Lettere pastorali di mons. Giacinto Tredici, vescovo di Brescia dal 1934 al 1964

 

La fede (1935)

 

 

Prendiamo volentieri l'occasione della santa Quaresima, per rivolgervi la parola, o figli dilettissimi. E lo facciamo con vera gioia, perchè sentiamo di compiere così la missione di insegnare che il Divin Salvatore ha dato ai Vescovi; e di compierla verso un pubblico più vasto di uditori, che non nelle prediche che pur frequentemente ci occorre di rivolgere a questa o quella porzione del gregge affidatoci. Voi accogliete questa prima nostra lettera pastorale per la Quaresima con fede, e leggete in essa, insieme colla parola, anche tutto il cuore del vostro Vescovo, che sente la sollecitudine del vostro bene, della salvezza delle anime vostre.

Come argomento prenderemo a trattare della Fede, che è fondamento e radice della nostra giustificazione, come la chiama il Concilio di Trento; il primo e fondamentale criterio di distinzione della nostra qualità di cristiani cattolici; il dono più grande che Dio ci ha dato, dopo la grazia, di cui però è preparazione necessaria ed efficacissima.

Volesse il Signore che fossimo sempre degni di questa magnifica prerogativa che ci rende cristiani! Per questo ve ne richiameremo la nozione, per additarvi poi i nemici che attentano alla sua integrità, ed alcuni mezzi cui dobbiamo attenerci per conservarla.

CHE COS'E' LA FEDE?

Richiamandoci alla nota definizione del catechismo, - che, sotto semplici forme, è il compendio del profondo studio dei teologi e della definizione del Concilio Vaticano - noi sappiamo che la Fede è una virtù soprannaturale, per la quale, per l'autorità di Dio che non può ingannarsi nè ingannare, crediamo le verità che Egli ci ha rivelato e la Chiesa ci propone a credere.

Fede è, dunque, accettare la rivelazione divina.


LA RIVELAZIONE

Dio, nella sua Provvidenza e nella sua Bontà, creando l'uomo come coronamento di tutta l'opera sua, gli ha dato una intelligenza capace di conoscere. E con questa magnifica prerogativa, che ci pone al di sopra di tutti gli altri esseri, noi conosciamo le cose che ci circondano e cadono sotto i nostri sensi. E possiamo conoscere anche Dio stesso. Lo conosciamo in due modi: per mezzo del mondo esterno, che, a chi riflette con animo sereno, mostra l'esistenza e la sapienza del Creatore che l'ha fatto; e per mezzo della nostra coscienza, che ci attesta in modo indubbio l'esistenza di una legge interna morale, e quindi di un legislatore sapiente e buono, che ci ha imposto questa legge che ci guida al bene.
Ma la cognizione che così, col lume naturale della nostra ragione, abbiamo di Dio, è imperfetta; più imperfetta ancora, quando, al di là della esistenza di un Essere superiore e legislatore, si tratta di conoscere meglio la natura di questo Essere e dei nostri rapporti con Lui, e le sorti che ci aspettano in futuro, dopo la nostra morte. E molti difatti hanno errato, ed abbiamo avuto le aberrazioni dell'idolatria e dell'ateismo.
Ed ecco che Dio ha voluto venire direttamente in nostro aiuto: e si è fatto Egli stesso nostro maestro, insegnandoci le verità della religione.
Questo insegnamento, che si chiama divina rivelazione, contiene la conferma e una maggiore e più chiara spiegazione di quelle verità religiose, che la nostra ragione, anche da sola, riuscirebbe a conoscere, come l'esistenza di Dio, la sua Provvidenza, l'esistenza della legge morale da Lui stesso scolpita nei nostri cuori, l'immortalità dell'anima, e così via. Ma poichè è piaciuto alla sua infinita Bontà di elevare l'uomo all'ordine soprannaturale, Dio ha voluto che la sua rivelazione contenesse cose, che per sè la nostra ragione non avrebbe conosciuto mai. E dapprima, il fatto stesso di questa nostra elevazione all'ordine soprannaturale, che, come ci conferisce il dono straordinario della grazia e ci promette la gloria eterna nella visione di Dio, ci impone il dovere di usare di tutta una serie di mezzi che Dio stesso ha stabilito perchè potessimo raggiungere quel fine. E poi, senza svelarci l'intimo della sua divina Essenza, troppo alta ed infinita perchè noi la possiamo, qui, conoscere come è in se stessa, si è compiaciuto di manifestarcene qualche particolare - se così possiamo esprimerci -, quasi alzando un po' del velo che ci nasconde quella luce infinita, per anticiparcene un piccolo saggio. E queste sono quelle verità che più propriamente si chiamano misteri: che ci danno una qualche idea di Dio superiore a quelle che di Lui abbiamo naturalmente. Così il mistero della Trinità delle Persone divine nell'unità della natura; e il mistero dell'Incarnazione, dove la Divinità si è unita sostanzialmente, in unità di persona, alla natura umana, in Nostro Signore Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo e pur noi comprendendo l'intima portata del mistero, oh! quanto esso ci dice della grandezza e della bontà di Dio, e quali nuovi orizzonti di vita spirituale ci discopre quel poco che veniamo a conoscere del mistero stesso così come ci vien presentato dalla parola divina!
Come Dio ci abbia realmente ammaestrato colla sua rivelazione, ce lo dice in sintesi l'Apostolo San Paolo incominciando la sua lettera agli Ebrei, che è tutto un trattato e un inno alla fede:
"Multifariam, multisque modis, olim Deus loquens patribus in Prophetis, novissime diebus istis locutus est nobis in Filio: Iddio molte volte ed in molte guise parlò un tempo ai padri per mezzo dei Profeti, ed ultimamente ha parlato a noi per mezzo del Figlio suo " (Hebr. I, 1).
Dapprima mandò al popolo Ebreo i Profeti, uomini singolari, da Lui illuminati perchè ammaestrassero il popolo eletto nelle verità religiose ed annunciassero la venuta del Redentore. E la Sacra Scrittura dell'Antico Testamento contiene molti di quei messaggi degli inviati di Dio.
Poi venne lo stesso Figlio di Dio incarnato Gesù Cristo, il quale colla sua vita sovrumana, in cui venivano a compiersi tutte le profezie dell'Antico Testamento, coi suoi miracoli, e col più grande di tutti i miracoli che fu la sua gloriosa risurrezione, ben dimostrò la verità della sua divina missione; e costituito così il Maestro per eccellenza, perchè Maestro Divino, ci ha parlato, come mai nessun altro parlò. Lo udirono le folle che si addensavano sui suoi passi. Molti dei suoi insegnamenti furono raccolti nei Santi Vangeli, che formano la parte principale della Sacra Scrittura del Nuovo Testamento. Ma prima ancora che quei libri fossero scritti, Egli aveva dato ai suoi Apostoli, e per essi alla Chiesa che aveva fondato affidandola alla loro direzione, l'incarico di conservare e portare a tutto il mondo i suoi insegnamenti, fondandosi non tanto sulla loro debole memoria, quanto sulla assistenza dello Spirito Santo che avrebbe loro mandato dal cielo, e per mezzo del quale Egli avrebbe continuata la sua presenza divina in mezzo di loro. Nel giorno solenne della prima Pentecoste cristiana, ripiena di Spirito Santo, la Chiesa di Cristo, per bocca degli Apostoli, cominciò ad esercitare la sua divina missione di insegnare, e non l'ha più cessata, anzi la continua anche ora in mezzo di noi, e la continuerà sino alla fine dei secoli.
Così fu fatta la rivelazione; così essa viene continuamente portata a nostra conoscenza. Non nel senso che la divina rivelazione si accresca continuamente per aggiunta di nuove dottrine. No; questo non è il compito della Chiesa, e di nessun altro dentro o fuori della Chiesa; perchè l'apostolo S. Paolo ci ha ammonito di guardarci da chiunque si presentasse a noi ad annunciarci in nome di Dio altre dottrine, altro Vangelo, oltre quello che gli Apostoli avevano predicato. La Chiesa col suo insegnamento conserva, chiarisce, difende quello che Cristo stesso, il Maestro Divino, ci ha insegnato.

