Lettere pastorali di mons. Giacinto Tredici, vescovo di Brescia dal 1934 al 1964

 

Il papa (1956)

 

 

 

Il Santo Padre Pio XII nel prossimo 2 marzo compirà gli 80 anni, nella pienezza del suo vigore e del suo ministero Apostolico. La data è stata segnalata, e i buoni cattolici si apprestano a celebrarla con dimostrazioni filiali di riverenza e di affetto. Anche noi Io faremo, come espressione della nostra fede e della affettuosa docilità che tutti sentiamo verso il Vicario di Gesù Cristo. Come 9pportuna preparazione, ho pensato di parlare del Papa nella consueta Pastorale della Quaresima. E lo faccio, non soltanto per unirci alle dimostrazioni di affetto e riverenza che si faranno in tutta la Chiesa, ma anche perchè la illustrazione della augusta Persona e della altissima dignità del Sommo Pontefice la ritengo opportuna e necessaria di fronte alla ostilità che a Lui ostinatamente dimostrano i nemici della nostra Fede, con una indegna campagna che si fa nella stampa socialcomunista e nella propaganda spicciola che essi fanno contro la augusta persona del Papa, interpretando male ogni sua parola e presentandolo in una veste odiosa, come rappresentante della reazione, nemico del popolo ed asservito all'imperialismo di questa o quella nazione. A noi invece, che siamo fieri della nostra qualità di cristiani e di cattolici, la persona e la dignità del Papa è cara sotto un duplice aspetto: perchè il Papa è oggetto della nostra fede, perchè noi crediamo che egli è il Vicario di Gesù Cristo e capo della Chiesa, ed insieme è il Maestro della nostra fede, perchè per vo1ontà di Cristo Signore il Papa è depositano infallibile della sua dottrina che noi crediamo.
Richiamerò brevemente quello che ogni buon cristiano deve sapere, per invitare tutti a quel rispetto, a quella docilità e a quell'amore, che una propaganda avversaria e la leggerezza di molta stampa e di molte conversazioni tendono a scuotere.


