Chi, fra le
nostre popolazioni, non vorrebbe dirsi cristiano?
Il Cristianesimo è da secoli parte integrante della nostra civiltà. In
mezzo a tante brutture, a tante asprezze ed ingiustizie della civiltà
moderna, se c'è ancora un po' di bontà, di onestà, di gentilezza, sono
elementi entrati nel pensiero e nella pratica della civiltà dal
Cristianesimo. Il Cristianesimo è anche la fede della grandissima
maggioranza di noi. L'abbiamo imparato al catechismo nella nostra infanzia.
Se molti hanno dimenticato quelle verità, esse riaffiorano spesso al
pensiero ed alla coscienza nei momenti migliori, quando si tratta di
prendere delle deliberazioni decisive, quando vogliamo attaccarci ad una
speranza che ci sostenti e ci conforti. E se anche alcuni credono di aver
perduto questa fede, praticamente spesso vi ritornano loro malgrado.
Ma io so di parlare a voi, figli dilettissimi, che nella grandissima
maggioranza siete e volete essere cristiani, e vi offendereste se alcuno ne
volesse dubitare.
Eppure, se volessimo analizzare un po' minutamente, non il Cristianesimo in
sè, ma il Cristianesimo vissuto da ciascuno di noi, spesso troveremmo che
esso non è il Cristianesimo vero e genuino, ma un Cristianesimo dimezzato e
superficiale, che si riduce ad una apparenza, ad una veste esteriore, e che
spesso rinnega praticamente quello che forma oggetto di una nostra
affermazione teorica. Il Giudice vero, davanti al quale compariremo per
essere giudicati, forse non riconoscerebbe come suoi fedeli molti che pure
si professano cristiani. E spesso un giudizio analogo lo pronunciano anche
quelli che sono fuori del Cristianesimo, e che noi siamo abituati a
considerare come avversari: essi si meravigliano della nostra condotta
dissimile dagli insegnamenti del Vangelo, e spesso ne prendono motivo per
fare al Cristianesimo l'accusa di non aver saputo cambiare le coscienze e di
averle lasciate in tanta parte pagane.
Purtroppo molte volte è proprio così. Molti sono cristiani soltanto di
nome, o cristiani a metà. Ma noi non ne dobbiamo fare colpa al
Cristianesimo in sè: alla sua dottrina, che è sempre vera, alta, completa,
feconda; alla sua morale che è pura, altissima ed insieme profondamente
umana; ai suoi mezzi di santificazione, che sono divinamente fecondi. La
colpa è nostra, di noi che, superficiali, fiacchi, incoerenti, viviamo un
Cristianesimo incompleto, o non lo viviamo affatto, contenti di aver
imparato delle formule che ripetiamo inconsciamente, o di compiere qualche
pratica religiosa, che forse riusciamo anche a vuotare del suo vero
contenuto.
E così ci addossiamo una gravissima responsabilità: di non attingere dal
Cristianesimo quei frutti ai quali è legata la nostra salvezza eterna e di
scandalizzare quelli che sono "fuori" e che, giudicando il
Cristianesimo dal nostro modo di pensare e di operare, se ne formano un
giudizio sfavorevole, e, come dicevamo, lo considerano infecondo ed inutile
a risolvere i grandi problemi della vita.
Se non vogliamo tradire noi stessi e far torto alla nostra fede, è
necessario che il nostro Cristianesimo sia vissuto intero, intimamente,
profondamente, cosicchè non vi sia pensiero od azione della nostra vita
morale, che non si ispiri ad esso.
E' quello che vogliamo dirvi brevemente, figli dilettissimi, in questa
lettera pastorale, esaminando qualche punto fondamentale della dottrina e
della morale cristiana in ordine alla nostra vita quotidiana.
CONCEZIONE
GENERALE DELLA VITA
E dapprima,
il Cristianesimo ci dà una concezione generale della vita caratteristica,
che è alla base di tutta la sua dottrina e della sua morale: una concezione
spiritualistica, trascendente.
