Nell'annunciare
il Giubileo dell'Anno Santo, il Santo Padre Pio XII ha voluto dare
all'Anno Santo del 1950 un contenuto spirituale ampio, grandioso, ed
insieme aderente ad una realtà eminentemente pratica. L'Anno Santo ha un
seguito di cerimonie solenni: l'apertura e a suo tempo la chiusura della
Porta Santa, frequenti discese del Santo Padre nella Basilica Vaticana,
pellegrinaggi continui da ogni parte del mondo, solenni funzioni
pontificali, beatificazioni e canonizzazioni si direbbe a getto continuo,
così da mostrare sempre in atto la Madre dei Santi, oltre le indulgenze
ed altri favori spirituali a quelli che visiteranno la città eterna. Ma
l'Anno Santo non è tutto qui. Questa è la cornice, splendida cornice
come conviene alla grandiosità della celebrazione. L'Anno Santo, nel
pensiero del Papa e nel programma ch'egli ha assegnato, deve essere un
anno di vita cristiana più intensa, più piena, a cui sono chiamati con
accorata insistenza tutti i fedeli, ed anche un ritorno alla fede ed alla
unione colla Chiesa per parte di coloro che ne sono lontani. Anno di gran
ritorno e di gran perdono è la formula geniale con cui il Papa ha
riassunto il suo pensiero. A questo è indirizzata la fervida preghiera
composta da Lui, alla quale si unisce la preghiera di chiunque intende la
bellezza e l'importanza dell'appello del Vicario di Cristo.
E' su questo pensiero che voglio fermarmi nelle brevi pagine della
Pastorale per la Quaresima di quest'anno. Ritorno di coloro che sono
lontani dalla vita spirituale di cui la Chiesa è il gran centro.
Purtroppo sono una immensa schiera nel mondo; ma la Chiesa, incaricata da
Cristo, tutti li chiama, per tutti ricondurre a Dio ed al suo Cristo, che
è venuto al mondo per essere la salvezza di tutti.
GLI
INCREDULI
Il primo
invito al ritorno è per i più lontani, gli increduli. E qui parlo degli
infedeli a cui non è giunta ancora la buona novella, e che i nostri
eroici missionari vanno a cercare per catechizzarli. Parlo di coloro che,
vissuti nella piena luce del Vangelo, e cresciuti come noi alla scuola
della fede, l'hanno perduta. Ve ne sono, pur troppo: gli uni hanno fatta
aperta professione di incredulità; gli altri, senza aver fatto questo,
hanno però interamente rinunciato alla fede ed alle abituali
manifestazioni esterne della medesima. Donde potè derivare in essi questa
che noi consideriamo la più grande sciagura?
Fu già vezzo comune, un tempo, di dichiarare la incompatibilità della
scienza colla fede, e di attribuire quindi al progresso delle conoscenze
scientifiche la perdita della fede. Ma non è assolutamente vero. Ne è
prova il fatto di tanti scienziati, in possesso della scienza positiva e
dei suoi progressi, che non hanno trovato nella scienza nessun ostacolo
alla loro fede e l'hanno professata e la professano apertamente. La
scienza positiva limita le sue indagini e le sue constatazioni al mondo
materiale, ma non è autorizzata per questo a negare l'esistenza del
soprasensibile e del soprannaturale. Anzi ci fornisce preziosi punti di
partenza, dai quali la nostra ragione può salire alla dimostrazione della
esistenza dello spirito e di Dio. Tali sono la mutabilità delle cose, che
ne manifesta la contingenza, l'ordine dell'Universo, che postula un
ordinatore, ecc. E' quello che l'uomo ha sempre fatto, e che hanno fatto e
fanno ancora tanti autentici scienziati. Non dunque la vera scienza ha
potuto far perdere la fede, ma piuttosto l'una o l'altra filosofia, che
partendo non dai fatti della esperienza, ma da princìpi posti
arbitrariamente come fondamenti della speculazione filosofica, h anno
potuto condurre alla negazione di Dio e del soprasensibile.
