Maurilio Lovatti, Giacinto Tredici vescovo di Brescia in anni difficili, Fondazione Civiltà Bresciana, Brescia 2009, pag. 451, € 20
|
Dal capitolo 2 (pag. 52 - 56)
I
funerali di Gabriele D'Annunzio
|
Nel 1936 mons. Giovanni Fava,[1] parroco di Gardone Riviera, scrive al Vescovo per avere istruzioni, nell'eventualità del funerale del poeta Gabriele D'Annunzio, che da oltre dodici anni risiedeva al Vittoriale. Il Vescovo si rende conto che l'eventuale richiesta d'esequie religiose per il poeta avrebbe creato rilevanti problemi. D’Annunzio non aveva certo mantenuto buoni rapporti con la Chiesa, sia per la sua vita privata, sia per i suoi scritti, che erano stati messi all’indice, perché contrari alla morale e alla fede cristiana. In particolare a Gardone, dopo la prima della Figlia di Iorio, l'11 settembre 1927, svoltasi sotto l'alto patronato di Mussolini, l'autorità ecclesiastica aveva vietato ai cattolici di partecipare allo spettacolo, anche come semplici comparse.[2] Inoltre i funerali religiosi potevano creare turbamento o addirittura scandalo tra i fedeli e potevano apparire come un'approvazione solenne del Regime, delle forme più militari, aggressive e pagane del fascismo. Tuttavia va anche tenuto presente che tra D'Annunzio e mons. Fava si era creato un rapporto personale improntato a reciproco rispetto, come testimoniato da un nutrito epistolario, dal febbraio del 1934 alla Pasqua del 1937, e da diversi incontri tra i due, che avvenivano abitualmente "sulla balconata davanti alla canonica, prospiciente il lago",[3] luogo nel quale il poeta amava passare nelle sue abituali passeggiate. Inoltre D'Annunzio aveva stabilito da anni cordiali e amichevoli rapporti coi frati francescani del convento dei Cappuccini di Barbarano di Salò e di quello dei Minori di Gargnano. Nell'archivio dei frati Minori di Milano sono conservati diversi biglietti di D'Annunzio che testimoniano l'amicizia coi religiosi, taluni firmati scherzosamente "fra Gabriele dell'ordine del Vittoriale" o "frate Gabriele da Gargnacco".[4] Il 5 maggio del 1936, Tredici scrive direttamente al Segretario di Stato vaticano, il cardinale Eugenio Pacelli, chiedendo "istruzioni precise, previo accordo col Santo Padre, per una circostanza difficile." Il Vescovo fornisce qualche informazione sullo stile di vita del poeta, negli ultimi anni tranquillo e silenzioso: "Un tempo, mi dicono che si notava un andirivieni di persone compromettenti; ora no." E aggiunge: "Dal conto suo, D’Annunzio ha mantenuto qualche buon rapporto coll’arciprete di Gardone: gli ha mandato più di una volta somme da distribuire ai poveri, con qualche scambio di lettere, cortesi per quanto strane, e parecchie volte, nell’anniversario di sua madre, ha fatto celebrare una Messa, intervenendovi." Confida poi di aver detto, in una breve conversazione nel duomo di Brescia con un funzionario governativo, amico del poeta: "Io, naturalmente, non ho nessun motivo per far visita al Poeta; ma se in qualunque momento, per motivo religioso, egli desiderasse la mia presenza, io sono sempre a disposizione perché sono il suo Vescovo." La lettera al cardinal Pacelli continua con domande molto precise: "a) per la morte, prevedo che probabilmente non vi sarà nessuna chiamata di sacerdote, o al massimo, una chiamata per estrema unzione quando sarà fuori dei sensi. Ma se il Signore gli volesse usare una misericordia speciale, che cosa dovremmo esigere di fronte ad una sua chiamata? E quando si sapesse di una malattia grave, sarebbe il caso di tentare, anche senza essere chiamati, la visita di alcuno che gli possa essere grato, ed insieme sappia essere tanto prudente da evitare il pericolo di fare soltanto una parte decorativa per ornare il trionfo del poeta pagano? So che ebbe buoni rapporti e stima verso S.E. Mons. Celso Costantini, che fu a Fiume con lui. Potrebbe essere opportuno, eventualmente, una sua visita? b) Per i funerali, come dovrei contenermi, - nel caso che ci fosse stata l’amministrazione dei S. Sacramenti, - o della sola estrema unzione, o nulla?"