 

LA FEDE

Ecco il fatto grandioso della rivelazione: frutto amoroso della Provvidenza di Dio, che non ha voluto che brancolassimo nel buio, ma ci ha dato una luce divina che ci fosse guida ed ammaestramento.
Di fronte a questa rivelazione divina, che resta a noi se non accettarla, farla patrimonio della nostra intelligenza, guida preziosa della nostra volontà, di tutta la nostra vita?
Ecco la Fede, che è appunto credere, sull'autorità di Dio rivelante, tutto quello che Egli si è compiaciuto di rivelarci, e che in suo nome la Santa Chiesa ci propone.
Essa evidentemente è un dovere per ognuno che abbia avuto notizia della rivelazione stessa; perchè rifiutare l'assenso alla rivelazione divina vorrebbe dire non riconoscere l'infinita sapienza e veracità di Dio, che certo non può ingannarsi nè ci vuole ingannare. E' anche un bisogno della nostra natura, come tanti spiriti nobilissimi, in tutti i tempi, hanno riconosciuto; perchè, lasciati a noi stessi, senza l'ammaestramento sicuro che ci viene da Dio, coi soli lumi che ci possono venire dalla nostra ragione, saremmo troppo esposti ad ingannarci, od a rimanere perennemente dubbiosi intorno ai problemi che più interessano la vita del nostro spirito.
Essa è anche per noi una vera necessità, in quanto ci fa conoscere la nostra elevazione all'ordine soprannaturale, ed i mezzi che Dio ha messo a nostra disposizione per poter arrivare al fine a cui questo ordine ci indirizza. Onde il Concilio di Trento chiama la Fede il principio della giustificazione; nel senso che, se la nostra giustificazione, che ci rende grati a Dio e capaci di meritare il Paradiso consiste propriamente nella grazia, la fede è però presupposta e condizione necessaria di quella. Essa è per noi una felice porta che si apre, una luce benefica che ci addita tutto un mondo nuovo, il mondo della vita soprannaturale, che ci permette una più intima comunicazione con Dio, destinata a condurci al possesso di Lui che farà la nostra beatitudine in Paradiso.
Ringraziamo dunque il Signore che ci ha dato il gran dono della sua rivelazione, e l'altro ancor più grande, che la rivelazione giungesse felicemente a noi, ed attirasse, aiutata dalla sua grazia, l'adesione della nostra fede. Ed abbiamo di questa fede la più grande stima, come dell'ornamento più bello, più nobile, più prezioso della nostra intelligenza.

UN'OBIEZIONE

Vi sono invece alcuni che hanno mosso alla fede l'accusa di essere contro natura, offensiva della nostra ragione. La nostra intelligenza, dicono, è fatta per conoscere: essa cerca il vero; ma lo vuol vedere in se stesso, non accontentandosi di accettare ad occhi chiusi, quello che altri le possa dire. Ed hanno fatto le lodi della scienza, disdegnando la fede. Ed hanno spesso soggiunto che la scienza, col suo progresso, a poco a poco viene a soppiantare la fede.