IL PRIMATO DI SAN PIETRO

Prima di tutto l'insegnamento della fede: il Papa è Vicario di Gesù Cristo, depositano della sua dottrina e della sua autorità, capo visibile della Chiesa di Cristo e di tutti i fedeli che ad essa appartengono.
Non sono necessarie molte e difficili argomentazioni perchè il cristiano si convinca di questa verità. Essa sta scritta nel Vangelo, che è il codice divino della nostra fede.
Nella narrazione evangelica noi incontriamo il primo Papa nella persona dell'apostolo San Pietro. Egli fu tra i primi Apostoli chiamati da Gesù, insieme col fratello, l'apostolo Andrea (Mat., 4, 18, Joa., 1, 40-42). E Gesù lo guardò subito con sguardo di predilezione e gli cambiò il nome: si chiamava Simone, e Gesù gli disse: ti chiamerai Cefa, cioè Pietra, indicando già fin d'allora che voleva farne la pietra, cioè il fondamento della sua Chiesa. E difatti, venuto il tempo opportuno, avendo Pietro, interrogato da Gesù, risposto con una chiara professione di fede in Lui, dicendo: Tu sei il Cristo, figliuolo di Dio vivo, Gesù gli rispose, dicendo: Beato te, Simone figlio di Giovanni, perchè non la carne e il sangue te lo ha rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. Ed io dico a te che tu sei Pietro e su questa pietra io edificherò la mia Chiesa, e le potenze dell'inferno non prevarranno contro di essa. E a te darò le chiavi del regno dei cieli. E tutto quello che avrai legato sulla terra sarà legato anche in cielo, e quello che avrai sciolto in terra sarà sciolto anche in cielo. (Matt. 16, 16-19).
Qui evidentemente Gesù parla della sua Chiesa, quella Chiesa che stava preparando colla sua predicazione e raccogliendo i primi seguaci, alla quale avrebbe affidato i tesori della sua dottrina e della sua grazia; e dice che di questa Chiesa Pietro sarebbe stato il fondamento (su di te fonderò la mia Chiesa). Che cosa poteva significare nelle parole di Gesù il fondamento di una collettività come era la Chiesa, se non il principio di unità e di stabilità, che non può essere che l'autorità che tiene unito il pensiero e l'azione dei suoi membri? Il medesimo significato si ricava dalle similitudini delle chiavi del regno dei cieli: espressione questa, regno dei cieli, che torna spesso nel Vangelo sulla bocca di Gesù per indicare la sua Chiesa; ed ancora l'espressione del sciogliere e legare, che indicano l'autorità che pone un vincolo alla libertà comandando e lo toglie permettendo. Il senso, dunque, del famoso testo di S. Matteo è questo: l'intenzione di Gesù di costituire Pietro capo della Chiesa.
E Gesù attuò l'intenzione manifestata a Cesarea di Filippo, dove si era svolto quel dialogo fra lui e Pietro alla presenza degli altri Apostoli. Poteva sorgere il dubbio che Gesù volesse attuare
sua promessa, per la caduta di Pietro, che ebbe la debolezza di rinnegare il Maestro nell'atrio del Sommo Sacerdote mentre Gesù era insultato e condannato dai Giudei. Pietro stesso sembra mostrare questo timore nel dialogo che Gesù ebbe con Lui dopo la sua risurrezione, presso il lago di Tiberiade. Ma Gesù aveva perdonato a Pietro la sua colpa, e volle confermare la sua promessa, conferendo esplicitamente a lui l'incarico del governo della Chiesa: ancora come prima, a lui personalmente, in quanto distinto dagli altri Apostoli, anch'essi presenti.
Il fatto è riferito dal Vangelo di San Giovanni. Siamo dopo la risurrezione di Gesù: alla sua presenza gli Apostoli avevano fatto una abbondante pesca miracolosa: Gesù si era degnato di trattenersi con loro a magiare. Come ebbero mangiato, Gesù dice a Simon Pietro: Simone figlio di Giovanni, mi ami più di costoro? (gli altri apostoli). Rispose: Sì, o Signore, tu sai che io ti amo. Gesù gli dice: Pasci i miei agnelli. Gli dice una seconda volta: Simone figlio di Giovanni, mi ami tu? Gli risponde ancora: Sì, o Signore, tu sai che io ti amo. Gesù gli dice: Pasci i miei agnelli. Gli dice una terza volta: Simone figlio di Giovanni, mi ami tu? Pietro si contristò per questa terza interrogazione, e gli disse: Signore, tu sai tutto, tu sai che ti amo. Gesù gli disse: Pasci le mie pecore. (Joa., 21, 15-17).
In queste ripetute parole di Gesù, che il Vangelo riferisce per esteso, non è più soltanto espressa una intenzione del Salvatore: " Fonderò la mia Chiesa, ti darò le chiavi, ecc. " Gesù conferisce effettivamente a Pietro un incarico. E se prima aveva parlato di lui come fondamento della sua Chiesa, ora gli dà l'incarico di pascere i suoi fedeli, agnelli e pecore. Il significato di queste parole è evidente: Gesù amava la similitudine del pastore, delle pecore, dell'ovile: si era detto Lui stesso il buon Pastore in cerca delle pecore che erano fuori. E queste pecore, cioè tutti i suoi fedeli, Egli affida a Pietro, perché le curi, le alimenti, le difenda. Non ci può essere altro significato di queste espressioni che questo: Pietro doveva esercitare verso i suoi fedeli quello che Egli stesso aveva fatto e faceva, pascerli colla dottrina, guidarli nella vita come Gesù suo vicario, capo della sua Chiesa, coll'incarico di insegnare, di guidare tutti secondo quello che Gesù stesso aveva stabilito.
E si noti: anche agli altri Apostoli Gesù ha dato l'incarico di insegnare e di dirigere. Ammaestrate tutte le genti, battezzandole, insegnando loro ad osservare tutto quello che io vi ho comandato (Matt. 28, 19-20). E' un magistero che è affidato a tutti gli Apostoli. Ma a nessuno degli altri Gesù ha dato un incarico speciale, da esercitarsi personalmente verso tutti i suoi discepoli, agnelli e pecore: e in queste due parole sono indicati non solo i semplici fedeli, ma anche quelli che già nell'ovile, cioè nella Chiesa, hanno una condizione superiore, non esclusi quindi i sacerdoti, i vescovi, gli stessi Apostoli.
E così fu fino dalla antichità l'ordinamento della Chiesa. Il libro degli atti degli Apostoli, che appartiene alla Sacra Scrittura come i Vangeli, narra che verso l'anno 50, cioè non più di un ventennio dopo l'ascensione al cielo del Salvatore, si ebbe a Gerusalemme un Concilio, cioè una adunanza dei maggiorenti della Chiesa per alcune questioni sorte fra i primi fedeli, e San Pietro la presiedette e sue furono le deliberazioni. E San Paolo, il grande Apostolo che tanto fece per la predicazione e la diffusione del Cristianesimo, mentre afferma che la dottrina da lui insegnata gli era stata rivelata direttamente da Cristo, dice che agli inizi del suo apostolato si recò a Gerusalemme per far visita a Pietro e rimase con lui quindici giorni (Gal. 1, 18), come per rendere omaggio a colui che Gesù aveva posto a capo di tutta la Chiesa.


