Nel
rivolgervi, figli dilettissimi, come di consueto, la nostra parola
pastorale in occasione della Santa Quaresima, il nostro pensiero non può
staccarsi dal momento gravissimo che tutti viviamo, la guerra con tutte le
sue conseguenze: i vuoti dolorosi lasciati in tante famiglie; la
prolungata lontananza di persone care, prigionieri lontani, quasi in ogni
parte del mondo, o in altre parti d'Italia separate da noi da un fronte di
combattimento e di fuoco; l'incertezza della sorte di tanti altri; le
distruzioni di una guerra spietata portata al di là del fronte dove si
combatte, a recare sterminio anche nelle nostre città e nelle nostre
campagne, e a seminane di vittime innocenti: i disagi presenti e le
incertezze del domani; e poi, le condizioni dolorose della Patria
martoriata, divisa, villipesa, nonostante le sue gloriose tradizioni e gli
sforzi e i sacrifici di tanti suoi figli.
In questo cumolo di mali che ci affligge, voi aspettate da Noi, non la
parola della strategia o le discussioni della politica, ma l'accento della
fede, la nostra santa fede cristiana; che forse qualche volta sembra
venirci meno di fronte al prolungarsi della tribolazione, ma che pure ha
sempre una parola da dire a noi, per ristabilire nella nostra anima un po'
di serenità, per sostenere la nostra fiducia e additarci la via del
dovere.
Che cosa ci dice la nostra fede nel momento presente della tribolazione?
Che via ci addita per il prossimo domani?
I
LA
PAROLA DELLA FEDE NEL MOMENTO PRESENTE
UN
PENSIERO ALLA PROVVIDENZA
Innanzi
tutto, dobbiamo guarderei dalla insidia della tentazione che facilmente si
presenta al nostro spirito, desideroso di bontà e di pace, di fronte ai
mali della vita, ai dolori che ci fanno soffrire; tanto più quando
vediamo la sofferenza prolungarsi ed estendersi anche ai buoni, e la
violenza minacciare di compromettere cose e istituzioni che ci sono care e
ci sembrano meritevoli di vivere e di compiere la loro benefica funzione
nel mondo: la famiglia e la Patria.
Come possono conciliarsi - così la tentazione - colla Provvidenza divina
tanti mali, tanti dolori che da tanto tempo affliggono il mondo?
La domanda è spesso sulle labbra di increduli e anche di credenti, e
qualche volta sembra assumere il tono del lamento irriverente e della
bestemmia, e concludere in una negazione della stessa esistenza di Dio.
Ebbene, no. Tronchiamo sul nostro labbro la domanda indiscreta, la parola
irriverente. Anche se qualche volta l'azione di Dio nel mondo ci si può
presentare avvolta in una certa oscurità (che non ci deve meravigliare
trattandosi di Dio, tanto al di sopra della nostra intelligenza), la sua
Provvidenza ci si manifesta così grandiosa ed evidente nel mondo che ci
circonda, che deve rassicurarci e farci chinare riverenti e fiduciosi il
capo davanti alle sue disposizioni, anche se avvolte di mistero.
Guardatevi intorno, e vedete come nel mondo materiale e e un ordine
grandioso, magnifico, dove tutto procede in modo da attirare la nostra
ammirazione, tanto più quanto più si avanzano le nostre conoscenze. Da
tutto questo universo materiale viene quanto è necessario per il
sufficiente e conveniente sostentamento della grande famiglia umana. E'
Dio che provvede a tutti l'alimento, il vestito, l'alloggio, anche il
rimedio per le eventuali malattie.
