Università Cattolica del Sacro Cuore - sede di Brescia prof. Marco Paolinelli Materiali per il corso di storia della filosofia 2011
Immanuel Kant Prefazione alla prima edizione della Critica della Ragion Pura (1781)
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(aggiornato
al 5.11.2011) [Eccellenza
della metafisica e interesse di Kant per essa] [1.]
La ragione umana, in una specie delle sue conoscenze[1],
ha il destino particolare di essere tormentata da problemi che non può
evitare, perché le son posti dalla natura della stessa ragione, ma dei
quali non può trovare la soluzione, perché oltrepassano ogni potere
della ragione umana[2].
[2.]
In tale imbarazzo cade senza sua colpa[3].
Comincia con principi, l’uso dei quali nel corso dell’esperienza e
inevitabile, ed è insieme sufficientemente verificato da essa. Con tale
uso la ragione sale (come comporta la sua stessa natura) sempre più
alto, a condizioni sempre più remote[4].
Ma, accorgendosi che in tal modo il suo lavoro deve rimanere sempre
incompiuto[5],
perché i problemi non cessano mai d’incalzarla, si vede costretta a
ricorrere a principi, che oltrepassano ogni possibile uso empirico e, ciò
malgrado, paiono tanto poco sospetti che il senso comune[6]
sta in pieno accordo con essi. Se non che, per tal modo, incorre in
oscurità e contraddizioni, dalle quali può bensì inferire che in
fondo devono esservi in qualche parte errori nascosti, che però non
riesce a scoprire, perché quei principi, di cui si serve, uscendo fuori
dei limiti di ogni esperienza, non riconoscono più una pietra di
paragone dell’esperienza[7].
Ora, il campo di queste lotte senza fine si chiama Metafisica[8].
[3.]
Fu già un tempo che questa era chiamata la regina di tutte le scienze;
e, se si prende l’intenzione pel fatto, meritava certo questo titolo
onorifico[9],
per l’importanza capitale del suo oggetto[10].
Ma ormai la moda del nostro tempo porta a disprezzarla[11],
e la matrona si lamenta, respinta ed abbandonata come Ecuba: modo
maxima rerum, tot generis natisque potens — nunc trahor exul, inops
(Ovidio, Metamorfosi[12]).
[Metafisica
e critica della ragione] [4.]
A principio, la sua dominazione, sotto il governo dei dogmatici[13],
era dispotica. Ma, poiché la legislazione serbava ancora traccia
dell’antica barbarie, a poco a poco degenerò per guerre intestine in
una completa anarchia; e gli scettici[14],
sorta di nomadi, nemici giurati d’ogni stabile cultura della terra,
rompevano di tempo in tempo la concordia sociale. Tuttavia, poiché
fortunatamente erano in pochi, non potevano impedire che quelli[15],
sempre di nuovo, sebbene senza un disegno concorde, cercassero di
ricomporla. Nell’età moderna in verità, parve una volta che tutte
queste lotte dovessero aver fine per mezzo di una certa fisiologia
dell’intelletto umano[16]
(per opera del celebre Locke[17]),
e che dovesse esser pienamente risoluta la questione della legittimità
di quelle pretese. Ma avvenne che, sebbene l’origine della presunta
regina si facesse derivare dalla plebaglia della comune esperienza[18],
e perciò a buon diritto si dovesse aver per sospetta la sua arroganza,
poiché nel fatto questa genealogia falsamente le venne attribuita[19],
essa ha continuato sempre a mantenere le sue pretese; e così si è
ricaduti nel vecchio e tarlato dogmatismo, e quindi nel discredito, dal
quale si era voluto salvare la scienza[20].
Ormai, dopo avere inutilmente tentato (se n’è convinti) tutte le vie,
impera sovrano il fastidio ed un totale indifferentismo, padre del caos
e della notte, nelle scienze[21],
ma ad un tempo origine o almeno preludio di un loro prossimo
rinnovamento e rischiaramento, se esse per uno zelo male impiegato sono
diventate oscure, confuse e inservibili[22].
[5.]
Giacché invano si vuoi affettare indifferenza riguardo a ricerche
siffatte, il cui oggetto non può mai essere indifferente alla natura
umana[23].
Del resto anche i sedicenti indifferenti, sebbene s'ingegnino di
mascherarsi cangiando il linguaggio della scuola in un tono popolare,
non appena pensano in generale qualcosa[24],
ricadono inevitabilmente in quelle affermazioni metafisiche, verso le
quali ostentavano tanto disprezzo[25].
Frattanto, questa indifferenza che s’incontra proprio in mezzo al
fiorire di tutte le scienze[26],
e che tocca appunto quella, alle cui conoscenze, se fosse possibile
averne, meno si vorrebbe rinunziare[27],
è un fenomeno che merita attenzione e riflessione. Non è per certo
effetto di leggerezza, ma del giudizio maturo dell’epoca [nostra]*[28],
che non vuole più oltre farsi tenere a bada da una parvenza di sapere,
ed è un invito alla ragione di assumersi nuovamente[29]
il più grave dei suoi uffici, cioè la conoscenza di sé, e di erigere
un tribunale, che la garantisca nelle sue pretese legittime, ma condanni
quelle che non hanno fondamento, non arbitrariamente, ma secondo le sue[30]
eterne ed immutabili leggi; e questo tribunale non può essere se non la
critica della ragion pura[31]
stessa. *
Si sentono assai spesso lamenti sulla superficialità di pensiero del
nostro tempo e sulla decadenza della scienza solida (gründliche)[32].
Ma io vedo che le scienze le cui basi sono ben fondate, come la
matematica, la fisica ecc., non meritano punto simile rimprovero, ché
anzi mantengono la vecchia fama di solidità (Gründlichkeit),
e negli ultimi tempi l’hanno piuttosto accresciuta. Proprio lo stesso
spirito , si dimostrerebbe produttivo anche negli altri campi del
conoscere, solo che si fosse curata bene la rettificazione (Berichtigung)
dei loro principi. Mancando la quale, indifferenza, dubbio e infine
critica rigorosa sono piuttosto prova di solidità di pensiero (gründliche
Denkungsart). Il tempo nostro è proprio il tempo della critica, cui
tutto deve sottostare. Vi si vogliono comunemente sottrarre la religione
per la santità sua, e la legislazione per la sua maestà; ma così esse
lasciano adito a giusti sospetti, e non possono pretendere quella non
simulata stima, che la ragione concede solo a ciò che ha saputo
resistere al suo libero e pubblico esame[33]. [6.]
Io non intendo per essa una critica dei libri e dei sistemi, ma la
critica della facoltà della ragione in generale riguardo a tutte le
conoscenze alle quali essa può aspirare indipendentemente da ogni
esperienza[34];
quindi la decisione della possibilità o impossibilità di una
metafisica in generale, e la determinazione così delle fonti, come
dell’ambito e dei limiti della medesima, e tutto dedotto da princìpi[35]. [Risultati
della critica] [7.]
Mi son dunque messo per questa via[36],
che era l’unica che rimanesse, e mi lusingo d’aver in essa trovato
il modo di abbattere tutti gli errori che sinora hanno messo la ragione
in discordia con se stessa nel suo uso libero da ogni esperienza[37].
Ai suoi problemi non mi sono sottratto[38]
adducendo a scusa l’impotenza della ragione umana; al contrario, li ho
completamente specificati secondo princìpi; e, dopo aver scoperto il
punto del malinteso della ragione rispetto a se stessa[39],
li ho risoluti, appagandone pienamente le esigenze[40].
Certo, la mia risposta a quei problemi non è riuscita come si sarebbe
potuto aspettare una curiosità dogmaticamente fantasticante[41]:
perché ci sarebbe voluta non meno dell’arte magica per accontentarla,
ed io non me ne intendo. Se non che, questo non era neppure il fine
della destinazione naturale[42]
della nostra ragione; ed il dovere della filosofia era di toglier via
l’abbaglio[43]
che proveniva da un malinteso, dovesse pur restarne annullata una così
apprezzata e cara credenza[44].
In questa impresa ho fatto della completezza la mia mira; e ardisco dire
che non c’è un solo problema metafisico che qui sia rimasto insoluto,
o della cui soluzione non si sia data almeno la chiave. Infatti, la
ragion pura è una unità così perfetta, che, se il suo principio fosse
insufficiente a risolvere anche un solo di tutti i problemi che le son
proposti dalla sua stessa natura, lo si potrebbe tranquillamente
respingere, perché in tal caso non potrebbe essere applicato con piena
sicurezza a nessuno degli altri[45].
[8.]
Dicendo questo mi par di vedere nel volto del lettore un’aria di
fastidio misto a disprezzo per le mie pretese, in apparenza orgogliose e
reboanti; e pure sono, senza confronto, più moderate di quelle che ha
avanzato ogni autore del solito programma, il quale presume, per
esempio, di dimostrarvi la semplicità dell’anima o la necessità di
un cominciamento del mondo[46].
Giacché costui si fa garante di estendere la ragione umana di là di
ogni confine dell’esperienza possibile laddove io modestamente
confesso che ciò supera totalmente il mio potere; e invece mi attengo
semplicemente alla ragione stessa e al suo pensiero puro, per la
compiuta conoscenza dei quali non devo cercar lontano intorno a me,
poiché li trovo in me stesso; di che anche la logica comune[47]
mi offre già un esempio: che cioè tutte le sue operazioni semplici si
possono enumerare completamente e sistematicamente; soltanto che qui
sorge la questione sin dove possa io sperare con essa[48]
di conchiuder qualcosa, quando mi venga tolta ogni materia ed appoggio
dell’esperienza. [9.]
Tanto basta circa la compiutezza con cui è raggiunto ciascun fine, e
circa la completezza con cui sono raggiunti tutti i fini nel loro
insieme; i quali non ci sono imposti da un disegno arbitrario, ma dalla
natura della stessa conoscenza, materia della nostra ricerca critica. [10.]
Inoltre certezza e chiarezza, due punti che riguardano la forma della
ricerca stessa, devono esser considerate requisiti essenziali che si
posson pretendere da un autore che si accinge a un'impresa così
lubrica. [11.]
Ora, per ciò che riguarda la certezza, mi sono imposto una legge: che
cioè in questa specie di considerazioni non è permesso a nessun patto
opinare[49],
e tutto ciò che, anche lontanamente, in esse somigli a un'ipotesi[50],
è merce proibita, che non può essere venduta né anche al prezzo più
vile, ma, appena scoperta, deve essere sequestrata. Giacché quello che
annunzia ogni conoscenza che deve valere a priori, è che essa vuol
essere considerata assolutamente necessaria[51];
tanto più una determinazione di tutte le conoscenze pure a priori, la
quale deve essere l’unità di misura e perciò anche l’esempio di
ogni certezza apodittica (filosofica)[52].
Se poi in questo punto ho mantenuto ciò a cui mi sono impegnato, resta
interamente rimesso al giudizio del lettore, poiché all’autore spetta
solamente di presentare le sue ragioni, e non di giudicare
dell’effetto di esse sui suoi giudici. Tuttavia, affinché nulla,
senza colpa, le indebolisca, gli sia permesso di indicare egli stesso
quei passi, che potrebbero dar luogo a qualche diffidenza, sebbene si
riferiscano a scopi secondari, a fin di prevenire in tempo l’influenza
che anche un minimo scrupolo del lettore potrebbe esercitare in seguito
sul suo giudizio intorno allo scopo principale. [12.]
Io non conosco ricerche relative allo studio della facoltà che noi
chiamiamo intelletto (Verstand),
e, insieme, alla determinazione delle regole e dei limiti del suo uso,
più importanti di quelle che ho istituite sotto il titolo di Deduzione
dei concetti puri dell’intelletto[53],
nel secondo capitolo dell’Analitica
trascendentale; ed esse mi
son costate la maggiore, e, spero, non inutile fatica. Ma questa
trattazione, ancorata alquanto nel profondo, ha due parti[54].
