Negli anni scorsi al
principio della Quaresima, quando i Vescovi sogliono rivolgere ai fedeli la
loro parola di ammaestramento, vi abbiamo parlato della fede e della
speranza, inizio e fondamento della vita cristiana, a cui danno
l'orientamento e il valore caratteristico. Vi dovremmo parlare ora della
carità, la terza delle virtù teologali, proprie del cristiano. Ma
preferiamo invitarvi quest'anno a riflettere sulle cause di avvenimenti
dolorosi che affliggono gli animi di tutti, mentre vediamo una nobile
nazione gemere sotto il flagello della guerra civile, e peggio, sotto il
pericolo di vedersi oppressa da una nuova tirannide, che già l'ha
insanguinata con tante vittime, per odio alla religione ed alla civiltà
cristiana.
Ispiratori di tanta rovina, che purtroppo mira ad estendersi ad altre parti
dell'Europa e del mondo, sono due dottrine funeste, l'ateismo e il
comunismo, che direttamente si oppongono alla religione ed alla civiltà.
Purtroppo, in altri luoghi una funesta propaganda ha potuto guadagnare masse
non sufficientemente premunite da una istruzione religiosa e sociale
ispirata alle alte idee che ci vengono dal Cristianesimo. E' necessario che
le nostre popolazioni, dove, per grazia di Dio, la fede è ancora sentita ed
amata, siano illuminate dalla parola viva della Chiesa, perchè, pur
tendendo, come è loro diritto, ad un ragionevole miglioramento delle
proprie condizioni di vita, respingano da sè l'insidia funesta.
Il Santo Padre non ha mancato di mettere ripetutamente in guardia contro il
grave pericolo. Il recente suo messaggio Natalizio che tanto ci ha commosso
anche per il timore per la sua salute preziosa, ci rinnovava i suoi paterni
avvertimenti. Di questo monito noi vogliamo ora farci eco presso di voi,
figli dilettissimi, con una parola che, ispirata agli insegnamenti della
fede, vuole illustrare alcune idee fondamentali, che vi premuniscano dalle
insidie di un errore, che tanto danno porterebbe alle anime nostre ed alla
nostra diletta Nazione, come già ha portato altrove stragi e rovine.
I
L'
ATEISMO
E dapprima l'ateismo, cioè
la negazione di Dio.
E' mai possibile, si chiede con orrore la nostra anima cristiana, negare
l'esistenza di Dio? E difatti, alla sana ragione come alla fede, l'esistenza
di Dio, principio e fine di tutte le cose, appare tanto evidente, da entrare
nelle nostre convinzioni più fondamentali.
L'
AFFERMAZIONE DELL' ESISTENZA DI DIO
Noi troviamo l'affermazione
di Dio nella storia di tutti i popoli, d'ogni tempo, d'ogni coltura, d'ogni
civiltà. Non è affatto vero quello che alcuni hanno voluto dire, che la
fede in Dio sia stata possibile solo per l'ignoranza delle leggi della
natura, e che la scienza, scoprendo le leggi e le forze che governano il
mondo, abbia condotto gli uomini a far senza di Dio, ritenuto prima autore
della natura. Invece, all'affermazione dell'esistenza di Dio si inchinarono
in ogni tempo anche le migliori intelligenze; e gran parte degli uomini
insigni a cui la scienza deve i suoi progressi, hanno riconosciuto che al di
là del campo a cui arrivano le loro indagini e le loro scoperte c'è sempre
tanto di misterioso, - e prima di tutto l'origine stessa di tutte le cose, -
che esige l'intervento di un Essere Superiore, che, solo, è la ragione
della natura stessa e delle sue leggi.
E questo Dio, a cui ci conduce l'osservazione della grandezza del mondo che
ci circonda, non è qualche cosa di astratto, al di sopra e al di fuori del
mondo in cui noi viviamo, sicchè se ne possa far senza e vivere come se non
esistesse. No: esso è il fondamento di tutta la realtà, ci circonda con la
sua grandezza e la sua potenza, ci regge colla sua sapienza e con la sua
bontà, sicchè ben potè dire l'Apostolo S. Paolo, che noi " viviamo,
ci moviamo e siamo in Lui " (Atti Ap. XVIII, 28) e " tutte le cose
per Lui sussistono " (Col. 1,17).
DIO FONDAMENTO DELL' ORDINE FISICO
Dio è infatti l'autore e
il fondamento dell'ordine fisico, cioè del mondo materiale in cui viviamo.