Ma Dio ha dato all'uomo, il re dell'universo, intelligenza e libertà, e
con questo ha disposto che egli potesse governarsi da sè, diventato,
sotto la generale Provvidenza di Dio, provvidenza a se stesso. Egli dovrà
crearsi il suo benessere, la sua felicità, e ne avrà merito. E perchè
vi possa riuscire, bene usando della sua libertà, Dio gli ha dato una
legge, magnifica espressione della sapienza del Creatore, adattata
perfettamente alle esigenze della nostra natura. E questa legge ha
scolpito nella coscienza dell'uomo, l'ha scritta nella sua rivelazione,
l'ha perfezionata nel suo Vangelo.
Come nelle leggi fisiche che reggono l'universo materiale c e quanto basta
per il nostro sostentamento, così nella legge morale che Dio ha dato alla
nostra coscienza c'è quanto basta, colla sua grazia ch'Egli non manca di
aggiungere, perchè l'uomo si contenga bene in modo conforme alla sua
dignità e nei rapporti coi suoi simili. Questa legge impone agli uomini,
- a tutti gli uomini, nonostante le differenze di nazionalità o di
civiltà, - di volersi bene, di aiutarsi gli uni gli altri, di scambiarsi
i prodotti del suolo, che Dio ha sparso nelle diverse parti del mondo, ma
devono servire ai bisogni di tutti. Ce n'è quanto basta per una pacifica
e fruttuosa convivenza di uomini e di popoli.
Sono gli uomini che non hanno voluto seguire questi dettami di sapienza e
di bontà. Purtroppo, al posto dell'amore, che doveva portare ad una
collaborazione amichevole, sono sorti gli egoismi:
egoismi di individui, che hanno spinto l'uomo contro il suo simile;
egoismi di popoli, che hanno spinto i popoli ricchi di forza e di risorse
a rifiutare ai popoli deboli e poveri il necessario per una vita
conveniente e dignitosa. Di qui le guerre economiche, e poi le guerre
militari, con tutte le orribili conseguenze. Poichè in questi conflitti
generati dagli egoismi gli uomini hanno saputo portare tutta la loro
scienza, diventata non più nobile espressione dell'intelligenza rivolta a
progresso e bene comune, ma strumento per trovare nuovi mezzi sempre più
potenti di violenza e di distruzione.
Così è avvenuto, o figli dilettissimi. E allora, oseremo accusare Dio e
la sua provvidenza per i mali della guerra?
Riconosciamo invece nel fatto che non si sia potuto provvedere alle giuste
aspirazioni dei popoli senza il flagello della guerra il gran delitto
dell' umanità, che ha rifiutato la legge di bontà e di amore e ha voluto
allontanarsi da Dio, pensando di poter fare da sè. Dio ha lasciato che
gli uomini facessero da sè. Ecco il grande castigo!
PERCHE'
GLi INNOCENTI?
Ma
intanto, si dice, ne soffrono anche tanti innocenti. E qui alla nostra
mente si affacciano tante vittime morte nell'adempimento del proprio
dovere, o colpite dalla violenza nemica in tante barbare incursioni su
città e campagne indifese. E poi, anche i popoli non sono tutti
egualmente colpevoli.
E' vero. Ma quanti possono dirsi veramente senza peccato? Persone singole
e popoli? Non crediamo di non lasciarsi prendere da una soverchia
ambizione nazionale pensando che il popolo italiano ha tante belle
qualità e, in confronto di altri popoli, lo si può dire più attaccato
alla sua fede, provvisto di buone tradizioni e di virtù familiari. Ma
pure, se ci guardiamo intorno, noi vediamo purtroppo che anche queste sue
virtù vanno diminuendo, e si avanza nella vita delle nostre masse, umili
ed elevate, un paganesimo pratico, che fa spavento, e che, insieme con
tante offese di Dio, sembra compromettere la stessa fede del nostro
popolo, che minaccia di ridursi ad un puro formalismo esteriore. Ed allora
oseremo insorgere contro la Provvidenza di Dio, se egli permette che anche
noi, che anche gli innocenti sentano le conseguenze del castigo che
l'umanità peccatrice infligge a se stessa?