Al disopra del corpo e dei sensi c'è in ciascuno di noi l'anima, che è
spirituale. Quantunque dipenda dai sensi nell'esercizio delle sue facoltà,
essa li trascende. La sua intelligenza, non limitata come i sensi a quello
che è materiale e contingente, assorge a conoscere lo spirituale e
l'eterno. La sua volontà, libera, non è limitata all'istinto ed alla
inclinazione del momento, ma sa tendere ad un ideale superiore di bontà, e
si sente spinta ad orientare ad esso tutta la vita, fino alle vette della
santità e dell'eroismo. Come guida alla volontà nella scelta della via da
seguire, il Cristianesimo ci presenta una norma ben precisa, che è la legge
di Dio, radicata nel cuore e nella coscienza di tutti e promulgata in un
codice divino. Al termine della vita presente ci attende il giudizio di Dio,
e poi una eternità di godimento o di pena, secondo che avremo qui meritato.
Il cristiano sa tutto questo. Di conseguenza sa che la vita non deve
consistere solamente nella ricerca di un bene sensibile, come può essere la
ricchezza, il benessere materiale, il piacere. Al disopra di questi vi sono
i valori dello spirito: la verità, la virtù. E l'uomo li deve cercare,
anche a costo di limitare qualche volta la ricerca del benessere materiale
ed egoistico.
Non è detto che per questo il cristiano si debba disinteressare del mondo
che lo circonda, delle stesse cose materiali che pure gli sono necessarie
per la vita. Ma queste cose le considera alla luce di quella dottrina, e
diventano strumenti, sia pure necessari, di un aspetto della vita presente,
non il fine ultimo a cui sacrificare ogni cosa.
Di qui una caratteristica della vita del cristiano, segnata in una grande
parola di Cristo nel Vangelo: "Quid prodest homini si mundum
universum lucretur, animae vero suae detrimentum patiatur? - Che
gioverebbe all'uomo guadagnare tutto il mondo, se dovesse aver danno l'anima
sua? " (Mat., 16, 26).
Non vive dunque il suo Cristianesimo, anche se è battezzato e compie
qualche pratica religiosa, chi cerca sopra ogni cosa il benessere materiale,
e a quello è pronto a tutto sacrificare. E' ciò che molti fanno. Quanti vi
sono infatti che per i loro affari trascurano la santificazione del giorno
festivo, non ascoltano la S. Messa, non si curano di tenere aggiornata la
loro fede e cultura religiosa. E quanti ancora vi sono che per conseguire un
vantaggio materiale non si peritano di commettere ingiustizie e violenze, a
danno del proprio simile e contro la legge di Dio.
Tanto più si dovrà dire che non vive il suo Cristianesimo chi aderisce a
dottrine che sono la negazione della fede cristiana. L'eresia, cioè la
negazione di una o altra verità contenuta nel deposito della fede, è
spuntata spesso nella storia della Chiesa di Cristo, a confondere le idee, e
a intaccare la purezza e l'integrità della fede. Ai nostri giorni v'è una
eresia più grave e pericolosa, perehè nega tutte le grandi verità
cristiane. E' il materialismo, che nega Dio, nega lo spirito, e tutto riduce
alla materia ed alla sua èvoluzione. Che cosa rimane infatti delle verità
rivelate, una volta negato Dio e la spiritualità dell'anima? Ora il
materialismo ha preso una forma ed una importanza speciale, quando il
marxismo l'ha messo a fondamento del suo sistema economico e sociale. Le
idee come le istituzioni umane, compresa la stessa religione, non sarebbero
che il frutto dell' ordinamento economico della società, destinate a
mutarsi in un eventuale cambiamento delle istituzioni stesse. E fu detto che
la religione è insieme frutto e difesa dell'ordinamento capitalistico della
società, e deve essere osteggiata ed abolita in un ordinamento diverso. Il
Santo Padre Pio XI, in una memoranda enciclica, ha denunciato l'errore e
l'insidia del comunismo ateo, negatore di Dio, dell'anima, della libertà, e
ne ha messo in guardia i fedeli, in nome della loro fede cristiana.