L’una riguarda gli oggetti dell’intelletto puro, e deve stabilire e
spiegare la validità oggettiva dei suoi concetti a priori; e rientra
appunto perciò essenzialmente nei miei fini. L'altra passa a
considerare lo stesso intelletto puro secondo la sua possibilità e i
poteri conoscitivi su cui esso si fonda, per studiarlo quindi nel
rapporto soggettivo; e, sebbene quella esposizione sia di grande
importanza per lo scopo principale della mia opera, non ne fa tuttavia
parte essenziale, perché la questione principale rimane sempre quella:
«che cosa, e fin dove, l'intelletto e la ragione, all’infuori d'ogni
esperienza, possono conoscere?»; e non già: «come è possibile la
stessa facoltà di pensare?». Poiché quest’ultima è quasi la
ricerca della causa di un dato effetto, e perciò ha in sé qualcosa che
somiglia ad una ipotesi (sebbene, in realtà, la cosa non stia proprio
così, come mostrerò in altra occasione), così pare che qui sia il
caso di prendermi libertà di opinare, e di lasciare al lettore la
stessa libertà di opinare altrimenti. Al qual proposito devo richiamare
alla mente del lettore, che anche se la mia deduzione soggettiva non
produce in lui quel pieno convincimento che io mi spero, tuttavia,
quella oggettiva, alla quale principalmente io miro, mantiene tutta la
sua forza, come, in ogni caso, è sufficientemente dimostrato da ciò
che è detto a pag. 92 e 93[55].
[13.]
Infine, per quanto concerne la chiarezza (Deutlichkeit),
il lettore ha tutto il diritto di chiedere in primo luogo la chiarezza
discorsiva (logica) per concetti, e quindi anche la chiarezza intuitiva
(estetica) per intuizioni, ossia per mezzo di esempi o altri chiarimenti
in concreto[56].
La prima ho curata abbastanza, ed era l’essenziale pel mio proposito;
ma è stata anche causa accidentale ch’io non abbia potuto soddisfare
alla seconda esigenza, non veramente così inderogabile come la prima,
ma tuttavia anch’essa legittima. Sono stato quasi sempre risoluto nel
progresso del mio lavoro, come dovessi comportarmi a questo riguardo.
Esempi e chiarimenti mi parevano sempre necessari, e venivano quindi
anche effettivamente abbondanti e spontanei al loro luogo, nel primo
getto dell’opera. Ma, quando vidi la vastità del mio lavoro e la
moltitudine degli oggetti che avrei dovuto trattare, e però mi accorsi
che la sola esposizione rigida e nuda, puramente scolastica[57],
avrebbe dato già all’opera una grande estensione, giudicai
inopportuno allargarla ancora con esempi e chiarimenti, che del resto
sono necessari solo dal punto di vista popolare[58];
tanto più che questo lavoro di certo non è punto adatto all’uso del
popolo, e gli speciali conoscitori della scienza non hanno tanto bisogno
di questa facilitazione, che, se è certamente sempre gradita, qui
tuttavia può anche nuocere allo scopo dell’opera. L’abate Terrasson[59]
veramente diceva: — Se si misura la lunghezza del libro non dal numero
delle pagine, ma dal tempo che è necessario ad intenderlo, di parecchi
libri si potrebbe dire che sarebbero molto più brevi, se non fossero
così brevi. — Ma d’altra parte, se si bada alla comprensione di un
vastissimo insieme di conoscenza speculativa[60],
sottomesso tuttavia ad un unico principio, si potrebbe dire con ugual
diritto: Certi libri sarebbero stati assai più chiari, se non avessero
voluto esser tanto chiari. Gli espedienti utili alla chiarezza servono
nelle parti, ma spesso recano danno all’insieme, perché non
permettono al lettore di giungere con sufficiente rapidità a una veduta
generale del tutto, e coi loro vivaci colori nascondono e rendono
irriconoscibili l’articolazione e la struttura del sistema, che è
pure quello che più importa, a chi voglia poterne giudicare l’unità
e il valore. [14.]
Potrà, credo, servire di non piccolo allettamento al lettore la
prospettiva di unire il suo sforzo a quello dell’autore per seguire,
con la guida dell'abbozzo messogli innanzi, compiutamente e durevolmente
un’opera grande ed importante. La metafisica, secondo i concetti che
qui ne daremo, è la sola fra tutte le scienze che possa ripromettersi,
e in breve tempo e con pochi sforzi, ma associati, siffatta compiutezza,
in modo che di poi altro non resti da fare alla posterità, se non
adattarla nella maniera didattica ai suoi scopi, senza per altro poterne
accrescere menomamente il contenuto. Altro non è infatti che
l’inventario di tutto ciò che possediamo per mezzo della ragion pura,
sistematicamente ordinato[61].
Nulla qui può sfuggirci, perché ciò che la ragione trae interamente
da se stessa, non può rimaner celato, ma per opera della stessa ragione
viene alla luce, appena scoperto il principio generale che la governa.
L’unità perfetta di tale specie di conoscenze, derivanti cioè da
puri concetti, senza che nulla di empirico, o anche solo una particolare
intuizione, che conduca a concrete determinazioni, possa influire su di
essa per allargarne la cerchia ed accrescerle, rende non solo possibile,
ma necessaria questa compiutezza incondizionata. Tecum
habita et noris, quam sit tibi curta supellex[62].
Spero anche di dare un tale sistema della ragion pura (speculativa)
sotto il titolo: Metafisica della
natura; esso non sarebbe forse per estensione nemmeno la metà, ma
per contenuto incomparabilmente più ricco di questa critica, che doveva
innanzi tutto esporre le fonti e le condizioni della possibilità di
quella[63],
ed era obbligata così a sbarazzare e spianare un terreno tutto gibboso.
Qui dal mio lettore spero la pazienza e l’imparzialità di un giudice;
nell’altra opera, cui accenno, avrò bisogno invece del buon volere e
dell’aiuto di un collaboratore; poiché, per quanto compiutamente
siano stati esposti nella critica tutti i princìpi del sistema,
nondimeno nell’esecuzione del sistema stesso non deve mancare nessuno
dei concetti derivati, i quali non si possono dare a un tratto a priori,
ma devono essere indagati a uno a uno; e come nella critica è stata
esaurita tutta la sintesi dei concetti, così dovrà accadere
dell’analisi; impresa che sarà molto facile, e più uno svago che un
lavoro. (Immanuel
Kant, Critica
della ragion pura, Laterza, Roma-Bari 2000, pp. 5-11)
SIGLE
E ABBREVIAZIONI AA
Kants Werke,
Akademie-Ausgabe GLR
I. Kant,
Critica della ragion pura, traduzione di G. Gentile e G.
Lombardo-Radice rivista da V. Mathieu, Laterza, Roma-Bari 2010 KrV
A
I. Kant,
Kritik der reinen Vernunft, prima edizione (la paginazione della
prima edizione è riportata in margine nella edizione in AA IV). KrV
B
I. Kant,
Kritik der reinen Vernunft, seconda edizione (la paginazione della
seconda edizione è riportata in margine nella edizione in AA III). Colli
I. Kant,
Critica della ragion pura, traduzione di G. Colli, Adelphi, Milano
2004 Ferretti
Giovanni Ferretti,
Ontologia e teologia in Kant, Rosenberg
& Sellier, Torino 1997. Marietti
I. Kant,
Critica della ragion pura, traduzione di A. M. Marietti, 2 voll.,
BUR, Milano 2004. Paolinelli
Marco Paolinelli,
Il filosofo e il tecnico della ragione. La filosofia secondo Kant,
Vita e Pensiero, Milano 1993. Ratke
Heinrich Ratke, Systematisches
Handlexikon zur Kritik der reinen Vernunft, Meiner, Hamburg 1965
(ristampa anastatica dell’edizione del 1929). Scritti
precritici
I. Kant, Scritti
precritici, Laterza, Bari 1953. Vanni
Rovighi
Sofia Vanni
Rovighi, Introduzione allo
studio di Kant, La Scuola, Brescia 1968.
[1]
Come Kant dirà alla fine del secondo capoverso, questa ‘specie’
delle conoscenze razionali è la metafisica. [2]
Notare che in questo capoverso torna tre volte il termine
‘ragione’ (Vernunft);
nel primo e nel terzo caso, si tratta della ‘ragione umana’,
nel secondo, invece, della ‘natura
della ragione. È proprio della ragione umana
essere tormentata da quei problemi, ma deriva dalla natura
della ragione che essa se li ponga. Quali sono questi problemi? Una
risposta chiara a questa domanda si trova nella Prefaz. B: in essa,
nel capoverso 12 Kant parla di due ‘parti’ della metafisica, la
prima è quella in cui concetti a priori vengono usati nell’ambito
della esperienza possibile, la seconda è quella in cui con i concetti
a priori si vorrebbero oltrepassare i limiti dell’esperienza
possibile; sempre nella Prefaz. B, nel capoverso 14 Kant afferma che i
contenuti di questa seconda parte sono Dio, libertà e immortalità.
Questi contenuti sono l’‘incondizionato’ che la ragione
necessariamente cerca (Prefaz. B, c. 12). La natura della ragione,
infatti, come è detto qui di seguito nel secondo capoverso, è di
‘salire sempre più in alto, a condizioni sempre più remote’. [3]
La ragione, dirà Kant più
avanti, cade necessariamente in una ‘illusione naturale ed
inevitabile’ (KrV B 353-354; GLR 237), che costituisce l’oggetto
di quella parte della CRP che Kant chiama Dialettica trascendentale,
intendendo per dialettica la ‘logica dell’apparenza’, che dà
alla propria ignoranza l’aspetto della conoscenza vera. [4]
Qui abbiamo una indicazione di ciò che è proprio della natura
della ragione: risalire a condizioni, cause, principi il più in alto
possibile. Si pensi ai presocratici che si interrogavano sull’arché,
il primo principio di tutto
ciò che è, ad Aristotele per il quale la conoscenza razionale si
distingue da quella degli empirici perché è conoscenza attraverso le
cause; e, sempre per Aristotele, la metafisica è ricerca, conoscenza,
delle cause ultime e dei
principi primi. Kant su
questo punto è pienamente nella linea di tutta la tradizione del
pensiero occidentale. Ho
modificato la traduzione della frase; in GLR 5 abbiamo: «Con
essi (come comporta la sua stessa natura) la ragione sale sempre più
alto, a condizioni sempre più remote»; ma il tedesco ha ‘mit
diesem’ e non ‘mit diesen’, e penso che diesem’, ‘questo’,
al singolare, si riferisca ad ‘uso’; Kant distingue tra un uso dei
principi nell’esperienza
e un loro uso al di fuori o al di là, o indipendente
dall’esperienza (cfr.
‘erfahrungsfreier Gebrauch’ nel capoverso 7). In secondo luogo, la
mia collocazione della parentesi rende più evidente il fatto che il
proprio della ragione è il salire alle
condizioni sempre più remote. [5] Si intenda: il lavoro del risalire alle condizioni più remote. Il lavoro resta sempre incompiuto perché la ragione nel suo uso empirico non arriva mai alle condizioni veramente ultime. [6] In tedesco: ‘gemeine Menschenvernunft’, la comune ragione umana a cui ci si richiamava volentieri in epoca illuministica. È appunto il ‘senso comune’, la ragione di chi non possiede una competenza particolare in qualche scienza; qui, di chi non possiede conoscenze e competenze particolari in filosofia; ma forse c’è anche una allusione alla cosiddetta ‘scuola scozzese del senso comune’, in cui si collocano quei pensatori che cercarono di contrastare lo scetticismo di Hume ricorrendo appunto al ‘senso comune’; Kant ne parla nella Prefazione ai Prolegomeni. [7]
I principi di cui si parla
hanno un uso legittimo solo in relazione all’esperienza, o anche al
di là dell’esperienza? Qui si annunciano subito le ricerche
gnoseologiche della CRP, ed è chiaro anche il fatto che esse hanno
come scopo quello di chiarire la possibilità o meno di conoscenze
metafisiche. [8]
Ecco che qui viene chiaramente
affermato che è la metafisica quella ‘specie’ di conoscenze in
cui la ragione umana è tormentata da problemi che non riesce a
risolvere. In questo campo, afferma Kant, la ragione umana incappa in
oscurità e contraddizioni, evidente indizio della presenza di errori
che però essa non riesce ad individuare. È
stato spesso osservato, e a ragione, che Kant usa il termine
‘metafisica’ con diversi significati. Per la loro comprensione, è
opportuno ricordare il senso del termine ‘metafisica’ in Wolff e
nella scuola wolffiana: vi si distingueva una ‘metafisica
generale’, cioè l’ontologia, che tratta dell’essere in quanto
essere, e una ‘metafisica speciale’ divisa in tre rami, la ‘cosmologia’,
cioè dottrina filosofica del mondo, la ‘psicologia’, cioè
dottrina filosofica dell’anima, e la ‘teologia’ (filosofica o
razionale, diversa dalla teologia fondata sulla rivelazione), dottrina
filosofica su Dio. Credo si possa dire che Kant usa il termine ‘metafisica’: 1)
per indicare il sapere che ha come oggetto l’oggetto (il triplice
oggetto) della ‘metafisica speciale’ wolffiana, quindi oggetti che
sono al di là di ogni possibile esperienza; nella Prefazione
alla seconda edizione, come si vedrà, sono considerati oggetti della
metafisica Dio, libertà e immortalità; 2)
per indicare la scienza dei concetti e principi puri della ragione.
