Nel
rivolgervi, come di consueto, la nostra parola nella Pastorale della
Quaresima, il nostro pensiero non può prescindere dalle condizioni in cui
ci troviamo. Anche quest'anno la Quaresima ci trova in guerra. La Nazione
è in armi in uno sforzo grandioso. Molti delle nostre famiglie sono
lontani per compiere il loro dovere. Dolori e lutti sono un po'
dappertutto, non solo fra noi, ma in tutto il mondo. Che cosa verrà da
questa bufera che sconvolge il mondo?
Tutti annunciano un ordine nuovo. E in mezzo ai sacrifici che tutti
sopportano, si desidera davvero un ordine di maggior giustizia, in cui a
tutti i popoli sia dato il loro posto secondo i bisogni e le attitudini, e
ciascuna classe sociale una congrua partecipazione ai frutti del proprio
lavoro.
Ben venga questo ordine nuovo. Dio illumini e sostenga i reggitori dei
popoli che dovranno assumerne l'enorme responsabilità. Il Santo Padre Pio
XII, che nella sua sollecitudine paterna non cerca altro, colla parola e
colla preghiera, che affrettare una pace giusta e duratura, che ponga
davvero fine alla tribolazione, ha presentato ai governanti ed al mondo
intero idee sapientissime, attinte alla dottrina del Vangelo e della
Chiesa, come fondamento di una pace e di un ordine ispirato alla giustizia
cd alla collaborazione dei popoli.
Nelle nostre preghiere noi non cesseremo di chiedere al Dio della
giustizia e della pace, che diriga i nostri governanti e nella sua
Provvidenza rimuova le difficoltà che si oppongono ad una opera di tanta
importanza, come è quella di porre l'ordine dove finora ha dominato la
violenza.
Ma una cosa possiamo dire: che tutti gli accorgimenti della politica non
riusciranno ad attuare un vero ordine stabile, destinato a produrre e
conservare la proprietà comune, se mancherà nelle masse e nelle persone
che le dirigeranno la coscienza ben radicata e precisa del proprio dovere,
a costo anche di rinunce e sacrifici. E questa coscienza non si può avere
senza una religiosità profondamente sentita e diventata le legge della
vita. Solo chi sa di dipendere da un Dio legislatore assoluto, che è
insieme la fonte di ogni aiuto e il giudice infallibile e rimuneratore
munifico, può avere la capacità di compiere sempre e di fronte ad ogni
difficoltà il proprio dovere.
Ora il nostro popolo ha questa coscienza religiosa? è veramente e
intimamente cristiano, cioè consapevole del dovere di essere fedele alla
legge di Dio fino a tutte le sue conseguenze?
Questa domanda può sembrare un'offesa alle nostre buone popolazioni,
eminentemente cristiane. Nè noi vogliamo dubitare della sincerità della
loro fede. Eppure, data la gravità del momento, e dei problemi che si
potranno presentare in un prossimo avvenire, pare venuto il tempo di
invitare tutti ad un sincero esame di coscienza. E' proprio, la vita di
tutte le nostre popolazioni, come dovrebbe essere per potersi dire
veramente cristiana, cioè in tutto conforme ai postulati della sua fede?
E non correrà pericolo di vacillare questa stessa fede, se non è
vivificata e sostenuta da una vita corrispondente? E sappiamo noi
valorizzare in pieno la nostra fede, cosicchè produca tutti quei frutti
benefici che Cristo ha portato nel suo Vangelo?
Pur troppo vi sono dei sintomi dolorosi ed inquietanti. Noi vogliamo
richiamarli brevemente, perchè tutti facciamo bene il nostro esame di
coscienza e comprendiamo le nostre responsabilità verso la nostra
professione cristiana, per non lasciare inoperoso in noi un patrimonio
prezioso, da cui dipende la salvezza nostra e della società.
RELIGIOSITA'
VERA
Una
religione sinceramente sentita deve nutrirsi di una fede viva, e di un
diligente e cosciente esercizio dei doveri religiosi.
E' tale la condizione di molti che pure, interrogati, sono pronti a dire
che sono religiosi?
In altri tempi c'era l'anticlericalismo che era avversione cordiale,
apertamente dichiarata, contro la religione cattolica, e ben di spesso
contro ogni idea religiosa, considerata come una superstizione contraria
al progresso della civiltà. E noi ricordiamo polemiche aspre, tentativi
settari di soffocare ogni manifestazione religiosa. Ora questa forma di
avversione aperta alla religione si può dire scomparsa, anche se talvolta
se ne trova qualche eco più o meno aperta nella stampa. Il Concordato ha
ricondotto l'insegnamento della religione nelle scuole. Nelle ricorrenze
patriottiche non manca spesso la celebrazione di una funzione religiosa,
con intervento di numerose rappresentanze.
Tutti religiosi, dunque?
Se la religiosità si potesse limitare ad una pratica esteriore, o a
qualche cerimonia ufficiale, forse lo si potrebbe dire. Ma v'è in tutti
una religiosità vera, intima, cosciente?
Ricordiamo un signore che era venuto a salutarci. Ci raccontò, fra
l'altro, che per una certa ricorrenza sua avrebbe partecipato ad una
funzione religiosa, e si sarebbe accostato anche alla Comunione. Era la
terza volta, diceva. Ed aveva 40 anni. " Io sono religioso, ma...