L'obbiezione, ripetuta tante volte, e in molte forme diverse, non ha proprio ragion d'essere, e si fonda su un equivoco. E' vero che la intelligenza è fatta per conoscere. Ma non è conoscenza soltanto quella con cui le cose sono apprese direttamente in se stesse. Quante volte noi non arriviamo, soli, a questa conoscenza diretta! Ed allora noi consideriamo, non già come un'offesa alla nostra ragione, ma come un aiuto prezioso, quello che ci vien comunicato da altri, purchè con sufficienti garanzie di veracità. Così lo studente impara tante nozioni utili per l'insegnamento del maestro o del testo che gli si mette fra le mani; e se ogni individuo dovesse considerare come parte del suo sapere solo quello che ha conosciuto con indagine propria, sarebbe ben misero e limitato il corredo delle sue conoscenze. Non è dunque contro natura accettare per fede l'insegnamento della rivelazione divina, più che non lo sia accettare tutte quelle cognizioni storiche, geografiche, scientifiche, che noi apprendiamo dai libri o dalla voce del maestro. E il nostro maestro, nel caso della fede, è ben tale alla cui competenza noi ci possiamo affidare con tranquillità, perchè è la stessa sapienza divina, che si è manifestata a noi. In questo caso, alla ragione resta, sì, un compito, perchè il suo assenso sia degno di lei: non già indagare e sottoporre a controllo ciò che è superiore alla sua capacità; ma esaminare le prove che ci assicurino che veramente Dio ci ha parlato. E questo lo possiamo fare, studiando le garanzie sensibili di cui Dio ha circondata la rivelazione stessa, e principalmente i miracoli e le profezie, che rappresentano un vero e diretto intervento di Dio stesso ad attestare la verità della missione divina di chi ci ha parlato in suo nome.
E' quello che fa l'apologetica cattolica per mezzo di tanti suoi insigni cultori; l'apologetica che, seguita con animo retto e desideroso della verità, ha saputo confermare, e molti anche attirare alla persuasione della realtà della rivelazione divina, e quindi della ragionevolezza del credere. La conferma che, trattandosi delle conoscenze scientifiche, si ha dal fatto di poter in seguito controllare coll'indagine propria quello che prima si è imparato da altri, se non è cosa possibile per le verità della fede che sfuggono, perchè soprannaturali, ad una constatazione sensibile, l'avremo, a Dio piacendo, quando saremo ammessi alla visione immediata delle cose divine. Ma questo costituirà il premio che Dio ci ha promesso per l'altra vita: premio che vuoi essere meritato da noi, coll'umile docilità della nostra volontà che si piega alla legge di Dio, non meno che coll'altra umile docilità dell'intelligenza, che, conscia della propria limitazione ed insufficienza, si affida alla parola di Dio, quando ha potuto persuadersi che Dio le ha parlato.
Che poi scienza e fede non siano fra loro in contrasto, e che la scienza non sia destinata a soppiantare la fede, appare dal fatto che, nonostante le affrettate e tante volte ripetute affermazioni degli scienziati increduli, mai una volta ha potuto essere seriamente dimostrata una vera contrarietà fra una conclusione veramente scientifica, e una dottrina veramente contenuta nella rivelazione cristiana; e dall'altro fatto non meno grave che dopo periodi di incredulità individuale o collettiva, accade spesso che gli spiriti più illuminati e sereni ritornano alla fede prima abbandonata, e vi si mantengono fedeli: prova evidente e concreta di una perfetta armonia fra le due luci che illuminano la nostra ragione, destinate non a contraddirsi ma a integrarsi armoniosamente, perchè provenienti dalla medesima sorgente, infinitamente luminosa, che è Dio, la stessa verità, e fondamento di ogni vero.

PERCHE' MOLTI NON CREDONO?