I PONTEFICi ROMANI SUCCESSORI DI SAN PIETRO NEL PRIMATO

Questo primato, cioè suprema autorità di San Pietro su tutta la Chiesa non doveva finire con lui. La Chiesa di Gesù Cristo doveva durare fino alla fine del mondo, come mezzo stabilito per tutti di comunione con Cristo, colla sua dottrina, colla sua grazia; ed Egli sarebbe stato sempre colla sua Chiesa e con coloro che in essa rappresentavano la sua autorità e la sua missione. Io sarò con voi, disse agli Apostoli a cui affidava la sua Chiesa, tutti i domi fino alla fine dei secoli (Matt. 28, 20). Se dunque Gesù ha detto - e l'abbiamo visto - che Pietro sarebbe stato il fondamento della sua Chiesa, e che sarebbe stato per tutti il pastore incaricato di pascere i fedeli, l'ufficio di Pietro doveva continuare anche al di là della sua morte, nei suoi successori. E coloro che la Chiesa sempre riconobbe come successori di 5. Pietro nel primato furono e sono i Pontefici Romani, cioè i suoi successori nell' Episcopato di Roma.
Ed ecco, attraverso i secoli, il Papa. Vescovo di Roma e per ciò stesso capo di tutta la Chiesa. Di qui l'uso costante anche negli antichi secoli di deferire al Pontefice Romano le questioni principali che sorgevano nella Chiesa, e specialmente le controversie dogmatiche. Si adunavano nei casi più gravi i Concilii, cioè le adunanze dei Vescovi, e quantunque i Concilii ecumenici si siano tenuti per molti secoli in Oriente, a Nicea, a Calcedonia, a Costantinopoli, il Papa, cioè il Vescovo di Roma, li presiedeva per mezzo dei suoi rappresentanti e li approvava. E nel Concilio di Calcedonia (anno 451) i Padri orientali acclamarono le decisioni del Papa San Leone gridando: Pietro ha parlato per mezzo di Leone.