Tanto più se ne scopre la grandezza, e tanto più la ragione e la fede ci
portano a riconoscere la grandezza e la sapienza di Dio.
Egli tutto ha creato, ponendo nella natura quelle attitudini e quelle forze
che a poco a poco la scienza scopre e studia, ma che da secoli danno quel
grandioso, armonico risultato che tutti ci circonda. Egli ha creato l'uomo,
la creatura intelligente, capace di dominare tutto il resto del creato, e di
renderne a Dio l'omaggio della adorazione, della lode, della riconoscenza.
E come le ha create, Dio conserva tutte le cose con una mirabile
Provvidenza, la quale si mostra anche più magnifica, oltre che benefica e
veramente paterna, quando noi la consideriamo in ordine all'uomo, al quale
veramente servono tutte le altre cose. Guai se mancasse questa magnifica
Provvidenza! sarebbe il disordine, la rovina, il nulla.
FONDAMENTO
DELL' ORDINE MORALE
Dio è anche l'autore e il
fondamento dell'ordine morale, cioè l'ordine della nostra attività
spirituale, intelligente e libera.
In questa creatura che è l'uomo, piccola e debole se la consideriamo nella
immensità dell'universo e delle sue forze materiali, vi è una energia
potente che tutte le sovrasta, ed è capace di ridurle al proprio servizio:
è la volontà, illuminata a sua volta dalla intelligenza, che le discopre
un campo vastissimo di azione, e gliene addita i mezzi. Questa potente
energia che è la volontà, a differenza di tutte le altre forze della
natura, è libera, cioè capace di determinarsi da sè, di scegliersi la
propria strada. Mirabile prerogativa, questa della libertà, che ci pone al
disopra di tutte le altre cose, costrette a subire l'influenza dell'ambiente
e delle forze fra cui si trovano. Ma è pure una prerogativa pericolosa.
Felici noi, e felice il mondo che ci circonda, se la nostra libera volontà
avrà scelto bene il suo modo di agire, tenendo conto del suo vero bene e di
quello delle creature che le stanno dintorno. Ma guai, se la volontà nostra
sceglie male, seguendo l'errore, il capriccio, senza riguardo alla sua
dignità ed al bene degli altri. Sarebbe per noi l'abbiezione, la rovina, e
saremmo capaci di seminare la rovina intorno a noi.
La nostra volontà ha quindi bisogno di una guida, che senza toglierle la
libertà, l'indirizzi al bene, la mantenga nell'ordine, a vantaggio suo e
degli altri.
Questo aiuto prezioso della nostra attività libera è la legge morale:
dettame saggio e prezioso, imperativo categorico, come l'hanno chiamato, che
senza toglierle la possibilità di determinarsi da sè, le addita
imperiosamente la via da seguire, la via del bene e del dovere. Così rimane
alla nostra volontà la responsabilità e il merito, ma le è dato il modo
di evitare la rovina, indirizzandosi al bene. E' questo il magnifico compito
della nostra coscienza, attraverso la quale influisce su di noi la legge
morale.
Ma che cos'è questa legge morale? come spiegare il suo carattere
obbligatorio, che si impone alla nostra coscienza, sicchè sentiamo di
doverle sottostare, pur sapendo che ci è possibile trasgredirla? I filosofi
han detto molte cose per spiegare questo problema fondamentale dell'ordine
morale. Ma, a riflettere, non si riesce a spiegare il valore della legge
morale e del dovere, e conservarne tutta la altissima efficacia, se non
pensando a Dio che ne è l'autore.
E non può essere che così. E' questa una parte della Provvidenza colla
quale Dio conserva e governa il mondo. Il mondo materiale Egli lo governa
colle leggi fisiche insite a tutte le cose, che le reggono necessitandole ad
operare in un determinato modo, in conformità alla propria natura. Il mondo
morale, cioè il mondo della coscienza e della volontà libera, Egli io
governa con questa legge morale che fa sentire nell'intimo della nostra
coscienza. E l'uomo, che riconosce nella voce della sua coscienza il comando
di Dio legislatore, che gli sarà poi anche giudice, si sente spinto ad
obbedire. Invece il dettame della coscienza non potrebbe avere tutta quella
forza, se l'uomo non vi dovesse vedere che un giudizio della sua stessa
ragione, o il frutto di convenzioni passeggere.
FONDAMENTO
DELL' ORDINE SOCIALE
Dio è anche la causa e il
fondamento dell'ordine sociale.