E perchè allora, vien fatto di domandarsi, molti non credono?
Il problema è certo angoscioso, perchè prospetta il dramma intimo di molte anime, e di altre più numerose che a quelle sono legate da vincoli di stima e di affetto. Guardiamoci, nei singoli casi, dall'affrettare giudizi, che potrebbero non corrispondere al vero ed offendere la carità verso le persone. Dio giudica. Ma, per quello che possiamo pensare noi, le cause dell'incredulità possono essere varie.
Talvolta può essere una resistenza volontaria alla luce della fede. I presupposti della fede stessa, cioè il fatto della rivelazione divina trasmessa a noi attraverso il magistero della Chiesa, risplendono davanti alla mente di luce sufficiente. Ma non ne rimane per questo illuminata in se stessa la verità che vien propo sta a credere, la quale rimane un mistero, superiore alla comprensione della intelligenza umana; e l'intelligenza non ne vuoi sapere, perchè non arriva a compiere l'atto di umiltà di riconoscere che noi non possiamo comprendere tutto, e di affidarsi a chi ne sa più di lei. Superbia dello spirito, dunque, di cui bisognerà rispondere davanti a Dio.
Talvolta, causa dell'incredulità può essere l'ignoranza. Vi sono tante persone al mondo, a cui non è giunta ancora notizia della rivelazione cristiana. Pensate ai paesi degli infedeli, dove vanno i nostri missionari! In questo caso, come potrebbero credere, se non conoscono la parola di Dio? Dio certo non li condanna per questo. Anzi possiamo pensare che, se essi si sforzano di vivere onestamente secondo il dettame della loro ragione, Dio nelle risorse della sua Provvidenza troverà modo di condurli a salvezza.
Ma l'ignoranza in materia religiosa non è purtroppo limitata ai paesi degli infedeli. Quanta spaventosa ignoranza religiosa anche nei nostri paesi, in tanta luce di cristianesimo! Ignoranza, o perchè è mancata ogni educazione religiosa; e la responsabilità risale tante volte alla trascuratezza dei genitori; o perchè, pur avendo avuto a suo tempo l'istruzione religiosa, molti non l'hanno poi continuata in modo proporzionato alla loro età e condizione, usando di quei mezzi che la predicazione cristiana metteva a loro disposizione. Ed in questo caso, l'ignoranza potrà scusare molti, al momento, dai peccato di aperto rifiuto della fede, ma non certo dal peccato, - perchè è peccato anche questo, - di aver trascurato la difesa della fede che pure aveva illuminata la loro prima giovinezza, lasciandola soffocare sotto la colluvie di obbiezioni che sono mosse dagli increduli, senza premunirsene, od affrontarne un esame sereno ed approfondito. E l'ignoranza di questo genere non è soltanto di tanti poveri rifiuti della società, sprovvisti di ogni cultura. Oh quanti di questi ignoranti, cioè ignoranti in fatto di religione, vi sono anche fra coloro che sono nelle classi alte della società, e fanno sfoggio di cultura, e scrivono libri, e fanno conferenze, colti in tante cose, ma ignoranti in fatto di religione.
Finalmente, un'altra causa dell'incredulità risiede più nella volontà e nelle inclinazioni dei sensi, che nell'intelligenza. Si capisce facilmente che credere vuoi dire ammettere, non solo una dottrina d'ordine teorico e speculativo, che ci parla di Dio e dell'anima, ma anche una legge morale, che si impone alla volontà, comandando quello che forse può essere contrario ai suoi gusti, e vietando quello che esercita una attrattiva sui sensi. Ed allora la fede da fastidio come un freno ad un cavallo indocile: e si vorrebbe non averla per conservare la libertà di soddisfare i propri capricci. Ed allora molti si sforzano di non credere più. Prima di abbandonare il Credo, costoro hanno lacerato il Decalogo. Causa di incredulità, questa, poco onorevole, che non si vuoi confessare; ma molte volte vera. E come non vedere, in questo caso, la responsabilità di questa mancanza di fede?
Appunto perchè tutte queste cause di incredulità, e le altre che si potrebbero enumerare, rappresentano, in fondo, una diminuzione della nostra personalità, come dovrebbe essere - secondo i disegni di Dio -, se noi le permettessimo di svilupparsi completamente, così avvengono spesso, a tempo opportuno, quando è l'ora di Dio, delle crisi profonde: è l'anima che ritorna in se stessa, e nell'intimo del proprio io, nella parte migliore di sè, ritrova quelle condizioni che la portano verso Dio e verso la fede; e le accetta con tutto lo slancio d'una forza viva, sprigionandosi da soprastrutture artificiali, che le avevano impedito di esplicare la propria attività. Sono le conversioni, i magnifici ritorni alla fede abbandonata.
Se queste parole di un Vescovo, che sono dirette a tutti, cadessero sotto gli occhi di alcuni di questi increduli, io vorrei che li eccitassero ad un po' di riflessione, ad un salutare esame di coscienza sulle ragioni vere della propria incredulità. Forse qualche pregiudizio cadrebbe; si potrebbe aprire nell'edificio morale uno spiraglio, attraverso il quale troverebbe il suo passaggio la luce della fede.
Ma intanto a tutti voi, figli carissimi, che avete la fede, e la considerate, come è veramente, un gran dono di Dio, noi diciamo: conserviamo questa fede; come si conserva un dono prezioso, difendiamola dai nemici che le possono tendere insidia, dai pericoli che la possono far naufragare, e valorizziamola perchè produca in noi tutti i frutti che è destinata a produrre.


NEMICI DELLA FEDE

Abbiamo detto che dobbiamo difendere la nostra fede dai nemici che la possono insidiare. E ve ne sono sempre stati, ve ne sono tuttora, di nemici che attentano al tesoro della nostra fede.

1. La Chiesa Cattolica ricorda le persecuzioni violente che hanno tentato di strapparle i suoi fedeli, di soffocare nel sangue la professione della santa fede cristiana. E noi ricordiamo con onore i martiri gloriosi che hanno data la vita per Nostro Signore Gesù Cristo. Ma non crediate che la persecuzione violenta sia ormai tramontata col progredire della civiltà. Purtroppo il Messico e la Russia hanno rinnovato, in pieno secolo ventesimo, le persecuzioni violente dei primi tempi.
E vi hanno aggiunto un'altra forma di persecuzione, più insidiosa, perchè mira direttamente alle anime: la proibizione di ogni insegnamento cristiano, e l'obbligo fatto ai fanciulli di ricevere nella scuola un'educazione studiatamente antireligiosa ed atea. Si pensa con raccapriccio a tanto scempio di anime innocenti, redente anch'esse dal sangue del Salvatore; anime battezzate, figli di genitori cristiani, che vorrebbero educarli nella propria fede, e che invece uomini iniqui, abusando del potere, costringono all'ateismo, cioè alla negazione stessa di Dio.
Genitori cristiani, che vedete con tanto amore i vostri bimbi, al catechismo e nella scuola, imparare a conoscere ed amare Gesù benedetto con tutta l'ingenuità delle loro tenere anime, pensate alla triste condizione di quei fanciulli; pregate per essi e per i loro genitori. E preghiamo che Dio risparmi alla patria nostra, a tutte le nazioni cristiane una così orrenda sciagura. Noi ricordiamo che anche fra noi, in tempi non lontani, si era avviati verso una simile mèta. Quanti sforzi si fecero per togliere dalla scuola l'insegnamento della religione! E pur troppo da tante e tante cattedre, piccole e alte, si insegnava il disprezzo della fede, e tanta gioventù ne era stata fuorviata, formando quella mentalità antireligiosa, che ha prodotto anche fra noi tanto male. Ora la Provvidenza ha disposto che nella patria nostra diletta i governanti riconoscessero i diritti della fede, ed a quella improntassero l'educazione stessa delle nostre scuole. Ringraziamo il Signore, e preghiamo che mai si ritorni verso tristi esperienze che hanno già avvelenato tante anime. Ed abbiamo cura di integrare l'istruzione religiosa che si dà nella scuola con l'opera preziosa dei nostri catechismi.