E' vero che il comunismo ama presentarsi fra noi diversamente, come una
ricerca di un nuovo ordinamento sociale, che porti condizioni migliori al
popolo lavoratore, e dichiara di permettere ai suoi seguaci di conservare le
loro idee religiose. Esso non rinnega però le sue origini e i fondamenti
marxistici, e quindi materialistici, e dove ha potuto affermarsi, ha
mostrato e mostra ancora tutta la sua avversione alla religione ed
espressamente al Cristianesimo, come ad una giusta libertà, tutto riducendo
al fattore economico, sotto l'unica direzione dello Stato.
Il cristiano quindi, che vuole essere veramente tale, cioè vivere il suo
cristianesimo e conservare integra la sua fede, quella fede che sarà il suo
conforto in vita e gli indicherà la via della salvezza, deve guardarsi dal
comunismo come da una eresia. Nè gli è per quèsto vietato di cercare un
giusto miglioramento delle sue condizioni economiche, e di farsi promotore
di un migliore ordinamento sociale, in favore specialmente delle classi più
umili, in armonia coi dettami della sua fede e di una giusta sociologia
cristiana.
LE
PRATICHE RELIGIOSE
Se dal modo
di concepire la vita passiamo ai singoli doveri che caratterizzano la vita
del cristiano, non v'ha dubbio che il primo dovere del cristiano è quello
delle pratiche religiose, cioè del culto che noi rendiamo a Dio.
Evidentemente mostrerebbe di non comprendere nulla del Cristianesimo, o di
averlo ripudiato, chi volesse trascurare i doveri religiosi, che lo
stringono a Dio, suo Creatore, Redentore, Giudice.
Che dire quindi di quei cristiani - perchè cristiani vogliono essere
creduti, e si offenderebbero se noi ne dubitassimo - che non pregano mai,
hanno abbandonato anche l'abitudine appresa nella infanzia delle preghiere
del mattino e della sera? E non c'è pericolo che li si veda qualche volta
in chiesa, se non per farvi una visita da turista o da amatore d'arte, ad
ammirare i tesori d'arte di cui le nostre chiese sono abbondantemente
fornite; o per partecipare al funerale di un conoscente, o ad alcuna di
quelle funzioni pubbliche, alle quali sogliono essere invitati, e non
possono mancare, i rappresentanti delle autorità o le persone distinte del
luogo. E naturalmente, questi tali, e i loro parenti ed credi per essi,
esigeranno che si faccia in chiesa il loro funerale, fors'anco con sfoggio
di solennità ed apparati. Quante volte i venerandi muri delle nostre
chiese, o le immagini sacre che ne adornano gli altari, protesterebbero
sdegnosi, se lo potessero, vedendo le cerimonie solenni di uno di questi
funerali, per chi forse non ha mai varcato le soglie del tempo da tanti anni
in vita sua, e mai ha rivolto riverente il suo omaggio a Dio.
Vi sono molti che non meritano questo rimprovero. Essi frequentano la
chiesa; li si vede ordinatamente alla Messa la domenica, salva però la
facilità di dispensarsene per qualunque pretesto. E non mancano anche alla
Confessione e Comunione pasquale. Messa press'a poco tutte le feste e
Confessione e Comunione pasquale: che cosa volete di più?
Ma se volessimo avvicinarci un po' alla loro coscienza e vederli nel loro
intimo, troveremmo che la loro Messa si riduce ad una mezz'ora (ed anche
meno quando trovano la fortuna di un sacerdote svelto e di una Messa senza
omelia) passata in una chiesa, con discreta noia, mentre il labbro non si è
aperto a mormorare una preghiera e la mente si è occupata di tutte le
faccende della giornata e di tante altre cose che la memoria ha potuto
ricordare; un segno di croce quando il sacerdote ha benedetto, ha indicato
il termine e la sollecita uscita dal tempio.
E' questa la Messa come il Cristianesimo la intende, e come la Chiesa ne ha
fatto un precetto? No, di certo. La Messa è il più grande atto di culto a
cui il cristiano possa partecipare. E' Cristo stesso che rinnova sull'altare
il sacrificio con cui ci ha redento; ed è il fedele che si unisce a lui
nell'offrire a Dio il supremo omaggio della adorazione e della preghiera. Ad
un atto così grande il cristiano partecipa coll'atteggiamento riverente del
contegno esteriore, e più, col raccoglimento del suo spirito, tutto intento
alla grande azione che si compie, all'omaggio che si rende alla maestà di
Dio.