Ora, i concetti e principi puri della ragione (di cui tratta la Analitica
trascendentale della CRP,
soppiantano i concetti e i principi ontologici della ontologia
wolffiana; si può dire, quindi, che la ‘metafisica’ in questo
secondo senso corrisponde all’ontologia wolffiana, con
l’avvertenza che tra le due c’è la ‘rivoluzione copernicana’
della CRP (si veda la Prefaz.
B); mentre per l’ontologia
tradizionale i concetti e i principi che ne sono oggetto colgono
aspetti della realtà così come essa è,
sono cioè in questo senso oggettivi,
nella concezione kantiana invece essi sono forme del soggetto
con cui viene unificato il materiale empirico. 3)
tuttavia, mi pare che Kant usi il termine ‘metafisica’ anche in un
significato medio tra i due precedenti, ovvero che li abbraccia
entrambi. Cerco di spiegarmi partendo da questa osservazione: nella
concezione wolffiana (e ancor più nella filosofia classica) c’è
uno stretto legame tra ontologia e metafisica speciale, e in maniera
particolare tra ontologia e teologia naturale; l’ontologia non può
non portare alle affermazioni della teologia naturale, e a sua volta
la teologia naturale ha la sua necessaria base nell’ontologia. Ora,
mi pare che nell’uso kantiano del termine ‘metafisica’ resti
qualcosa di questo legame, nel senso che anche là dove
‘metafisica’ è presa nel primo significato le rimane attaccato in
qualche modo l’orizzonte ontologico (ovvero logico-trascendentale).
In altri termini, si potrebbe dire che Kant usa a volte il termine
‘metafisica’ in un senso che abbraccia sia l’ontologia sia la
metafisica speciale’ di Wolff ‒ o meglio, abbraccia quello che
nel suo pensiero ha rimpiazzato l’ontologia wolffiana (vale a dire,
l’analitica trascendentale), sia quello che nel suo pensiero è
rimasto della metafisica speciale wolffiana (vale a dire,
l’illusoria conoscenza di Dio libertà e immortalità). Sul senso
del termine ‘metafisica’, cfr. anche Ferretti 39-41. Torniamo al nostro passo: direi che qui il termine ‘metafisica’ è usato nel primo senso; come Kant mostrerà nella Dialettica trascendentale, è la dottrina su mondo anima e Dio che costituisce un ‘campo di lotte senza fine’. [9]
Sull’eccellenza della
metafisica rispetto a tutte le altre scienze, si pensi alle pagine
classiche di Aristotele,
Metafisica libro I cap. 2. [10]
Questo è da notare con
attenzione: per Kant, la metafisica è veramente la regina delle
scienze, se si guarda all’eccellenza del suo oggetto (Gegenstand);
vale a dire, ciò di cui si occupa la metafisica è più importante
dell’oggetto di ogni altra scienza. Penso che Kant si riferisca alla
‘seconda parte’ della metafisica e ai suoi oggetti, di cui parla
la Prefaz. B c. 12 e 14 (cioè alla metafisica nel primo senso
indicato nella nota 8). [11]
Kant con condivide il disprezzo
per la metafisica che è caratteristico della moda culturale del suo
tempo. [12]
Libro XIII, versi 508-510. Dopo
la presa di Troia e la strage della sua famiglia e dei suoi figli, la
regina Ecuba fatta schiava si lamenta:«Io, che poc’anzi ero al
massimo della grandezza, felice per tanti generi e figli e nuore […]
ora sono trascinata in esilio, in miseria» (Publio
Ovidio Nasone, Opere, vol. III Metamorfosi, UTET, Torino 2000,
p. 635). [13]
I ‘dogmatici’ hanno una
fiducia cieca nel potere che la ragione
avrebbe di conoscere mediante puri concetti, al di là del campo
dell’esperienza possibile (cfr. AA IX 83-84; trad. it. Logica 77), e
procedono perciò alla costruzione di un sapere metafisico senza farla
precedere da un esame critico delle possibilità e dei limiti della
ragione. Il metodo critico del filosofare, opposto al dogmatismo, «consiste
nell’indagare il procedimento della ragione stessa, nello scomporre
l’intera facoltà conoscitiva dell’uomo e nel saggiare fin dove
possano arrivare i suoi limiti» ( AA IX 32; trad. it. Logica 26). [14]
Lo ‘scetticismo’ nega la
possibilità do ogni conoscenza fondata e di ogni certezza; Kant, che
combatte lo scetticismo, gli riconosce però’ il ruolo positivo di
portare il ‘dogmatico’ a riconoscere l’errore delle sue pretese.
Parlando di scetticismo, Kant pensa in primo luogo a David Hume. Si
veda, nella Dottrina trascendentale del metodo
(cap. I sez. 2) della CRP,
le pagine dedicate a Dell’impossibilità di un appagamento
scettico della ragione in disaccordo con se stessa. [15]
‘Quelli’, cioè i
dogmatici. [16]
Al tempo di Kant, col termine
‘fisiologia’ si intendeva la dottrina della natura di un qualsiasi
oggetto (Ratke 177); in questo caso, della natura della ragione;
probabilmente, Kant usa qui il termine ‘intelletto’ (Verstand)
e non ‘ragione’ (Vernunft)
perché pensa al titolo dell’opera maggiore di Locke, il Saggio
sull’intelletto umano
(Essay on human unterstanding,
1690) In
ogni caso, è da notare che a volte Kant usa i termini
‘intelletto’ (Verstand)
e ‘intelletto’ (Verstand)
e ‘ragione’ (Vernunft)
come sinonuimi, e in questo caso essi indicano la facoltà superiore
di conoscere, la conoscenza intellettiva o razionale, in
contrapposizione con la facoltà interiore di conoescere, che è la
sensibilità; in altri casi, invece, Kant attribuisce ai due termini
‘intelletto’ (Verstand)
e ‘ragione’ (Vernunft)
un significato più ristretto e ben distinto: ‘intelletto’ (Verstand)
indica la conoscenza (razionale, mediante concetti puri) di oggetti di
esperienza possibile, mentre con ‘ragione’ (Vernunft)
si riferisce alla (illusoria) conoscenza di oggetti che sono al di là
dell’esperienza possibile, e che dovrebbe quindi realizzarsi
mediante i soli concetti puri. [17]
John
Locke (1632-1704), prima grande figura del moderno empirismo inglese,
nella Epistola al lettore
che fa da prefazione al Saggio sull’intelletto umano
(1690) riferisce che, trovandosi ad essere con alcuni suoi amici in
disaccordo apparentemente insolubile su certi argomenti di cui
discutevano, gli «venne fatto di pensare
che eravamo su una strada sbagliata; e che, prima di impegnarci in
ricerche di quel genere, era necessario esaminare la nostra stessa
capacità, e vedere quali oggetti
siano alla nostra portata, e quali invece siano superiori alla nostra
comprensione» (John Locke,
Saggio sull’intelligenza umana, 4 voll,. Laterza, Bari 1972, vol I,
p. 9); questa è secondo Locke la genesi della sua opera, dedicata
appunto ad esaminare la natura e i limiti della conoscenza umana.
Interessante anche il giudizio su Locke che si trova nella Logica:
egli non ha concluso il lavoro della sua ricerca, e il suo
procedimento è dogmatico, sebbene egli abbia avuto questo merito:
grazie a lui, si è cominciato a studiare meglio e più seriamente la
natura dell’anima» (AA IX 32; trad. it. 26). [18]
Per Kant, nell’epoca moderna
Locke è il capofila degli empiristi che si collocano nella scia di
Aristotele pretendendo che ogni conoscenza, anche le conoscenze
razionali pure, derivino dall’esperienza; al contrario, per lui
Leibniz è, nell’ambito del pensiero moderno, colui che segue
Platone nell’affermare che quelle conoscenze hanno la loro ragione
nella ragione stessa, indipendentemente dall’esperienza (KrV
B 882; GLR 520). Nella
dissertazione del 1770 su La forma e i principi del mondo
sensibile del mondo intelligibile,
Kant si era schierato con
Platone, contro la
tradizione leibniziano-wolffiana; questa
corrente filosofica sbaglia, sosteneva Kant, perché afferma che tra
la conoscenza sensibile e quella intellettuale c’è solo una
differenza di grado (la
conoscenza sensibile sarebbe una conoscenza confusa
di ciò che la conoscenza intellettuale conosce invece in maniera distinta),
e non di natura. Nella CRP
Kant si mantiene fedele alla tesi che tra le due c’è una differenza
di natura. Secondo
Locke, tutte le conoscenze
umane, anche quelle metafisiche, hanno come unica fonte
l’esperienza. E Locke mostra o crede di mostrare, dice anche Kant,
come la nostra conoscenza sale dalle singole percezioni a nozioni
universali (KrV B 118-119; GLR 103), derivando i concetti
dell’intelletto dall’esperienza (KrV B 127; GLR 108); Kant chiama
questo processo, così come lo intende Locke, una ‘noogonia’, cioè
una ‘genesi’ della conoscenza intellettuale da quella sensibile, e
dichiara che nella sua dottrina Locke ha sensibilizzato (ha
cioè ricondotto all’ambito della sensibilità) tutti
i concetti dell’intelletto, riducendoli a concetti astratti per
riflessione ma pur sempre empirici; Leibniz
avrebbe al contrario ‘intellettualizzato’ gli oggetti
dell’esperienza (KrV A 271 e KrV B 327; GLR 219-220) [19]
A differenza di Locke, Kant
non pensa che l’esperienza sia la fonte della metafisica (e in
genere delle conoscenze razionali); per lui, la metafisica è (o
pretende di essere, per quanto riguarda la sua ‘seconda parte’,
ovvero la metafisica nel senso della nota 8) conoscenza razionale,
non derivata dall’esperienza. [20]
Interpreterei: quella scienza
che è (o che si pretendeva fosse) la metafisica; questa appunto è la
scienza (o meglio ‘la regina delle scienze’) di cui si sta
parlando, e che si desiderava salvare. [21]
Nelle scienze (in ogni scienza,
ma qui il discorso riguarda la metafisica) fastidio e indifferentismo
sono causa di confusione e oscurità. [22]
Ho cambiato la traduzione (GLR
6: «mentre uno zelo male
impiegato le aveva rese oscure, confuse e inservibili»); in
tedesco «wenn sie durch
übel angebrachten Fleiß dunkel, verwirrt und unbrauchbar geworden»
(KrV A , p. x; cfr. Chiodi 9). [23]
Si noti: l’oggetto delle
ricerche metafisiche non può essere indifferente all’uomo, e questa
impossibilità dell’indifferenza per le conoscenza metafisiche non
è legata a particolari condizioni storiche o culturali, ma deriva
dalla sua stessa natura dell’uomo. Il problema interpretativo, in
relazione a questo capoverso, riguarda il senso che Kant dà qui al
termine ‘metafisica’: Kant qui pensa a quella che nella Prefaz. B
chiamerà la ‘seconda parte’ della metafisica (afferma cioè la
ineludibilità del problema di Dio, della libertà e dell’immortalità),
oppure pensa anche alla sua ‘prima parte’? qu. Cioè, metafisica
ha il primo o il terzo dei significati di cui si diceva alla nota n.