Gli uomini si trovano posti a vivere non isolati come eremiti, ma
ordinariamente gli uni accanto agli altri, perchè ciascuno ha bisogno dei
suoi simili, da cui tanto riceve, ed ai quali può dare in proporzione delle
sue capacità. Questa è evidentemente una saggia e benigna disposizione
della Provvidenza, che, in vista della insufficienza dei singoli, ha posto
in ognuno di noi l'istinto della convivenza sociale.
Ma perchè questa convivenza abbia a procedere ordinata cosicchè
l'attività dei singoli si armonizzi con quella degli altri per il bene
comune, si richiede un potere coordinatore, che è l'autorità, elemento
essenziale di ogni società bene ordinata; senza di essa non ci può essere
che il disordine, la lotta degli uni contro degli altri.
Ora diversi potranno essere i modi con cui queste piuttosto che altre
persone vengano a trovarsi collocate sopra i propri simili, rivestite di
autorità. Ma perchè l'uomo possa riconoscere in un altro uomo suo simile
questo potere che lo pone al di sopra di lui e mette un limite alla sua
libertà, imponendogli anche delle rinunce e dei pesi in vista del bene
comune, è necessario che egli veda in quell'uomo una ragione di
superiorità a cui egli senta di doversi inchinare. Questa superiorità
capace di imporsi non può essere solo un maggior ingegno, che può anche
mancare, o qualche altra prerogativa personale o di famiglia: motivi troppo
insufficienti per imporre un sacrificio della propria libertà ad un altro
uomo naturalmente libero. Solo risalendo ancora a Dio autore e legislatore
dì ogni uomo, che come ha voluto la convivenza sociale, vuole l'autorità
che ne è la garanzia necessaria, si può trovare una ragione sufficiente
per ridurre ad obbedienza tanti uomini, quanti sono coloro che formano la
società umana.
In ultima analisi, si può dire che, se l'uomo s'inchina davanti ad un altro
uomo ubbidendo, lo fa perchè gli vede brillare in fronte un raggio di Dio
legislatore supremo.
E. d'altra parte, solo quando coloro che presiedono alle sorti dei loro
simili ed hanno in mano il potere, sanno di esercitano in nome di Dio, come
suoi strumenti per l'ordine e la prosperità della convivenza sociale,
sapranno pure di dover mantenere la loro autorità nei giusti limiti, cioè
in quanto l'esercizio di essa è necessario per il bene comune, non per
ottenere un proprio vantaggio individuale.
E così torna evidente che Dio, - sempre Dio -, è il fondamento dell'ordine
sociale, come dell'ordine morale e dell'ordine fisico.
Se Dio non ci fosse, non vi sarebbe che il caos, cioè il disordine, anzi il
nulla.
PERCHE' I
NEGATORI DI DIO?
La nostra ragione vede
tutto questo, senza sforzo, come il frutto di una evidente riflessione
basata sulla realtà che ci circonda e di cui noi stessi siamo una parte.
Ed allora, per tornare alla domanda che ci siamo posta in principio, vi sono
che negano l'esistenza di Dio? E' possibile l'ateismo?
La risposta è pur troppo affermativa. Ci sono degli atei; non solo come
uomini che nell'intimo della loro coscienza sono assaliti da un dubbio
angoscioso, ma uomini che della negazione di Dio fanno aperta professione e
si chiamano cinicamente i Senza Dio, e si propongono di strappare dalle
masse popolari, e soprattutto dalle nuove generazioni, l'idea di Dio ed ogni
pratica religiosa. E' quello che hanno fatto e che fanno i bolscevichi in
Russia, nel Messico, ed ora hanno cominciato a tare nella povera Spagna
straziata.
E ne è venuto quello che doveva venire. Sradicata dalle anime l'idea di
Dio, che è il vero fondamento di ogni ordine e di ogni bene, ne è venuto
il disordine, l'odio, la barbarie. La distruzione di migliaia di chiese ha
avuto un'eco ancora più raccapricciante nella rovina di tante anime di
fanciulli; sottratti alla educazione familiare, privati di ogni idea
superiore, e divenuti preda di ogni scostumatezza senza limiti, essi formano
già la preoccupazione di coloro che allontanandoli da Dio hanno creduto di
fare opera di emancipazione da vieti pregiudizi religiosi, e si accorgono
invece di aver creato elementi pericolosi per la convivenza sociale. L'odio
contro Dio e la religione ha fatto perdere ogni senso di umanità e di
giustizia, seminando la via della rivoluzione bolscevica di crudeltà, di
stragi e di morti, che riempiono di orrore ogni anima onesta. E tutto
questo, senza che si possano vedere i decantati miglioramenti nelle
condizioni degli umili, ridotti in condizioni di miseria e di sofferenza.