E che valore possono avere la Confessione e la Comunione pasquale, se queste
non sono che una formalità esteriore, compiuta perchè è venuto il tempo
fissato, perchè così fanno anche gli altri, senza che ne sia impegnata la
volontà per una ritrattazione risoluta e sincera dei peccati commessi e un
proposito altrettanto sincero ed efficace di non commetterli più?
Pur troppo questo è il modo con cui molti credono di soddisfare i loro
doveri religiosi. Ne segue che questi atti, destinati a rinnovare la vita
spirituale del cristiano, non influiscono per nulla sulla vita di molti
fedeli, i quali rimangono quello che erano, ripetono regolarmente i loro
peccati, e continuano tranquillamente una vita di mediocrità e di bassezze,
non certo degna di chi ha chiesto a Dio il perdono delle sue colpe e si è
nutrito del corpo e del sangue del Salvatore, divenuto nutrimento spirituale
del-1 anima sua.
E che dire di certe forme di divozione, nelle quali si cercherebbe invano un
sentimento di omaggio verso Dio, di ringraziamento, di proposito di vita
cristiana, ma unicamente la ricerca ansiosa di un beneficio materiale, colla
minaccia implicita, e qualche volta espressa, di abbandonare ogni pratica
religiosa se non si ottiene, e subito, quello che si domanda? Come sono
lontane certe divozioni dalla preghiera che Cristo ci ha insegnato come
modello di ogni preghiera ("quando pregherete, pregate così");
dove siamo invitati a chinarci riverenti davanti al Padre che è nei cieli,
per desiderare prima di ogni cosa il suo onore e la sua gloria e la docile
esecuzione della sua volontà, e poi domandare fihialmente il perdono delle
nostre colpe e il soccorso nei nostri bisogni!
L'
ESERCIZIO DELLA CARITA'
IL
MESSAGGIO CRISTIANO
E' noto a
tutti che Cristo nel Vangelo, dopo di averci comandato di amare Dio sopra
ogni cosa, facendo di questo il primo comandamento della legge, ha aggiunto
immediatamente un altro eomandamento, intimamente connesso col primo, di
amare il prossimo come noi stessi.
L'antica legge aveva già comandato di amare il prossimo. Ma questo amore
sembrava limitarsi alle persone più vicine, per amicizia, per parentela,
per razza o nazionalità. Nei termini così assoluti come Cristo li
enunciò, era un comandamento nuovo, e così egli si compiacque di
chiamarlo, ed un comandamento suo, perchè sgorgava proprio dal suo cuore
pieno di immenso amore per gli uomini, fino a dare per essi la vita. E come
sopprimeva ogni limite alla estensione di questo amore, che doveva
abbracciare tutti gli uomini, così Cristo elevava la intensità di questo
amore ad altezze impensate, dandogli come modello l'amore stesso da lui
portato a noi: "sicut ego dilexi vos - come io ho amato voi
".
Messaggio veramente divino! Programma magnifico, che vuole stringere in un
solo vincolo di amore e di aiuto vicendevole tutte le creature: destinato a
sopprimere le distanze, a lenire le sofferenze, ad attenuare le miserie che
affliggono l'umanità, a rendere a tutti più dolce la vita.
IL GRANDE
SCANDALO DELLA UMANITÀ
E perchè
invece ancora tante miserie, tante cattiverie, tante asprezze? Perchè
ancora la guerra colle sue stragi e le sue devastazioni, rese anzi Ogni
volta più gravi? Perchè dopo di essersi scagliati ferocemente gli uni
contro gli altri, gli uomini non sanno ancora deporre le diffidenze, e danno
l'esempio sconfortante, pauroso, della discordia? E quello che si vede nei
rapporti fra i popoli è, più in grande, quello che avviene,
proporzionalmente, fra i cittadini di una medesima patria, fra i membri
delle famiglie.
Questo inumano persistere di odii, di discordie, di asprezze, è il grande
scandalo della umanità intera, che dopo tanti secoli di Cristianesimo, non
è ancora riuscita ad attuare in pieno il gran comando di Cristo:
"Amatevi gli uni gli altri ".
