"Purificare
la memoria" è un compito delicato e indispensabile per una crescita
equilibrata delle persone e della società. Con quest'espressione
s'intendono almeno due cose. Anzitutto non censurare il passato, non
nasconderlo o non alterarlo perché non ci piace, perché non corrisponde
all'idea che vogliamo avere di noi stessi; poi prendere una posizione
corretta nei confronti del passato, riconoscendone con sincerità gli
errori e le insufficienze in modo da superare il rischio di ripeterli. La
'censura' a livello personale produce nevrosi e quindi immagini infondate
e comportamenti irrazionali; a livello sociale, poi, censurare il passato
produce intolleranza, aggressività, incapacità di un dialogo sincero e
fruttuoso. Di dialogo abbiamo un bisogno profondo e urgente in questi
tempi nei quali le culture si confrontano, si contrappongono, si criticano
a vicenda; e per il dialogo è condizione previa necessaria la sincerità,
la correttezza, la libertà interiore. Ora, nella nostra memoria di
Italiani hanno un posto importante gli anni del fascismo, della guerra e
della resistenza. Rivisitare quegli anni, farlo con un animo obiettivo e
sereno, è indispensabile per costruire poco alla volta, con fatica, una
memoria che sia condivisa e che contribuisca, quindi, ad arricchire la
compattezza morale del nostro paese. Non è un impegno facile perché
anche la memoria è sottomessa a valutazioni animose, di parte, che
tendono a esacerbare i conflitti e a contrapporre le interpretazioni.
Per questo scopo il libro di Lovatti è un contributo prezioso del quale
non possiamo che essere riconoscenti. Negli anni cui ci riferiamo il clero
ha avuto una notevole importanza nel dirigere la coscienze delle persone e
quindi nell'orientare le loro scelte. Questo vale per tutto il territorio
italiano, ma vale in particolare per una provincia come quella di Brescia
nella quale il radicamento religioso è stato e rimane fortissimo. Come si
sono comportati i preti in quegli anni? Come hanno interpretato la loro
missione negli anni della guerra, negli anni della resistenza?
L'esposizione di Lovatti è chiara, documentata e serena. I diversi
atteggiamenti del clero nei confronti della resistenza che l'autore
delinea offrono un criterio preciso per orientarsi in un campo che non è
facile da esplorare. Come ci viene ricordato, infatti, i preti erano più
di mille in diocesi; e se anche qualcuno fosse disposto a studiarli uno
per uno, i documenti rimasti sono scarsi e non ci permetterebbero di
giungere a risultati sufficientemente precisi. E tuttavia la visione del
clero bresciano nel suo complesso non è incerta.
Da una parte l'atteggiamento di mons. Gaggia aveva immesso da subito, nel
tessuto della diocesi bresciana, degli anticorpi notevoli di fronte
all'ideologia fascista; dall'altra l'anticlericalismo di alcune autorità
fasciste aveva favorito una presa di distanza progressiva. Le
contraddizioni rispetto alla visione cristiana della vita erano emerse
sempre più chiare alla coscienza di molti. Lovatti indica come un momento
decisivo di questa consapevolezza le leggi razziali del 1938.
L'atteggiamento istintivo dei cristiani nel confronti dell'autorità è
improntato al lealismo, nel riconoscimento che l'autorità corrisponde a
un bisogno della società e quindi entra nel disegno di Dio sulla
convivenza umana. Ma questo lealismo non può essere cieco,
incondizionato: "Bisogna obbedire a Dio prima che agli uomini"
avevano affermato Pietro e Giovanni di fronte al Sinedrio; e da allora
questa consapevolezza è rimasta chiara, non contestata nella visione
cristiana della vita.
"Ribelle per amore" è lo slogan (di Teresio Olivelli) che ha
illuminato molte coscienze e ha determinato molte decisioni: 'ribelle',
perché ci sono comportamenti che non si possono accettare per nessun
motivo e ai quali è dovere ribellarsi - quei comportamenti che violano la
dignità della persona umana; ma ribelle 'per amore' dell'uomo, di
quell'uomo che Dio ha creato e a cui Dio ha dato una vocazione divina.
Senza odio, senza volontà di vendetta. Non è facile insediarsi a questa
altezza di valori, ma non ci si può accontentare di meno. Bisogna tendere
lì e solo lì fissare la dimora. È bello che Lovatti faccia emergere i
sentimenti di umanità che hanno illuminato anche scene di per sé buie;
chissà, forse nel cuore dell'uomo, nascosta magari nel profondo, rimane
sempre una scintilla di umanità che è nostro compito fare emergere e
valorizzare. Solo così possiamo "sperare nell'uomo", sempre.
La purificazione della memoria richiede anche di dare un giudizio sulle
scelte del passato in modo da discernere, nei limiti del possibile, il
bene dal male, le scelte sagge da quelle stupide. Non si tratta mai di
giudicare le singole persone; questo esce dalle nostre possibilità
perché nessuno è in grado di raccontare in modo corretto la storia degli
altri. Motivazioni fisiche, psicologiche, spirituali, relazionali,
politiche… s'intrecciano nelle singole scelte delle persone e chi mai è
in grado di districare questo complesso di legami? Lasciamo a Dio il
giudizio sulle persone. Ma il giudizio sulle scelte deve essere anche
nostro; ci sono scelte intelligenti e scelte stupide: distinguere le une
dalle altre ci permette di diventare un po' meno stupidi e un po' più
intelligenti; questo è un vantaggio per noi e per la società in cui
viviamo. Ci sono scelte buone e scelte cattive; discernere le une dalle
altre ci rende un poco più buoni e rende migliore la società in cui
viviamo. A questo non possiamo rinunciare. Il libro di Lovatti è
l'occasione per rinnovare e approfondire e calibrare elementi che abbiamo
in memoria e che ci aiutano a muoversi all'interno del mondo di oggi.
Il giudizio nei confronti del fascismo è sufficientemente condiviso nella
società italiana di oggi, ma non si può mai dare nulla per scontato.
Bisogna far emergere le motivazioni per le quali un certo giudizio viene
emesso; bisogna mettere in luce i valori che sono operanti in un giudizio.
Solo così si può trasmettere da una generazione all'altra una base
ferma, che permette di procedere rettamente e di costruire solidamente. Il
libro di Lovatti ci accompagna in questo itinerario; siamo convinti che la
fatica non piccola cui Lovatti si è sottomesso possa portare frutti buoni
di intelligenza e di comunione.
Brescia,
luglio 2015
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