", e ci esponeva le circostanze che spiegavano la sua prolungata
assenza dalle pratiche più comuni della vita cristiana: mancanza di
istruzione religiosa nella sua fanciullezza, e così via. Non so che cosa
avrebbe risposto, se l'avessimo interrogato sulle principali nozioni del
catechismo. Eppure, a sentirlo, era religioso. Che cosa era dunque per lui
questa religiosità? Una certa bontà d'animo, assenza di ostilità verso
la Chiesa e le pratiche cristiane, amicizia con persone religiose,
partecipazione a qualche cerimonia solenne, e nulla più.
Quanti sono religiosamente in queste condizioni!
E quanti anche vi sono, che hanno una frequenza maggiore alle pratiche
cristiane, vanno ordinariamente alla Messa nei giorni festivi, osservano
anche il precetto pasquale, si sono sposati regolarmente, fanno battezzare
i loro bambini ma hanno una ignoranza quasi completa delle verità della
fede, e le loro pratiche cristiane si riducono ad una presenza pressocchè
passiva alla Messa ed alle altre funzioni; la religione non esercita
nessuna influenza sulla loro vita morale, che non è per nulla diversa da
quella di molti che non credono e che non si dicono cristiani.
E' questa la religiosità dalla quale si possa sperare una influenza
positiva nella vita individuale e collettiva, per una ricostruzione
cristiana della società dopo il cataclisma della guerra? Evidentemente
no.
ISTRUZIONE
RELIGIOSA
La
religiosità che possa meritare davvero questo nome e che possa davvero
esercitare la sua benefica influenza, deve innanzi tutto comprendere una
conoscenza abbastanza approfondita, secondo la capacità e la coltura di
ognuno, delle verità della fede:
quelle verità che non sono soltanto un elenco di affermazioni astratte,
ma hanno un'influenza profonda nell'orientamento di tutta la nostra vita.
Perchè questa conoscenza possa essere acquistata sufficientemente dai
fanciulli e dai giovinetti, v'è il catechismo parrocchiale, che.
coll'insegnamento religioso che si impartisce nella scuola, costituisce,
per la grande maggioranza, l'unico mezzo di istruzione religiosa per la
gioventù. Per questo la Chiesa dà all'opera del catechismo un'importanza
massima. Essa ne fa un dovere gravissimo per i parroci e per tutti gli
istituti di educazione. E vuole che, mentre i metodi pedagogici si
aggiornano continuamente e l'insegnamento in ogni ramo viene sviluppandosi
per abbondanza di mezzi e preparazione di persone e di ambiente,
l'insegnamento del catechismo non resti ai metodi che potevano bastare una
volta, e si circondi di tutto quello che può costituire un'attrattiva per
il fanciullo. E come del catechismo fa un dovere ai parroci ed ai
sacerdoti, e fa appello per le opere del catechismo alla cooperazione di
tutti i volonterosi, così ne fa un dovere di coscienza ai genitori,
perchè procurino abbondante ai loro figli il nutrimento dello spirito,
con non minore sollecitudine che il nutrimento materiale.
Nè l'istruzione religiosa deve limitarsi ai fanciulli e giovinetti.
Perchè conservi sempre la sua benefica influenza, proporzionata all'età
e maturità della persona, essa deve continuare sempre. Se noi domandiamo
conto della cognizione che hanno delle cose della religione a tanti che si
sono fermati al catechismo imparato quando erano fanciulli, avremmo
risultati ben meschini. Pensate che cosa resterebbe di quel catechismo,
dopo gli anni della giovinezza e della età matura, assorbiti da tutte le
preoccupazioni degli studi, degli affari, della vita, se poi la mente non
v'è tornata sopra per riparare gli effetti della dimenticanza, del
dubbio, dell'influsso deleterio della miscredenza o indifferenza altrui.
Sarà un ricordo lontano, gradito se volete, perchè circonfuso della
poesia della fanciullezza, di nozioni elementari e confuse, ben lontane
dal corrispondere alle necessità di una fede e di una religiosità che
devono informare di sè tutta la vita. Non ha altra ragione, per molti,
l'indifferenza religiosa, o la scarsa religiosità che ci riduce a qualche
pratica esteriore.
Di qui la necessità, per tutti, che anche nella età matura si continui
il richiamo e lo studio delle verità religiose. La Chiesa, che ha da Dio
la missione di insegnarla, non ha mancato di provvedere a questa
necessità. Chi non ricorda le prescrizioni del Santo Padre Pio X, entrate
poi nel Codice di Diritto Canonico, perchè in ogni parrocchia ci fosse la
spiegazione domenicale della Dottrina Cristiana per gli adulti? E a questo
obbligo fatto ai parroci corrisponde, evidentemente, un invito amorevole,
ma pressante, a tutti i fedeli, perchè ne approfittino largamente. E
accanto a questa cattedra di religione, offerta a tutti nelle chiese,
l'iniziativa e lo zelo di parroci e sacerdoti illuminati ha fatto sorgere
altre forme di cultura religiosa adatta alla mentalità, alla cultura,
alle possibilità delle diverse categorie di persone. E l'Azione
Cattolica, che si prefigge di coltivare la vita cristiana in tutta la sua
pienezza, mette giustamente a base la cultura religiosa, con iniziative
adatte a tutte le categorie.