Scandalo, di cui a torto si farebbe risalire la responsabilità al
Cristianesimo stesso. No, perchè esso contiene, nell'insegnamento di Cristo
che ci ha rivelato di essere tutti figli del medesimo Padre, nel suo comando
di amarci gli uni gli altri, di aiutarci, di perdonarci, nella promessa di
una ricompensa celeste per quello che avremo fatto ai nostri fratelli, e
più negli esempi stessi del Salvatore che ha data la vita per la nostra
salvezza - quanto basta per indurci alla pratica dell'amore.
E tanti infatti ci furono sempre, in tutti i tempi da che il Cristianesimo
è comparso sulla terra, che attuarono, spesso in modo grandioso ed eroico,
il precetto cristiano della carità.
Dall'addolcimento e poi il progressivo trasformarsi a scomparire della
schiavitù, alle distribuzioni di soccorsi organizzati intorno alle chiese
ed ai monasteri, poi al sorgere delle opere pie, ospedali, orfanotrofi,
ricoveri di ogni specie, sempre sotto la ispirazione di Cristo e
l'assistenza materna della Chiesa, fu continua e grandiosa la fioritura
della carità, cioè del vero amore, grande, operoso, sulla via del
Cristianesimo.
E la Provvidenza ha disposto che anche nei tempi moderni, quando al concetto
della beneficenza ispirata alla carità andava sostituendosi quello della
assistenza come funzione sociale, non mancassero, a colmare tante
immancabili lacune e a portare in mezzo al dolore uno speciale profumo di
gentilezza, ancora i grandi esempi della carità cristiana, che rispondono
ai nomi venerati di S. Giovanni di Dio e S. Camillo, e poi S. Vincenzo de'
Paoli, e poi gli eroi modernissimi della carità, i Santi Cottolengo e Don
Bosco, Don Guanella e Don Orione, per non nominare che i defunti già
passati al premio della loro carità, ma ancor vivi nelle opere grandiose da
loro fondate e viventi sulle due grandi basi, tutte cristiane, della carità
e della Provvidenza, che è, anch'essa, la più grande, divina,
organizzazione della carità.
Opere grandiose, queste, della carità cristiana; alle quali però è
doveroso aggiungere l'esercizio innumerevole di tanti atti di carità nelle
proporzioni piccole, minute, ma tanto preziose, della vita quotidiana.
E perchè, torna la domanda, rimane ancora tanta asprezza, tanto odio, nelle
famiglie, fra le classi sociali, fra le nazioni?
IL
NEMICO DELLA CARITÀ: L' EGOISMO
Si è che
pur troppo spesso ancora alla carità di Cristo si contrappone quello che è
il suo principale nemico, l'egoismo, per cui l'uomo si stringe nella
adorazione di sè, fino a disconoscere il bene e il bisogno degli altri, e
tutto sacrifica a questo idolo mostruoso, inumano. Egoismo che diventa
l'indifferenza e l'insensibilità verso i bisogni del fratello, lo
sfruttamento dell'opera e del bisogno altrui, l'antagonismo di classe,
l'imperialismo delle nazioni. Questo mostruoso idolo si contrappone al Dio
vero, il quale, pur non avendo bisogno di nessuno, usa la sua infinita
potenza per distribuire a tutti i suoi benefici, e in questo fa consistere
la sua gloria. Esso impedisce l'applicazione integrale del gran precetto
della carità, che appartiene alla essenza della vita cristiana, ed è il
secondo comandamento simile al primo.
Contro l'egoismo quindi, e invece verso l'esercizio largo, fervido della
carità deve rivolgersi l'attività del cristiano che vuoi vivere davvero,
in pieno, il suo cristianesimo. Ed egli trova nella sua fede e nella sua
professione cristiana i motivi altissimi per ispirarsi alla carità più
generosa. Il cristiano, alla luce del Vangelo, vede nell'altro uomo un suo
simile, a cui lo stringe comunanza di natura, di aspirazioni, di bisogni.