Piuttosto, un conforto noi possiamo ricavare dal pensiero della
misericordia divina. Attraverso a questo cumulo di dolori, a questo bagno
di sangue, Dio vuole purificarci e ricondurci ad una vita migliore. E le
stesse sofferenze dei buoni, sopportate con fede e rassegnazione, insieme
con quelle del vero grande Innocente, il Salvatore divino, serviranno come
espiazione davanti alla giustizia di Dio per propiziare il perdono alla
umanità peccatrice. Felici voi, individui e popoli, se attraverso questa
espiazione ne vorremo uscire migliorati, più aderenti ai grandi dettami
della Fede, ridiventata la nostra ancora di salvezza in mezzo al naufragio
della civiltà.
Ma per propiziarci così la divina misericordia, sono necessarie tre cose,
che non cessiamo dal raccomandarvi.
PREGHIERA
1.
Dobbiamo pregare.
La preghiera è l'atteggiamento di chi si trova nel bisogno, e sa di poter
rivolgersi per questo al Padre che è nei cieli; non colla pretesa di chi
vanta un diritto e si presenta a riscuotere un credito, ma colla fiducia
nella bontà e provvidenza di chi conosce le nostre miserie ed è
inclinato a perdonarci le nostre colpe. E' l'invocazione " liberaci
dal male " che Cristo stesso ci ha messo sulle labbra nella preghiera
insegnata da lui, che, se in primo luogo deve essere intesa del peccato,
che è il più grande e vero male nostro, secondariamente si intende anche
degli altri mali che ci possono incogliere nelle vicende della vita. Egli
stesso, il Salvatore divino, come ci narra il Vangelo, nella sua vita
terrena ha accolto le suppliche delle turbe che si affollavano intorno a
lui e gli domandavano la guarigione dalle malattie, il conforto nei
dolori.
Pregheremo dunque, e pregheremo con perseveranza e fiducia, che il Signore
si degni risparmiare a noi, alle nostre città, alle nostre campagne, i
mali della guerra. Pregheremo che siano confortati tanti dolori,
provveduto a tante necessità. Pregheremo che, mentre gli uomini
combattono, egli colla sua azione misteriosa e potente diriga gli
avvenimenti ed influisca sugli uomini da cui dipendono le sorti della
guerra, perchè questa conduca presto ad una pace giusta e duratura, nella
quale siano salvaguardati gli interessi della civiltà, e la Patria
nostra, riunita e ricomposta, possa riparare le sue ferite ed avere nel
mondo quel posto che spetta al suo popolo laborioso e fecondo, alla sua
storia, alle sue tradizioni di maestra di civiltà.
Salga così al cielo la nostra preghiera, per i meriti del Divin
Salvatore, per l'intercessione della Vergine Santa e dei Santi nostri
Patroni. Ma perchè la nostra preghiera possa essere accetta, facciamo in
modo di presentarci al Signore coll'anima monda dal peccato e rivestita
della sua grazia. Come potremo pretendere che Dio ci guardi con
benevolenza ed accolga le nostre suppliche, se persistiamo ad essere
nemici suoi col peccato, e ci mostriamo incuranti della sua santa legge e
della sua gloria? Beati noi, se i mali della guerra ci avranno indotto a
renderci migliori, e a riprendere una vita cristiana, forse da tempo
abbandonata.
PENITENZA
2. Alla
preghiera uniamo spirito di penitenza.
E' cosa altamente deplorevole che, mentre tanti soffrono e muoiono, e sono
in pericolo le sorti della Patria, vi sia della gente che sembra non pensi
ad altro che a divertirsi, sciupando nel lusso e nei bagordi quello che
potrebbe meglio servire a rendere meno disagiata la condizione di fratelli
nostri che sono nella privazione e nella miseria.