Il guaio, e un guaio molto serio, è pur troppo che una gran massa di
cristiani non sente questo bisogno, e trascura ogni forma di cultura
religiosa. La spiegazione domenicale della dottrina cristiana è da
moltissimi disertata, senza ch'essa sia sostituita da nessun altro mezzo
equivalente. E' naturale che ne scapiti in costoro la religiosità vera, e
non abbia più nessuna influenza nella vita.
Vada a tutti il nostro monito accorato e severo, espressione dell'incarico
dato da Cristo ai Vescovi nella persona degli Apostoli: "Andate ed
ammaestrate tutte le genti, predicate il Vangelo ad ogni creatura",
non soltanto ai fanciulli o a qualche piccolo gruppo di privilegiati.
LE
PRATICHE DELLA PIETA' CRISTIANA
La
religione non è soltanto conoscenza ed accettazione di una serie di
verità contenute nel simbolo della Fede. Essa è anche, come abbiamo
detto, compimento di determinati doveri, che comprendono pratiche
religiose. Come potremo pensare di essere religiosi, se non innalziamo di
quando in quando il nostro pensiero a Dio, in adorazione della sua maestà
infinita e in ringraziamento della sua benevola, misericordiosa
Provvidenza che largamente ci benefica? se, pentiti, non Gli chiediamo il
perdono delle nostre miserie? se la nostra preghiera non sale a Lui
supplice, a chiedere la sua protezione in tante contingenze della vita?
Come si può essere cristiani, se il nostro omaggio filiale e riverente
non sale a Cristo Redentore, da cui ci viene la salvezza? se non usiamo
dei mezzi di salute che Egli ci ha insegnato nel Vangelo: preghiera,
Sacramenti, il sacrificio della Messa?
Così è da intendersi la religione vera, il Cristianesimo come Cristo
l'ha istituito. Un atteggiamento di indifferenza verso Dio e la salvezza
della nostra anima; la pretesa di voler intendersi con Dio a modo proprio
e senza intermediari, senza neppure quell'intermediario che è il
Salvatore stesso che effettivamente ci ha dato la possibilità di salire a
Dio, potrà essere un atteggiamento filosofico, per quanto irragionevole,
non religioso. E sappiamo quanto valga una pura filosofia per guidare
nella vita, e soprattutto nei momenti critici dell'individuo e della
società.
Pur troppo, tale è l'atteggiamento di molti. Labbra che non pregano mai,
menti che non sentono mai la voce di Dio che ammonisce e conforta,
vogliono dire la mancanza di un coefficiente prezioso di energie
spirituali, quando esse sono più che mai necessarie per un'opera di
ricostruzione.
LA
SANTIFICAZIONE DELLA FESTA
Una magnifica istituzione voluta da Dio per rendere facile e più efficace
la pratica religiosa, ed entrata profondamente nella vita del popolo
cristiano, è il giorno festivo. Per quanto ogni giorno ed ogni luogo sia
atto per rendere a Dio l'omaggio della nostra religione, mai lo si può
fare meglio che colla santificazione della festa.
La sospensione del lavoro, mentre è un ristoro benefico alle forze del
corpo, sciupatesi nel lavoro di sei giorni, rappresenta essa stessa un
omaggio a Colui che ci ha dato, colla forza del braccio e colla luce
dell'intelligenza, la capacità di produrre e procurarci il necessario
all'esistenza. Intanto la giornata, libera dalle occupazioni assillanti
delle altre giornate lavorative, può essere convenientemente impiegata
nelle opere del culto e della educazione dello spirito.
Tale è il significato della santificazione della festa, comandata da Dio
nella sua legge. Ed è bello, altamente educativo, lo spettacolo del
popolo cristiano che si aduna, la festa, nella sua chiesa, che esso stesso
ha costruita come un omaggio reso alla maestà del Signore, dove si sente
separato dalla vita ordinaria del lavoro e dei traffici, e tutto lo
richiama alla presenza di Dio; e là, tutto insieme riunito, adora e loda
il suo Signore e ne invoca la protezione, mentre sull'altare si compie il
Divin Sacrificio, cioè lo stesso Divin Salvatore, resosi misteriosamente
presente, si offre al Padre che è nei cieli, unendosi all'omaggio ed alla
preghiera del suo popolo. La Chiesa, coll'intuito psicologico che le viene
dalla divina istituzione e dalla esperienza dei secoli, guida questo
grandioso atto collettivo di culto collo splendore della sua liturgia, e
col magnifico susseguirsi dell'anno liturgico, che richiama e riconnette
armoniosamente i grandi fatti della Redenzione.
Al grande atto di culto che è la Messa, segue poi, nel pomeriggio,
un'istruzione che svolge, in maniera piana ed efficace, le verità della
fede, i precetti della legge di Dio.
Così il cristiano ha trovato, nella sosta del suo lavoro, il nutrimento
religioso del suo spirito, mentre ha compiuto il suo dovere, rendendo a
Dio l'omaggio che gli è dovuto.
