale, senza dichiararsi apertamente per
la Dc, ha parlato delle liste apparentate con particolare benevolenza verso
la Dc; questo certo ha giovato".
La riservatezza che ha sempre circondato la vicenda è stata rotta da
Lovatti, meritorio segugio storico. Che riporta una definitiva lettera del
luglio 1954 di Tredici a Montini: "Siamo riusciti ad assicurare in mani
fidate la maggioranza delle azioni, e di conseguenza l'influenza
sull'indirizzo del giornale. Ma questa situazione non deve comparire,
perché altrimenti si avrebbe la reazione degli altri, e specialmente del
gruppo Beretta, che potrebbe pubblicare un altro giornale, o una edizione
bresciana di altro giornale, con danno non piccolo. In realtà si può
essere abbastanza contenti dell'indirizzo politico, non propriamente
democristiano, ma benevolo. Per il lato morale, pur troppo non si riesce a
tutto quello che si vorrebbe. Io per iscritto e a voce non ho mancato di
richiamare il direttore a criteri morali più seri…". Ma le nuove
mode si affacciavano, incontenibili, anche sul giornale ricondotto "in
mani fidate".
Massimo Tedeschi
Bresciaoggi,
Domenica 13 dicembre 2009, pag. 15
|