8? Credo che qui ‘metafisica’ sia da prendere nel primo
significato, sulla base di quanto viene affermato subito dopo (cfr.
qui di seguito nota xxx). [24]
In GLR: «appena
vogliono riflettere su qualche oggetto»(p. x); ho cambiato la
traduzione, preferendo mantenere una traduzione più aderente al
tedesco «wofern sie nur
überall etwas denken». [25]
Notare ancora: coloro che
fingono indifferenza per l’oggetto della metafisica, e che
proclamano di disprezzarla, in realtà non possono evitare di fare
affermazioni di carattere metafisico non appena pensano qualcosa. Il
fatto che per esprimere ciò che pensano non usino la terminologia
tecnica e scolastica tradizionale, ma un linguaggio più
‘corrente’ e più comprensibile ai non addetti ai lavori (populär)
non toglie che le loro affermazioni abbiano carattere metafisico. [26]
Da uomo del XVIII secolo, Kant
è conscio e orgoglioso dei progressi scientifici dell’epoca
moderna; in particolare, nutre grande ammirazione per la fisica
newtoniana. [27]
Ancora una proclamazione della
grandezza della metafisica da parte di Kant: le sue conoscenze sono
quelle a cui meno si vorrebbe rinunciare, i suoi oggetti sono cioè
quelli che più interessano l’uomo, che meno gli sono indifferenti,
la cui conoscenza gli è irrinunciabile. Viene da pensare alla celebre
affermazione del Tractatus logico-philosophicus
di Wittgenstein: «Noi sentiamo che, anche una volta che tutte le possibili
domande scientifiche hanno ricevuto riposta, i nostri problemi vitali
[o ‘problemi esistenziali’: Lebensprobleme]
non sono ancora neppur toccati» (Tractatus 6.52, in Ludwig
Wittgenstein, Tractatus
logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916, Einaudi, Torino 1974, p.
81). C’è un però: vero è secondo Kant che quelle sono le
conoscenze a cui meno si vorrebbe rinunciare, purché appunto esse
siano in effetti conoscenze; a condizione cioè che la conoscenza di
quelle realtà sia possibile; è anche (o soprattutto) a questo
problema che la CRP intende
dare risposta. [28]
Ho modificato la traduzione: in
GLR 6 c’è «dell’età moderna», in tedesco «des Zeitalters» (KrV
A, p. xi). [29]
‘Nuovamente’, cioè dopo
Locke, e in generale dopo ogni precedente tentativo. [30]
Della ragione. [31]
Ecco dunque: la ‘critica’
ha da stabilire se la conoscenza degli oggetti della metafisica
rientra o no tra le pretese legittime della ragione. È chiaro che
Kant intraprende la critica, cioè una ricerca di tipo gnoseologico,
spinto dal suo interesse per la metafisica e i suoi ‘oggetti’. Per
il senso di ‘ragion pura’, si veda il paragrafo successivo: «la
critica della facoltà della ragione in generale riguardo a tutte le
conoscenze alle quali essa può aspirare
indipendentemente da ogni esperienza»;
nel capoverso 7 si legge: «nel suo uso libero da ogni esperienza». [32]
La Gründlichkeit,
qui tradotto con ‘solidità’ è, nell’ambiente filosofico
dell’epoca di Kant, il carattere fondamentale della scienza (di ogni
scienza): il sapere scientifico si differenzia da quello puramente
descrittivo (che nella scuola wolffiana è detto sapere ‘storico’,
opposto al sapere ‘filosofico’) perché dà le ragioni, il
fondamento (Grund) di
quanto si afferma. Questa caratteristica del sapere scientifico è
dunque una ripresa di quello che è il senso di ‘scienza’ nella
tradizione aristotelica: scire per causas,
sapere fondato, giustificato. La distinzione wolffiana tra conoscenze ‘storiche’ da una parte e conoscenze ‘filosofiche’ dall’altra (cfr. xxx) non tiene ancora conto della divaricazione tra ‘filosofia’ e ‘scienza’ in senso moderno e in senso corrente (‘scienza’ intesa cioè come quel tipo di sapere proprio della scienza moderna della natura, delle scienze sperimentali). La divaricazione tra i due sensi di ‘scienza’ si è avuta con la ‘rivoluzione scientifica’ dei secoli XVI-XVII. Meier (l’autore di scuola wolffiana del cui manuale di logica Kant si serviva a lezione) e Kant parlano di conoscenze ‘storiche’ opposte alle conoscenze ‘razionali’ (cfr. AA IX 22. trad.it. Logica 16-17 e AA XVI 93-99). Da notare che la distinzione in questione riguarda, anche per Kant, il modo di conoscere (la Denkungsart) e non gli oggetti conosciuti: di uno stesso oggetto si può avere conoscenza ‘storica’, o conoscenza gründliche, cioè solida, ‘razionale’ (o ‘filosofica’, nel linguaggio di Wolff). Per esempio, del teorema di Pitagora ha una conoscenza storica chi sa soltanto cosa dice il teorema, ne ha invece una conoscenza ‘filosofica’ (o ‘razionale’) chi ne conosce (non a pappagallo) il fondamento, cioè chi ne conosce la giustificazione, la dimostrazione. Anche per Kant, la scienza (nel senso moderno del termine, la scienza della natura) e la filosofia hanno (e debbono avere) il comune carattere della Gründlichkeit. [33]
Per ‘legislazione’ si deve
intendere la legislazione positiva, le leggi dello Stato. Religione e
legislazione: si tratta di due campi delicati nella società
dell’epoca, anche se gli attacchi (soprattutto alla religione) certo
non mancavano, più in altri paesi europei che non nel Regno di
Prussia di cui Kant era suddito. Osserverei,
a proposito della religione, che secondo la religione stessa si può e
anche si deve affermare la validità di un esame critico, e dunque non
solo un diritto ma una necessità della critica, di una critica intesa
però come accertamento della autenticità della religione stessa; cioè
(e questo non vale soloin riferimento alla religione ma anche in
riferimento agli agli aspetti del sapere e dell’esperienza umana),
questo deve avvenire nel rispetto dell’oggetto di studio (in questo
caso la religione rivelata), e non negandolo a priori, per esempio
assumendo che la ragione umana è il criterio con cui misurare tutto,
e cioè assolutizzando la ragione umana, sì che quello che è al di là
delle capacità di comprensione viene negato. [34]
Cioè della ‘ragion pura’;
sul senso di puro’, cfr. l’Introduzione alla
Critica della ragion pura: sono
conoscenze empiriche quelle che hanno origine nell’esperienza, e
sono invece conoscenze a priori quelle che non dipendono da nessuna
esperienza; tra le conoscenze a priori, sono ‘pure’ quelle «a cui
non è commisto nulla di empirico» (KrV B 2-3; GLR 34). [35] Altra sottolineatura del fatto che la ‘critica’ ha come scopo quello di saggiare la possibilità della metafisica. [36]
Cioè per la via della critica
della ragione. [37]
Kant
pensa di aver individuato e vinto, con la sua critica, tutti gli
errori a causa dei quali la ragione pura (la ragione libera da ogni
esperienza) cade in contraddizione con se stessa. [38]
Preferisco questa traduzione di
Chiodi 10 a quella di
GLR 7 (ׂ«Non
mi sono schernito dai problemi che si presentavano»); tedesco: «Ich
bin ihren Fragen nicht dadurch etwa ausgewichen». [39]
Penso che si debba vedere qui
un riferimento a quello che Kant metterà in rilievo nelle pagine
centrali della Prefaz. B: il ‘malinteso’ sta nel prendere
l’oggetto in maniera indifferenziata, e
non invece, come si dovrebbe, in un duplice significato, come
fenomeno o come cosa in sé (cfr. Prefaz. B, c. 11-15). [40]
Si noti con quanta sicurezza Kant afferma di essere pienamente
riuscito nel suo intento. Quanto alla ragione ‘messa in
discordia con se stessa’ (tedesco: ‘mit
sich selbst entzweit hatten’),
questa espressione potrebbe riferirsi alla Antinomia
della ragion pura, in cui Kant
mostra che la ragione cade in contraddizione con se stessa nelle
questioni di cosmologia, oppure più in generale a tutte le difficoltà
abbagli e contraddizioni in cui cade la ragione quando cerca
conoscenza nel campo di ciò che è oltre l’esperienza possibile (in
questo caso, l’espressione si riferirebbe all’intera Dialettica
trascendentale). [41] Ho corretto il ‘la’ di GLR 7 in ‘una’ (in tedesco non c’è articolo). Kant pensa di aver risolto i problemi della critica della ragione, di aver scoperto la causa del fatto che la ragione cade in contraddizione con se stessa; la conclusione a cui si rallegra di essere arrivato implica che i dogmatici hanno torto (ovvero fantasticano, sono dei visionari; si pensi al suo scritto Sogni di un visionario chiariti con i sogni della metafisica, del 1766) se pensano che l’uomo possa avere ‘conoscenza’ di ciò che è al di là dell’esperienza (di Dio, libertà, immortalità); se pensano, cioè, secondo la formula kantiana di cui vogliamo approfondire il significato, che sia possibile una metafisica come scienza. [42]
Ci troviamo ancora una volta
davanti ad una affermazione che resta in sospeso, e per la cui
comprensione si deve rimandare ad altri testi: qual è la
‘destinazione naturale’ (Naturbestimmung)
della ragione umana; e quale sua erronea interpretazione Kant intende
respingere? Su questi temi, cfr. Paolinelli cap. II. [43]
Tradurrei il tedesco
Blendwerk con ‘abbaglio’, e
non con ‘illusione’ come GLR 7,; con ‘illusione’ tradurrei
invece il Wahn che compare
qualche riga più avanti (tradotto mi pare inopportunamente con
‘credenza’ in GLR 7). [44]
Interpreterei così, in base
alla Prefaz. B: l’‘abbaglio’ è l’inganno di chi pensa che si
possa aver ‘conoscenza’ di
Dio libertà e immortalità; il ‘malinteso’ su cui si fonda tale
abbaglio è la mancata distinzione tra ‘fenomeno’ e ‘cosa in sé’,
con la conseguente pretesa di ‘conoscere’ le
‘cose in sé, o l’incondizionato; infine, l’‘illusione’ (Wahn)
è, ancora, che si possa avere ‘conoscenza’
di Dio libertà e immortalità, che cioè sia possibile una
‘metafisica come scienza’. [46]
Kant afferma che, per quanto
possano sembrare mirabolanti le sue dichiarazioni di aver risolto
tutti i problemi della metafisica, sono tuttavia più modeste di
quelle dei metafisici dogmatici che pretendono di poter dare la
dimostrazione della semplicità dell’anima (e di qui della sua
immortalità) e di un ‘primo inizio’ del mondo (tesi che è in
rapporto con l’affermazione di un Dio creatore; cfr. KrV B 494, 496;
312-313); queste dimostrazioni rientravano infatti nel programma
consueto dei metafisici dogmatici. [47]
Questa ‘logica comune’
(gemeine Logik) è poi la
‘logica generale’ (allgemeine Logik) di
cui Kant parla all’inizio della parte della Critica della ragion
pura dedicata alla Logica
trascendentale. La ‘logica
generale’ studia la semplice forma del pensiero, la forma del
rapporto delle conoscenze fra loro, le leggi dell’uso
dell’intelletto in generale, astraendo da ogni contenuto, e
applicandosi ad ogni contenuto (cfr. KrV B 74-79; GLR 77-80). La
‘logica trascendentale’ di Kant, invece, astrae da ogni contenuto empirico,
ma non dalle ‘leggi del pensiero puro
di un oggetto’, le quali non hanno origine dall’oggetto
ma che sono l’apporto del soggetto
alla conoscenza, all’esperienza; si tratta delle categorie o
concetti puri dell’intelletto, e dei principi puri, che
costituiscono dunque l’oggetto della logica trascendentale. Kant
afferma qui due cose: a) che, per la logica comune come per la logica
trascendentale, il soggetto conoscente non deve ‘uscire da sé’,
ma deve considerare solo se stesso, il suo intelletto; b) che perciò,
sia per la logica generale come per la logica trascendentale, è
possibile raggiungere la completezza dei contenuti; l’intelletto
trova in sé le leggi del pensiero in generale, come anche le leggi
del pensiero puro, le trova in sé, senza dipendere dalla casualità
delle esperienze. [48]
‘Con essa’, cioè ‘con la
ragione umana’ di cui si parla sopra, e non ‘con esse’ come
traduce GLR 8; in tedesco c’è ‘mit derselben’. [49]
‘Opinare’ (Meinen)
è quel considerare-qualcosa-come-vero che non ha sufficiente
fondamento né dal punto di vista oggettivo né dal punto di vista
soggettivo (KrV B 850; GLR 504; cfr. anche AA IX, 66-67; trad. it.