La santificazione della festa, compiuta secondo lo spirito della Chiesa,
è sempre stata l'espressione più viva della religiosità del popolo
cristiano, ed insieme coefficiente prezioso per l'educazione e la
conservazione della medesima.
E' per questo che si vede con rammarico il giorno festivo sempre più
profanato, e vuotato del suo contenuto religioso.
Molte volte è il lavoro stesso continuato nel giorno festivo, così da
sopprimere l'alto significato del riposo, e rendere impossibili o
difficili le pratiche religiose. E Dio volesse che questo avvenisse
soltanto per qualche inderogabile, provvisoria necessità.
Ma anche quando il lavoro rimane sospeso, il giorno festivo tende sempre
più a diventare, per le masse, il giorno del divertimento, delle
escursioni, delle scampagnate, non nella misura ragionevole dell'onesto
sollievo dopo sei giorni di lavoro, ma nella assoluta prevalenza,
cosicchè le pratiche religiose si omettono con estrema facilità, o si
riducono al minimo, perdendo tanta parte della loro solennità ed
efficacia educativa.
Ecco, pur troppo, che cosa è, o cosa minaccia di diventare la
religiosità da parte del nostro popolo, proprio mentre, come diciamo, per
la salvezza delle anime, e per una efficace ricostruzione morale della
società, sarebbe tanto necessaria una profonda convinzione ed una fervida
pratica di vita religiosa, a conforto di tante sofferenze, a sostegno di
una vita dura, ma onesta e volta al bene comune.
Ogni anima cristiana deve sentire la gravità del bisogno, e proporre di
corrispondervi per quanto le è possibile, rendendo più convinta e più
operativa la propria vita religiosa.
RELIGIONE
E VITA CRISTIANA
La fede e
le pratiche della pietà cristiana sono la parte che possiamo dire più
caratteristica della religione. Sbaglierebbe però, evidentemente, chi
pensasse che la religione si esaurisca lì. La religione stessa infatti ci
presenta una legge dataci da Dio per regolare tutta la nostra vita. Basta
leggere il Vangelo per comprendere che il Cristianesimo dà alla vita un
orientamento tutto speciale, così da distinguerla e metterla in contrasto
colla vita di quelli che Cristo chiamava il mondo, e che sono tutti quelli
che non si ispirano allo spirito del Vangelo. E il cristiano che lo sa,
deve con coerenza attuare nella sua vita pratica il programma tracciato
dal Vangelo.
E' quello che pur troppo molte volte non avviene. Non soltanto vi sono
molti che, ribelli o indifferenti alla fede, vivono seguendo massime
tutt'altro che cristiane; ma vi sono anche dei cristiani, i quali dicono
di credere tutte le verità della fede, partecipano alle pratiche della
religione, e si offenderebbero se si dubitasse della loro qualità di
cristiani, ma poi nel resto hanno una vita discordante dalle massime del
Vangelo. Cristo Signore non li riconoscerebbe come suoi discepoli, e
rivolgerebbe loro il monito del Vangelo: " Non chiunque mi dice:
Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la
volontà del Padre mio che è nei cieli" (Matteo, VII, 21).
E' un fatto doloroso, che molte volte fa mormorare quelli che non sono
cristiani, e fa accusare di mancanza di efficacia il Cristianesimo, quasi
che avesse fallito alla sua missione. Di essi ha detto bene il Santo Padre
Pio XII in uno dei suoi messaggi: " No: il Cristianesimo non è
venuto meno alla sua missione; ma gli uomini si sono ribellati al
Cristianesimo vero e fedele a Cristo e alla sua dottrina; si sono foggiati
un Cristianesimo a loro talento... e hanno proclamato che il Cristianesimo
è venuto meno alla sua missione! ".
Veramente, ogni volta che trasgrediamo la legge di Dio, ci rendiamo
colpevoli di questa incoerenza tra la nostra fede e la nostra vita. Ma
qualche volta non si tratta solo di colpe isolate, per le quali non resta
che chiedere il perdono di Dio e poi rialzarsi generosamente. Sembrano
abitudini diventate come una norma di vita; massime che non sono le
massime del Vangelo, ma che sembrano accettate, quasi inconsciamente, da
molti. Naturalmente, il danno per la vita cristiana è più grave.
LA
CORSA AL PIACERE
Se vi è
una cosa evidente nello spirito di Cristo come il Vangelo ce l'ha
presentato, è l'invito alla austerità, alla mortificazione.
Non che il Vangelo ci voglia tristi, e che la vita cristiana ci allontani
da ogni gioia. " Hilarem datorem diligit Deus ": dice
l'apostolo S. Paolo (2 Cor., IX, 7): Dio ama chi dà lietamente. Dio
stesso ha sparso sulla nostra via gioie sante, ch'egli ci permette di
gustare, come quelle della famiglia, che nostro Signore Gesu Cristo ha
voluto onorare intervenendo a un pranzo di nozze, nel notissimo episodio
di Cana.
Ma il piacere, nella dottrina del Vangelo, ha da Dio la funzione di essere
per noi un aiuto che renda più facile l'esercizio delle nostre normali
attività, dei nostri doveri. E' un mezzo quindi, non un fine. Il fine è
il dovere. Fare invece del piacere il fine della vita, cercarlo più di
qualunque altra cosa, a qualunque costo, cioè anche a costo di
trasgredire il nostro dovere, vuol dire invertire l'ordine delle cose da
Dio stabilito, ed abbassarci al livello degli animali irragionevoli, che
non percepiscono altra cosa al di sopra del gusto sensibile del momento.