Vede la creatura di Dio, che ha in sè l'immagine del Creatore e una
partecipazione, per quanto limitata e fors'anco deturpata delle sue
perfezioni. Vede il fratello, perchè tutti. sono figli dei medesimo Dio,
che vuoi essere il Padre di tutti, e a tutti ha dato una figliolanza
adottiva, innalzando la natura col dono della grazia. Vede nel fratello
Cristo stesso, che ama di essere rappresentato presso ciascuno di noi dal
minimo dei nostri fratelli. Vede il comando di Dio, preciso, imperioso ed
insieme pieno di tanta, affettuosa, paterna sollecitudine: amatevi gli uni
gli altri.
ASPETTI
SOCIALI DELLA CARITÀ
Ma di
questo amore per i propri fratelli il cristiano deve avere un'idea, e poi
una pratica larga, ampia, quanto è ampio l'amore di Dio che l'ispira e il
bisogno dei fratelli. Non si esaurisce la carità nell'esercizio della
elemosina, colla quale, avendone il mezzo, procuriamo a chi non l'ha il
pane, il vestito, il ricovero, la cura all'ospedale. Questo rappresenta il
primo passo, un dovere immediato, un dovere di coscienza che tutti ci
stringe secondo la possibilità, e la cui trasgressione è una colpa, che
può essere grave se grave ed immediato è il bisogno del fratello e noi
possiamo venirgli in aiuto. E' un precetto scritto nel Vangelo: " Quod
superest date pauperibus ".
Ma come dicemmo, la carità, per il cristiano che la vuoi vivere intera come
Cristo gliela ha insegnata, non si esaurisce qui. Non è certo il caso di
pensare ad una assoluta uguaglianza di condizioni sociali ed economiche di
tutti gli uomini, chimera utopistica a cui nessuno seriamente può pensare,
per le infinite diversità di attitudini, di funzioni, di circostanze,
cosicchè neppure i regimi più avanzati hanno potuto attuarla. E'
indiscutibile però che un cristiano si deve sentire turbato al vedere le
troppe disparità fra una piccola classe di ricchi e la grande massa del
proletariato, che non possiede che le proprie braccia e il proprio lavoro. E
vede con turbamento e con timore per la tranquillità sociale la divisione
della umanità nelle due grandi classi, ricchi e proletari, fra di loro
divisi da antagonismo che raggiunge spesso l'odio.
Ed allora il cristiano pensa ad un migliore ordinamento sociale, che
diminuisca la distanza delle classi, con una migliore partecipazione dei
nullatenenti alla cultura, alle comodità della vita, alla stessa
proprietà, che anche in piccole proporzioni può rappresentare un fattore
di sicurezza avvenire, di giusta indipendenza. E nello stesso rapporto fra
capitale e lavoro, pensa ad una maggiore partecipazione del lavoratore alla
responsabilità della azienda, sia pure in limiti che non compromettano
l'ordine e lo sviluppo della produzione.
Sono questi i problemi che da decenni formano la questione sociale. Essi
sono molte volte agitati in forma concitata e rivoluzionaria. Perchè il
cristiano non li dovrebbe guardare da un punto di vista di maggior giustizia
e concordia sociale, pronto a prendere in considerazione con animo sereno
anche riforme sociali ardite, se intese a favorire un regime di maggiore
uguaglianza e concordia fra le classi? Con questo spirito, potrà trovare
conforme ad equità ed a cristiano spirito di concordia anche qualche onesta
e pacifica riduzione della condizione di privilegio finora da lui goduta,
sia pure come frutto del suo lavoro o del lavoro dei padri, in vista della
possibilità che anche per altri maturi un analogo frutto del proprio
lavoro.
Questo è il contenuto del pensiero sociale della Chiesa, illustrato in
documenti immortali dei Sommi Pontefici. Leone XIII nella enciclica Rerum
Novarum invitò tutti a procurare un miglioramento della condizione degli
operai, secondo giustizia e carità. Pio XI nella enciclica Quadragesimo
anno auspica una evoluzione del contratto di salariato verso la
compartecipazione propria del contratto di società. Pio XII, difendendo
contro il collettivismo i fini sociali della proprietà privata, ha
auspicato una larga partecipazione dei lavoratori alla piccola proprietà
(Messaggio Natalizio 1942).