Il richiamo ad una vita più austera viene lanciato spesso anche in nome
della economia pubblica della nazione, a cui nuoce il troppo spendere,
mentre il risparmio rappresenterebbe per ciascuno un'utile previdenza, e
per l'economia pubblica una diminuzione di circolazione, in vantaggio del
valore della moneta. Ma valga, per un popolo cristiano, l'invito ad una
vita più austera anche e specialmente in nome di un principio più alto.
La penitenza rappresenta una espiazione, cioè una riparazione dei peccati
coi quali abbiamo offeso la maestà di Dio: riparazione che noi gli
rendiamo, o infliggendogli volontariamente una pena, o sopportando
docilmente, a modo di pena, una afflizione che ci viene dalle vicende
della vita.
C'è tanto bisogno di penitenza, perchè sono innumerevoli le offese che
si fanno a Dio. E perchè molti purtroppo a questo non pensano, e invece
di far penitenza moltiplicano i peccati, ecco che il cristiano offre in
riparazione dei peccati degli altri le sue penitenze, in unione a quelle
che ha sopportato per tutti il Divin Redentore, e prega con lui il Signore
che, in vista di quelle, risparmi i suoi castighi.
Quante occasioni di penitenza ci offrono le stesse prescrizioni portate
dal tempo di guerra, nel cibo e nella difficoltà di soddisfare a tanti
nostri bisogni, che in tempi normali sembrano rappresentare altrettante
necessità, ma ora ci siamo abituati a lasciare insoddisfatti. Invece di
inutili lamenti, invece di tentativi di evadere le prescrizioni che
vengono fatte in vista delle comuni necessità, sopportare con pazienza e
con spirito di fede quelle privazioni o restrizioni vorrà dire cooperare
all'ordine e al bene comune, ed insieme offrire a Dio qualche buona
mortificazione, a titolo di salutare espiazione.
Così la penitenza si unirà molto bene alla preghiera, rendendola più
accetta al Signore e più efficace ad ottenere la cessazione del castigo.
ADEMPIMENTO
DEI PROPRI DOVERI
3. Alla
preghiera ed alla penitenza dobbiamo aggiungere l'adempimento fedele dei
nostri doveri. Tutti i nostri doveri. Per due motivi: per non aggiungere
offese a Dio, perchè in ogni dovere il cristiano vede la volontà di Dio;
e per contribuire meglio al bene comune in questo momento di tanta
difficoltà.
Quindi, puntualità, ai doveri religiosi, anche se fin qui frequentemente
trascurati. Impegno speciale nei doveri familiari: fedeltà, vigilanza,
cura ed educazione dei figli, anche a compensare tanti dolori e tanti
danni che alla famiglia vengono spesso dalla lontananza o dalla perdita di
alcuno dei suoi membri. Esattezza nei doveri di cittadino, per contribuire
al buon ordine, alla disciplina, evitando tutto quello che possa rendere
più difficile la vita della Patria in un momento già tanto grave;
ubbidendo alle autorità costituite e portando loro rispetto, evitando
ogni violenza e tutto quello che può inasprire l'odio e la discordia che
divide i cittadini della medesima Patria; pronti ad incontrare per amore
della Patria qualunque sacrificio.
II
GLI
AVVERTIMENTI DELLA FEDE PER IL PROSSIMO DOMANI
LE BASI
DELLA RICOSTRUZIONE
Finirà
la spaventosa bufera che ancora sconvolge il mondo. Verrà la pace, e come
abbiamo detto sopra, noi pregheremo perchè sia una giusta pace, che
ristabilisca il mondo su basi migliori, e colla pace la Patria nostra,
colla collaborazione volonterosa di tutti i suoi figli ricomposti ad
unità, dovrà accingersi a medicare le sue ferite e ad un'opera di
ricostruzione.
La ricostruzione sarà laboriosa. Tanti edifici e tanti monumenti della
sua civiltà distrutti, tanta ricchezza da rifare. Pregheremo
l'Onnipotente che illumini e sostenga gli uomini che dovranno accingersi a
dirigere la grande, ponderosa impresa, per il bene di tutti.