Per questo, la legge di Dio pone dei limiti al piacere: sorpassarli, è il
peccato. E poichè l'attrattiva del piacere è forte in noi e facilmente
può prendere il sopravvento, ecco che il Vangelo ce ne mette in guardia,
e ci invita alla mortificazione: la quale, qualche volta è l'astenersi da
quello che è peccato; altre volte invece sarà soltanto un impedire che
la tendenza al piacere, assecondata senza limiti, diventi troppo forte e
ci conduca poi oltre i limiti del lecito.
E' una dottrina, questa, nobilissima, che anche alcuni dei migliori
filosofi pagani avevano formulato, e che Nostro Signore nel Vangelo ci ha
inculcato con insistenza, facendone un programma: " Si quis vult
post me venire, abneget semetipsum ": chi vuoi venire dietro a
me, rinneghi se stesso (Matt., XVI, 24). La Chiesa ci ripete il messaggio
di Cristo, e ci invita di quando in quando alla temperanza ed alla
Mortificazione, imponendoci a suo tempo determinate astinenze.
Pur troppo, invece, per molti la temperanza e la mortificazione sembrano
cose d'altri tempi, ormai sorpassate ed assistiamo ad una corsa al piacere
che è davvero impressionante.
Sono, talvolta, piaceri leciti, divertimenti che non hanno in sè niente
di male, ma cercati con un'ansia esagerata, con una specie di frenesia,
come se non se ne potesse far senza. Così certe forme di sport, e gli
spettacoli del cinematografo, a cui corrono le masse in modo inverosimile,
anche a costo di forti spese, che potrebbero più utilmente incanalarsi
altrove. E la mania - perchè è a dirsi mania - del divertimento comincia
coi piccoli, coi giovinetti ed i bambini, ai quali i genitori ed educatori
pare non sappiano più negare nulla; negare il permesso o la moneta per
andare ai cinema, sarebbe poco meno che una tragedia.
Non ci siamo mai domandati, genitori ed educatori, se assecondando senza
limiti nei nostri giovinetti questa smania del divertimento (e non del
divertimento semplice e spontaneo, ma di quello complicato, artificioso
come il cinema), fino a non saper farne senza, sia pure per allontanarli
da divertimenti cattivi, - non ci siamo mai domandati, diciamo, se non li
educhiamo pericolosamente a non sapersi mai dire di no, e non secondo lo
spirito del Vangelo, che vorrebbe educare alla santa letizia, ma anche ad
una certa austerità? Oh! benedetta, da questo punto di vista, la rigida
Quaresima di un tempo, nella quale tutti erano indotti a qualche
penitenza, ed anche i ragazzi imparavano a sapersi astenere da qualche
cibo gradito o da qualche giuoco! La Chiesa, per ragioni varie, come madre
benigna, ci ha dispensato da quasi tutte le astinenze dai cibi, ma non ci
dispensa dallo spirito di mortificazione, altamente educativo per
abituarci a saperci frenare nella corsa al piacere.
Abbiamo parlato di divertimenti in sè leciti, ma cercati con una smania
che è segno di intemperanza. Ma vi è anche la corsa ai divertimenti ed
ai piaceri illeciti, malsani, dove non v'è più soltanto una ricreazione,
ma il soddisfacimento di passioni basse e morbose. Qui il nostro pensiero
va con raccapriccio a spettacoli del cinematografo, dove non si vedono
esempi di virtù, ma il vizio, spesso con esibizioni provocanti. Dobbiamo
riconoscere che in questi ultimi anni nella produzione italiana si è
avuto qualche miglioramento, ma siamo ancora lontani da quanto si dovrebbe
desiderare per essere tranquilli sulla influenza di certe pellicole che
ancora si danno. Pensiamo a spettacoli teatrali, dove spesso è ancora il
vizio, anche se in forme raffinate ed eleganti; è l'amore libero, e
l'infedeltà coniugale, insulto alla santità del matrimonio e della
famiglia, che sembrano l'argomento d'obbligo in tutte le produzioni. Sono
gli spettacoli di varietà, dove con sfrontatezza si esibiscono nudità
indecenti e doppi sensi volgari.
Questi non sono divertimenti leciti. Eppure, - e questo è un fatto ancora
più doloroso, - per questi spettacoli i teatri e i cinematografi si
riempiono fino all'inverosimile. E, più doloroso ancora, ci vanno
talvolta anche famiglie che si credono serie, che frequentano le pratiche
cristiane; e genitori incoscienti (è la parola più attenuata, per non
dire di peggio) vi conducono i loro figli giovinetti. Povere anime
innocenti, tradite da coloro che dovrebbero essere i loro educatori e
difensori dalle insidie del vizio! (1).