Logica 60-61). [50]
Una ‘ipotesi’ (Hypothese)
è un’opinione
assunta come fondamento capace di spiegare qualcosa di reale (Meier §
181). Alle ipotesi Kant
dedica la terza sezione della Disciplina
della ragion pura, nella Dottrina
trascendentale del metodo (KrV
B, 797-810; GLR 477-483). [51]
Notare bene: una conoscenza a
priori è assolutamente
necessaria; secondo l’Introduzione
alla Critica della ragion pura,
necessità e universalità sono i caratteri della conoscenza a
priori; l’esperienza, invece,
non può dare nessuna conoscenza universale e necessaria (KrV B, 3-4;
GLR 35-36). [52]
Apodeiktikós in greco è ciò
che si prova, che si dimostra; Aristotele oppone apodeiktikós
a dialekticós; apodeiktikós
designa ciò che è provato con necessità, dialekticós
designa ciò che è solo probabile. Kant oppone la certezza apodittica
alla ‘opinione’ (Meinung;
cfr KrV B, 803; GLR 479-480); un giudizio ‘apodittico’ è un
giudizio in cui si afferma o si nega qualcosa con necessità
(KrV B, 100; GLR 93). [53]
All’inizio di questa sezione,
al § 13, Kant spiega il senso che attribuisce al termine ‘deduzione’.
Qui non si deve prendere ‘deduzione’ nel senso che il termine ha
tradizionalmente in filosofia, cioè come quel procedimento
dimostrativo che procede da ciò che è generale verso ciò che è
particolare (procedimento dimostrativo che è opposto alla ‘induzione’,
la quale ultima procede invece dal particolare all’universale): per
‘deduzione’ (trascendentale) dei concetti puri dell’intelletto
Kant intende «la spiegazione del modo in cui concetti a priori
possono riferirsi ad oggetti» (KrV B 116-117; GLR 102-103). Il
problema è questo. Secondo la filosofia tradizionale, i concetti e i
principi dell’ontologia (il concetto di essere, i principi ad esso
collegati) si ottengono per ‘astrazione’ dall’esperienza; ad
esempio , quando vedo un albero, non vedo solo questo verde qui e
questo albero qui, ma concepisco anche l’universale ‘verde’ e
l’universale’ ‘albero’, e su su fino all’universale che ha
la massima estensione, il concetto universale ‘esser. Tutto questo
avviene per un procedimento spontaneo dell’intelletto, il quale non
ha bisogno di essere messo coscientemente e volutamente in funzione;
deve invece essere voluta ed eseguita con consapevole diligenza l’analisi
del processo naturale e spontaneo della conoscenza intellettuale, fino
alla chiara consapevolezza del concetto di essere e delle sue
implicazioni (questo è il fare ontologia, e metafisica). Kant
sostiene, però, che quei concetti non derivano dall’esperienza
degli enti, dell’essere, ma sono forme (vuote di contenuto) di cui
è in possesso il soggetto, e alle quali l’esperienza sensibile
fornisce il contenuto. Allora evidentemente per lui si pone il
problema: come mai quei concetti, che hanno la loro origine nel
soggetto, possono riferirsi e applicarsi agli oggetti di cui abbiamo
esperienza? Questo il problema che Kant affronta nella sezione a cui
qui si riferisce come a quella che a suo parere ha la più grande
importanza. [54]
Il testo di Kant ha Seiten,
tradotto da GLR con ‘parti’, e qui con ‘aspetti’ (più
propriamente ancora, si potrebbe tradurre ‘lati’ o ‘facce’);
la traduzione ‘aspetti’ (o ‘facce’) facilita
l’interpretazione delle pagine che Kant dedica alla deduzione
trascendentale, in cui non si distinguono in realtà due ‘parti’
diverse, l’una ‘soggettiva’ e l’altra ‘oggettiva’, e in
cui invece i due aspetti si intrecciano. Va poi ricordato che tutto
questo riguarda il grosso problema interpretativo del rapporto tra la
prima e la seconda edizione della CRP,
e sulla minore o maggiore distanza della seconda edizione, in cui
prevale decisamente la deduzione ‘oggettiva’, dalla prima
edizione, in cui ha abbastanza spazio la deduzione ‘soggettiva’. Sulla
deduzione trascendentale dei concetti puri nelle due edizioni della
critica, cfr. Vanni Rovighi 132-145; per una valutazione critica della
deduzione trascendentale e dei presupposti che la rendono necessaria,
cfr. Vanni Rovighi 147-152. [55]
Si tratta delle pagine che
portano il titolo Passaggio alla deduzione trascendentale delle
categorie; da notare però che
i suoi due primi capoversi sono comuni alla edizione del 1781 e a
quella del 1787; al posto dei capoversi successivi della edizione del
1787 (seguita nella maggior parte delle traduzioni italiane) c’è
invece, nella edizione del 1781, un solo breve capoverso (cfr. GLR
109; Colli 149-151; Marietti vol. II p. 817). [56]
Per questa distinzione, cfr. la
Introduzione alla Logica
(AA IX 36-38; trad. it. Logica 30-33). Il primo grado di perfezione
della conoscenza quanto alla qualità è la ‘chiarezza’ (Klarheit),
il secondo grado è la ‘distinzione’ (Deutlichkeit),
che è la chiarezza delle note (Merkmale)
che contraddistinguono un concetto (AA IX 61-62; trad. it. Logica
55-57). [57]
Nel termine ‘scolastica’, non si deve vedere un riferimento a quel
periodo del pensiero medioevale che va sotto il nome appunto di ‘Scolastica’.
In Kant, ‘scolastico’ si oppone a ‘popolare’ (termine che
infatti ricorre poco più avanti), e le qualifiche ‘scolastico’ o
‘popolare’ possono applicarsi alla esposizione (Vortrag)
del pensiero, come in questo caso, oppure al metodo che si segue
nell’ordine dei pensieri. In relazione al modo di esposizione,
‘scolastico’ è quel modo che si attiene ai semplici e nudi
concetti senza ricorrere a esempi o altri mezzi idonei a facilitare la
comprensione; l’esposizione che invece fa ricorso ad essi è ‘popolare’.
Quanto al metodo, è ‘scolastico’ o ‘scientifico’ quello che
parte dai principi, mentre è ‘popolare’ quello che parte da ciò
che è più ‘interessante’; il primo ha di mira la solidità (Gründlichkeit),
il secondo l’intrattenimento (Unterhaltung;
cfr. Logica § 115, AA IX,
p. 148; ; trad. it. Logica 142-143). [58]
Cfr. la nota precedente. [59]
Jean Terrasson (1670-1750),
ellenista e latinista, fu membro dell’Accademia francese. [60]
Per Kant, la conoscenza
‘speculativa’ è un tipo di conoscenza ‘teoretica’. Con la
conoscenza ‘teoretica’ conosciamo ‘ciò che esiste’; da essa
si distingue la conoscenza ‘pratica’ con cui conosciamo ‘ciò
che deve esistere’. La conoscenza ‘teoretica’ può poi essere
‘speculativa’ o ‘naturale’; la conoscenza speculativa si
riferisce a ciò a cui non si può arrivare con nessuna esperienza; la
‘conoscenza naturale’ (Naturerkenntnis),
invece, a ciò che può essere dato in una esperienza possibile (cfr
KrV B 661-663; GLR 401-402). [61]
Come è stato da molti
sottolineato, Kant usa il termine ‘metafisica’ in diversi sensi;
direi che qui ‘metafisica’ indica la ‘pura (reine)
conoscenza razionale da meri (bloße)
concetti’ (cfr AA IV 469). [62]
Persio,
Satire, IV, 52 («rientra
in te stesso e vedrai quant’è scarso il tuo mobilio», Aulo
Persio Flacco e Decimo
Giunio Giovenale,
Satire, UTET, Torino 1979, p. 93). Persio (Aulo Persio Flacco, 34-62
d. C.), poeta satirico latino; ispirandosi al pensiero e alla
spiritualità stoica, fustigò nei suoi versi i costumi del suo tempo. [63]
Nel 1786, Kant effettivamente
pubblicò i Metaphysische Anfangsgründe der Naturwissenschaften
(Fondamenti metafisici delle scienze della natura).
Nella Introduzione, spiega
che per ‘natura’ (in senso materiale) si intende l’insieme di
tutto ciò che può essere oggetto della nostra sensibilità, esterna
o interna; prendendo il termine ‘natura’ in questo senso, la
scienza della natura comprende la dottrina dei corpi, oggetto dei
sensi esterni, e la dottrina dell’anima, oggetto del senso interno.
Una ‘dottrina della natura’ sarà ‘scienza della natura’ solo
se le leggi naturali su cui basa la sua costruzione sono a priori,
e non tratte dall’esperienza; una scienza della natura suppone
dunque a suo fondamento, secondo Kant, una ‘metafisica della
natura’, che contiene i principi della necessità
di ciò che appartiene all’esistenza (Dasein)
dei suoi oggetti. Su questa opera di Kant, cfr. Vanni Rovighi 177-179.
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PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE (1787) (aggiornato
al 5.11.2011) [1]
Se l’elaborazione delle conoscenze, che appartengono al dominio della
ragione, segua o pur no la via sicura di una scienza, si può giudicare
subito dal risultato. Quando essa[1],
dopo aver fatto molti apparecchi e preparativi, appena viene allo scopo,
cade in imbarazzo, o, per raggiunger quello, deve di nuovo e più volte
rifarsi da capo e mettersi per altra via; se a un tempo non è possibile
mettere d’accordo i diversi collaboratori sul modo col quale debba
essere perseguito lo scopo comune[2];
allora sempre si può esser convinti, che un tale studio[3]
è ancor ben lontano dal seguire la via sicura propria di una scienza, ed
è invece un semplice brancolamento; ed è già un merito verso la ragione
scoprire possibilmente questa via, dovesse pure ripudiarsi come inutile ciò
che era contenuto nello scopo, quale prima veniva senza riflessione
concepito. [2]
Che la logica abbia seguito questo sicuro cammino fin dai tempi più
antichi, si rileva dal fatto che, a cominciare da Aristotele, non ha
dovuto fare nessun passo indietro, se non si vogliano considerare come
correzione l’abbandono di qualche superflua sottigliezza o la più
chiara determinazione della sua esposizione: ciò che appartiene più
all’eleganza, che alla sicurezza di una scienza. Notevole è ancora il
fatto che sin oggi la logica non ha potuto fare un passo innanzi, di modo
che, secondo ogni apparenza, essa è da ritenersi come chiusa e completa[4].
Infatti, se taluni moderni han preteso di estenderla aggiungendovi alcuni
capitoli, o psicologici, sulle diverse facoltà conoscitive
(l’immaginazione, lo spirito); o metafisici, sull’origine della
conoscenza o sulla specie diversa di certezza secondo la diversità degli
oggetti (idealismo, scetticismo, ecc.); o antropologici, sui pregiudizi
(loro cause e rimedi): ciò è dovuto alla loro ignoranza della natura
propria di questa scienza[5].
Non è un accrescimento, ma uno storpiamento delle scienze, quando se ne
confondono i confini; ma il confine della logica è a sufficienza
determinato da ciò, che essa è una scienza, la quale espone per disteso
e prova rigorosamente soltanto le regole formali di tutto il pensiero, sia
questo a priori od empirico[6],
abbia qualsivoglia origine ed oggetto, trovi nel nostro spirito ostacoli
accidentali o naturali. [3]
Se la logica e tanto ben riuscita, deve questo vantaggio semplicemente
alla sua delimitazione, ond’essa e autorizzata, o, meglio, obbligata[7],
ad astrarre da tutti gli oggetti della conoscenza e dalla loro differenza;
sicché 1’intelletto non deve nella logica occuparsi d’altro che di se
stesso e della propria forma. Doveva naturalmente riuscire assai più
difficile per la ragione[8]
entrare nella via sicura della scienza, quando avesse avuto da fare non
solo con se stessa, ma ancora cogli oggetti; quindi la logica, in quanto
propedeutica[9], non costituisce quasi
altro che il vestibolo delle scienze, e, quando si parla di conoscenze, si
presuppone bensì una logica pel giudizio su di esse, ma la loro
acquisizione deve cercarsi nelle scienze propriamente ed oggettivamente
dette[10].
[4]
Ora, in quanto in queste[11]
deve aver parte la ragione, è necessario che in esse qualcosa sia
conosciuto a priori[12];
e la sua conoscenza si può riferire al loro oggetto in doppia maniera: o
semplicemente per determinar questo e il suo concetto (che deve esser dato
d’altronde[13]),
o per realizzarlo. L’una è conoscenza teoretica della ragione,
l’altra pratica[14].