Ma alla ricostruzione materiale dovrà aggiungersi, più preziosa e
difficile, la ricostruzione spirituale e morale. Bisognerà rifare le
coscienze, sbandate da quel paganesimo pratico, che, come abbiamo detto
sopra, è andato insinuandosi, spesso sotto una religiosità fattasi
troppo superficiale. Bisognerà richiamare i grandi principi, ed a quelli
uniformare con maggior diligenza e fedeltà la vita di tutti. E i grandi
principi ci verranno ancora dalla fede cristiana, dagli insegnamenti 'del
Vangelo.
Questa fede è stata già altre volte la salvezza della civiltà, che
appunto per questo si chiama cristiana, in tempi, nei quali sembrava che
le sue istituzioni dovessero venir travolte da una ondata di materialismo
e di barbarie. A questa fede risale quello che ancora rimane di buono, di
elevato, in mezzo ad un conflitto che tutto sembra travolgere, e quelle
virtù umili, nascoste, che ancora formano la saldezza e la santità
morale di molte famiglie del nostro popolo, sulle quali si basano le
migliori speranze per la sorte delle nuove generazioni.
DIO E
LA SUA LEGGE
1. La
nostra fede ci richiama innanzi tutto ad una grande, fondamentale verità:
che le virtù degli individui e l'ordine e la prosperità delle
istituzioni pubbliche non hanno possibilità di sussistere e di esercitare
la loro influenza benefica, se non si appoggiano su Dio e la sua santa
legge.
Solo quando sa di dover ubbidire a un Essere Supremo che è il suo stesso
creatore, e creandolo gli ha fissato la via da seguire, via sapiente ed
apportatrice di gioia e di bene, e dell'osservanza di questa sua regola
gli domanderà conto, ognuno si sente stimolato efficacemente ad
osservarla. E solo quando il cittadino vede nelle leggi dello Stato non
una disposizione arbitraria, ma una applicazione di una legge superiore,
la legge naturale e divina, fonte di ogni diritto e di ogni dovere, insita
da Dio nella natura stessa delle cose e da lui voluta per il bene di
tutti, egli sentirà di doversi inchinare riverente e sottomettersi
volonteroso.
Si è tentato molte volte dai filosofi e dai politici di sottrarre la
coscienza e la legge positiva dal fondamento di Dio; e dovendoci pure
essere un principio che sia il fondamento della obbligazione e del dovere,
hanno voluto sostituirvi la ragione col suo imperativo categorico, la
coscienza, la pubblica utilità. Tutte cose buone, ma di cui nessuna
presenta quel carattere assoluto di obbligatorietà, davanti al quale
l'uomo senta di doversi piegare.
Per questo, se si vorrà ricostruire efficacemente per il bene dei singoli
e per il benessere della Nazione, bisognerà che le nuove generazioni
siano educate alla conoscenza ed al rispetto di Dio ed alla pratica della
religione, e che a Dio ed alla religione mostrino rispetto anche i
pubblici poteri.
PUREZZA DI COSTUMI
2.
Bisognerà, ci ammonisce ancora la nostra fede, rendere più morigerati i
costumi della nostra gente.
La purezza dei costumi è, possiamo dire, il principale coefficiente della
dignità personale, ed il fondamento dell'onestà e della stabilità della
famiglia, che rende idonea alla sua altissima funzione educativa, sulla
quale deve fare assoluto assegnamento la prosperità, come la sanità
morale della società civile. La storia sta a dimostrare (a cominciare
dalla stessa storia di Roma) che anche nazioni potenti ed altamente
benemerite della civiltà hanno trovato il loro declino fatale, quando
venne a mancare su larga scala la purezza dei costumi.
Le nostre popolazioni hanno avuto buone tradizioni su questo punto. E
questo era il fondamento di altre loro virtù caratteristiche, la
laboriosità, la parsimonia, la buona compagine e la buona educazione
familiare.