2. Un nemico della fede, non meno pericoloso di quello che abbiamo sopra accennato, anzi sotto un certo aspetto più grave, perchè più insidioso, è costituito da certi travisamenti della religione, che, mentre sembrano conservare una certa apparenza di religiosità che potrebbe, per gli incauti, soddisfare al bisogno che tutti ne sentono, in realtà sopprimono il vero concetto della religione come la nostra santa Fede ce l'insegna.
Uno di questi travisamenti della religione e della fede cristiana, che rappresentò per molti un grave pericolo, fu il Modernismo. Per rendere, si diceva, la fede cristiana adatta ai nostri tempi, ed accessibile alla mentalità causata dalla filosofia moderna, era necessario sostituire al concetto di una rivelazione che si presenta a noi come un insegnamento esterno a cui uniformare la nostra intelligenza, quello di una elaborazione soggettiva di un sentimento suscitato in noi dai bisogni e dalle aspirazioni del nostro spirito. Così si conservavano le forme esterne del Cristianesimo; ma scompariva il suo carattere soprannaturale; la Chiesa coi suoi insegnamenti, la persona stessa divina di Cristo nostro Salvatore diventavano una creazione umana, soggetta alle mutazioni e vicende delle cose ed istituzioni umane, solite a variare col variare delle idee e delle esigenze dei tempi.
Ma dove andava a finire, così, l'insegnamento fattoci da Dio per mezzo dei Profeti e del suo Divin Figlio, di cui ci parla con tanta precisione l'apostolo S. Paolo? Che cosa restava dell'incarico dato da Cristo agli Apostoli ed alla Chiesa, di insegnare quello che Egli stesso aveva insegnato, coll'obbligo fatto a tutti di credere al loro insegnamento, sotto pena di non salvarsi? La Chiesa avvertì l'insidia che minava a tutta la sostanza della fede e della dottrina cristiana; e il Papa Pio X con mano ferma e parola sicura condannò il nuovo errore, richiamando i fedeli alla fede genuina insegnataci dal Nostro Signor Gesù Cristo e tramandataci dalla Tradizione. Ed ora il pericolo è in gran parte scomparso. Quello potrà essere ancora il pensiero di molti che sono fuori della Chiesa; non più l'errore di fedeli cattolici, ingannati dalle false apparenze di nuove dottrine. Ringraziamone il Signore, e stiamo in guardia da qualche disgraziato che ancora cerca di confondere le menti colle pretese di una falsa critica.
.Ma altri non meno pericolosi travisamenti della religione si presentano ora a tendere insidie alla fede dei credenti, e questa volta in nome di un esagerato nazionalismo. Allo scopo di cementare sempre più l'unità spirituale della nazione, e valorizzarne tutte le energie verso un avvenire di indipendenza e di forza, si è voluto in certi paesi dare un carattere spiccatamente nazionale anche alle credenze ed alle pratiche religiose. Di qui le aberrazioni pseudoreligiose, che giunsero a ripudiare e condannare l'Antico Testamento, perchè creduto rappresentante del pensiero e della razza ebraica, estranea alla cultura ed alle razze occidentali, per affermare un cristianesimo nazionale. E peggio, la tendenza all'abbandono dello stesso pensiero cristiano, per un ritorno all'antica mentalità pagana, come propria della stirpe, coi suoi miti e riti religiosi, sostituiti alle credenze ed alle pratiche cristiane. Il fenomeno si presenta ora gravissimo in Germania, dove la gioventù è indotta a rinnegare Cristo per ridiventare pagana, sia pure di un paganesimo ammodernato. Ne sono preoccupati non soltanto i Cattolici, ma anche i Protestanti, che non vogliono rinnegare le idealità cristiane:
con una differenza però. I Cattolici, infatti, sotto l'insegnamento sicuro della Chiesa, sanno di avere una dottrina ben definita da opporre alle aberrazioni del nazionalismo, ed i Vescovi germanici rappresentano in questo momento una resistenza alle enormità neo-pagane, degna dei Padri della Chiesa antica. I Protestanti invece, sprovvisti di un vero coefficiente di unità dottrinale, e lasciati per principio al libero esame individuale, si trovano nella condizione di non avere un pensiero preciso da opporre.
Nella patria nostra, per grazia di Dio, ci troviamo in condizioni migliori. Il Cattolicismo, preso in tutta la sua genuina interezza, è già abbastanza unito alla storia ed alla vita della nostra nazione, perchè abbiano a sorgere velleità di riforme in senso nazionalistico. Anzi la patria nostra ha avuto il privilegio di essere la sede del Pontificato Romano, donde partono le direttive religiose anche per i cattolici delle altre nazioni: ed in ciò essa può trovare un motivo di legittimo orgoglio di fronte alle altre nazioni.
Badiamo però, che anche per noi potrebbe venire il pericolo di un nazionalismo religioso che potrebbe intaccare la genuina purezza della nostra fede. Italiani, sì, con tutta l'anima; ed orgogliosi anche, o meglio, grati a Dio, che l'Italia sia stata tanto favorita da Lui, da essere il centro del Cristianesimo, e da aver conservata, nel Cattolicismo, la sua unità religiosa. Ma non cristiani e cattolici solo perchè il cattolicismo è così unito alla storia della nostra nazione; ma bensì, per un motivo più alto, cioè, perchè Dio ci ha dato la sua rivelazione, che noi accettiamo e conserviamo con tutto lo slancio e la fermezza della nostra fede. Pronti, e anche questo sarebbe purissimo amor di patria, a richiamare con tutte le nostre forze quei nostri fratelli, che eventualmente volessero dare alla loro religiosità un contenuto esclusivamente nazionalistico.