Ora domandiamoci: come mai tutto questo? Forse sono tutti perversi e
degenerati? Non lo vogliamo affermare, e neppure lo pensiamo. E' la
mancanza del senso cristiano che impone un li-mite nel piacere, nel
divertimento. Il piacere, il divertimento è diventato una necessità, un
fine da raggiungere ad ogni costo. Gli spettacoli piccanti divertono, e ci
si va. L'abitudine, si dice, li rende innocui. Non è vero. Anche se essa
attutisce gli stimoli del male, vengono poi i momenti della debolezza, e
tutto quello che si è fatto e si è veduto esercita la sua influenza
malsana. E un gusto abituato a queste bassezze non potrà più apprezzare
e desiderare cose più alte e virtuose. Non per nulla, assieme alla
constatazione della frequenza agli spettacoli e divertimenti scorretti,
c'è anche l'altra constatazione di una grande decadenza morale del
costume.
Abbiamo parlato della corsa al piacere, e ci siamo indugiati sul
cinematografo e sul teatro. Aggiungete il ballo, non sufficientemente
impedito neppure da una saggia proibizione; aggiungete l'abuso del vino e
dei liquori, e cosi via.
Eppure, se v'è un tempo in cui sembrerebbe doversi imporre da sè una
onesta temperanza, dovrebbe essere questo, mentre tanti nostri fratelli al
fronte sopportano disagi, soffrono e muoiono per la Patria, e, finora
lontano da noi, senza per altro che anche per noi il pericolo sia
scongiurato, vi sono città sorelle che hanno avuto devastazioni e
vittime. Perchè tanta insensibilità? Non è così che si tiene alto il
morale. Lo sanno i nostri soldati, che ne provano disgusto e irritazione
quando ritornano dal posto dove compiono il loro duro dovere.
LICENZA
DI COSTUMI
Un male
ancora più grave è la licenza di costumi.
Non dovrebbe essere così il costume di un popolo cristiano:
" Omnis immunditia nec norninetur in vobis. - Di ogni sorta di
impurità non si deve neppure sentir parlare fra voi " (Efes. V, 3):
dice alle prime comunità cristiane l'apostolo S. Paolo.
Ad ogni età della vita la legge cristiana impone un magnifico programma
di purezza. La gioventù deve conservare intatta la sua purezza, come una
sanità dell'anima e del corpo insieme, e prepararsi così alla famiglia,
portando al matrimonio una giovinezza non sciupata ma casta, fonte di
amore vero e di stima vicendevole. Il matrimonio, honorabile connubium
(Ebr. XIII, 3), come lo chiama l'Apostolo, ha anch'esso la sua purezza,
che lo rende veramente degno di onore: una purezza che è formata di amore
e fedeltà vicendevole, e di rispetto all'alta finalità che Dio ha
assegnato al matrimonio, della trasmissione della vita. A cui segue il
compito dolce e grave insieme, della sana educazione fisica e soprattutto
morale delle creature che vengono, come una benedizione, ad allietare di
vita e di gioia il focolare domestico.
Per
grazia di Dio e per l'onore del popolo nostro, vi sono ancora famiglie
buone, che sentono e vivono, vorrei dire con santa ambizione, la loro
dignità cristiana. E vi è anche della gioventù che si sforza di passare
il tempo burrascoso della propria età giovanile senza lasciarsi
travolgere dal torrente di fango che la circonda. A quelle famiglie, a
quei giovani valorosi, va tutta la nostra stima e il nostro affetto, con
una speciale benedizione. Ad essi attende in modo speciale la cura delle
nostre istituzioni educative: oratori ed Azione Cattolica.
Ma tutti vedono pur troppo come il costume decade, e come tanti si
lasciano sommergere dall'ondata si sozzura, che sembra invadere le nostre
città, ed anche, ormai, la campagna. La giovinezza è spesso profanata
dalla corsa al piacere, a cui non mancano le occasioni. Una maggior
libertà lasciata alla gioventù, priva della necessaria sorveglianza; una
moda provocante; una promiscuità di sessi diffusasi specialmente nelle
officine e negli stabilimenti, dove si accumulano spesso enormi masse
operaie, venute anche di lontano, col fenomeno pericoloso di gioventù
femminile costretta a passare tutta la settimana lontano dalla famiglia, o
a percorrere ogni giorno lunghe distanze anche in ore notturne:
sono tutte circostanze che producono effetti deleterii, pericolose insidie
alla purezza giovanile.
Le conseguenze di tanta licenza di costumi si fanno molte volte palesi ed
assumono la forma dello scandalo. La natalità illegittima dilaga. Se
qualche volta le statistiche della nostra provincia hanno sembrato segnare
un arresto ed una lieve diminuzione del fenomeno doloroso, ciò dipende
forse dal fatto che sollecitudini lodevoli di persone e istituzioni
intervengono a sanare subito con un matrimonio le conseguenze di una
caduta. Ma non è il matrimonio di due giovinezze pure che hanno saputo
prepararsi cristianamente al Sacramento ed alla famiglia. E lo scandalo
rimane.
Alla giovinezza che si sciupa nel fango e che giunge già inquinata alla
porta della vita familiare, segue poi spesso una vita di famiglia priva
anch'essa di ogni dignità cristiana, o per l'infedeltà e la discordia
dei coniugi, o per la profanazione del matrimonio, volontariamente e
dolosamente privato della sua funzione di propagatore della vita.