Dell’una e dell’altra[15]
è necessario che la parte pura, ampio o ristretto che ne sia il
contenuto, cioè quella nella quale la ragione determina il suo oggetto
interamente a priori, sia esposta dapprima da sola, e ciò che proviene da
altre fonti non vi deve essere menomamente mescolato[16];
giacche è cattiva amministrazione spendere alla cieca tutti gli introiti,
senza poter poi distinguere, quanto si sia in imbarazzo, qual parte di
essi possa sopportare le spese e quale richieda che si limitino. [5]
La matematica e la fisica sono le due conoscenze teoretiche della ragione,
che devono determinare a priori il loro oggetto: la prima in modo del
tutto puro, la seconda almeno in parte, ma poi tenendo conto ancora di
altre fonti di conoscenze oltre a quella della ragione[17].
[6]
La matematica, dai tempi più remoti a cui giunge la storia della ragione
umana, è entrata, col meraviglioso popolo dei Greci, sulla via sicura
della scienza. Soltanto, non bisogna credere che le sia riuscito cosi
facile come alla logica, dove la ragione ha da fare solo con se stessa,
trovare, o meglio aprire a se medesima, la via regia; io credo piuttosto
che a lungo (specialmente presso gli Egizi) sia rimasta ai tentativi
incerti, e che questa trasformazione definitiva debba essere attribuita a
una rivoluzione, posta in atto dalla felice idea d’un uomo solo, con una
ricerca tale che, dopo di essa, la via da seguire non poteva più essere
smarrita, e la strada sicura della scienza era ormai aperta e tracciata
per tutti i tempi e per infinito tratto[18].
La storia di questa rivoluzione della maniera di pensare, la quale è
stata ben più importante della scoperta della via al famoso Capo, e
quella del fortunato mortale che la portò a compimento, non ci è stata
tramandata. Ma la leggenda che ci riferisce Diogene Laerzio[19],
il quale nomina il presunto scopritore dei minimi elementi delle
dimostrazioni geometriche[20], che, secondo il comune
giudizio, non han bisogno di dimostrazione[21],
prova che il ricordo della rivoluzione che si compì col primo passo nella
scoperta della nuova via, dové sembrare straordinariamente importante ai
matematici, e perciò divenne indimenticabile. II primo che dimostrò le
proprietà del triangolo isoscele[22]
(si chiamasse Talete[23]
o come si voglia), fu colpito da una gran luce: perché comprese ch’egli
non doveva seguire a passo a passo ciò che vedeva nella figura, né
attaccarsi al semplice concetto di questa figura, quasi per impararne le
proprietà; ma, per mezzo di ciò che per i suoi stessi concetti vi
pensava e rappresentava (per costruzione), produrla; e che, per sapere con
sicurezza qualche cosa a priori, non doveva attribuire alla cosa se non ciò
che scaturiva necessariamente da quello che, secondo il suo concetto, vi
aveva posto egli stesso[24]. [7]
La fisica[25]
giunse ben più lentamente a trovare la via maestra della scienza; giacché
non è passato più di un secolo e mezzo circa dacché la proposta del
giudizioso Bacone di Verulamio[26], in parte provocò, in
parte, poiché si era già sulla traccia di essa, accelerò la scoperta,
che può allo stesso modo essere spiegata solo da una rapida rivoluzione
precedente nel modo di pensare. Io qui prenderò in considerazione la
fisica solo in quanto è fondata su principi empirici[27].
[8]
Quando Galilei[28]
fece rotolare le sue sfere su di un piano inclinato, con un peso scelto da
lui stesso, e Torricelli[29]
fece sopportare all’aria un peso, che egli stesso sapeva di già uguale
a quello di una colonna d’acqua conosciuta, e, più tardi, Stahl[30]
trasformò i metalli in calce, e questa di nuovo in metallo, togliendovi o
aggiungendo qualche cosa, fu una rivelazione luminosa per tutti gli
investigatori della natura[31].
Essi compresero che la ragione vede solo ciò che lei stessa produce
secondo il proprio disegno, che deve farsi avanti con principi dei suoi
giudizi secondo leggi costanti[32], e costringere la natura
a rispondere alle sue domande; e non lasciarsi guidare da lei, per dir così,
colle redini; perché altrimenti le nostre osservazioni, fatte a caso e
senza un disegno prestabilito, non metterebbero capo a una legge
necessaria, che pure la ragione cerca e di cui ha bisogno. E necessario
dunque che la ragione si presenti alla natura avendo in una mano i princìpi,
secondo i quali soltanto è possibile che fenomeni concordanti abbian
valore di legge, e nell'altra l’esperimento, che essa ha immaginato
secondo questi princìpi: per venire, bensì, istruita da lei, ma non in
qualità di scolaro che stia a sentire tutto ciò che piaccia al maestro,
sibbene di giudice, che costringa i testimoni a rispondere alle domande
che egli loro rivolge. La fisica pertanto è debitrice di così felice
rivoluzione compiutasi nel suo metodo solo a questa idea, che la ragione
deve (senza fantasticare intorno ad essa) cercare nella natura,
conformemente a quello che essa stessa vi pone, ciò che deve apprenderne,
e di cui nulla potrebbe da se stessa sapere. Così la fisica ha potuto per
la prima volta esser posta sulla via sicura della scienza, laddove da
tanti secoli essa non era stato altro che un semplice brancolamento[33]. *
Non seguo qui , in maniera precisa, il filo storico del metodo
sperimentale, i cui primi inizi non sono del resto ben noti. [9]
Alla metafisica, conoscenza speculativa razionale, affatto isolata, che si
eleva assolutamente al di sopra degli insegnamenti dell’esperienza, e
mediante semplici concetti (non, come la matematica, per l’applicazione
di questi all’intuizione), nella quale dunque la ragione deve essere
scolara di se stessa, non è sinora toccata la fortuna di potersi avviare
per la via sicura della scienza[34];
sebbene essa sia più antica di tutte le altre scienze, e sopravviverebbe
anche quando le altre dovessero tutte quante essere inghiottite nel
baratro di una barbarie che tutto devastasse[35].
Giacché la ragione si trova in essa continuamente in imbarazzo, anche
quando vuole scoprire[36] (come essa presume) a
priori quelle leggi, che la più comune esperienza conferma. In essa si
deve innumerevoli volte rifar la via, poiché si trova che quella già
seguita non conduce alla mèta; e, quanto all’accordo dei suoi cultori
nelle loro affermazioni, essa è così lontana dall’averlo raggiunto,
che è piuttosto un campo di lotta: il quale par proprio un campo
destinato ad esercitar le forze antagonistiche, in cui nemmeno un campione
ha mai potuto impadronirsi della più piccola parte di terreno e fondar
sulla sua vittoria un durevole possesso[37].
Non v’è dunque alcun dubbio, che il suo procedimento finora sia stato
un semplice andar a tentoni e, quel che è peggio, tra semplici concetti[38].
[10]
Da che deriva dunque che essa non abbia ancora potuto trovare il cammino
sicuro della scienza? Egli è forse impossibile?[39] Perché dunque la natura
ha afflitto la nostra ragione con l’incessante aspirazione a seguir le
tracce di tale cammino[40],
come se messo fosse per lei l’interesse più grave tra tutti? Ma v’ha
di più: quanto poco motivo abbiamo noi di ripor fede nella nostra
ragione, se essa non solo ci abbandona in uno dei più importanti oggetti
della nostra curiosità[41],
ma ci attira con lusinghe, e alla fine c’inganna?[42]
Oppure, se fino ad oggi abbiamo semplicemente sbagliato strada, di quali
indizi possiamo profittare, per sperare di essere più fortunati che gli
altri finora non siano stati, rinnovando la ricerca?[43] [11]
Io dovevo pensare che gli esempi della matematica e della fisica, che sono
ciò che ora sono per effetto di una rivoluzione attuata tutta d’un
colpo, fossero abbastanza degni di nota, per riflettere sul punto
essenziale del cambiamento di metodo, che è stato loro di tanto
vantaggio, e per imitarlo qui[44],
almeno come tentativo (Versuch),
per quanto l’analogia delle medesime, come conoscenze razionali, con la
metafisica ce lo permette[45]. Sinora si è assunto (annehmen)
che ogni nostra conoscenza dovesse regolarsi sugli oggetti; ma tutti i
tentativi di stabilire intorno ad essi qualche cosa a priori, per mezzo di
concetti con cui[46]
si sarebbe potuto allargare[47]
la nostra conoscenza, assumendo un tal presupposto, non riuscirono a nulla[48].
Si faccia, dunque, finalmente il tentativo[49]
di vedere se saremo più fortunati nei problemi della metafisica,
assumendo (annehmen)[50]
che gli oggetti debbano regolarsi sulla nostra conoscenza: ciò che si
accorda meglio colla desiderata possibilità d’una conoscenza a priori,
che stabilisca qualcosa relativamente agli oggetti, prima che essi ci
siano dati. Qui è proprio come per la prima idea di Copernico[51];
il quale, vedendo che non poteva spiegare i movimenti celesti ammettendo
che tutto l’esercito degli astri rotasse intorno allo spettatore, cercò
se non potesse riuscir meglio facendo girare l’osservatore, e lasciando
invece in riposo gli astri[52]. Ora in metafisica si può
veder di fare un tentativo simile per ciò che riguarda l’intuizione[53] degli oggetti. Se
l’intuizione si deve regolare sulla natura degli oggetti, non vedo punto
come si potrebbe saperne qualcosa a priori; se l’oggetto invece (in
quanto oggetto del senso[54])
si regola sulla natura della nostra facoltà intuitiva, mi posso benissimo
rappresentare questa possibilità[55].
Ma, poiché non posso arrestarmi a intuizioni di questo genere, se esse
devono diventare conoscenze; e poiché è necessario che io le riferisca,
in quanto rappresentazioni, a qualcosa che ne sia l’oggetto e che io
determini mediante quelle[56];
così non mi rimane che assumere[57]:
o che i concetti, coi quali io compio questa determinazione, si regolino
anche[58]
sull’oggetto, e in questo caso io mi trovo nella stessa difficoltà,
circa il modo cioè in cui possa conoscerne qualche cosa a priori; oppure
che gli oggetti o, ciò che è lo stesso, l’esperienza, nella quale
soltanto essi sono conosciuti (in quanto oggetti dati[59]),
si regolino su questi concetti[60];
allora io vedo subito una via d’uscita più facile, perché
l’esperienza stessa è un modo di conoscenza che richiede il concorso
dell’intelletto, del quale devo presupporre in me stesso la regola prima
che gli oggetti mi siano dati, e perciò a priori; e questa regola si
esprime in concetti a priori, sui quali tutti gli oggetti
dell’esperienza devono necessariamente regolarsi, e coi quali devono
accordarsi[61].
Per ciò che riguarda gli oggetti in quanto sono semplicemente pensati
dalla ragione, ossia necessariamente, ma non possono esser dati punto
nell’esperienza (almeno come la ragione li pensa), i tentativi di
pensarli (devono pur potersi pensare!) forniranno quindi un eccellente
strumento di controllo (Prüfstein)[62]
di quel che noi assumiamo come il mutato metodo nel modo di pensare, e cioè:
che noi delle cose non conosciamo a priori, se non quello stesso che noi
stessi vi mettiamo**. **
Questo metodo, imitato dallo studioso di scienza naturale[63],
consiste, dunque, in ciò: ricercare gli elementi della ragion pura in
quello che si può confermare o confutare[64]
per mezzo di un esperimento. Ora, non v’è esperimento possibile (come
c’è nella scienza naturale), che permetta di controllare, con i loro
oggetti[65],
le proposizioni della ragion pura, soprattutto quando queste si
avventurano di là dai limiti di ogni esperienza possibile[66];
non si potrà dunque far questo controllo se non con concetti e principi
che noi assumiamo a priori[67],
prendendoli (einrichten) in tal
maniera che i medesimi oggetti[68]
possano essere considerati da un lato come oggetti dei sensi e
dell’intelletto per l’esperienza[69], dall’altro come
oggetti che soltanto si pensa, tutt’al più per la ragione isolata[70]
e sforzantesi di elevarsi al di sopra dei limiti dell’esperienza; e
perciò da due diversi punti di vista. Ora, se si trova che, considerando
le cose da questo duplice punto di vista, ha luogo l’accordo col
principio della ragione pura[71],
mentre, considerandoli da un solo punto di vista, la ragione vien
necessariamente in conflitto con se stessa, allora l’esperimento decide
per l’esattezza di tale distinzione[72].