Così fu del positivismo, che dominò negli ultimi decenni del secolo
scorso, e affermando arbitrariamente che la nostra conoscenza non può
elevarsi al di sopra di quello che è constatato dai sensi, proclamò
impossibile ogni affermazione di Dio e di un'anima spirituale. Ne venne
una ondata di materialismo, che invase tutte le scuole e formò la
mentalità di tanta parte delle persone colte. Ma anche il positivismo
ebbe la sua crisi e il suo tramonto, perchè contrario alle stesse
esigenze della speculazione filosofica. Quando morì Roberto Ardigò, il
principale corifeo del positivismo italiano, si disse apertamente che il
suo pensiero, e con esso la filosofia del positivismo, era già tramontata
prima di lui.
Seguì,
reazione contro il positivismo, l'idealismo, che tutto riduceva allo
spirito, concepito come una unica realtà, di cui le cose non sarebbero
che manifestazioni fenomeniche. Ed anche di qui ne venne una concezione
immanentistica della realtà, colla esclusione di una realtà divina
trascendente. Anche l'idealismo ebbe il suo successo nelle scuole, fino a
sembrare l'ultima parola della speculazione filosofica. E molti ancora ne
risentono le conseguenze. Ma anche di questa filosofia si può dire che è
nella fase discendente, perchè non risponde alle più insistenti esigenze
della intelligenza, e ricompaiono orientamenti verso un'altra concezione
del mondo, che non esclude anzi postula il divino.
Ma il
materialismo, tramontato, possiamo dire, nel pensiero puramente
filosofico, ricompare sotto altra forma, più pratica e più popolare, il
materialismo storico e dialettico, che fu già il fondamento del marxismo,
che tutte le forme della realtà volle spiegare come uno sviluppo del
fattore economico. E quello che fu il fondamento della dottrina di Marx,
lo è ancora del comunismo e del socialismo che a lui si ispirano, e che
si tenta di diffondere nelle masse popolari. Dapprima esso si presenta
come un sistema che vuole curare gli interessi economici del popolo, con
una trasformazione del regime capitalistico dominante. Ma poi, dopo di
aver abituato le masse a fare del miglioramento economico l'unico o il
massimo ideale a cui tendere, riesce a svalutare qualunque altro problema
od aspirazione, compresa anche la religione, presentata anch'essa come
conseguenza della economia capitalistica, presidio degli interessi del
capitalismo stesso, oppio del popolo, secondo la tanto strombazzata
espressione, per addormentarlo e distoglierlo dalle sue rivendicazioni. E'
questa propaganda, dapprima di rivendicazioni economiche, ma poi di
materialismo pratico e di irreligiosità, che forma il pericolo numero uno
del nostro tempo, tanto più grande perchè dalla sfera forzatamente
limitata di alcuni intellettuali discende nelle masse popolari,
scristianizzandole.
A queste fonti della incredulità, di carattere più o meno filosofico, se
ne aggiunge pur troppo un'altra, esclusivamente pratica, ma pur essa
diffusa ed esiziale. E' la mancanza della pratica della vita cristiana,
che riesce ad assopire e poi distruggere il fondamento della vita stessa
che è la fede. Come può resistere, infatti, la fede, adesione della
mente alla verità rivelata, quando questa fede non la si coltiva,
lasciandola svanire in una pallida e vana reminiscenza, e non informando
ai suoi dettami la propria vita? La fede così non può che morire, come
muore una pianta priva dei succhi che la devono alimentare, o tolta
dall'ambiente in cui possa sviluppare i suoi rami, le foglie, i frutti.
Questa è la storia vera di tanti increduli che abbiamo fra noi. Beati
loro se in qualche momento buono della loro vita la grazia di Dio li
scuote, li richiama alle reminiscenze non del tutto dimenticate della loro
giovinezza e fa loro sentire il desiderio di riprendere contatto con
quella che è stata la loro fede di un tempo.
E' per tutti costoro che noi desideriamo il ritorno. L'Anno Santo è un
fervido invito loro lanciato dal più alto rappresentante di Dio sulla
terra. Noi tutti siamo invitati a pregare perchè Dio faccia sentire la
forza della sua grazia. Quale sarà la via che li potrà ricondurre? E' il
mistero di Dio.
Discussioni fervide, serene, potranno preparare la via. Ma io penso di non
essere lontano dal vero se indico come una via disposta dalla Provvidenza
le particolari condizioni del pensiero e (Iella civiltà umana in questi
tempi.
Infatti, mentre la scienza ha progredito e progredisce in modo
meraviglioso nella conoscenza del mondo materiale e delle sue infinite
risorse, troviamo che, parallelamente all'allontanamento di molti da Dio e
dalle pratiche della religione, cresce la scostumatezza e l'abbandono di
ogni criterio morale come ispirazione della vita privata e pubblica.