Guai alla umanità, se dovessero trionfare gli sforzi satanici dei Senza
Dio! Il Padre che è ne' cieli ci preservi da tanta sciagura, e la tenga
lontana in modo speciale dalla Patria nostra, che finora ha preservato dal
contagio.
Ma come mai tale follia ha potuto penetrare e farsi strada in creature
ragionevoli, pur dotate di intelligenza?
La Sacra Scrittura, mentre accenna all'esistenza dei negatori di Dio, ci dà
una spiegazione del fenomeno doloroso. Nel salmo il profeta dice commosso:
" Dixit insipiens in corde suo: non est Deus: dice lo
stolto nel suo cuore: Dio non c'è " (Salmo XIII,1).
C'è, dice dunque il Profeta ispirato, chi nega Dio; ma egli lo chiama
stolto, come uno che parla senza ponderatezza, non accorgendosi di dire una
cosa senza fondamento.
Ed è proprio così. Vi sono degli uomini, anche dotati di ingegno, che
hanno fatto oggetto dei loro studi il mondo materiale, e ne hanno scoperto
le proprietà e le leggi. Abituati a tutto sperimentare coi loro strumenti
di precisione, a base di reagenti chimici, di microscopio e di bilancia, e
soddisfatti degli imponenti risultati ottenuti, non si sono domandati se non
vi sono altri problemi al di là dei risultati delle loro osservazioni e
delle loro analisi; e non trovando Dio in fondo ai loro esperimenti, hanno
creduto di poterlo negare, o di non curarsene, come di cosa irreale o di.
nessuna importanza per loro. E' l'agnosticismo, ed anche il materialismo di
alcuni scienziati, le sui negazioni sono poi ripetute da altri, che della
scienza non conoscono neppure il nome. Ben li può chiamare stolti il
Profeta, non per la loro scienza, che non rinnega Dio, ma per non essersi
voluti elevare al disopra di quello che la scienza ha constatato, per
domandarsi la ragione ultima di tutte le cose.
Ed altri, inorgogliti di quel magnifico strumento di sapere che è
l'intelligenza, hanno voluto richiudersi in essa, divinizzandola, quasi
fosse essa stessa la legge, il fondamento del reale, e non soltanto il mezzo
di conoscerlo. E' l'idealismo, forma più moderna della negazione di Dio.
Atteggiamento di spirito non meno incompleto ed illogico del materialismo di
un tempo.
Agli uni ed agli altri si applica anche l'altra sentenza, che è
dell'Apostolo Paolo: "Evanuerunt in cogitationibus suis:
Divennero stolti nei loro pensamenti " (Rom. I, 21), fermandosi alle
cose materiali od allo spirito nostro, senza assurgere a chi delle une e
delle altre è l'autore.
Oh! se, con una formazione intellettuale più completa e ragionevole, invece
di fermarsi a metà, o chiudersi in un pregiudizio, avessero seguito nel
loro studio le migliori inclinazioni della nostra intelligenza, avrebbero
trovato la magnifica strada che ci conduce a Dio, e che 8. Paolo ci ha
additato, dalle cose sensibili che ci circondano, come dalla coscienza che
è in ciascuno di noi, alla affermazione chiara, magnifica, confortante, di
Dio, fondamento e spiegazione di ogni cosa e di ogni ordine.
Ma il salmista, continuando, accenna a un'altra ragione dell'ateismo: "
corrupti sunt, et abominabiles facti sunt in studiis suis: sono
corrotti, commettono azioni abominevoli " (Salmo XIII, 1). E' questa,
la corruzione, una facile conseguenza della negazione di Dio, perchè, come
abbiamo visto, Dio è il vero valido fondamento del dovere. Ma spesso ne è
anche la causa, cioè è la corruzione che conduce all'ateismo. Quando si
vive male, si è in lotta con la propria coscienza, e non si vuole
abbandonare la cattiva strada intrapresa, Dio torna facilmente incomodo: lo
si considera come un intruso che viene a turbare la volontà decisa a
seguire il suo capriccio, lo si teme come un futuro giudice molesto; si
vorrebbe che non ci fosse. E' il cuore, ha detto il salmo, più che la
intelligenza, che ha negato Dio. Non per nulla, nel programma dei Senza Dio
che hanno lavorato a togliere la religione alla nuova generazione in Russia,
ci fu la spinta verso una vita senza freno, in mezzo a spaventosi incentivi
di corruzione. Sapevan bene i tristi, che questo sarebbe stato il mezzo più
efficace per togliere a quelle povere creature la fede in Dio.