IL PAPA MAESTRO DI FEDE

Se dal concetto del Papa capo e pastore di tutta la Chiesa vogliamo passare a indicare come egli eserciti questa sua funzione affidatagli da Cristo di cui è il Vicario, dobbiamo dire innanzi tutto che egli è il Maestro della Fede.
La dottrina che forma l'oggetto della nostra fede ci viene dalla Rivelazione divina. E la Rivelazione è avvenuta attraverso i secoli per mezzo dei Patriarchi e dei Profeti dell'Antico Testamento, e specialmente per opera di Gesù Cristo, maestro supremo della dottrina che appunto per questo si dice cristiana. L'insegnamento di Gesù si contiene in gran parte nel Vangelo, che ci riferisce i suoi discorsi e le opere mirabili che della dottrina erano l'applicazione e la conferma. Negli altri scritti apostolici che formano la Sacra Scrittura del Nuovo Testamento gli Apostoli insegnarono, colla assistenza dello Spirito Santo, quello che essi stessi avevano imparato. E altri punti di dottrina non espressi direttamente in quegli scritti gli Apostoli stessi tramandarono nel loro insegnamento pastorale: questo insegnamento, conservato e trasmesso di generazione in generazione, è quello che nella Chiesa si chiama la Tradizione, che, insieme colla Sacra Scrittura, forma il deposito della Rivelazione.
Il Papa, maestro della fede, non aggiunge niente di sostanzialmente nuovo a quello che è tramandato attraverso la Sacra Scrittura e la Tradizione. Egli attinge di là il suo insegnamento, e vigila che anche gli altri maestri subordinati della fede, prima i Vescovi, e in subordine i cultori della teologia, si attengano fedelmente a quel sacro deposito. I teologi, che approfondiscono qualche punto oscuro della dottrina rivelata, espongono il frutto del loro studio. Attraverso i secoli il pensiero filosofico si trova di fronte al dogma rivelato, e qualche volta vuoi darne una sua interpretazione. La Chiesa, e in essa il Papa che è il supremo maestro della fede, vigila sulle spiegazioni dei teologi e sui dati dei pensiero, e sentenzia se le une e gli altri sono esatti, o non aggiungano qualche cosa che non è contenuto, o peggio è contrario al dato rivelato. Così il Papa esercita il suo ufficio di Maestro. Così ha fatto di fronte a tutte le eresie che si sono succedute nella Chiesa e minacciavano la integrità del dogma rivelato, dopo che esse furono bene esaminate e discusse, specialmente nei Concilii. Così ha fatto e fa di fronte ai sistemi filosofici, a dottrine correnti, che ha dichiarato conformi o inconciliabili colla dottrina rivelata. Gli interventi di questo genere da parte dei Papi sono stati relativamente frequenti nella storia della Chiesa, e lo sono ancora. Possiamo ricordare, in tempi più recenti, la condanna del Modernismo da parte del Papa San Pio X, le ripetute condanne del materialismo marxistico.
Uno spirito inquieto e ribelle può vedere in questi interventi una limitazione della libertà del pensiero. Il cristiano che ha fede e che ricorda le promesse di Cristo, ci vede invece l'azione provvidenziale di Dio, che per mezzo del suo Vicario salva la dottrina rivelata, che non può essere che verità, dalle sofisticazioni dell'errore, in un campo, come il religioso, nel quale l'uomo ha bisogno della certezza in quello che riguarda i suoi supremi destini.
Gli interventi del Papa non sono sempre negativi, cioè di condanna. Qualche volta ha definito solennemente qualche dottrina dichiarandola rivelata. Così nel 1854 Pio IX definì l'Immacolata Concezione della Madonna, e nell'anno santo 1950 Pio XII la sua Assunzione al cielo. Nell'un caso e nell'altro ci fu il magistero supremo del Papa, accolto con devozione da tutta la Chiesa; non nel senso che quelle definizioni abbiano aggiunto qualche cosa al deposito della Rivelazione, ma in questo senso, che quelle dottrine, già contenute almeno implicitamente nella Rivelazione ed ammesse già attraverso i tempi, sia pure qualche volta con qualche incertezza, studiate bene nei loro rapporti con altri dogmi e nella fede della Chiesa attraverso i secoli, il Papa le ha definite.

MAESTRO INFALLIBILE

Una prerogativa del magistero del Sommo Pontefice è che egli è infallibile quando, come maestro Supremo di tutta la Chiesa, insegna una verità come contenuta nella Rivelazione divina.
E' questa una conseguenza necessaria dell'obbligo fatto da Gesù ai fedeli di credere le verità che la Chiesa avrebbe insegnato. Narra l'evangelista San Marco che Gesù, dopo aver dato agli ~postoli, e con essi ai loro successori, l'incarico di predicare il Vangelo, " Praedicate Evangeliurn omni creaturae ", aggiunge " Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, chi non crederà sarà condannato " (Marc. 16, 15-16). Ora una tale condanna da parte di Dio per chi non crederà, suppone evidentemente che l'insegnamento del magistero della Chiesa contiene la verità, perchè non possiamo ammettere che Dio obblighi, sotto pena di dannazione, a credere l'errore. D'altra parte era necessario che chi aveva avuto l'incarico di guidare i fedeli alla conoscenza delle cose divine, avesse la sicurezza di non errare nel suo insegnamento.
Ora questa infallibilità che compete alla Chiesa, spetta personalmente al Papa quando insegna le verità da credersi. Abbiamo visto infatti, che il Papa nella persona di S. Pietro è stato da Cristo costituito fondamento della Chiesa ed ha avuto l'incarico di pascere spiritualmente i fedeli; questo incarico dato personalmente a lui non può ammettere la possibilità che egli li conduca all'errore.
E questa prerogativa che ci pare richiesta dalla natura stessa della fede e della Chiesa, ha la sua affermazione esplicita nel Vangelo. Narra San Luca che dopo l'ultima cena, appena prima di cominciare la sua passione, quando Gesù diede le sue ultime raccomandazioni agli Apostoli, disse a Pietro: Simone, Simone, ecco che Satana va in cerca di voi per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te affinchè la tua fede non venga meno. E tu una volta ravveduto (allusione alla imminente negazione di Pietro) conferma i tuoi fratelli. (Luc. 22, 31-32). Ecco Pietro, il capo visibile della Chiesa, assicurato nella sua fede per la preghiera di Gesù, e incaricato di confermare nella fede gli altri. Tutti i fedeli possono quindi essere sicuri aderendo all'insegnamento del Vicario di Cristo. E il Papa ha esercitato nei secoli questo incarico e questa prerogativa, intervenendo autoritativamente nelle controversie delle eresie. Le obbiezioni che qui si fanno hanno tutte avuto la loro soluzione.