Pur troppo, la diffusione e la frequenza degli scandali, oltre il male che
è in se stessa, minaccia di avere una conseguenza più grave ancora: che
è quella di far perdere anche l'orrore alla colpa e al disordine. Giovani
che peccano senza rossore e senza vergogna, perchè vedono che anche altri
hanno fatto e fanno così, e non per questo sembrano scapitarne nella
riputazione e nella stima del pubblico, indifferente o sempre pronto a
compatire.
No: non deve essere così. La carità e la misericordia, che il Vangelo ci
insegna ad avere per i peccatori, devono indurci a circondare chi ha
peccato del nostro amore e della nostra sollecitudine, perchè possa
riparare il male fatto; ma non devono nulla togliere della riprovazione
che ogni anima cristiana deve avere per il peccato, per il male che
travolge tanta gioventù e la stessa età matura, e viene a inquinare la
vita e la famiglia fino nelle sue sorgenti. Richiamiamo e conserviamo
tenacemente i principi della purezza cristiana, e proclamiamoli altamente,
se non vogliamo renderci complici, sia pure incoscienti, della rovina.
GIUSTIZIA
E CARITA' CRISTIANA
C'è un
altro punto di vita cristiana che vogliamo qui richiamare, perchè spesso
non ha quella attuazione nella vita che dovrebbe avere, con tanto danno
degli individui e della società.
Non è Cristianesimo soltanto l'adempimento dei doveri propriamente
religiosi e la purezza dei costumi. Il Vangelo contiene delle direttive
anche per i rapporti che noi abbiamo coi nostri simili, coi nostri
fratelli, come direbbe Nostro Signore, che tanto ci ha inculcato la comune
fratellanza, per essere tutti noi figli del medesimo Padre che è nei
cieli.
Questi rapporti, come il Vangelo ce li insegna, sono regolati da due
virtù eminentemente cristiane: giustizia e carità.
Giustizia è dare a ciascuno il suo: ai superiori, ossequio ed obbedienza;
a tutti, il rispetto dei loro diritti, senza approfittarsi di una
qualunque propria condizione di prevalenza per sopraffarli.
La giustizia regola in modo speciale i rapporti fra lavoratori e
imprenditori. I lavoratori, vincolati da un contratto con chi li fa
lavorare, devono dare tutta la loro attività secondo gli accordi
convenuti, senza indolenza o sotterfugio. Gli imprenditori devono dare la
giusta ricompensa.
Questi rapporti sono stabiliti da accordi bilaterali. Una giustizia
cristiana va però al di là di quello che può essere la convenzione
pattuita. Se una delle due parti, cioè la più debole che è il
lavoratore, è stata costretta ad accettare una data ricompensa, perchè
non ha potuto ottenere di più e il bisogno la costringeva ad accettare,
ma la ricompensa non corrisponde all'opera prestata ed al bisogno del
lavoratore per il suo normale sostentamento, la coscienza cristiana non è
contenta: v'è una ingiustizia. Una giustizia più completa esige che,
poichè il lavoro è, in pratica, l'unico mezzo di cui il lavoratore
dispone per vivere, il compenso del suo lavoro sia normalmente sufficiente
a mantenere il lavoratore e la famiglia che è a suo carico.
L'ordinamento corporativo, organizzando la rappresentanza degli interessi
per categorie, ha reso più facile la determinazione e la tutela dei
rapporti di giustizia fra le classi sociali. Ma perchè questi organi
(come ogni cosa umana) funzionino bene, è necessario che gli uomini a cui
essi sono affidati sentano essi profondamente la giustizia, per poterla
applicare.
In una? sfera più ampia, la giustizia deve regolare i rapporti fra i
popoli, specialmente fra i popoli dotati dalla natura di ricchezze
naturali, e quelli che ne sono privi. La Provvidenza infatti ha
distribuito quelle ricchezze naturali perchè tutti i popoli se ne possano
valere. Sono queste diversità di condizioni economiche dei popoli, che
determinano spesso attriti, che degenerano in guerre. Tutti auspichiamo
che la guerra vittoriosa conduca al tanto conclamato ordine nuovo, in modo
che siano considerate queste necessità. Sarà necessario per questo che
abbiano un profondo, evangelico senso di giustizia gli uomini a cui
spetterà di creare questo ordine nuovo nel mondo.
Il Santo Padre, Maestro supremo della dottrina del Vangelo,
ha fatto sentire, in proposito, la sua parola venerata, guida sapiente. Ma
intanto che attendiamo che si instauri, per quanto possibile, la giustizia
fra i popoli, è deplorevole che vi siano, nei rapporti privati, coloro
che approfittano delle condizioni speciali del momento per voler fare
guadagni illeciti con prezzi esorbitanti, approfittando del bisogno
altrui.
La giustizia tende a dare a ciascuno il suo, cioè quello che gli spetta.
Ma, data l'imperfezione non sopprimibile delle cose e degli ordinamenti
umani, ben di spesso essa non arriva a sopperire a tutti i bisogni,
materiali e morali. Qui entra la carità, la regina delle virtù
cristiane.