D'altra parte la scienza stessa, colle sue scoperte meravigliose,
sottratta a ogni direttiva morale da parte di coloro che ne usano, è
diventata inconsapevole strumento di distruzione, moltiplicando
all'inverosimile i mezzi di offesa; cosicchè il mondo, dopo avere avuto
già l'esperienza spaventosa di una guerra che l'ha seminato di rovine e
di vittime innumerevoli, è costretto a vivere sotto minacce
incomparabilmente più gravi, fino alla situazione paradossale, mostruosa,
di poggiare il fondamento di una relativa speranza di incolumità nella
stessa potenza di distruzione, che dovrebbe trattenere il braccio,
ugualmente armato, dei contendenti. Questa condizione di cose è
irrazionale, inumana, degna di belve della foresta, pronte a scannarsi a
vicenda. E dovrebbe far pensare ad ognuno che rifletta, che manca al mondo
presente qualche cosa che non è la potenza materiale capace di
distruggere, ma un vincolo morale superiore che si imponga all'uomo in
possesso della forza materiale. E questa è la via che porta al di fuori
della materia, a Dio, da tutti riconosciuto, che ci impone una legge, che
non è quella della materia e della forza, ma legge dello spirito, a cui
tutti devono inchinarsi, senza per questo sentirsi umiliati ed oppressi.
Questa potrà essere la via di un ritorno a Dio ed alla fede, da parte di
ogni uomo capace di innalzarsi al di sopra della forza della materia e di
conflitti di potenza.
I
FRATELLI SEPARATI
Altri
lontani da Dio e dalla sua Chiesa, dei quali vorremmo auspicare il
ritorno, sono quelli che amiamo chiamare fratelli separati. Uniti a noi
nella fede in Dio e nel suo Cristo, essi furono in tempi ormai remoti
strappati alla unità della Chiesa Cattolica, a cui appartenevano.
Comprendiamo fra essi le Chiese dette ortodosse orientali, e quelli che
con un termine generico si dicono Protestanti.
Per le cosiddette Chiese ortodosse di Oriente, la separazione è più
antica, occasionata da un complesso di fattori: controversie teologiche,
ambizioni nazionali, fatti politici, influenze di governanti,
incomprensioni. Una tradizione ormai radicata da secoli ha reso
infruttuosi tentativi di accordi e consolidata una separazione dolorosa. -
Per tutte quelle sette o confessioni come ora si preferisce dire, che
vanno sotto il nome di Protestantesimo, la separazione dalla Chiesa
Cattolica, anch'essa dolorosissima, è più recente. Guidati dal principio
del libero esame, i Riformatori vollero sottrarsi al magistero della
Chiesa, culminante nella Cattedra di Pietro, che fino allora era stata la
guida sicura dei credenti in Cristo. Ne venne il sorgere di molte sette
discordanti fra di loro, con una molteplicità di credenze religiose,
nelle quali andava dissolvendosi il complesso delle dottrine cristiane
tramandate da Cristo.
Comprendendo tutti questi aggruppamenti, ormai moltiplicatisi con nomi
più diversi, si ha un buon numero di credenti in Dio e in Cristo, che non
si intendono fra di loro. Essi danno un triste spettacolo al mondo, in
contrasto doloroso colla volontà espressa energicamente nella sua
preghiera prima di cominciare la sua passione: " ut unum sint "
" che tutti quelli che crederanno in me siano una cosa sola! ".
Questo desiderio, che la Chiesa Cattolica ha sempre conservato, si è
concretato spesso in inviti; ed anche ora il Santo Padre Pio XII lo ha
fatto sentire paternamente, tutti invitando alla unità. E vi sono anime
rette, da una parte e dall'altra, che sentono la bellezza di questo
invito, e ne fanno oggetto di preghiere al Maestro Divino, perchè si
diffonda così sulla terra il suo regno, come una sola famiglia, di un
solo pensiero, che si opponga più efficacemente all'ateismo invadente. E
non dovrà mancare da parte di tutti noi la fervida preghiera per il
raggiungimento di uno scopo così alto, così conforme ai desideri del
Cuore santissimo del Salvatore, e al concetto che tutti dobbiamo avere
della Chiesa; mentre da altra parte ci guarderemo dall'aggravare il male
col guardarci da ogni insidia che tenti di allontanarci dalla Santa Chiesa
a cui il Signore ci ha chiamato.