Un cristiano che, perchè favorito fin qui dalla fortuna, non vedesse di
buon occhio e non si credesse in dovere di favorire, nelle forme temperate e
legali, un miglioramento, una elevazione delle classi umili, non mostrerebbe
di vivere in tutta la sua interezza il suo Cristianesimo, ideale di
giustizia, di carità e di concordia sociale. Come non lo vivrebbe il
cristiano che per arrivare a questo risultato pensasse a violenze, o a
utopistici livellamenti che la natura non permette. E peggio se per questo
volesse seminare nelle masse l'odio e lo spirito di sopraffazione.
LA PARTECIPAZIONE ALLA VITA PUBBLICA
Finalmente
richiamiamo la vostra attenzione sopra un altro punto di vita cristiana: la
vita pubblica.
L'uomo non è un individuo isolato, che debba starsene appartato,
trascurando ogni rapporto colla vita dei suoi simili, o lasciandone la cura
agli altri che se la vogliano assumere. No; l'uomo vive nella società e ne
fa parte. E le forme più evolute dei regimi, quali si sono andate sempre
più sviluppando in senso democratico, importano che dalla partecipazione di
tutti vengano l'andamento e il governo della vita pubblica. Naturalmente,
non nel senso che a tutti possa spettare una effettiva direzione della cosa
pubblica; ma a tutti, nelle forme e nei limiti stabiliti dalla legge, spetta
contribuire col proprio voto alla scelta delle persone che dovranno assumere
le funzioni di partecipazione effettiva al governo della nazione.
Ne segue, che partecipare col proprio voto alle elezioni legislative è un
atto di carità patria. E diventa un dovere grave, quando si sa che dalla
propria astensione o da una votazione fatta male possa essere favorita
l'elezione di persone che possano imprimere al governo della Patria un
indirizzo non buono.
Per questo noi rinnoviamo le notificazioni che già sono state date a suo
tempo.
a) Mentre
l'Assemblea Costituente eletta due anni or sono ha provveduto a compilare la
nuova Costituzione, cioè la legge fondamentale intorno al governo dello
Stato, ora si tratta di eleggere il nuovo Parlamento (Camera dei Deputati e
Senato), che dovrà fare le leggi intorno ai tanti problemi che riguardano
gli interessi di tutti i cittadini. Fra questi problemi ce ne sono che
importano molto anche alla nostra coscienza di cattolici, come il
matrimonio, l'indirizzo da dare alla scuola, i rapporti colla Chiesa, che
noi dobbiamo volere sempre buoni.
b) E'
dunque dovere grave di ogni cittadino cattolico di partecipare alla
votazione del 18 aprile, e di dare il voto per quelle liste e quelle
persone, delle quali siamo sicuri che si ispirino al pensiero cristiano, e
non favoriranno leggi o provvedimenti contrari alla religione ed al bene
della Patria.
c) Per
questo bisognerà accertarsi quali siano le liste e le persone che, per i
loro princìpi e per la loro attività antecedente, diano questo sicuro
affidamento.
Non avvenga che per l'astensione di alcuni o per una votazione fatta non
secondo le avvertenze dette sopra, si costituisca un Parlamento dal quale la
Religione o la Patria abbiano a temere gravi danni. Rìcordiamoci del nostro
dovere di cattolici e di italiani.
* * * * *
Figli
dilettissimi, vi abbiamo rivolto una parola intesa a ricordarvi il vostro
dovere, per una vita veramente cristiana, per cui quando compariremo al
tribunale di Dio, egli ci riconosca veramente suoi fedeli, e possiamo
intanto essere di edificazione, non di scandalo a chi ci osserva, e non
avvenga che per colpa nostra ne scapiti l'onore e l'efficacia della nostra
fede.
I tempi sono tristi, per le difficoltà della ricostruzione dopo i danni
della guerra e per l'irrequietudine degli animi. Il Signore ci assista e
preservi dal male ciascuno di noi, la Patria diletta, il mondo intero.
Vi benedico nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo.
Brescia, 15
febbraio 1948.
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