MAESTRO DI VITA

Custode e maestro infallibile della dottrina cristiana, il Papa ha insegnato attraverso i secoli ed insegna sempre le verità che riguardano Dio e i misteri divini, la Redenzione, la grazia e i mezzi di salvezza. Ma l'insegnamento non si può limitare qui. Vi sono molti problemi che riguardano l'uomo e la sua posizione nel mondo, nella famiglia e nella società: posizione che deriva dalla natura stessa, cioè dagli ordinamenti di Dio, e che gli impone dei doveri: doveri che si riflettono nella sua coscienza e che gli impongono un determinato atteggiamento, di cui dovrà rispondere al Créatore. Posta nella sua posizione di magistero, come guida dei cristiani nel compimento dei loro doveri e nella cura della propria salvezza, la Chiesa, e per essa il Papa che ne è il maestro e la guida suprema, deve pur dire una parola che sia l'espressione sicura degli ordinamenti divini e dei doveri del cristiano. Questa necessità appare anche più evidente se si rifletta a tante dottrine contrastanti, determinate dalle diverse concezioni filosofiche, e che hanno riflessi di grande importanza per la convivenza umana.
Si comprende così come la cura vigilante del Magistero Pontificio non abbia mancato di pronunciarsi anche su questi problemi di carattere sociale.
Per limitarci alla storia più recente, Leone XIII, che ha lasciato nella storia della Chiesa il ricordo di una alta mente e di profonda dottrina, ha lasciato nelle sue encicliche, che il mondo aspettava e riceveva con riverenza, trattazioni di grande valore riflettenti la dottrina della Chiesa intorno alla struttura della società, mentre questa minacciava di venire sconvolta da dottrine sovvertitrici. Ricordiamo qui le encicliche sul matrimonio (10 febbraio 1880), sul socialismo (28 dicembre 1878), sui principali doveri dei cittadini cristiani (10 gennaio 1890), e l'immortale enciclica Rerum Novarum sulla condizione degli operai (15 maggio 1891), che gettò le basi cristiane per una soluzione della questione sociale, con spunti che allora furono giudicati arditi, ma che si può dire abbiano avviato a riforme che rappresentano vere conquiste, in confronto della condizione degli operai a quel tempo.
L'insegnamento Pontificio continuò specialmente con Pio XI, di cui ricordiamo l'enciclica sulla cristiana educazione della gioventù (31 dicembre 1929) e sul matrimonio cristiano (31 dicembre 1930), l'enciclica Quadragesimo anno (15 maggio 1931) sulla restaurazione dell'ordine sociale, nel 40° anno della pubblicazione della Rerum Novarum, che rappresentò una conferma e, diremo, un aggiornamento della immortale enciclica di Leone XIII, e le encicliche di condanna del nazismo germanico (14 marzo 1937) e del comunismo ateo (19 marzo 1937).
L'insegnamento continuò e continua ancora, intenso, col regnante Pontefice Pio XII, di cui sono numerose le encicliche, i messaggi, i discorsi a diversi gruppi di persone e rappresentanze. Egli tratta di alte questioni sociali, quali la proprietà, la libertà, la democrazia; ribadisce nel radiomessaggio per il 50° anniversario della Rerum Novarum (1 giugno 1941) gli insegnamenti dei suoi predecessori, e si può dire che non vi sia questione che possa riguardare la coscienza cristiana che egli non abbia toccato nelle sue innumerevoli comunicazioni orali e scritte alle persone d'ogni sorta, non esclusi i rappresentanti della scienza, che lo sentono da lontano alla radio, o vengono di presenza a rendergli omaggio.
E chi non ricorda i messaggi natalizi che si sono seguiti puntualmente, sempre pieni di insegnamento cristiano, mentre durante i tristi anni della guerra hanno rappresentato l'intervento autorevole ed accorato del Padre e Maestro comune, che invitava i belligeranti a troncare la guerra sterminatrice, indicando i punti sui quali tutti avrebbero dovuto convenire, per una pace decorosa e un saggio ordinamento della società universale e delle singole Nazioni, per la organizzazione di un mondo migliore?
E' il Maestro che parla. E tutte queste manifestazioni dei Pontefici contengono quanto basta per costruire lo schema di un cristiano ordinamento sociale, o come si suol dire, la dottrina sociale della Chiesa, che ripete le sue fonti dal precetto divino della carità e della giustizia, e da una profonda considerazione delle condizioni degli uomini nella società. Le basi di questa dottrina sono i concetti della dignità della persona umana, della destinazione dei beni materiali ad una sufficiente e decorosa vita di tutti gli uomini, nella funzione sociale della proprietà, della collaborazione delle classi sociali; ed il precetto divino della carità come stimolo ad applicare coraggiosamente quei dettami di giustizia. A questa dottrina sociale, che afferma principi generali che vorrebbero informare del loro spirito le riforme concrete dei legislatori e le controversie sindacali, dovrebbero utilmente ispirarsi tutti nelle inevitabili contese degli interessi contrastanti.