Ritorni di fratelli separati nella grande famiglia della Chiesa Cattolica
ne avvengono sempre. Potrà 1' Anno Santo vedere aumentati questi ritorni
all'ovile, fra le braccia sempre aperte della Chiesa madre? Sarà anche
questo un oggetto delle nostre fervide preghiere. A indicare la via del
ritorno dovrebbe servire, confidiamo, la constatazione evidente e dolorosa
di un duplice fatto. Fra i nostri fratelli separati d'Oriente, le diverse
chiese ortodosse, che già vollero sottrarsi alla dipendenza della Chiesa
Romana, dopo i fugaci momenti di fermezza da parte di pastori eroici, sono
cadute sotto la piena dipendenza di governi totalitari, che non fanno
mistero del loro ateismo e della loro intenzione di distruggere la
religione. E i protestanti intelligenti e di buona fede non possono non
vedere come l'avere rifiutato il magistero della Chiesa Cattolica ha
prodotto prima un frantumarsi della famiglia cristiana in numerose e
contrastanti comunità dissidenti per dottrina e pratica di vita e poi
l'abbandono di tanti punti di dottrina cristiana, sino a toccare talvolta
la stessa adorabile persona di Cristo Salvatore. Di fronte a questo
duplice fatto essi vedono la Chiesa Cattolica, che mantiene viva la sua
indipendenza e la ferma custodia della dottrina che ha sempre costituito
il prezioso patrimonio del Cristianesimo.
COOPERATORI
CHE NON VOGLIONO ASCOLTARE L'AMMONIMENTO DELLA CHIESA
Altri
fratelli si sono allontanati dalla Chiesa o sono in pericolo di
allontanarsi, traviati da dottrine o programmi che corrono ai nostri
giorni. Ho già accennato sopra come il materialismo marxista conduce alla
negazione di Dio. Ma vi sono fratelli e figli carissimi, che sono stati
educati cristianamente e dicono e protestano che non vogliono rinunciare
alla fede e alla pratica della vita cristiana; ma per il miraggio di
miglioramenti alle loro condizioni economiche, si mettono al seguito di
capi, i quali non fanno ormai più mistero dei loro principi
anticristiani, e sono collegati con coloro che, dove hanno potuto, hanno
tentato e tentano di scristianizzare le loro Nazioni, favorendo
espressamente una propaganda e una educazione antireligiosa, ed impedendo
in tanti modi il libero esercizio del magistero della Chiesa Cattolica. Il
caso del Cardinale Mindszenty, che, condannato iniquamente perchè non
volle rinunciare alla libertà della Chiesa, da oltre un anno langue in
prigione, mostra con evidenza quali sono gli intendimenti dei comunisti e
dei loro favoreggiatori. Questi nostri fratelli a cui rivolgo ora la
parola si rendono colpevoli di cooperare a tanto male, e non possono dirsi
buoni cristiani, nonostante le loro affermazioni. Nè li può scusare il
fine da essi affermato, dei loro interessi economici, perchè questi li
possono tutelare in altro modo. La Chiesa li ha ammoniti: ed essi non sono
buoni cristiani se alla parola della Chiesa che li guida preferiscono
quella di altri che si alzano a contraddirla. Ascoltino dunque la sua voce
materna, che parla per il loro bene e il bene di tanti fratelli
perseguitati, e non la parola della menzogna che li vuole ingannare.
CRISTIANI
CHE NON VIVONO CRISTIANAMENTE
Infine vi
sono altri ai quali va esteso l'invito a un ritorno. Sono i molti
cattolici che dicono di accettare in pieno tutte le verità rivelate, e
che compiono anche, almeno in parte, le pratiche religiose prescritte, ma
poi trascurano tanta parte della morale cattolica: la loro vita non
corrisponde alla professione della loro fede.