Tali sono, ordinariamente, le fonti dell'ateismo.
II
ATEISMO E
COMUNISMO
L'altro errore del quale
abbiam detto di volervi parlare, e il comunismo. Due errori che si
presentano ora congiunti. I Senza Dio sono infatti i principali alleati del
comunismo; anzi la propaganda dell'ateismo è considerata come un mezzo per
promuovere lo sconvolgimento della società attuale, secondo i dettami del
comunismo.
La connessione fra le due propagande consiste in questo. Da una parte,
essendo Dio il fondamento dell'ordine sociale, togliendo alle masse la
credenza in Dio, si crede di meglio sovvertire l'ordinamento attuale della
società. Dall'altra parte, appunto perchè Dio è messo a base dell'ordine
sociale, si vuol far risalire a lui anche tutti i mali e le ingiustizie che
presenta in sè la società presente: la cui constatazione diventa un
argomento in favore della negazione di Dio.
Ma nè è giusto far risalire a Dio la responsabilità dei mali della
società, dipendenti dalla volontà degli uomini, nè il comunismo si mostra
un mezzo giusto ed idoneo per riparare a quei mali.
LA
DOTTRINA DEL COMUNISMO
Il comunismo parte, nella
sua dottrina, dalla critica dell'attuale ordinamento economico della
società. Questo ordinamento, a prescindere da molti particolari di
dettaglio, ci presenta il contrasto stridente di due categorie di uomini:
l'una, più piccola di numero ma potente, è in possesso della ricchezza e
di gran parte degli strumenti capaci di produrla; l'altra, smisuratamente
più numerosa, non possiede che le proprie braccia e deve attendere dagli
altri la possibilità di vivere, costretta a mantenersi in una condizione di
strettezza, che fa contrasto con la ricchezza dei primi.
Rimedio per togliere questa ingiustizia sociale, dice il comunismo, è
l'abolizione della proprietà privata, sorgente delle disuguaglianze
attuali, sostituita dalla proprietà collettiva dei mezzi di produzione.
Tolta la proprietà privata, si dice, sarà impossibile l'accumularsi delle
ricchezze in mano di pochi; il prodotto del lavoro potrà essere in
vantaggio di tutti.
Di qui la lotta dì classe, del lavoro contro la proprietà o il capitale,
per abolire la proprietà privata, ed arrivare alla collettivizzazione al
comunismo.
LA
DOTTRINA CATTOLICA SULLA PROPRIETA'
Contro tale sistema, è
opportuno richiamare la dottrina della Chiesa cattolica intorno alla
proprietà ed ai mali lamentati nell'ordinamento capitalistico della
società.
Depositaria di una dottrina di verità trasmessale dal suo Divin Fondatore,
e di un mandato tutto speciale da Lui avuto, che è quello di diffondere nel
mondo il suo spirito, che è spirito di carità per tutti e specialmente per
i miseri e gli infelici, la Chiesa non ha aspettato l'attuale pericolo
comunista per far sentire la sua parola, per dare il suo insegnamento. Tutti
sanno come già quasi mezzo secolo fa, nel 1891, Leone XIII, raccogliendo
l'insegnamento dei Padri e dei Dottori, ha riassunto questa dottrina della
Chiesa nella sua mirabile Enciclica Rerum Novarum, che il regnante
Pontefice Pio XI ha ricordato, illustrandola nell'altra Enciclica, da lui
pubblicata nel 1931 Quadragesimo anno.
Osservando l'ordinamento economico della società come si presentava alla
sua mente sagace, Leone XIII riconosceva che esso era sotto molti aspetti
ben lontano dalla equità e dalla giustizia, e lamentava la condizione
triste ed ingiusta che era fatta a molti lavoratori, non certo conforme alla
paterna e benigna disposizione della Provvidenza Divina. Ma, soggiungeva,
questo deplorevole stato di cose non è una conseguenza necessaria della
proprietà privata in se stessa, ma invece di abusi e di ordinamenti sociali
che non mantenevano la proprietà nella sua funzione voluta dalla natura e
da Dio, e non provvedevano sufficientemente all'assistenza di coloro, che,
privi di tutto, si trovavano indifesi di fronte alla prepotenza del
capitale.
