Bresciaoggi giovedì 9 giugno 1977, pag. 7

 

ECONOMIA E LAVORO

Dopo una lunga battaglia politica e parlamentare 

La legge sui suoli: un notevole passo 

Le "Norme per l’edificabilità", a firma Bucalossi, introducono di fatto una quasi separazione fra diritto di proprietà e facoltà di costruire

 

 

 

Il 28 gennaio è stata promulgata la legge n. 10 del 1977 che reca il titolo "Norme per la edificabilità dei suoli". Questa legge è stata giudicata dai partiti democratici e dalla stampa un notevole passo in avanti per la normativa urbanistica italiana, addirittura una "mini-riforma". Ma di che cosa tratta questa legge e quali problemi risolve? La legge sui suoli contiene varie modifiche alla legge 17.8.1942 n. 1150, che è la prima ed unica legge urbanistica organica approvata in Italia. Tutte le altre leggi del settore, dal primo dopoguerra ad oggi, sono modificazioni ed integrazioni della legge del '42. La 1150 definisce, tra l'altro, le caratteristiche e le modalità di formazione e approvazione dei Piani regolatori comunali. Come è noto in base a tale legge i Piani regolatori indicano le aree da destinare ad uso pubblico (a verde pubblico, a strade e piazze, "ad edifici pubblici o di uso pubblico nonché ad opere ed impianti di interesse collettivo o sociale"). Su tali aree non è possibile ottenere licenze edilizie e, fino a quando il Comune non provveda ad espropriarle, al proprietario non spetta alcun indennizzo. Negli anni Sessanta, si cominciò a discutere se queste norme fossero compatibili con la Costituzione che statuisce il principio di uguaglianza, in quanto i piani regolatori consentivano ad alcuni proprietari la facoltà di edificare e non ad altri. Tali disposizioni, si disse, avevano un contenuto espropriativo, in quanto destinate ad espropriare al proprietario l'unico modo di utilizzare il bene conformemente alla sua destinazione economica, cioè quella edificatoria.
La Corte costituzionale fece sostanzialmente proprio questo punto di vista e con la sentenza n. 55 del 19.5.1968 dichiarò incostituzionali i vincoli urbanistici. Sulla base delle indicazioni offerte alla sentenza, i più argomentarono: se sono incostituzionali, per la violazione del principio di uguaglianza, i vincoli di inedificabilità che gravano solo su alcuni proprietari, è certamente conforme alla Costituzione separare, con provvedimento generale ed astratto, la facoltà di costruire dal diritto di proprietà. Evidentemente la separazione del diritto di proprietà dalla facoltà di costruire significava trasferire la rendita fondiaria rappresentata dalla differenza tra il prezzo di mercato delle costruzioni e il loro costo (comprensivo dell'area, degli oneri di urbanizzazione e del profitto medio) dalla speculazione edilizia agli enti locali. Una scelta che evidentemente non era compatibile con il sistema di potere democristiano.
Per questo la DC aveva sempre avversato un provvedimento di questo genere a partire dal famoso "caso Sullo". Quindi dal '68 al '75 si andò avanti con una serie di proroghe tendenti ad aggirare nei fatti la sentenza della Corte costituzionale, finché alla fine del '75 venne reso pubblico il cosiddetto "progetto Bucalossi".
Il progetto Bucalossi non contemplava formalmente la separazione della facoltà di edificare dal diritto di proprietà, ma introduceva il meccanismo della "concessione". Per poter costruire, oltre agli oneri di urbanizzazione, il proprietario doveva - secondo Bucalossi - versare al Comune una quota variabile dal 5% al 15% del costo di costruzione.
