NOVECENTO
BRESCIANO. Maurilio Lovatti ha ricostruito le origini della provincia
"bianca" attraverso la vita del vescovo che guidò la diocesi dal
1934 al 1964
Storia
di Tredici, vescovo degli anni bui
di
Massimo Tedeschi
Difese
i cattolici avversi al regime, guidò la città il 25 e 26 aprile ’45,
preparò la futura classe dirigente Dc. Con altri 5 vescovi disse no al dogma
dell’Assunta (*)
Il ruolo
della Chiesa bresciana durante il fascismo, negli anni della seconda guerra
mondiale, di fronte alle divaricanti richieste di schierarsi con la Rsi o
con la Resistenza. E poi nella preparazione di una classe dirigente che
assumesse la guida della città e della provincia dopo il collasso del
fascismo, nella costruzione di quella vasta rete di organismi e associazioni
che hanno plasmato per quasi cinquant'anni la provincia "bianca",
nei tempi della guerra fredda.
Maurilio Lovatti, docente di filosofia al Copernico e ricercatore storico,
ha scritto pagine fondamentali su questi temi nel suo "Giacinto
Tredici. Vescovo di Brescia in anni difficili" edito dalla Fondazione
Civiltà Bresciana e giustamente posto nella collana Fondamenta-Fonti e
studi di storia bresciana. Il volume di 454 pagine, che si avvale
dell'autorevole introduzione (e imprimatur, verrebbe da aggiungere) del
vescovo mons. Luciano Monari, offre un nuovo importante tassello a quella
storia del Novecento bresciano che un drappello sparuto di studiosi e
appassionati - purtroppo slegati fra loro - va ardimentosamente iniziando.
Il lavoro di Lovatti è tanto più lodevole perché si basa su un paziente,
ostinato lavoro di studio e analisi delle decine di migliaia di carte del
"Fondo Tredici" che l'archivio diocesano ha messo senza riserve a
disposizione dello studioso.
GIACINTO TREDICI (1880-1964), filosofo e sacerdote, divenne vescovo di
Brescia nel 1934 e lo rimase fino alla morte. La successione a mons.
Giacinto Gaggia noto avversario del fascismo (nel '29 fu l'unico vescovo
italiano a non partecipare alle elezioni indette dal regime) aprì una fase
delicata a Brescia: il successore naturale pareva il suo vicario generale
mons. Emilio Bongiorni, avversato però dalle camicie nere che
"tifavano" per il clarense Domenico Menna, a loro vicino. Alla
sede bresciana pare aspirasse anche Angelo Roncalli, futuro Papa. La scelta
cadde invece su Tredici, all'epoca vicario generale di Milano. La sua nomina
venne interpretata come un successo del regime, fors'anche perché Tredici -
in ciò delegato dal cardinal Schuster - era intervenuto nel '31 in
rappresentanza della diocesi ambrosiana all'inaugurazione della stazione
centrale di Milano, fiore all'occhiello del fascismo in quegli anni. In
realtà Lovatti dimostra e documenta che i rapporti di Tredici col regime a
Brescia furono di "dialogo nella fermezza": egli difese sempre i
suoi numerosi sacerdoti sgraditi ai ras locali e ebbe parole di elogio solo
relativamente ai Patti lateranensi. Viceversa pubblicò con particolare
risonanza, sulla stampa diocesana, i pronunciamenti di Schuster contro le
leggi razziali.
Il vescovo di Brescia dovette anche affrontare questioni delicate, come
quella relativa ai funerali di Gabriele d'Annunzio, le cui opere erano state
messe all'Indice. Lovatti documenta che Tredici investì del problema,
anzitempo, il segretario di Stato Eugenio Pacelli e, a decesso, avvenuto,
anche monsignor Montini. La soluzione individuata, di un funerale religioso
ma senza messa, viene superata dai fatti, con le esequie celebrate da mons.
Fava parroco a Gardone. Sulla vicenda persino il Sant'Uffizio chiese
spiegazioni a Tredici.
Durante la guerra l'episcopio diviene l'epicentro di iniziative volte a
formare una nuova classe dirigente post-fascista: basti pensare alle
conferenze tenute da Giuseppe Lazzati e Amintore Fanfani. O all'azione di
mons. Giuseppe Almici come responsabile di Azione cattolica, i cui quadri
dirigenti formeranno il nerbo della Dc.