Infatti, come insegna San Tomaso (Summ. Theol. II-II; q. LXVI, a. 2), se ci
domandiamo qual è, nei disegni della Provvidenza, la destinazione dei beni
materiali che sono sparsi sulla terra, dobbiamo rispondere che Dio li ha
dati perchè servissero ai bisogni di tutti, e non soltanto a quelli di una
categoria o classe di persone. Ma questo non impedisce che determinati beni
appartengano in particolare ad alcuno, purchè in qualche modo se ne possano
avvantaggiare anche gli altri. E questo può avvenire, o perchè chi
possiede procura ad altri il lavoro, che, ricevendo una giusta ricompensa,
diventa fonte di onesto guadagno, atto a provvedere ai bisogni del
lavoratore e della sua famiglia; o perchè, anche al di là della giusta
ricompensa a chi lavora, chi possiede interviene a soccorrere, nei modi
suggeriti dalla beneficenza, e meglio ancora dalla carità cristiana, ai
bisogni di chi nè possiede nè ha la possibilità di lavoro.
E' vero che in questo modo, pur dandosi un utile anche a chi non possiede,
non si evitano differenze nelle condizioni sociali e nella distribuzione
della ricchezza, sicchè rimangono poveri e ricchi. Ma dobbiamo fare una
riflessione importante. E' forse possibile arrivare ad una uguaglianza
generale come alcuni ingenuamente possono desiderare? No: è un'utopia,
cioè una fantasia irrealizzabile, date le differenze esistenti fra
l'abilità, la forza, le attitudini delle diverse persone, che
ricondurrebbero fatalmente le differenze economiche, anche se si fosse
giunti ad una distribuzione ugualitaria.
GLI INCONVENIENTI DEL COMUNISMO
Nè a risolvere il problema
delle disuguaglianze sociali e della pacifica convivenza degli uomini arriva
il comunismo, colla sua proposta della proprietà collettiva dei mezzi di
produzione, sostituita alla proprietà privata: nessun padrone; una o molte
aziende proprietà dello Stato, in cui tutti lavorano nelle diverse funzioni
che l'azienda richiede, mentre l'utile è ripartito fra tutti, dirigenti e
lavoratori.
I predicatori del comunismo, facendo brillare davanti alla fantasia dei
lavoratori questa forma di produzione collettiva non avvertono una cosa di
grande importanza. L'esperienza ha dimostrato, e ve ne potrete persuadere
facilmente anche voi, che lo stimolo efficace ad un lavoro intenso, e quindi
fortemente remunerativo, è la speranza di un utile proprio. E questo vale
per tutti: per l'operaio che lavorando pensa di conservare e migliorare il
suo salario, e forse investirlo in una casetta, in un campo, in una piccola
macchina che gli rendano più sicuro l'avvenire, come per l'imprenditore,
che deve procurare il lavoro per l'azienda e curarne l'organizzazione in
vista del futuro profitto. Quando, colla proibizione della proprietà
privata, mancasse la speranza di un utile proprio, mancherebbe lo stimolo
all'iniziativa ed al lavoro, con danno di tutti. E' per questo che
generalmente sono più prosperose le aziende private che le pubbliche. E
l'esperimento di collettivizzazione attuato su larga scala nella Russia
bolscevica, ben lungi dal migliorare le condizioni di quel popolo, le ha
peggiorate di molto, facendo ristagnare la produzione delle industrie, e
languire l'agricoltura; dove quei contadini, felici quando furono messi in
possesso del terreno tolto ai padroni, cominciarono in un primo tempo a
resistere, quando vennero i delegati dello Stato a ritirare gran parte del
prodotto, e poi si limitarono a coltivare solo quel tanto che poteva bastare
ai propri bisogni, con danno enorme della produzione nazionale.
Perchè il sistema di proprietà collettiva potesse funzionare con ordine e
vantaggio di tutti, sarebbe necessario che tutti fossero guidati dal
medesimo disinteresse, rinunciando ad ogni considerazione di interesse
proprio. Ma dove lo trovate voi un mondo così fatto?
Aggiungete la mancanza di ogni onesta indipendenza, ed esclusa ogni
possibilità di acquistarsela col proprio lavoro, e poi dite se varrà la
pena di sovvertire il mondo, rinfocolare gli odi e la lotta di classe, per
riuscire ad un simile risultato sconfortante.
LA VERA
SOLUZIONE DELLA QUESTIONE SOCIALE
Ma dunque, per non
arrischiare l'esperimento funesto della proprietà collettiva, si dovrà
lasciare il lavoratore indifeso di fronte al capitale potente, perchè lo
possa sfruttare a suo talento?