Già il Salvatore aveva detto: " Non tutti quelli che mi dicono:
Signore, Signore, entreranno nel regno dei cieli, ma colui che fa la
volontà del Padre mio " (Matt. 7, 21). E la volontà di Dio, non
comprende soltanto qualche pratica religiosa, ma tutto un programma di
vita, con un complesso di doveri verso Dio, se stesso e il prossimo. E
sono tre specialmente le virtù tipicamente cristiane, dalle quali non
può assolutamente prescindere una vita che voglia essere veramente la
vita di un seguace di Cristo: la purezza, che importa come suo complemento
e presidio una austerità che sappia rinunciare anche ai comodi della
vita; la giustizia, che rende a ciascuno il suo; e la carità che secondo
il comando di Cristo vede nel suo simile un fratello da amare, da
confortare nelle sue pene, da soccorrere nei suoi bisogni, anche con
sacrificio delle comodità della propria vita.
E' tale la vita di tutti che amano essere considerati come cattolici, e lo
sono in parte perchè osservano alcune prescrizioni della morale
cristiana? Pur troppo no. Si vedono affollate le sale dove si danno
spettacoli indecenti e apertamente immorali, e nel pubblico che assiste si
vedono anche persone che frequentano la Chiesa, genitori che non hanno
orrore di condurvi anche i loro bambini, iniziandoli così ad una
concezione della vita, che è tutt'altro che la vita dei comandamenti
della legge di Dio. Si lesina talvolta ai propri dipendenti quello che è
loro dovuto per legge e per un senso di umanità che ci deve far vedere in
essi dei nostri simili, che hanno una dignità umana, non meno vera
perchè essi si trovano in condizione economica inferiore. Di fronte alla
miseria che tiene creature umane prive del necessario, per sè e la
numerosa famiglia, si crede di aver esaurito il proprio dovere perchè si
è fatta una modica elemosina, mentre abbonda il superfluo che Cristo nel
Vangelo ci ha comandato di dare ai poveri. Si coltivano da una parte e
dall'altra, nella difesa dei propri interessi, sentimenti di odio che
spingono alla violenza, o rendono insensibili a una necessità sociale di
miglioramento e di elevazione nel tenore di vita di tutte le classi
sociali.
Facendo queste constatazioni non intendo di fare una condanna generale e
disconoscere tante opere di beneficenza e tanti atti di bontà da parte di
persone che sanno che cosa sia e quanto impegnativo lo spirito del
Vangelo. Ma vi sono indubbiamente dei cristiani a cui convengono le
osservazioni fatte sopra. Costoro Cristo non li riconoscerebbe come suoi
seguaci. " Quello che avete negato al minimo dei miei fratelli
l'avete negato a me " (Matt. 25, 45).
Costoro si assumono una doppia grave responsabilità: si preparano un
giudizio severo da parte del Giudice divino, e contribuiscono a screditare
la fede e la vita cristiana presso coloro che la giudicano dai loro
esempi. Anche costoro quindi hanno bisogno di ritornare. E questo Anno
Santo li attende ad una severa e generosa riforma della vita.
UN
APPELLO ALLA NOSTRA GENTE
Questa
necessità di una vita più interessante e interamente cristiana si fa
sentire specialmente in certi momenti in cui le competizioni di interessi
in conflitto hanno avvelenato gli animi, o flagelli pubblici hanno reso
difficile la vita di molta parte delle popolazioni. E' quello che avviene
ora in molta parte della nostra Italia, ed anche fra noi.
E qui non posso trattenermi dal ripetere un appello che ho già pubblicato
sulla stampa cittadina nella settimana di Quinquagesima.
Chiunque consideri le condizioni della nostra provincia, e specialmente
della campagna, con quell'amore verso i propri fratelli e verso la Patria
che tutti dobbiamo sentire, non può non provare una forte preoccupazione
per l'inquietudine che vi si diffonde, che sembra assumere l'aspetto di
odio fra le classi, specialmente fra salariati ed agricoltori. Non mancano
atti di violenza, che se non raggiungono la proporzione di altre province,
si manifestano con la frequenza insolita, inaudita fra noi; non è
mancata, in tempo non lontano, anche qualche vittima.
Ora io sento il dovere di far udire a tutti una parola di pace: non solo
la pace fra le Nazioni, che tutti desideriamo, e che vorremmo fondata,
più che sulle armi di cui tanto si parla, sulla distensione degli animi e
su un comune sentimento di comprensione e di carità sociale, ma anche la
pace interna della nostra gente, che dovrebbe sentirsi unita da un vincolo
fraterno, per la medesima origine, la medesima fede, e la solidarietà che
tutti stringe come bisognosi gli uni della cooperazione degli altri, nel
momento così difficile della ricostruzione dopo il flagello della guerra.