Tredici, che non era un coraggioso, si trovò a vivere vicende terribili: la
mediazione fra gli occupanti tedeschi (guidati in una certa fase da Erich
Priebke) e i partigiani, il tentativo di salvare dalla deportazione in
Germania sacerdoti e laici antifascisti, i bombardamenti, fino alle giornate
del 25 e 26 aprile 1945 quando (collassato il regime e non ancora
affermatasi l'autorità del Cln) il vescovo rimase l'unica autorità
costituita in città e a lui si rivolsero comandanti di caserma, gruppi
partigiani, funzionari del disciolto regime in cerca di direttive.
E se nell'immediato dopoguerra il vescovo e la diocesi continuano a svolgere
un'insostituibile opera di soccorso materiale ai bresciani e di
pacificazione degli animi, è nella ricostruzione che il vescovo - che aveva
scelto il motto "in fide et lenitate" (con fede e dolcezza) -
dispiega a tutto campo il suo magistero. Certo, la Chiesa di Tredici è
difficilmente paragonabile a quella di oggi: era una Chiesa che vietava ai
preti di andare al cinema, che esecrava i balli ma, in occasione delle
missioni pastorali in città, era in grado di inscenare una processione con
60mila fedeli. In questa fase non c'è evento politico (la nascita della Dc,
delle Acli, della Cisl, le battaglie interne alla "balena bianca")
in cui la diocesi non eserciti la sua influenza attraverso mons. Almici,
anche se in qualche occasione lo stesso Tredici scende in campo, come nel
caso della sfortunata candidatura di Giulio Bruno Togni alla Camera nel '53.
IL VESCOVO-FILOSOFO (di cui Lovatti ricostruisce anche la giornata-tipo, la
vita in episcopio con le due anziane sorelle, la sobrietà alimentare, la
timidezza di carattere) non manca di scelte coraggiose: nel 1950 è uno dei
6 vescovi (su 1681) che esprimono parere contrario al Papa circa la
proclamazione del dogma dell'Assunta. Tredici è anche l'unico vescovo della
zona a lasciare campo libero alla predicazione di don Primo Mazzolari. Su
terreni meno dogmatici, Tredici avvalla la linea dell'Azione cattolica
bresciana contro l'interventismo politico di Gedda, e - dato curioso -
chiede (senza successo) al Sant'Uffizio nel 1947 di poter celebrare al
sabato una messa per meccanici e piloti della Mille Miglia, impegnati in
corsa di domenica.
Ma Tredici dovette occuparsi anche di spinose questioni pastorali. Le carte
consultate per la prima volta da Lovatti confermano quello che molti
sacerdoti anziani bresciani ricordano circa le raccomandazioni del vescovo
Tredici, secondo cui "le cose vere vere sono poche poche". Dalle
carte emerge la linea ferma e negativa del vescovo circa le presunte
apparizioni mariane a Cossirano di Trenzano, il caso di una veggente di
Bienno e sulle visioni di Pierina Gilli di Montichiari, che egli interrogò
personalmente.
Lovatti, con acume e affetto, ricostruisce anche l'azione pastorale di
Tredici, il suo stile, il suo ruolo nel dibattito filosofico (fu autore di
un manuale di storia della filosofia), la sua posizione rispetto al
neotomismo, il suo dialogo con Bernardino Varisco. Ne esce uno spaccato di
un trentennio di storia bresciana e il profilo di una figura centrale, un
pastore che ricevette un onore finora riservato solo a tre personalità: la
cittadinanza onoraria di Brescia. Uno uomo profondo e un pastore dolce che
legittimamente poteva dire, conversando nel 1960 con mons. Giammancheri:
"Io sono il vescovo di tutti, dei comunisti come di quelli dell'AC, del
sacerdote che fa il suo dovere e di quello che non lo fa. Per me nessuno
finisce mai ai margini della diocesi".
Massimo Tedeschi
Bresciaoggi,
Domenica 13 dicembre 2009, pag. 15
(*)
per un refuso nel titolo originale
trovasi "Immacolata" anziché "Assunta".
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