Questo no. Leone XIII lo affermava solennemente proponendo i rimedi ai mali
denunciati, colle grandi linee di un ordinamento sociale più conveniente
alla dignità ed al bisogno di tutti.
I mali denunciati dell'ordinamento capitalistico provenivano principalmente
dal fatto che il capitale e il lavoro erano stati considerati come due
elementi contrastanti, lasciato ciascuno alla libera esplicazione della
propria attività. E ciò era avvenuto attraverso alla abolizione di una
regolamentazione dei loro rapporti che già in anticipo esisteva, per quanto
imperfetto, nelle corporazioni medioevali. Questa regolamentazione era stata
abolita per opera principalmente della Rivoluzione Francese, per una
affermazione di sconfinata libertà, che fu la caratteristica del
liberalismo. Ma fu un errore, come tanti altri di quel funesto sistema.
Posto l'uno di fronte all'altro, senza limiti e senza coordinazione, il
capitale e il lavoro diventarono due interessi contrastanti, guidati
ciascuno dal proprio tornaconto; e nel conflitto era troppo facilmente
esposto a soccombere il lavoratore più debole, perchè non disponeva che
della forza delle proprie braccia, assillato dalle necessità quotidiane del
proprio sostentamento.
Ma non doveva, non deve essere così.
La proprietà privata, come ogni altra cosa umana, non può essere intesa
come un diritto assoluto senza limiti e senza doveri, che possa giungere
fino allo sfruttamento del lavoratore. Essa è uno dei fattori della
produzione, di cui l'altro, non meno necessario, è il lavoro. Anzi il
lavoro ha questo in più, che è l'attività di un uomo, cioè di una
persona, ed è per questa persona il mezzo necessario per la sua esistenza.
Esso ha quindi una speciale dignità, e merita una speciale considerazione e
tutela, perchè, travolto nel meccanismo della produzione, non sia privato
del suo scopo personale ed umano, di provvedere ai bisogni di chi dà alla
produzione l'energia delle sue braccia e della sua mente.
A questo rispetto della dignità e dei giusti diritti del lavoratore, il
capitalista si deve sentire obbligato come da un dovere di coscienza, pronto
per questo a contenere in giusti limiti la sua partecipazione al reddito
della produzione, per farne parte a chi ha collaborato con lui alla
produzione stessa. E a questo proposito la dottrina cristiana, fatta di
giustizia e di carità, ricorda al capitalista la magnifica dottrina
affermata già dai santi Padri, che tutte le cose create, anche le ricchezze
sono di Dio, che le ha destinate a vantaggio di tutti gli uomini. I ricchi
ne sono come depositari, incaricati dalla Provvidenza di amministrarle,
perchè producano in vantaggio di tutti. La dottrina cattolica ricorda pure
che dell'uso delle ricchezze i proprietari dovranno rendere stretto conto al
giudizio di Dio, giudizio che sarà particolarmente severo, appunto per la
delicata funzione che Dio ha loro affidata nel mondo.
Ma siccome non è sempre facile determinare in concreto quali siano questi
limiti nell'uso delle ricchezze e i doveri della proprietà, è necessario,
come in tutte le obbligazioni che riguardano anche il bene degli altri, un
mezzo umano che impedisca, per quanto è possibile, gli eventuali abusi.
Per questo Leone XIII riconosceva ai lavoratori stessi il diritto di unirsi,
per trattare i loro interessi e i loro diritti collettivamente, con quella
maggior forza che evidentemente deriva dalla loro unione. Di qui le
organizzazioni professionali e sindacali, anch'esse a lor volta tenute a non
abusare della loro forza, ma a seguire una norma che deve essere, non di
lotta contro un nemico, ma di collaborazione coll'altro fattore della
produzione che è il capitale.
E già fin d'allora, il Pontefice ammoniva che questa organizzazione del
lavoro e della produzione, necessaria per rendere insieme giusti e
vantaggiosi i rapporti fra capitale e lavoro, padroni e operai, non doveva
essere lasciata completamente ai privati anche lo Stato ha qui la sua
funzione, il diritto e il dovere di intervenire, con tutto un complesso di
leggi sociali, che, senza sopprimere la libera iniziativa, fonte insieme di
libertà e di prosperità, la regolasse in modo che più facilmente ne
potesse venire, col coordinamento, il vantaggio comune, col rispetto dei
diritti di tutti.