3. Un terzo nemico, da cui dobbiamo più che mai metterci in guardia, è il Protestantesimo.
Dio sa, che quando chiamiamo nemico il Protestantesimo, non c'è nell'animo nostro nessun sentimento di rancore o di odio verso i nostri fratelli separati, che forse non professano la nostra cara fede, solo perchè non hanno avuto l'occasione di conoscerla bene, e di apprezzarne tutta la verità e l'efficacia. Anzi in noi c'è, vivo, il desiderio che si ricongiungano a noi nella fede e nell'amore del Divin Salvatore Gesù. Ma il Protestantesimo rappresenta un reale pericolo per la fede dei nostri fedeli; ed è per questo che abbiamo il dovere di metterli in guardia.
Alla sua origine, nel secolo XVI, il Protestantesimo, - la Riforma, come ha voluto chiamarsi - è stata una secessione, cioè una separazione dalla grande famiglia cristiana. Senza ricercarne qui minutamente i motivi, possiamo dire che, considerate le persone ed il modo con cui la dolorosa secessione fu fatta, non vi troviamo nulla di degno e di grande. Vi troviamo, invece, l'abbandono di un insegnamento che da quindici secoli aveva formato la preziosa eredità di Nostro Signore Gesù Cristo, difesa con tanta diligenza da tanti altri tentativi di errori, quante erano state le eresie.
Nessuno di quei Riformatori potè presentare una missione ricevuta da Dio, da contrapporre a quella che certo avevano ricevuto S. Pietro e gli altri Apostoli. Nè questa missione poteva essere rappresentata dal loro appellarsi al libro sacro, cioè alla Bibbia ed al Vangelo; perchè, mentre Cristo aveva promesso alla sua Chiesa la assistenza divina nella missione di insegnare la sua dottrina, e quindi anche il Vangelo, questa assistenza certo mancò ai nuovi Riformatori appellantisi alla Bibbia. Ne è prova più che evidente e perentoria il fatto che diversissime furono le loro opinioni nella interpretazione del libro sacro, anche in questioni di grande importanza, come lo mostrano le polemiche vivacissime fra Lutero e gli altri Riformatori. Essi dunque, e tanto più le molte sette che spuntarono poi in gran numero sul tronco del Protestantesimo, non possono dire, come si vantano solitamente, di aver sostituito all'insegnamento della Chiesa Cattolica, il Vangelo, ma una loro interpretazione individuale del Vangelo. Ed è tanto individuale, quindi umana, la dottrina che essi predicano, con tutti i caratteri di fallibilità e di instabilità che hanno le cose umane, che, nonostante il libro sacro del Vangelo che tutti tengono in mano, noi, per conoscere la loro dottrina, dobbiamo chiedere ai predicatori protestanti, se sono luterani o calvinisti, o zuingliani, o anglicani, o battisti, o metodisti, o valdesi, o salutisti, e così via. E secondo che appartengono all'una od all'altra setta, essi vi predicheranno l'esistenza di due o tre sacramenti, o ve li negheranno tutti, vi ammetteranno o vi negheranno un episcopato incaricato di governare spiritualmente i fedeli; anzi troverete alcuni che interpretano tanto largamente la dottrina che essi dicono evangelica, da negare perfino la Divinità di Nostro Signore Gesù Cristo e la Redenzione per compiacere alla critica moderna, contro altri i quali, invece, non si sentono di abbandonare questo punto, che dovrebbe pure considerarsi fondamentale per chi si vuoi chiamare cristiano. Di fronte a tante diversità, come si può dire che tutti predicano il Vangelo? E badate che, se, talvolta, a scopo di propaganda, vi parlano di una dottrina che essi dicono comune a tutti gli Evangelici, lo fanno sottraendo, con un artificio certo non degno di predicatori della verità, i punti di divergenza.
Lo sfacelo della dottrina Protestante apparve evidente quando uomini eminenti, e anche bene intenzionati, in questi anni del dopoguerra così bisognosi di una dottrina sicura di ricostruzione spirituale che solo il Cristianesimo può dare, vollero convocare tutte le diverse confessioni cristiane (come si sogliono chiamare) perchè si potessero intendere in un corpo unico di dottrina. Frutto di questo movimento furono i Congressi cosiddetti pancristiani di Stoccolma e di Losanna, dove invece apparve evidente la divergenza di opinioni e la mancanza di una dottrina comune, fino a venire alla proposta di non tener conto delle diverse dottrine, per accontentarsi di una azione pratica di educazione morale. Quasi che la morale evangelica non sia intimamente connessa colla sua dottrina, e non prendesse tutta la sua forza dalla fede nella divinità del suo Fondatore!
Oh! come dovette trovarsi male il Vangelo in quella imponente adunanza di gente che pur si chiamavano Evangelici! E come, dalle pagine della Bibbia che tutti coloro possedevano, e che avevano sempre dichiarato essere l'unica loro maestra, l'Apostolo S. Paolo doveva far sentire la sua voce: " Unus Dominus, una fide, unum baptisma: Vi è un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo " (Efes. IV, 5). Ed a loro che cercavano invano un'unità di dottrina, il medesimo Vangelo doveva suggerire quello che Cristo aveva stabilito per dare a questa unità di dottrina un fondamento sicuro, dicendo a Pietro: " Tu sei Pietro, e su questa pietra io edificherò la mia Chiesa" (Matt. XVI, 18); e poi ancora al medesimo: " Io ho pregato per te, affinchè la tua fede non venga meno, e tu conferma i tuoi fratelli " (Luc. XXII, 32); ed agli Apostoli, non a chiunque si voglia assumere il compito di insegnare: "Andate ed ammaestrate tutte le genti, insegnando loro tutte le cose che io vi ho comandato; ed io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo" (Matt., XXVIII, 19-20). Ecco la predicazione del Vangelo come Cristo l'ha voluta. Ed ecco il segreto della stabilità ed unità della fede, che solo la Chiesa Cattolica, fondata sopra Pietro e gli Apostoli, ha saputo conservare: vero faro di luce in mezzo al fluttuare delle dottrine.
Vi abbiamo richiamato tutto questo, o figli carissimi, perchè questi predicatori di una dottrina, che non è quella di Gesù Cristo, vengono anche tra voi, ed attentano alla vostra fede. Lo fanno, diffondendo fogli, opuscoli di propaganda, sui quali, sotto belle affermazioni di adesione alla dottrina di Cristo e del Vangelo, si insinua il disprezzo, la calunnia contro la Chiesa Cattolica e il suo insegnamento, l'autorità del Papa e dei Vescovi, ed anche si negano alcune delle dottrine più care della nostra santa religione, come la remissione dei peccati per mezzo della confessione sacra-mentale, la presenza reale di Gesù nella Santa Eucaristia, la divozione alla Madonna, l'esistenza del Purgatorio, e così via. Diffondono anche Bibbie e Vangeli, ma senza l'approvazione della Chiesa che ci garantisce la fedeltà delle traduzioni, ed insinuando che basta, per essere cristiani, leggere la Bibbia, quando invece Nostro Signore, pur ispirando gli autori sacri a scrivere quei libri divini, ci ha rimandati tutti ai Pastori della Chiesa da Lui costituiti maestri di verità, perchè ci guidassero cori sicurezza nella interpretazione del tesoro che in quei libri si contiene.
Vengono tra voi questi falsi maestri, quasi che le nostre terre fossero regioni di infedeli immersi nell'errore, ed avessero bisogno di essere evangelizzate da loro, mentre, per grazia di Dio, già hanno avuto da tanto tempo la luce del Vangelo, ed è stabilita in ogni luogo la cattedra di verità, garantita dalla sorveglianza della Santa Chiesa.
Purtroppo sappiamo che qua e là alcuni, per ignoranza, hanno ceduto all'insidia, fino a dare il nome a qualche setta. Sono poche, pochissime eccezioni, per grazia di Dio. Ma ciò non toglie che esse ci abbiano riempito l'animo di amarezza. Ed è per questo che tutti vogliamo mettere sull'avviso: i parroci ed i sacerdoti perchè vigilino ed impediscano che questi lupi facciano strage nei loro greggi; ed i fedeli, perchè si guardino dal cadere nel laccio che loro viene teso. Respingano tutto quello che viene dagli eretici: adunanze, discorsi, fogli di propaganda; la stessa Bibbia, non perchè Bibbia, ma perchè presentata da chi non ci può garantire l'integrità della edizione ed una guida alla sua interpretazione. Così facendo ci uniformiamo alle raccomandazioni che già facevano gli apostoli San Paolo e San Giovanni, che ammonivano di guardarsi dagli eretici di allora, è di respingere qualunque dottrina, venisse anche sotto il nome di Evangelo, che fosse diversa da quella che essi, per missione divina, avevano predicato.