PADRE E PASTORE

Il Romano Pontefice è Maestro supremo, saggio e prudente ed assistito dal Signore. E' anche Pastore e Padre. Pastore lo ha voluto Gesù, quando riassunse in questa parola l'ufficio che affidava a San Pietro nella Chiesa: Pasci le mie pecore.
Il Papa lo è davvero. Egli pensa ai bisogni spirituali dei fedeli, dividendone la cura coi Vescovi che egli stesso manda in tutto il mondo, e da lui amano sentire la parola dell'indirizzo, dello stimolo, del conforto. Egli interviene a tempo opportuno, quando se ne manifesti il bisogno. La sua parola è ammonimento, esortazione. Essa deplora i mali della società, mette in guardia dai pericoli che attentano alla integrità della fede od alla onestà della vita.
Si ricorda quanto ha fatto San Pio X denunciando il pericolo del Modernismo che snaturava il concetto stesso della fede e la svuotava del suo contenuto. E sono recenti e nella memoria di tutti gli ammonimenti contenuti nella condanna del comunismo, il grande pericolo del nostro tempo per la fede del nostro popolo, sostituita soltanto da uno sforzo verso un benessere materiale. L'insistenza del Papa su questo punto è l'indice, l'espressione della sua sollecitudine per la integrità della fede e della vita cristiana. Così lo capissero tanti che si lasciano sedurre ancora da un miraggio materiale e da una propaganda ingannatrice.
Egli è Padre, e sente i bisogni materiali di tante creature di Dio, prive di lavoro o comunque della possibilità di mantenersi. La carità del Papa è nota a tutti. Essa si estende a tutti i bisognosi, anche a quelli che non appartengono alla Chiesa: la carità non ha limiti. Per fermarci soltanto ai tempi più vicini, la storia ricorderà con riconoscenza dopo la prima guerra, quando già la Russia era dominata dai bolscevichi, Pio XI mandò in quella nazione una sua commissione incaricata da lui di distribuire larghi soccorsi. E che dire di Pio XII? Egli ha fatto appello ai benestanti di tutto il mondo perchè gliene dessero la possibilità, e ha costituito la Pontificia Opera dì assistenza per raccogliere e distribuire soccorsi ed accorrere dovunque si manifesti un bisogno. E quella lo fa con tanta diligenza e larghezza. Non v'è disgrazia che colpisca qualche popolazione, dove subito non accorra la Pontificia a portare soccorsi abbondanti, senza contare le colonie che essa sostiene ed aiuta per la salute della fanciullezza bisognosa.
E in un momento terribile ed angoscioso, quando durante la guerra un bombardamento di Roma seminò la strage nel quartiere di San Lorenzo, fu visto il Papa accorrere personalmente, con pericolo della sua stessa vita, per confortare quegli infelici e distribuire soccorsi. Era la carità di Cristo: era il cuore paterno del suo Vicario.