E voi vedete che negli anni che sono passati da allora, si è camminato in
questo senso. Ora i lavoratori hanno la possibilità di far sentire la loro
parola, di intervenire collettivamente alla trattazione dei loro interessi;
e le leggi dello Stato sono intervenute spesso a determinare la condizione
del lavoro, per riguardo alla durata, ai contratti, ai minimi di salario, alle
assicurazioni sociali.
IL
PARADISO NON E' DI QUESTA TERRA
Ma pure, si potrà dire,
quanti inconvenienti ancora! quante miserie nelle condizioni dei lavoratori,
dei diseredati dalla fortuna!
E' vero; ma non si può pretendere, nelle cose umane, di evitare tutti gli
inconvenienti. Neppure il comunismo può evitare tutte le miserie, come
l'esperienza ha dimostrato, collo svantaggio in più che esso sopprime ogni
onesta libertà ed ogni libera iniziativa. Disagi, privazioni,
inconvenienti, sono inseparabili dalla imperfezione che è proprio di tutte
le cose create; tanto più quando nei rapporti umani c'entra la libertà,
sempre capace di sottrarsi al proprio dovere ed alla spinta verso il bene.
S'aggiungano le condizioni di crisi spesso indipendenti dalla volontà dei
singoli, che rendono specialmente difficile l'economia.
Ed è qui, di fronte alle privazioni ed agli inconvenienti inevitabili anche
dopo aver attuato tutto quanto possa venir suggerito dai migliori
accorgimenti e dalle teorie più sagge, che la nostra dottrina cristiana
dice ancora la sua parola, fatta insieme di una sana visione della realtà,
e di una considerazione superiore confortante.
Il paradiso non è di questa terra. O meglio, dovremmo dire, c'era sulla
terra, dono della bontà di Dio, ma è stato perduto, perchè l'umanità
l'ha volontariamente rifiutato. Qui abbiamo tutti colpe da scontare. Non
meravigliamoci che su questo campo delle condizioni economiche, come su
tanti altri campi della nostra vita, vi siano dei difetti, delle sofferenze.
Il cristiano, pur non trascurando nulla di quello che possa giovare ad una
migliore sistemazione della sua vita materiale, sopporterà con pazienza gli
inevitabili disagi. Dio glieli lascia perchè pensi più facilmente al
paradiso vero, che c'è, senza dubbio, ed è fatto per noi, ma è nella vita
futura, e dobbiamo meritarcelo.
E siccome si merita il paradiso con le opere buone; ed in modo speciale con
l'esercizio della carità verso i nostri simili, ecco che il pensiero della
vita futura, mentre sarà ai diseredati, ai poveri, invito alla pazienza,
sarà ai ricchi un monito salutare perchè abbondino nell'esercizio della
carità, attenuando quelle differenze fra le classi, che, spinte oltre certi
limiti, costituiscono un pericolo per la pacifica convivenza. Carità che si
esercita non solo colla moneta o col pane dato in elemosina agli indigenti,
ma colla larghezza nell'accogliere le domande dei propri dipendenti, e poi
colla beneficenza intesa nel più largo senso, fino a tutto quel complesso
di opere di assistenza, che vanno dal contributo dato per questo scopo alle
istituzioni apposite, alla fondazione di ricoveri, di istituti di
educazione, e così via. Così i ricchi compiranno l'incarico ricevuto dalla
Provvidenza, di amministratori e tesorieri del Padre comune che è nei
cieli.
Tutte cose, queste, che rappresentano e rappresenteranno sempre, nonostante
tutte le elargizioni e le provvidenze dello Stato, un integratiVo necessario
per le tante inevitabili lacune. Ma cose che solo il senso cristiano può
comprendere e sa meravigliosamente alimentare. Il comunismo non ne vuoi
sapere e predica l'ateismo, seminando sulla sua strada a piene mani l'odio,
coi risultato di rendere più aspri i rapporti sociali, senza trovarvi
rimedio.
Ecco, figli dilettissimi, una parola semplice come il Vescovo la deve dire
sui grandi pericoli dell'età presente: l'ateismo e il comunismo.
Dio ci preservi da questi flagelli. Ma per questo attacchiamoci bene alla
nostra santa dottrina cristiana, che da Dio comincia ed a lui conduce, e
sola ci può guidare, attraverso alle inevitabili miserie, ad una
sistemazione della società quale umanamente è possibile, e ad una vita
eterna, solo perfettamente felice.
La benedizione di Dio Padre, Figliuolo, Spirito Santo discenda su tutti noi.
Brescia, 31 gennaio
1937.
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