MEZZI PER CONSERVARE LA FEDE

Dopo avervi messo in guardia contro i nemici della nostra fede, permettete, figli dilettissimi, che prima di finire questa lettera, vi indichiamo brevemente alcuni mezzi che vi devono servire per conservare intatta la vostra fede.

1. E prima di tutto, la preghiera. Essa è il gran mezzo per assicurarci i doni di Dio. E la fede è un dono di Dio. Non nel senso che non richieda una preparazione ed una cooperazione da parte nostra; ma nel senso che si richiede la grazia di Dio perchè anche questa parte nostra, di intelligenza e di volontà, non venga meno di fronte alle difficoltà che, come sopra accennammo, possono impedire, o ritardare, o sospendere, l'adesione fiduciosa della nostra mente alla rivelazione divina. Preghiamo dunque perchè Dio ci conservi sempre, viva, fresca, operosa, la nostra fede. E la nostra preghiera, guidata da un santo impeto di carità, si estenda anche a coloro che ci sono vicino, e vivono la nostra stessa vita, e a coloro che sono lontano, sotto il peso della persecuzione, o sotto i pericoli di una propaganda anticattolica ed anticristiana. E non escluda, anzi abbracci con amore anche più intenso, coloro che avessero ceduto alle insidie, rinunciando alla propria fede, perchè tutti ritornino alla casa del Padre comune.