[5] Il cardinal Pacelli, il futuro Pio XII, risponde dopo solo quattro giorni, a conferma dell'importanza attribuita al caso: "Mi è giunta la lettera dell’Eccellenza Vostra Rev.ma del 5 maggio circa la malattia del poeta Gabriele D’Annunzio e mi sono affrettato a sottoporla al Santo Padre. Sua Santità ritiene che i rapporti mantenuti dal poeta con l'Arciprete di Gardone possono essere considerati come una via che la Provvidenza apre nella presente difficile circostanza, il buon sacerdote sembra la persona più indicata per tentare di fare un po’ di bene, e sarebbe opportuno che cogliesse subito l’occasione adattata per incominciare, anche senza essere espressamente chiamato. Riguardo al rimanente l'Eccellenza Vostra si attenga alle regole della Teologia pastorale, che sono riassunte nei Canoni 1239, 1240 del Codice di Diritto Canonico. Se quindi potrà aver luogo l’amministrazione dei SS. Sacramenti o almeno dell’Estrema Unzione, potranno pure concedersi i funerali religiosi: in caso contrario e quando l’infermo non avesse dato alcun segno di penitenza, è naturale che essi non potrebbero ammettersi. Se un sacerdote riuscirà ad avvicinare il malato, l’indispensabile sarà che procuri di indurlo a pentirsi dinanzi a Dio, e potrà ritenersi sufficiente un qualche segno di ritrattazione, contentandosi anche di poco, atteso pure il carattere singolare di lui."[6] Alle 20.05 del 1° marzo 1938, D'Annunzio muore improvvisamente, per emorragia cerebrale; è chiamato Mons. Fava, che al cadavere dà l’assoluzione e l’Estrema unzione sub conditione. Il poeta non aveva potuto mostrare segni di pentimento e perciò, stando alle disposizioni della Santa Sede, non avrebbe potuto ricevere i funerali religiosi solenni. Il giorno successivo il Fava si reca immediatamente a Brescia per conferire col Vescovo. Sempre il 2 marzo, ancora prima dei funerali, Tredici scrive immediatamente una lettera a mons. Montini, contenente informazioni sulla morte del poeta, con preghiera di informare "il Cardinale Segretario di Stato, ed eventualmente Sua Santità". Il Vescovo, sulla base delle notizie appena ricevute dal parroco di Gardone Riviera, scrive: "Da qualche anno era cessato lo scandalo di una specie di 'harem' intorno al poeta, con andirivieni di donne. Le persone addette alla sua casa non presentavano nulla di anormale e sconveniente. Anzi, l'arciprete mi informa che alcuni mesi fa andò a far visita al poeta un padre domenicano, il quale vi mandò una distinta signorina cattolica e colta, che, parlando di religione con lui, credettero (sic) di constatare in lui qualche aspirazione religiosa, s'intende ancora molto indeterminata."[7] Tuttavia ci sono molte insistenze delle autorità che vogliono celebrare l’Eroe e a Gardone arrivano Benito Mussolini, vari ministri e alti gerarchi fascisti; il Re era rappresentato dal Duca di Bergamo, Adalberto di Savoia-Genova: tutto questo mette il povero mons. Fava in gravissime difficoltà. Sono celebrati funerali religiosi solenni con S. Messa, banda musicale, bandiere italiane e littorie, corteo e presenza di grandi folle. I giornali riportano ampia informazione sull’avvenimento e immediatamente la Congregazione Vaticana del S. Offizio chiede "con ogni sollecitudine" al Vescovo di Brescia di fornire informazioni, con l'implicita richiesta di spiegazioni per non essersi attenuto alle disposizioni ricevute[8]. Tredici risponde immediatamente[9], inviando anche copia della lettera a Montini, e precisando che, da informazioni avute dal parroco, "ci fu anche una Messa letta; ma questo non era nelle mie istruzioni, che limitavano l'intervento ad un funerale modesto, senza Messa." Subito dopo ricorda un illustre