Ma ora la moralità del nostro popolo sembra sbandare paurosamente. Il
libertinaggio prende tanta parte della gioventù. Ed alla sfrontatezza
della gioventù maschile fa riscontro mancanza di serietà nella gioventù
femminile, la quale sembra aver perduto quell'amore al riserbo ed alla
modestia, che era il suo principale ornamento e la principale difesa della
sua virtù.
Quel grande scrittore, profondamente cristiano ed altamente italiano, che
fu Alessandro Manzoni, diede nel suo immortale romanzo una magnifica
figura della giovane delle nostre campagne, in Lucia, vero esempio di
modestia e di virtù cristiane. Ma i romanzi di cui si compone ora tanta
parte della nostra letteratura presentano ben altri tipi di donna e di
giovane; e su di essi amano modellarsi tante, che così perdono l'amore
alla famiglia, e preferiscono l'avventura, anche se scabrosa, anche se in
essa trovano poi la catastrofe. Giovinezze sciupate, e di conseguenza
famiglie male assortite, dove la fedeltà, la maternità, l'educazione non
sono più l'onore e l'ambizione più bella, ma un peso portato mal
volentieri e facilmente tradito.
Di qui gli scandali, le discordie familiari, le nascite illegittime, i
delitti contro la maternità.
Che se ne può aspettare per la sanità morale della nostra gente, per la
formazione delle nuove generazioni?
E' necessario che si ritorni alle migliori nostre tradizioni; meglio
ancora, alla osservanza fedele della legge di Dio. A formare alla purezza
la nostra gioventù, è necessaria un'educazione accurata e severa,
illuminata dall'esempio di coloro stessi che la devono impartire, cioè i
genitori. E intorno all'ambiente familiare ènecessaria una coraggiosa
bonifica dell'ambiente esterno, troppo inquinato e scuola di immoralità.
Il costume pubblico, e anche un po' di santo coraggio dei singoli, devono
reagire contro la bestemmia e il turpiloquio, dilaganti nei luoghi di
pubblico ritrovo, negli stabilimenti, nei convogli affollati. Nei medesimi
luoghi, dove tutti devono trovarsi per necessità, non devono essere
permessi gesti indecenti, ed il pubblico sano deve abituarsi a reagire,
come per un'offesa fatta a sè oltre che alla legge di Dio. Non si deve
permettere che il teatro ed il cinematografo diventino per tanti scuola di
immoralità. E lo sono, non solo per le nudità, ma anche per la vita che
essi presentano, spesso contraria alle buone regole dell'onestà.
SENSO
DI GIUSTIZIA
3. E'
necessario un maggior senso di giustizia.
Le circostanze anormali in cui ora si vive danno a molti l'occasione di
illeciti guadagni. Tipico il fenomeno a cui si è dato il nome di mercato
nero. Molti approfittano della scarsità di alcuni prodotti necessari alla
vita, ed eludendo le prescrizioni di legge, riescono ad accumularne
quantità eccedenti i loro bisogni e a venderle a prezzi esorbitanti. E in
questo modo sottraggono quelle merci e, quello che è peggio, generi
alimentari di prima necessità, a tanti che ne hanno bisogno, ma non hanno
le forti somme richieste.
E pur troppo questo non è il solo caso di ingiusti guadagni.
Approfittando dei tempi anormali, molti cercano di guadagnare in tutti i
modi possibili, in grandi o in piccole proporzioni, senza più domandarsi
se così non eccedano i limiti del lecito ed onesto. Una brutta parola,
" arrangiarsi ", sembra riassumere il programma di tutti. Si
direbbe che è la stessa coscienza che è venuta meno ed ha rinunciato
alla sua funzione di controllo, di fronte alla possibilità di un
guadagno.