2. Secondo mezzo sovrano, dev'essere la istruzione religiosa, impartita per tempo ai fanciulli, ma continuata poi, in modo progressivo, proporzionato all'età ed alle condizioni di ciascuno. Abbiamo la profonda convinzione che, se talvolta la perdita della fede può essere causata da una determinata crisi intellettuale o morale, il più delle volte è dovuta ad insufficiente istruzione religiosa. L'ignoranza in fatto di religione raggiunge proporzioni inverosimili; ed è noto, e sempre vero, l'antico detto di Tertulliano, che, come la religione, la fede ha un solo timore, di essere condannata perchè non conosciuta abbastanza. Per questo non cesseremo mai di raccomandare il catechismo dei fanciulli e la Dottrina domenicale degli adulti; ma insieme raccomandiamo a quelli che si trovano in speciali circostanze, di studio o di condizioni sociali, di procurarsi
con volonterosa assiduità una istruzione religiosa proporzionata ai loro bisogni.

3. Aggiungiamo una raccomandazione, che crediamo di importanza non piccola. Per mantenere precise in noi e negli altri le idee in fatto di religione e di fede, conserviamo anche la precisione nel parlare. Non s'è forse mai come ora fatta tanta confusione nell'uso dei termini riferentisi alla religione: come la parola stessa religione, e così, fede, rito, altare, adorazione, e così via, usati spesso ad indicare cose belle e alte, se volete, ma che non sono quelle indicate nel significato vero, religioso, delle parole. Tale confusione di parole può creare confusione di idee, e lasciare in chi le usa un concetto delle cose della religione, o inesatto, o troppo vago ed incerto. No: la nostra bella lingua italiana ha un vocabolario così ricco e pieno di finezza, che si può esprimere ogni idea col suo vero nome. Facciamolo sempre, e sarà tanto di guadagnato per la chiarezza delle idee e per la purezza della nostra fede.

4. Finalmente, se vogliamo che la nostra fede si conservi in noi in tutta la sua pienezza, tetragona alle difficoltà che le si possono presentare, facciamo di vivere in conformità con essa. Già l'apostolo S. Giacomo ci ha ammonito che la fede senza le opere è morta (Jac. lI, 26). E la è davvero, non solo nel senso che da sola la fede, senza le opere della carità, non basta a salvarci; ma anche nel senso che, non accompagnata da una vita che si ispiri ad essa, difficilmente può durare. Come potrebbe infatti, nell'unità del nostro spirito, sopravvivere a lungo un contrasto stridente fra una dottrina che ci insegna ad un modo, ed una vita che opera in modo contrastante?
Purtroppo tanti vi sono, che pur dicendosi cattolici, e quindi attaccati alla propria fede, vivono come se non l'avessero, trascurando i doveri religiosi, o conducendo una vita moralmente scorretta. Questa loro condotta serve di solito a screditare la fede presso coloro che non credono, e che hanno buon giuoco a negare ogni nobiltà ed efficacia ad una fede così smentita dalla vita. Ma avviene spesso che Dio si ritiri da chi vive una vita così in contrasto coi dettami della sua rivelazione ; e così avvengono le catastrofi, colla perdita della fede. Dio ne domanderà stretto conto.
Invece come è ammirevole, edificante la fede fresca, viva, dotata di intuizioni profonde che non si aspetterebbero, di tante anime che sanno vivere la loro fede, ispirandovi tutti i momenti e tutte le azioni della propria vita! Dio benedici queste anime, rendendole feconde di bene; ma anche il mondo stesso ne resta edificato. Spesso avviene che lo spettacolo di una simile vita tutta ispirata alla fede ed alla carità, sia il punto di partenza per salutari ritorni di anime che la fede avevano perduta.
Ecco, figli dilettissimi, la fede, considerata in se stessa, nei nemici che la insidiano, nei mezzi coi quali dobbiamo cercare di conservarla.
Ringraziamo il Signore, "quae nos vocavit in admirabile lumen suum" (I Petri, II, 9); poichè la fede è veramente luce divina, partecipazione di quella Luce vera "quae illuminat omnnen hominem venientem in lume mundum" (Jo., I, 9), che, come dice l'evangelista Giovanni, è lo stesso Verbo Divino; luce destinata a scomparire un giorno per dar luogo ad un'altra luce, più viva, senza confronto più intensa, che sarà la stessa Essenza Divina svelatasi a noi, facie ad faciem, e che formerà la nostra ineffabile beatitudine. Così favoriti da Dio, "ut filii lucis ambulate" (Efes., V, 8) ci dice l'apostolo. Facciamo cioè che la luce della fede si rifletta su tutte le nostre azioni, e che queste a loro volta rendano testimonianza della nostra fede. E voglia il Sole divino chiamare a godere di questa luce anche coloro che finora giacciono nelle tenebre.
La benedizione di Dio Onnipotente, Padre, Figliuolo e Spirito Santo, scenda su tutti noi.

Brescia, 15 febbraio 1935.

 

 

 

 

 

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