I NOSTRI DOVERI

Fratelli e figli miei, vi ho già detto brevemente chi è il Papa, come la nostra fede ce lo presenta. Egli è, per volontà di Nostro Signore Gesù Cristo, maestro di verità, guida sicura di vita, pastore e padre di tutti coloro che hanno la grazia di appartenere alla Chiesa di Cristo. Quali sono i nostri doveri verso di lui?

1. Prima di tutto, riverenza, devozione, come si deve a chi ci rappresenta il Salvatore divino e ne fa le veci verso di noi. Questo rispetto tutti lo sentiamo, e ognuno si inchinerebbe davanti a Lui se avessimo la gioia di trovarci alla sua augusta presenza. Ma non deve limitarsi qui il nostro rispetto. Noi ci guarderemo dallo spirito di critica, ricordando che le nostre critiche sarebbero, nella maggior parte dei casi, critiche di incompetenti. E ci guarderemo di acconsentire alle critiche malevoli degli altri. Purtroppo una iniqua propaganda dei nemici di Dio diffonde voci tanto false quanto irriverenti contro il Papa. Le avete sentite anche voi, figli carissimi, nei crocchi dei compagni, nelle officine, nei campi. Hanno detto che il Papa ha voluto o aiutato la guerra; mentre tutti sanno quanto ha fatto verso i potenti per impedirla prima che scoppiasse; e tutti abbiamo sentito il suo grido supplichevole ed ammonitore: colla guerra tutto è perduto, colla pace tutto si può guadagnare. E quante volte è ritornato nei suoi messaggi l'invito supplichevole a trattative che ponessero fine al flagello.
Lo hanno detto alleato degli imperialisti, mentre egli ha sempre pre preso le difese dei deboli, chiedendo che fossero rispettati i diritti di tutti. E sulla stampa socialcomunista si interpreta pressochè sempre male qualunque cosa sia detta o scritta da lui. Noi non faremo così, ma non ci accontenteremo di questo. Perché non avere la franchezza di contraddire energicamente quando sentiamo queste falsità ingiuriose verso il Papa che è oggetto della nostra venerazione?

2. Altro nostro dovere, docilità filiale e più che filiale, come si deve al Vicario di Cristo, che ci parla in nome di lui. Docilità franca, generosa, come si conviene a chi sa che il Papa ci rappresenta il Maestro divino. Docilità quando ci insegna le verità della fede; docilità quando ci mette in guardia contro i nemici di Dio e della chiesa, e ci comanda di fare il nostro dovere per tenerli lontani dai posti di comando, dai quali potrebbero fare tanto male. E qui non avvenga quello che alle volte succede, che, messo sull'avviso di quello che il Papa ci insegna o ci comanda, qualcuno si tenga dubbioso perché ha sentito il tale o il tal altro a parlare diversamente. Ma chi è che possa meritare da un cristiano di essere preferito alla parola del Vicario di Cristo?

3. Poi, amore. Amore vero e fervido a chi ci rappresenta il Signore, a chi esercita verso di noi l'ufficio di insegnarci con sicurezza la verità e di guidarci sulla via della salvezza. L'amore lo eserciteremo pensando spesso a lui, pregando per lui, sentendo come nostre le sue gioie, le sue sofferenze, i suoi lamenti, contribuendo secondo le nostre possibilità alle offerte che il popolo cristiano mette nelle sue mani per le sue sante iniziative (Obolo di San Pietro).
Questo amore noi lo manifesteremo fra poco in occasione del compimento del suo 80° anno, partecipando alle manifestazioni che si faranno a Roma e fra noi. Ma non sarà l'amore di un giorno o di una occasione che passa. Esso informerà sempre il nostro atteggiamento, come la riverenza e la docilità. Sarà l'espressione perenne della nostra professione di cristiani cattolici.
Che il Signore ci benedica tutti.

Brescia, Le Ceneri 1956.

 

 

 

 

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