[1]
Cioè la ragione. [2]
Si ricordino le ‘oscurità e
contraddizioni’ in cui cade la ragione, e la connotazione della
metafisica come ‘campo di lotte senza fine’, nella Prefaz. A. [3]
Cioè l’elaborazione delle conoscenze che appartengono al dominio della
ragione. [4]
Secondo Kant, quindi, la logica
deve considerarsi ‘chiusa e completa’ fin dalla trattazione che ne
ha fatto Aristotele, e non suscettibile di ulteriori sviluppi. Questa
idea era espressa anche nella Prefaz. A c. 8 (e 7): la ragione pura
costituisce una tale unità che prenderne conoscenza significa
prenderne conoscenza completa, e questo si verifica ‒ affermava
‒ già per la logica ‘comune’, che è quella di cui qui sta
parlando. Chi oggi dedica attenzione anche superficiale alla storia
della logica, non può invece non restare sorpreso dalla grande
fioritura di studi logici che si ebbe a partire dalla fine
dell’Ottocento in poi, dalle moderne trattazioni di logica simbolica
alla ‘metalogica’. Anche nella Logica Kant afferma che dai tempi
di Aristetele la logica non ha guadagnato nulla (né avrebbe potuto,
per sua natura, guadagnare nulla) quanto al contenuto; può acquistare
solo in ‘determinatezza’ e ‘distinzione’ (AA IX,20; trad. it.
Logica 14). [5]
Non erano mancate trattazioni di
logica in epoca moderna. Esempi di queste logiche ‘moderne’
potrebbero essere la Logica di Port-Royal
di A. Arnauld e P. Nicole (1662), o più vicino a Kant le ricerche
logiche di Johann Heirich Lambert (1728-1777), le sistematizzazioni di
Wolff e della sua scuola, e infine di Crusius (cfr. AA IX, 21; trad.
it. Logica 15). La critica di Kant a chi pretende di rinnovare o
accrescere la logica: la ‘novità’ consiste in realtà nel
mescolarla con elementi di metafisica e di psicologia; quindi, esse
non costituiscono un arricchimento o un ampliamento della logica, ma
piuttosto un suo pervertimento. [6]
Ecco la definizione della
logica, in base al suo oggetto: essa è lo studio delle leggi formali
del pensiero, sia puro sia empirico; cioè, qualunque sia la fonte dei
contenuti conoscitivi a cui esse si applicano. Questo è la ‘logica
comune’ di cui parlava la Prefaz. A, e che la tradizione chiamava logica
minor o logica formale; secondo
Kant, essa ha raggiunto la sua completezza già con Aristotele. [7] Obbligata dalla sua stessa natura, di essere ‘lo studio delle leggi formali del pensiero’. [8] Si noti che qui (e non solo qui) Kant parla alternativamente di intelletto (Verstand) e di ragione (Vernunft) senza cambiamento di significato. Altrove, invece, egli usa ‘intelletto’ e ‘ragione’ dando ai due termini un significato ben distinto: l’esempio più notevole nel fatto che l’Analitica trascendentale ha ad oggetto l’intelletto, e la Dialettica trascendentale invece la ragione. [9]
Anche nella sua Logica
(Introduzione, AA IX, 13; trad. it. Logica 7), Kant chiama la logica
‘propedeutica’ alla scienza, un insegnamento preparatorio; rifiuta
invece di considerarla ‘strumento’ (organon,
termine di ascendenza aristotelica; Meier dava invece tra i sinonimi
di ‘logica’ quello di ‘filosofia strumentale’, cfr. Vernunftlehre § 1); questo perché - osserva Kant - lo strumento indica la via per l’ampliamento della
conoscenza e suppone quindi una certa conoscenza dell’oggetto,
mentre la logica si occupa della mera forma del pensiero e non serve
ad ampliare le conoscenza, ma solo a giudicarne la correttezza
formale. [10]
Per
Kant, la logica è più propedeutica (preparazione, strumento) alle
scienze che scienza essa stessa; la logica non dà infatti a conoscere
oggetti, contenuti, il suo oggetto è la pura e semplice ‘forma’
del pensiero. [11] Cioè
nelle scienze propriamente e oggettivamente dette. [12]
Conoscenza a priori è
conoscenza universale e necessaria, e universalità e necessità non
possono venire dall’esperienza, vengono dalla ragione. [13] Cioè
non dalla ragione stessa. [14]
La conoscenza teoretica consiste
nella determinazione conoscitiva dell’oggetto, la conoscenza pratica
ha di mira la sua realizzazione, cioè di renderlo reale. [15]
Cioè della conoscenza teoretica
e della conoscenza pratica. [16]
Kant afferma dunque che la
conoscenza (teoretica e pratica) ha una ‘parte’ pura, razionale, e
che questa parte deve essere indagata ed esposta per prima, senza
mescolarvi niente di empirico. [17]
La matematica determina i suoi
oggetti, cioè ne fornisce una conoscenza, interamente a priori; la fisica invece determina i suoi solo parzialmente
a priori; nella fisica alla parte pura, razionale, si accompagnano
elementi di altra natura, di natura empirica. [18]
Secondo Kant, quindi, perché la
matematica potesse diventare ‘scienza’ è stato necessaria ‘una
rivoluzione nella maniera di pensare’, cioè un capovolgimento
totale rispetto al modo consueto di trattarne; e una tale rivoluzione
non poteva nascere che da una illuminazione nella mente di uno solo. [19] Diogene Laerzio (180-240) è il più celebre dei ‘dossografi’ antichi, cioè di quei compilatori che hanno raccolto e tramandato notizie sulla vita e la dottrina (dóxai = opinioni) degli antichi pensatori greci; è autore delle Vite dei filosofi, in 10 libri. [20]
Ritengo preferibile questa
traduzione di Colli 21 a quella di GLR 15 (‘il
supposto scopritore dei principi più elementari delle dimostrazioni
geometriche’) perché il ‘principi’ italiano, già chiamato a tradurre ‘Prinzipien’ e ‘Grundsätze’, qui
tradurrebbe anche ‘Elemente’. [22]
Nelle edizioni originali della
CRP c’era ‘…che dimostrò il triangolo equilatero’
(in AA III c’è però ‘isoscele’);
Kant stesso segnalò l’errore in una sua lettera (a G. C. Schütz,
del giugno 1787, cfr. AA X 489) e corresse ‘equilatero’ in ‘isoscele’;
nella stessa lettera, Kant rimanda a Euclide, Elementi, libro I,
proposizione 5. [23]
Vissuto tra il settimo e il
sesto secolo avanti Cristo (circa 640-540) Talete di Mileto (una
colonia greca sulla costa egea dell’attuale Turchia) è considerato
come il primo del filosofi del pensiero occidentale. [24]
Intendere: Talete o chi per lui
capì che per conoscere le proprietà del triangolo non doveva basarsi
sull’esperienza di questo o quel particolare triangolo, di legno, di
pietra, o disegnato col gesso o lo scalpello, per derivarle poi da
queste esperienze; capì anche che non doveva partire neppure
dall’idea che correntemente ci si fa del triangolo. Capì che doveva
invece ‘costruire’ lui stesso la figura del triangolo, come di
qualsiasi altra entità geometrica (ad esempio, un cono è quella
figua che si ottiene facendo ruotare un triangolo rettangolo attorno a
uno dei suoi cateti); capì che, fatto questo, sarebbe stato in grado
di predicare con necessità, del triangolo o di qualsiasi altra entità
geometrica, quelle proprietà che lui stesso aveva messo nei loro
concetti, costruendoli. Già nello scritto del 1763 Indagine sulla distinzione dei principi della teologia naturale e della
morale (§ 1) Kant aveva
presentato in questa stessa maniera il metodo dei matematici,
distinguendolo da quello della filosofia: i matematici, aveva
affermato, arrivano ai loro oggetti di studio mediante un
‘collegamento arbitrario di concetti’ ( vedi l’esempio del
cono); invece, alla filosofia i suoi oggetti sono ‘dati’, però in
maniera confusa, e il suo compito è di
cercare di chiarirli (ad esempio il concetto di tempo) (Scritti
precritici, 223-225). Anche la Critica della ragion pura,
nella prima sezione della Disciplina della ragion pura,
riprende questa contrapposizione di metodo matematico e metodo
filosofico, precisando che in matematica non c’è nessun oggetto
prima della definizione/costruzione, e che le definizioni matematiche
dunque non possono mai essere sbagliate, mentre la filosofia deve
analizzare concetti dati (KrV B 755-760; GLR 453-456). [25]
Qui, come qualche riga più
avanti, Kant usa il termine ‘Naturwissenschaft’, ‘scienza della
natura’. [26]
Francesco Bacone (1561-1626). [27]
Notare: qui, in questo passo
della Prefazione, facendo
l’esempio di discipline che hanno preso la via della scienza, Kant
pensa alla scienza sperimentale
della natura, pensa al ‘metodo sperimentale’, come dice egli
stesso nella nota che segue l’accenno a Stahl), non alla parte pura
della scienza della natura (oggetto dei Principi metafisici della
scienza della natura e della
stessa Analitica trascendentale
della Critica della ragion pura). [28]
Galileo Galilei (1564-1642). [29]
Evangelista Torricelli
(1607-1647) matematico e fisico, successore di Galileo come matematico
del Granduca di Toscana. [30]
Georg Ernst Stahl (1659-1734),
chimico e metallurgo. [31]
Notare: Galileo ‘scelse lui
stesso’ il peso delle sfere; Torricelli ‘sapeva egli stesso’ il
peso che fece sopportare all’aria; quanto a Stahl, era lui che
‘aggiungeva o toglieva qualcosa’. Nessuno dei tre si limita ad
osservare passivamente accadimenti naturali; tutti e tre intervengono
a creare le condizioni in cui si verifica il fenomeno che intendono
studiare. [32]
Ho leggermente modificato la
traduzione, che in GLR 16 è: «e
che, con princìpi dei suoi giudizi secondo leggi immutabili, deve
essa entrare innanzi e costringere la natura …» (nel testo tedesco:
« daß sie mit
Prinzipien ihrer Urteile nach beständigen Gesetzen vorangehen und die
Natur nötigen müsse…»). Evidentemente, ‘la
ragione vede solo ciò che lei stessa produce’ non può significare
che la ragione non apprende nulla dalla natura ma fantastica su di
essa (questo è escluso poco avanti); deve significare che si può
giungere alla formulazione delle leggi naturali solo
‘interrogando’ la natura come farebbe un giudice col testimone:
ponendole domande precise, e non facendosi raccontare non si sa che.
Vedere la nota seguente. [33]
Tutto questo passo illustra la
visione kantiana del metodo sperimentale. Finché la scienza della
natura si è limitata ad osservazioni casuali e disordinate degli
accadimenti naturali; ha invece preso la via della scienza quando si
è messa di fronte alla natura interrogandola sulla base di ipotesi da
lei stessa formulate. Kant afferma la necessità del ricorso
all’esperienza, perché la ragione non deve
fantasticare intorno alla natura, ma cercare nella natura stessa ciò
che la ragione da sola non potrebbe conoscere; d’altra parte, è la
ragione stessa che pone questioni alla natura secondo un suo piano, e non
lasciandosi guidare passivamente
da essa. [34]
La metafisica, dunque, non è
ancora ‘scienza’; Kant indica i motivi per cui finora non è
riuscita ad esserlo: essa è una conoscenza speculativa razionale,
assolutamente al di sopra dell’esperienza, dalla quale non ha nulla
da imparare (in questo differisce dalla scienza della natura);
inoltre, essa opera con puri e semplici concetti, e non costruendo
i concetti (in questo differisce dalla matematica). [35]
Veramente, dire che la
metafisica è la ‘più antica di tutte le altre scienze’
porterebbe a concludere che la metafisica è scienza; la frase si deve
intendere nel senso che la metafisica ha preteso
di essere scienza. Comunque, Kant afferma qui la ineliminabilità
della metafisica, il fatto che essa ha sempre accompagnato e sempre
accompagnerà l’uomo. Ci si può domandare in riferimento a quanto
detto nella nota 8 alla Prefaz. A): qual è il senso del termine
‘metafisica’ in questo passo? Fa riferimento agli interrogativi
umani fondamentali intorno a Dio libertà e immortalità? si riferisce
alla conoscenza degli elementi e delle leggi pure della ragione? ha il
significato più largo che abbraccia i due precedenti? [36]
‘Scoprire’ traduce qui il
tedesco ‘einsehen’,
termine di difficile traduzione; Colli
22 traduce ‘scorgere’, Marietti
I, 115 traduce ‘discernere’; il senso è quello di ‘cogliere con
l’intelligenza’, ‘penetrare con l’intelligenza’.