Ora bisogna che la giustizia riprenda il suo posto, come regolatrice
sovrana dei rapporti fra gli uomini. A ciascuno il suo:
non è lecito approfittare di una circostanza favorevole, della propria
abilità o del bisogno altrui, per appropriarci quello che non ci
appartiene, anche se pensiamo di avere sicura l'impunità.
Anzi, un più completo senso di giustizia sociale sembra esigere qualche
cosa di più. In un momento così grave della storia, quando tante cose e
istituzioni sembrano crollare, e tutti, uscendo dalla spaventosa
catastrofe della guerra, si aspettano qualche cosa di nuovo, di meglio,
che ponga la compagine sociale su basi più solide, bisognerà che siano
rivedute posizioni nei rapporti fra uomini ed uomini, che finora hanno
potuto sussistere in un apparente ordine sociale, ma portando in sè i
germi di dissensi e di convulsioni sociali. L'ordine nuovo che dovrà
venire dopo la guerra terribile e sanguinosa, dovrà cercare di dare una
soluzione più razionale ed umana, più cristiana, alla questione sociale.
Non dovranno seguirsi ideologie utopistiche e pericolose, che vorrebbero
l'abolizione delle classi sociali ed una eguaglianza assoluta, che la
natura contraddice colle molteplici differenze di capacità, di
attitudini, di necessità ch'essa ha posto negli esseri umani. E' lecito
però auspicare che siano attenuate le differenze economiche e migliorate
le condizioni degli umili. Non l'abolizione della proprietà privata, come
si vorrebbe da alcuni; ma una condizione di cose che renda possibile una
maggiore diffusione della piccola proprietà, considerata come fonte di
iniziative, presidio di una onesta dignità e indipendenza economica, in
armonia colla dignità propria della persona umana, e coefficiente di una
più decorosa e tranquilla vita familiare. Ed insieme, un giusto
riconoscimento dei diritti del lavoro: diritto ad una conveniente
retribuzione, effettivamente sufficiente al sostentamento del lavoratore e
della sua famiglia; col sussidio di quelle provvidenze che gli possano
permettere di guardare al suo avvenire con relativa tranquillità, senza
lo spauracchio della disoccupazione, della vecchiaia, della miseria.
Tale è la dottrina sociale della Chiesa, ripetutamente esposta in
documenti immortali dei Pontefici Leone XIII, Pio XI, Pio XII: dottrina
che non promette agli uomini un paradiso in terra colla esclusione di ogni
sofferenza, ma, in nome della uguaglianza sostanziale degli uomini davanti
a Dio, e della evidente destinazione dei beni materiali della terra al
conveniente sostentamento di tutti, cerca di attenuare le troppo grandi
differenze, rendendo migliori le condizioni delle classi più umili.
Questa attuazione di una maggiore giustizia sociale, che governi più
illuminati hanno già in parte cercato di attuare, sarà il problema a cui
dovranno tendere le riforme attuate dai pubblici poteri, che per altro la
dottrina cristiana ammonisce a non pretendere l'impossibile e a non
violare i diritti di nessuno. Ma dovrà incontrare anche la comprensione
di tutti quelli che si ispirano alla dottrina della nostra fede, pronti
per questo ad affrontare volonterosamente qualche riduzione delle proprie
ricchezze per venire incontro ai fratelli che si trovano in condizioni
inferiori.
MAGGIOR
SENSO DI CARITA'
4. E'
necessario anche, e soprattutto, un maggior senso di carità.
La carità non è un complesso di regole che rientrino nei codici umani,
colle relative sanzioni del codice penale. Essa entra però nel gran
codice divino del Vangelo di Cristo, di cui forma il distintivo ed il più
bell'ornamento. Cristo l'ha chiamata il suo precetto, ha voluto che fosse
il distintivo dei suoi seguaci. E perchè quasi non vi fosse un limite
all'esercizio di essa fra gli uomini, ha dato come modello e misura
nell'esercizio della carità l'amore che egli stesso ci ha portato.