Un'innovazione del genere aveva, dal punto di vista pratico, l'indubbio vantaggio di contribuire a risanare le dissestate finanze dei Comuni; ma il motivo "teorico" o di principio che indusse a questa proposta fu di altro genere. Il significato della concessione è quello di rendere meno pronunciata la differenza di trattamento tra chi possiede terreni vincolati (soggetti ad esproprio) e chi è proprietario di terreni edificabili, penalizzando questi ultimi, obbligandoli cioè a pagare il "diritto" di costruire. Come si vede si tratta di una quasi-separazione (di fatto) tra il diritto di proprietà e la facoltà di costruire. La separazione sarebbe totale se la quota da corrispondere per la concessione fosse eguale alla rendita fondiaria. Il testo della legge n. 10 approvata dal Parlamento è un rifacimento del progetto Bucalossi, con ampie modifiche ed integrazioni. Sono stati proprio questi miglioramenti a provocare l'astensione (determinante) delle sinistre. Può essere interessante analizzarli anche per rendersi conto di quanto abbia inciso la pressione delle sinistre. Le modifiche ed integrazioni che la legge n. 10 introduce nella vigente legislazione sull'edilizia economica e popolare sono senza dubbio rilevanti e meritano un esame a parte, che verrà effettuato in un prossimo articolo. Per quanto concerne invece la parte inerente l'istituto della concessione, importanti modifiche sono state ottenute all'articolo 6 che stabilisce le norme per la determinazione del costo di costruzione, sul quale si applica l'aliquota variante dal 5% al 20% per stabilire l'ammontare della concessione. Per le ristrutturazioni ed interventi su edifici esistenti, il costo è stimato dall'Amministrazione Comunale sulla base dei progetti presentati, mentre secondo il progetto Bucalossi tali interventi erano esonerati dal contributo per la concessione. Se l'esonero fosse stato mantenuto nella legge, i centri storici sarebbero stati abbandonati alla ristrutturazione selvaggia, resa ancora più conveniente, con la conseguente espulsione dei ceti meno abbienti. L'articolo 9, invece, prevede la gratuità della concessione per ristrutturazione solo nei casi in cui il proprietario si convenzioni con il Comune, impegnandosi a concordare gli affitti ed a contribuire alle spese di urbanizzazione.
Per le nuove costruzioni il costo è determinato annualmente con decreto del ministro dei Lavori pubblici, sulla base del costo dell'edilizia convenzionata; ma per gli edifici con caratteristiche tipologiche superiori, sono consentite maggiorazioni del costo fino al 50%, mentre tali maggiorazioni non erano contemplate dal progetto Bucalossi. Infine, sempre nell'articolo 6, il massimo dell'aliquota da applicare al costo per determinare il contributo per la concessione è stabilito, come visto, al 20%, mentre per Bucalossi era pari al 15 per cento. Ciò può tradursi in maggiori entrate per i Comuni in misura di oltre il 30 per cento.
Una importante battaglia si è svolta sulle norme transitorie. Il progetto Bucalossi, fermi restando gli oneri di urbanizzazione, concedeva fortissimi sconti sulla quota di concessione per un periodo fino a 36 mesi dalla entrata in vigore della legge.
Come l'esperienza dimostra, l'introduzione di periodi di transizione nella legislazione urbanistica comporta effetti deleteri. Basti pensare al famigerato anno di moratoria della "legge-ponte" (la 765 del 6.10.1967), dal 10 settembre 1967 al 31 agosto 1968, quando vennero rilasciate licenze edilizie per 8,5 milioni di vani residenziali (oltre a 240 milioni di metri cubi di altre costruzioni), circa il triplo della media annuale dei vani autorizzati nel decennio precedente. Se si considera che nel progetto Bucalossi la concessione era a tempo indeterminato ed era trasferibile (unitamente all'area relativa) e quindi soggetta a compra-vendita, si vede quale regalo veniva fatto alle mobiliari ed agli speculatori.
Essi avrebbero potuto chiedere la concessione nei primi sei mesi dall'entrata in vigore della legge (gratis) e poi rivenderla successivamente, lucrando la differenza.
Le sinistre in Parlamento hanno cercato di bloccare tale manovra due modi:
1) ottenendo di fissare un termine di ultimazione dei lavori, non oltre tre anni dal rilascio della concessione (articolo 4, comma 4);
2) riducendo il periodo di transizione. Su questo punto, per la resistenza democristiana, ci si è dovuti accontentare di un compromesso. Il periodo di transizione è stato così fissato:
primi sei mesi: esonero totale;
dai 6 ai 12 mesi: sconto del 70%
dai 12 ai 24 mesi: sconto del 40%

(1 - continua)

Maurilio Lovatti

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