Non si vuole negare a nessuno il diritto di difendersi, di far valere le
proprie ragioni, di tendere anche ad un onesto miglioramento delle proprie
condizioni. Ma per questo, quando non bastano le trattative private, vi
sono le associazioni sindacali, che hanno questa funzione, e se è il
caso, i tribunali che possono giudicare e ristabilire il diritto, quando
questo fosse leso. Mai l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni; mai
la violenza. Abbiamo già tutti deplorato la violenza nella guerra, che ha
fatto tante vittime e seminato tante rovine: non dobbiamo continuarla nei
rapporti fra cittadini e cittadini, fra categoria e categoria. Se alcuno
chiunque, venisse a suggerirvi, individualmente o in massa, di usare
questo mezzo, non ascoltatelo: egli mancherebbe contro il dovere di ogni
persona civile, di ogni - coscienza cristiana, e farebbe anche il vostro
danno, di cui vi accorgereste dopo, quando sareste voi a portarne la pena.
Ma il mio appello non si limita, oggi, a deprecare l'uso della violenza.
Le competizioni di interessi fra lavoratori e datori di lavoro devono
trovare una soluzione e non trascinarsi indefinitivamente, cosa che dà
troppo facilmente occasione e pretesto alla violenza. E perchè a
soluzioni ragionevoli si possa venire, è necessaria una mutua
comprensione nelle rispettive posizioni.
Da parte dei lavoratori è necessario considerare anche le condizioni
delle aziende dove essi trovano il lavoro, e che hanno pure un limite di
possibilità oltre il quale non potrebbero sussistere, a vantaggio di
tutti, e degli stessi lavoratori.
Da parte dei datori di lavoro, la comprensione deve estendersi ad una
considerazione benevola della aspirazione dei lavoratori ad un
miglioramento delle loro condizioni di vita, verso uno stato che
rappresenti per essi e per le loro famiglie una decorosa sufficienza, sia
nella quantità dei mezzi a loro disposizione, sia riguardo ad una
relativa stabilità dei medesimi, mentre ordinariamente il lavoro è per
essi l'unica fonte di sussistenza, senza un patrimonio che possa sopperire
alla eventuale interruzione del medesimo. Un simile miglioramento nelle
condizioni dei lavoratori, oltre che corrispondere ad una migliore
giustizia sociale, potrà contribuire ad una pacificazione, desiderata in
se stessa, e coefficiente per un migliore rendimento del lavoro.
Ho parlato del problema dei rapporti, che devono essere di intesa e di
pace, fra lavoratori e datori di lavoro. Ma si impone, in questo momento,
un problema più grave, come una impellente necessità sociale. E' il
fatto della disoccupazione, che ha raggiunto fra noi proporzioni dolorose.
E disoccupazione vuol dire migliaia e migliaia di persone, di nostri
fratelli, che, mentre non hanno altro mezzo di sostentamento oltre il
proprio lavoro, sono forzatamente privi anche di questo. Tutti siamo a
conoscenza di situazioni dolorose, talvolta tragiche, che ne derivano. E
quello che è a nostra individuale conoscenza, evidentemente deve essere
moltiplicato e per tanti e tanti casi simili. Le statistiche sono in
proposito allarmanti.
E allora il problema si impone ad ognuno che si trovi in condizione
privilegiata. E chiamo privilegiata, di fronte ai casi dolorosi della
disoccupazione e conseguente miseria, la condizione di chi dispone del
superfluo. Può disinteressarsi della disoccupazione e della relativa
miseria chi possiede, forse in abbondanza, quello che non gli è
necessario, al di là di una giusta valutazione dei suoi bisogni?
Evidentemente no. Il cristiano, che voglia essere veramente e interamente
tale, non può ignorare o dimenticare una parola del Vangelo, che è
parola di Cristo: Quod superest date pauperibus: quello che vi avanza
datelo ai poveri. E ora i poveri non sono soltanto quelli che ci fermano
per via chiedendo una moneta. I bisogni sono tanto più grandi. E chi ha
in abbondanza non si deve credere scusato dal dare se per avventura non ha
trovato nessuno che gli abbia chiesto la elemosina, e se ha dato a un
mendicante una moneta.
Di fronte a questo preciso dovere cristiano, io rivolgo ai miei figli due
inviti.