Ma il mondo, come nella sua apostasia, troppo spesso effettiva se non
ufficiale, dal Vangelo, ha passato sopra a tanti altri precetti del codice
divino, così ignora quello della carità, O riduce la carità alla
beneficenza burocratizzata, diventata una funzione di Stato, la pubblica
assistenza.
La carità di Cristo è ben altra cosa. E' amore verso i nostri simili,
che rientra nell'amore stesso di Dio, perchè i nostri simili sono sue
creature ed immagini, per quanto imperfette e spesso cattive, e perchè è
Dio che ci comanda di amarli. E questo amore ci porta a volere il loro
bene come il nostro, e a soccorrerli in ogni bisogno.
La carità va al di là della giustizia. Questa ci fa dare a ciascuno il
suo, ci fa rispettare i diritti di ognuno. La carità presuppone tutto
questo, ma poi, al di là e al di fuori di ogni diritto, osserva dove c'è
un bisogno, e vi provvede secondo le sue possibilità. Così essa colma le
lacune lasciate dalla stessa giustizia. Di più, essa stabilisce fra gli
uomini un rapporto di amicizia, che sa comprendere e confortare le
sventure degli altri, compatire i difetti, perdonare le offese.
Questo è ben di più della semplice beneficenza organizzata, anche, se
volete, con potenza di mezzi. Essa elimina la distanza, avvicina gli
animi.
E' questa carità che pur troppo manca, anche se si possono enumerare
molte istituzioni di beneficenza e funzioni pubbliche di assistenza. La
guerra, condotta spietatamente, senza limiti di offesa, colle sue
distruzioni e le sue morti, ha creato una infinità di dolori e di
bisogni. Ed ha insieme strappato dall'animo di molti ogni sentimento di
amore. Si è seminato su larga scala l'odio. Odio contro il nemico, con
propositi di mutua distruzione. Odio anche fra i concittadini,
specialmente in questa Italia nostra, che alle sue disavventure dolorose
ha visto aggiungersi la guerra civile di Italiani contro Italiani. Odio,
violenza, desiderio di vendetta, ecco il triste retaggio, che minaccia di
prolungarsi anche quando la guerra sarà finita e ristabilita la pace.
Ma non deve essere così. Guai se così fosse! La guerra ha seminato una
quantità di dolori e di bisogni. La nostra carità deve aumentare in
proporzione.
Al dolore dei nostri fratelli daremo la compassione sincera, affettuosa,
di un cuore che sa comprendere, confortare, suggerire le grandi
consolazioni della fede.
Di fronte ai loro bisogni, la nostra carità diventerà attiva, generosa,
spezzerà il proprio pane per farne parte al fratello, si farà sua
compagna e guida per trovargli aiuto.
Di fronte ad ogni manifestazione di odio, specialmente fra i concittadini,
faremo opera di pacificazione, di comprensione, nel rispetto vicendevole,
nella considerazione della Patria comune, che ha bisogno dell'opera
concorde di tutti i suoi figli, anche al di sopra delle eventuali
divergenze di vedute.
* * * *
* * *
Ecco, o
figli dilettissimi, alcuni pensieri, fecondi di propositi generosi, che la
nostra fede ci suggerisce per il tempo di guerra, e per il prossimo
futuro, quando la guerra sarà finita e verrà il tempo della
ricostruzione.
La Quaresima e la Pasqua che si avvicina sono un tempo propizio per
meditarli. La Pasqua soprattutto, mediante la partecipazione al Sacramento
della riconciliazione e a quello augustissimo del Corpo e del Sangue del
Salvatore, fatto cibo delle anime nostre e sacro vincolo di unità di
tutti i redenti, ravvivi negli animi nostri propositi generosi di vita
cristiana, a vantaggio nostro e della Patria diletta.
Il Signore benedetto, Padre, Figliuolo e Spirito Santo, ci benedica tutti
e ci conceda la sua pace.
Brescia,
4 febbraio 1945.
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