precedente: nel dicembre del 1903 era morto Giuseppe Zanardelli, "rappresentante di un anticlericalismo vivace e settario", vi era stato il funerale religioso e "qui tutti lo ricordano". Infine conclude: "dato l'intervento di tante autorità e personaggi, ho creduto opportuno un provvedimento di mitezza. Potrò aver sbagliato. Al momento non l'ho creduto". Il giorno seguente, con un'altra lettera al cardinal Sbarretti, aggiunge: "Ho detto nella mia lettera di ieri, che la Messa non entrava nelle istruzioni date da me. L’arciprete mi spiega che il sovrintendente del Vittoriale venne da lui verso l’imbrunire del 2 marzo per combinare il funerale da farsi alle 9 del giorno seguente, quindi senza possibilità di chiedere a me, mentre era già venuto a Gardone il Duce. E venne con una richiesta evidentemente già combinata: funerali solenni, con Messa solenne musica, orchestra, ecc. L’Arciprete rispose che non poteva concedere che un funerale molto semplice, senza Messa. L'altro affacciò la difficoltà di disporre in chiesa tante altissime autorità, (principe reale, capo del governo, ecc.), e poi ordinare il corteo di fuori, con un soffermarsi così breve in chiesa. Per questo il parroco venne ad un accomodamento, concedendo una Messa letta; la seconda cerimonia del giorno seguente non fu che la benedizione della tomba, che l’arciprete considerò compimento logico del funerale."[10] Il 9 aprile il S. Offizio archivia il caso. Comunica il card. Sbarretti: "Questa Suprema Congregazione, mentre prende atto delle disposizioni dall'E. V. date al proposito della celebrazione della S. Messa, esprime il rammarico nel constatare che il Parroco di Gardone non siasi attenuto agli ordini ricevuti."[11] L'anno successivo, il 23 febbraio del 1939, Tredici scrive a Fava, autorizzandolo a benedire la prima pietra del monumento funebre del poeta, evitando ogni solennità; con estrema prudenza raccomanda: "andateci da solo, senza chierici, e finito, levate la cotta ed eclissatevi". Riguardo all'eventuale richiesta del comitato per le onoranze funebri di una messa nell'anniversario della morte suggerisce un diniego e "se vedrete che la cosa diventa difficile, come ultima riserva (sottolineato a penna, nda), suggerite un ufficio per i caduti fiumani". In questa eventualità gli prescrive di non usare mai la parola "martiri" in relazione ai caduti nell'impresa di Fiume.
*********
[1] Mons. Giovanni Fava (1884-1975) nato a Limone del Garda, curato a Toscolano, parroco di Gardone Riviera dal 1931 al 1961. [2] L. Fossati, Sua ecc. mons. Emilio Bongiorni e alcuni aspetti del suo tempo, Ancelle della Carità, Brescia 1962, pag. 220. [3] A. Fappani, D'Annunzio «parrocchiano», in "Memorie storiche della diocesi di Brescia", v. XXXI (1964), n. 1-2, pag. 75. [4] AA. VV. Frammenti di grazia. Sfogliando i primi 100 anni del convento S. Tommaso di Gargnano, Centro europeo, Gargnano (Bs) 2005, pag. 20-21. [5] Minuta dattiloscritta con correzioni a mano del 5 maggio 1936, in B 109. [6] Lettera del card. Eugenio Pacelli, Segretario di Stato, del 9 maggio 1936, in B 109. [7] Lettera a mons. Montini del 2 marzo 1938, in B 109. [8] Lettera del 4 marzo 1938, a firma del card. Donato Raffaele Sbarretti, segretario del S. Uffizio, in B 109. [9] Lettera al card. Sbarretti, del 7 marzo 1938, in B 109. [10] Lettera al card. Sbarretti del 8 marzo 1938, in B 109. [11] Nota del Santo Offizio, n. 112, del 9 aprile 1938, a firma del card. Sbarretti, in B 109.
|
Maurilio Lovatti, Giacinto Tredici vescovo di Brescia in anni difficili, Fondazione Civiltà Bresciana, Brescia 2009, pag. 451
Giacinto Tredici, vescovo di Brescia in anni difficili
Maurilio Lovatti Indice generale degli scritti
Maurilio Lovatti Scritti di storia locale
Maurilio Lovatti, Giacinto Tredici vescovo di Brescia in anni difficili, Fondazione Civiltà Bresciana, Brescia 2009, pag. 451, € 20 |