Dapprima vi è un grave inconveniente da evitare. Quando vi sono molte
persone a cui manca il necessario, non è lecito che si spendano somme
notevoli in divertimenti mondani, con uno sciupio che, oltre tutto, assume
l'aspetto di un insulto a quei nostri fratelli. Nè può essere scusa
sufficiente il dire che anche molti della categoria dei lavoratori
sciupano tanto denaro in divertimenti (vino, cinema, ecc.). Questo è
vero, e noi facciamo sentire anche a costoro una accorata esortazione al
risparmio. Ma oltre la diversa proporzione dei due fenomeni, è giusto che
si aspetti di più da chi per educazione e cultura deve essere in grado di
meglio comprendere la gravità del momento, e la necessità di non
esasperare il disagio che proviene dall'inasprirsi delle disparità
sociali. Io oso aspettarmi che le nostre buone famiglie che vogliono
vivere intera, nelle sue pratiche e nel suo spirito, la vita cristiana, in
questo Anno Santo, che ci invita a carità e penitenza, vorranno dare il
bell'esempio di devolvere a beneficio dei poveri e dei disoccupati le
somme che male sarebbero spese in feste mondane.
Ma il più importante aiuto per i disoccupati è il procurare il lavoro
che è il mezzo normale, oltrechè più dignitoso, per il sostentamento di
ognuno.
Tutti abbiamo sentito con soddisfazione che il Governo ha messo come
caposaldo del suo programma, di potenziare al massimo la occupazione della
mano d'opera: e anche somme ingenti saranno bene spese, se insieme ad
opere di pubblica utilità avremo molti lavoratori occupati. Ma non si
può aspettare tutto dal Governo. E' necessario che anche tutti i datori
di lavoro che ne hanno la possibilità facciano la loro parte dando il
più possibile lavoro a operai e contadini. Se potendolo fare, lasciassero
inoperosi i mezzi di produzione che sono a loro disposizione, mentre
altri, perchè privi di lavoro, mancano del necessario per vivere,
mancherebbero ad un dovere, cioè a quella funzione sociale della
proprietà, per cui essa deve servire al bene di tutti. E' quello che i
Santi Padri dicevano in una forma più alta e più cristiana, che il
proprietario è un incaricato della Provvidenza per amministrare i beni
che Dio ha creato perchè servano per i bisogni di tutti.
Tutti dunque procurino, secondo le proprie possibilità, lavoro ai
disoccupati. E il nostro invito indirizziamo, non soltanto ai grandi
agricoltori e industriali che lo possono fare in proporzioni più
notevoli, ma anche a chi possiede, sia pure in proporzioni modeste, una
qualche possibilità: sarà il restauro, anche parziale, di una casa, il
rifornimento dei propri arredi, o cose simili. E' un invito che rivolgo a
tutti, come un modo, grande o piccolo secondo le possibilità di ognuno,
di entrare nello spirito di questo Anno Santo, che vuole essere un anno di
bontà e pacificazione sociale.
Che il Signore ispiri a tutti la sua carità.
* * *
Figli
carissimi, vi ho parlato di ritorno, un gran ritorno a Dio, a Cristo, alla
sua fede, facendomi eco della calda, paterna parola del Santo Padre, che
ne ha fatto la formula, la caratteristica di questo Anno Santo. A questa
parola " ritorno " Egli ne ha aggiunto un'altra, piena di un
senso di bontà tutto cristiano: " perdono ". Al figliuolo
prodigo che ritorna, Dio ha assicurato il suo perdono.
Oh! venga il perdono di Dio per tanti peccati che si sono commessi; il
perdono per il gran delitto della apostasia di tanta parte della umanità,
allontanatasi da Lui, e che noi tutti vogliamo che a Lui ritorni. E venga
anche una benefica ondata di perdono e di riconciliazione fra gli uomini:
popoli, nazioni, classi sociali, egoismi. Sarà questa le vera pace che
tutti desideriamo. Che l'Anno Santo ci possa realmente vedere più buoni,
più uniti, liberati da tanti timori che affliggono l'umanità
allontanatasi da Dio.
E' l'augurio che vi fa, figli dilettissimi, il vostro Vescovo, che tutti
vi benedice nel nome del Padre, del Figiuolo e dello Spirito Santo.
Brescia,
Quaresima del 1950.
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