Essa colma tante lacune della giustizia, superandola per mezzo dell'amore,
che non ha più di mira soltanto di dare a ciascuno ciò che gli spetta,
ma gli dà, generosamente, tutto ciò di cui può aver bisogno. La carità
imprime ai rapporti fra gli uomini una nota di bontà; essa avvince i
cuori. Cristo ce l'ha insegnata col suo esempio, ce l'ha comandata col suo
precetto: "Hoc est praeceptum meum, ut diligatis invicem, sicut
dilexi vos " (Io., XV, 12). Il mio comandamento è questo, che vi
amiate l'un l'altro, come io ho amato voi ".
Il divino precetto della carità è destinato a regnare fra i membri della
famiglia, fra i cittadini della nazione, fra le nazioni che formano la
grande famiglia umana. Pur troppo il precetto divino, che pure compie
ancora tanti veri prodigi di bontà, non è osservato nel mondo, dove le
nazioni si odiano e si distruggono: come non è osservato fra gli uomini
della medesima nazione, che molte volte si tradiscono e tendono a
sopraffarsi; e neppure nelle famiglie, dove si coltivano dissensi e
discordie.
Ed anche il cristiano che vuoi vivere il grande precetto della carità,
non creda di aver esaurito il suo compito perchè ha posto nel suo
bilancio una certa somma da distribuire in elemosina. In tempi di tanti
bisogni, di fronte ad un avvenire oscuro, in cui la carità di Patria
vorrà da tutti un contributo di mezzi e di opera molto al di là
dell'ordinario, in cui, oltre l'aiuto materiale per il sostentamento del
proprio simile non sufficientemente provvisto di mezzi di fortuna, sarà
necessario un aiuto fraterno agli spiriti, sofferenti per la sventura, o
forse fuorviati da false dottrine o da istinti malsani, - ogni cristiano
cosciente deve chiedersi se il suo contributo di elemosina esaurisce
davvero il grande divino precetto della carità, dell'amore verso il suo
simile, membro vivo di Cristo. E troverà orizzonti ben più grandi, nel
campo materiale come in quello dello spirito, dove ognuno potrà trovare
il suo posto di lavoro, piccolo o grande secondo le capacità e le
circostanze: dal pane e dal conforto portato all'indigente,
dall'educazione data al fanciullo, all'adolescente, al giovane, all'opera
spesa per pacificare spiriti irritati, alla partecipazione al
perfezionamento dell'organismo sociale.
E' per questo che, anche in mezzo al fragore delle armi, mentre la patria
resiste per la difesa dei suoi ideali e dei suoi interessi, dobbiamo
attingere agli insegnamenti del Vangelo ed alla grazia di Cristo una
grande riserva di carità, di amore. Essa sarà il cemento solido per le
future ricostruzioni, l'olio lubrificante per attutire gli attriti
stridenti, la fiamma viva per azionare la gran macchina della società,
con tutte le sue complicazioni di organi e di funzioni. La stessa
giustizia non trova la spinta alla sua azione rigida di ristabilimento del
diritto, se non in un impulso che venga ai suoi organi da una fiamma di
carità: l'amore del proprio simile che spinge alla difesa del suo
diritto.
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Figli
dilettissimi, nella Quaresima dello scorso anno, parlandovi del fronte
interno, vi abbiamo mostrato come l'opera necessaria di resistenza doveva
trovare i suoi più veri fondamenti nella religione, coi suoi inviti alla
preghiera, alla penitenza, al compimento del proprio dovere. Questa volta
vi abbiamo parlato del nuovo ordine, che si dovrà instaurare quando, a
Dio piacendo, la guerra sarà finita. Ed anche qui, in una vita cristiana,
veramente ispirata agli insegnamenti del Vangelo, vi abbiamo mostrato il
presupposto di un ordine, quale tutti lo dobbiamo desiderare. Facciamo
tutti il nostro esame di coscienza per rimetterci generosamente al nostro
dovere. Non sia per colpa nostra che tutti i tesori di energia che il
Cristianesimo contiene abbiano a rimanere inefficaci. Ne dovremmo
rispondere a Dio.
A tutti voi, figli dilettissimi auguriamo la santa Pasqua, che sia una
vera risurrezione delle anime nostre, ad una vita modellata su quella di
Cristo risorto. Il nostro pensiero va alle vostre famiglie, ai loro
bisogni, ai soldati che sono lontani per compiere il loro dovere, alla
Patria in armi. Per tutti la nostra fervida preghiera, la nostra
affettuosa benedizione.
Dio ci benedica e ci protegga tutti.
Brescia,
14 marzo 1943.
(1)
Opportunamente si cerca di ovviare al male, facendo appello alle
coscienze cristiane col segnalare pubblicamente gli spettacoli
cinematografici che sono da considerarsi inadatti e pericolosi. Come già
si è fatto, i parroci potranno con prudenza, invitare i fedeli alla
promessa di non frequentare il cinematografo quando la pellicola che vi si
dà è da escludersi come pericolosa. Abbiamo detto: con prudenza: perchè
la promessa sia seria ed efficace e si possa presumere che corrisponda ad
un vero proposito interiore, non deve essere una formula, da farsi
pronunciare indistintamente da tutto il pubblico che affolla le nostre
chiese alle Messe domenicali. Bisognerà accontentarsi di un pubblico
volontario, convenientemente preparato. Opportunamente si è cominciato
coi gruppi di Azione Cattolica.
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