Nell’ontologia tradizionale, i principi ontologici, che trovano
conferma continua nell’esperienza (per es. il principio di identità
– l’esempio è mio), non sono derivati dall’esperienza, fondati
sull’esperienza, ma sono colti dall’intelletto, sono universali e
necessari, e come tali – a priori ‒ vengono proposti. [37]
Torna il tema della metafisica
come ‘campo di lotte senza fine’. [38]
La scienza della natura, come si
è visto, prima dell’introduzione del metodo sperimentale andava
anch’essa a tentoni; essa però si muoveva nel campo
dell’esperienza, e dava almeno quel che l’esperienza può dare; la
metafisica invece è ‘isolata’, come detto sopra, e opera con puri
e semplici, e (secondo Kant) vuoti concetti. Se il risultato degli sforzi metafisici è questo andar
sempre ricominciando, e questa perpetua lotta tra i differenti sistemi
e pensatori, allora, in base al criterio formulato nel c. 1, si deve
concludere che la metafisica finora non ha imboccato la via della
scienza, essa finora non è scienza. [39]
Quello che è certo per Kant è
dunque il fatto che la metafisica finora non è ‘scienza’. Due
allora possono essere le ipotesi: 1) che questo sia impossibile, che
cioè essa non possa assolutamente essere scienza (questa ipotesi
viene formulata nella prima parte di questo capoverso, fin qui); 2)
che finora essa non è scienza perché si è sbagliato strada (questa
ipotesi viene formulata nell’ultima frase di questo capoverso); in
questo secondo caso, è necessario fare un altro tentativo per darle
forma e dignità di scienza; i capoversi che seguono presentano il
‘tentativo’ fatto da Kant precisamente in questa Critica della
ragion pura (c. 11), e il suo esito (cc. 12-16). [40] Preferisco questa traduzione di Colli 23 a quella di GLR 17 (‘ha messo nella nostra ragione questa infaticabile tendenza, che gliene fa cercare la traccia’); ‘ad andare in cerca di questa via’, traduce Marietti 115. [41]
Non ‘curiosità’ (Wißbegierde)
nel senso frivolo del termine, ma ‘sete di sapere’, ‘bisogno di
sapere’; tuttavia, secondo Kant questa sete di sapere ostacolo,
invece di favorire, la piena realizzazione di ciò a cui l’uomo è
chiamato, della sua Bestimmung (cfr. Paolinelli 110-137). [42]
Se fosse vero che la metafisica
come scienza è impossibile, si avrebbe questa situazione: la natura
‘tormenta’ (cfr. Prefaz. A c. 1) o ‘affligge’ la nostra
ragione spingendola a cercare sempre di nuovo di fare della metafisica
una scienza, e in questo in realtà la inganna, se è vero che la
metafisica come scienza è impossibile. Si ricordi che anche in Prefaz.
A c. 1 Kant affermava che i problemi inevitabili che però sorpassano
i poteri della ragione le son posti ‘dalla natura della stessa ragione’. [43] Si
intenda: la ricerca di porre la metafisica sul cammino sicuro della
scienza; è il ‘tentativo’ di cui si parlava sopra. [44]
Kant ha mostrato sopra in che
cosa consiste la ‘rivoluzione’, cioè il cambiamento di metodo che
ha permesso a matematica e scienza della natura di prendere il cammino
sicuro della scienza: la ragione conosce con necessità e universalità,
nei oggetti di quelle scienze, solo quello che lei stessa vi mette.
Viene spontaneo, dice ora Kant, seguire l’esempio di quelle scienze
anche in metafisica, e vedere se in tal modo questa possa darsi forma
di scienza. [45]
Benché in tutti e tre i casi si
tratti di conoscenze razionali (= in cui c’è universalità e
necessità), tra le tre discipline non c’è una completa
somiglianza, ma solo analogia: la scienze della natura è per natura
sua legata all’esperienza, il che non avviene in filosofia; neanche
la matematica poggia sull’esperienza, ma essa procede per
‘costruzione’ di concetti, ciò che non accade per la filosofia,
la quale procede per analisi di concetti confusamente dati. [46]
Per rendere credo più chiaro il
pensiero, ho leggermente modificato la traduzione, rispetto a quella
di GLR 17 («dei concetti, coi quali»); in tedesco, «durch Begriffen auszumachen,
wodurch erweitert würde» KrV B xvi). [47]
Il termine ‘allargare’ (erweitern)
fa riferimento alla celebre distinzione dei diversi tipi di giudizi
che compare nella Introduzione
alla CRP §§ iv-vi: i
giudizi analitici sono quelli in cui il predicato ripete ciò che è
già incluso nel soggetto (e perciò sono universali e necessari, ma
non allargano la nostra conoscenza), mentre nei giudizi sintetici il
predicato dice qualcosa che non è già contenuto nel soggetto (e
quindi questi giudizi allargano la conoscenza); l’intento di Kant
nella CRP è poi quello di
far vedere come siano
possibili giudizi non solo sintetici ma anche a priori (che
giudizi del genere ci siano, a suo parere è un fatto da constatare,
non qualcosa da dimostrare) (cfr. KrV B 10-24; GLR 39-47). [48]
Cioè: supposto che la
conoscenza debba regolarsi sugli oggetti, non si vede come si possa
avere degli oggetti stessi una conoscenza a priori tale che i giudizi
in cui questa conoscenza si esprime siano non solo universali e
necessari, ma anche capaci di ampliare o estendere la nostra
conoscenza degli oggetti. Vanni Rovighi 101-105 richiama opportunamente la lettera di Kant a Marcus Hertz del
1772, in cui viene impostato questo problema dell’accordo della
nostra facoltà intellettiva con le cose: se le rappresentazioni
dell’intelletto hanno origine nella nostra attività di pensiero,
del tutto indipendentemente dall’esperienza, come possiamo sapere se
hanno una corrispondenza con gli oggetti, che non siamo noi a
produrre? Vanni Rovighi
103-104 mette in luce i presupposti di questa problematica kantiana. [49]
Ho sostituito ‘prova’ di GLR
17 con ‘tentativo’, per restare aderenti al tedesco ‘man versuche’ e alla
traduzione di Versuch con ‘tentativo’. [50]
GLR 17 traduce lo ‘annehmen’
di Kant poco sopra con ‘assumere’, e qui con ‘fare
l’ipotesi’; per maggiore chiarezza, direi che il verbo kantiano va
tradotto alla stessa maniera nei due casi (con ‘assumere’, con Marietti
116, o con ‘ritenere’, Colli
23), perché si tratta dei due termini dell’alternativa, rispetto
all’unico problema dell’accordo della conoscenza intellettiva con
gli oggetti. Kant dice: partendo dall’idea (questo il senso di ‘assumendo’)
che sia l’intelletto a doversi regolare sugli oggetti, non si spiega
come noi possiamo avere degli oggetti conoscenze sintetiche a priori;
facciamo dunque il tentativo di partire dall’idea che siano gli
oggetti a doversi regolare sull’intelletto, e vediamo se in questo
modo si possa spiegare la possibilità di conoscenze allo stesso tempo
sintetiche e a priori (universali e necessarie). [51]
Niccolò Copernico (1473-1543),
astronomo polacco; grazie a lui la teoria eliocentrica (già proposta
nell’antichità da Aristarco di Samo, III secolo a. C.) si affermò
su quella geocentrica. [52]
Cioè: si partiva dall’idea
che gli astri ruotassero intorno all’osservatore (vale a dire poi
intorno alla terra), e in tal modo non si riusciva a spiegare il moto
degli astri. Copernico, allora, provò a partire dall’idea che fosse
l’osservato (la terra) a ruotare attorno agli astri (al sole); e
riuscì a spiegare il moto degli astri. Da qui fino alla fine di questo capoverso, Kant riassume in una
brevissima sintesi l’Estetica
trascendentale e l’Analitica trascendentale: spiega che, a
livello di conoscenza sensibile come a livello di conoscenza
intellettuale, ‘noi delle cose non conosciamo a priori, se non quello stesso che noi stessi
vi mettiamo’. [53] Il
termine ‘intuizione’ (Anschauung) viene usato da Kant in
riferimento alla conoscenza sensibile; in riferimento alla conoscenza
intellettuale, parla, come qualche riga più avanti, di ‘concetti’
(Begriffe). [54]
Per Kant, l’intuizione è solo
sensibile; non c’è intuizione intellettuale. Gli oggetti sensibili
si regolano sulla nostra facoltà intuitiva (cioè sottostanno alle
sue condizioni); questo è argomento della Estetica trascendentale
della CRP. [55]
Viene ripetuto, qui in relazione
alla conoscenza sensibile, quello che sopra era stato detto in
generale: se è la facoltà intuitiva a doversi regolare sugli
oggetti, non si vede come degli oggetti si possa conoscere qualcosa a
priori, se invece sono gli oggetti (della sensibilità) a doversi
regolare sulla facoltà intuitiva, che se ne possa conoscere qualcosa
a priori è concepibilissimo. [56]
Secondo Kant, le intuizioni
sensibili da sole non sono ancora una ‘conoscenza’; si ha
conoscenza solo quando entra in causa l’intelletto. Si ha conoscenza
quando quelle rappresentazioni che sono le intuizioni sensibili
vengono riferite a un oggetto, e così lo determinano; ora, questa
determinazione avviene mediante concetti. Ad esempio, l’altezza di
Pietro (sensazioni visive organizzate nella forma dello spazio)
costituisce una intuizione sensibile che attribuisco a Pietro come
qualità che lo determina; ma nel far questo uso i concetti di
sostanza (Pietro) e accidente (la sua altezza); (esempio mio). [57]
Anche qui, sostituisco ‘ammettere’ di GLR 18 con ‘assumere’ (tedesco: annehmen). [58]
Anche,
direi, rispetto alle intuizioni; come le intuizioni, così i concetti
si regolerebbero, nel primo corno dell’alternativa, sull’oggetto. [59]
Attenzione a questo punto
importantissimo, in cui già si intravvede la distinzione tra
‘fenomeno’ e ‘noumeno’; gli ‘oggetti’ dice Kant, oppure,
ciò che è lo stesso,
‘l’esperienza in cui sono conosciuti’; e poi aggiunge
precisando: ‘conosciuti in quanto oggetti dati’, dove ‘dati’
significa, direi, ‘dati alla conoscenza’ (oppure ‘dati alla
sensibilità’, ma senza l’apporto della sensibilità non c’è
esperienza, non c’è conoscenza). Quindi: gli oggetti di cui si ha o
si può avere esperienza (e di cui si può conoscere qualcosa a
priori) sono non la realtà stessa, quale è in sé, ma la realtà
come si offre (si dà) alla nostra conoscenza, umana. [60]
Viene presentata qui, in
riferimento alla conoscenza intellettuale, la stessa alternativa che
prima era stata presentata per la conoscenza in generale, e poi per la
conoscenza sensibile: la conoscenza si regola sugli oggetti o
viceversa? In questo caso, in riferimento alla conoscenza
intellettuale: i concetti mediante cui le intuizioni sensibili
determinano un oggetto si regolano sugli oggetti, o gli oggetti si
regolano su questi concetti? Anche qui in riferimento alla conoscenza
intellettuale, solo assumendo il secondo corno dell’alternativa si
può spiegare la possibilità di conoscenza a priori degli oggetti. [61]
Assumendo questo secondo corno
dell’alternativa, c’è dunque accordo tra conoscenza/esperienza e
oggetti. Le forme conoscitive che costituiscono l’apporto del
soggetto (i concetti puri dell’intelletto, come anche le intuizioni
pure della sensibilità) appartengono realmente all’oggetto di
esperienza, lo determinano nella sua oggettività, non hanno niente di
‘soggettivo’ rispetto all’oggetto di esperienza; però,
l’oggetto di esperienza non è la realtà in sé, è la realtà come
questa si dà alla conoscenza
umana. [62] Traduco ‘Prüfstein’ ‘strumento di controllo’, anziché ‘pietra di paragone’ come in GLR 18, per far risaltare la correlazione con la Prüfung di cui parla la nota. [63]
Propriamente: da chi coltiva le
scienze naturali (Naturforscher).
Si rivela anche qui l’ammirazione di Kant per la scienza newtoniana;
si ricordi che, nella Indagine
sulla distinzione dei principi della teologia naturale e della
morale, Kant affermava che il metodo del metafisico è ‘uguale’ a quello
introdotto da Newton nelle scienze naturali (Scritti precritici, 235);
cfr. Vanni Rovighi 70-72. Con Colli
25, traduco con ‘scienza naturale’ e non con ‘fisica’ come GLR
18, la Naturwissenschaft nella
parentesi che segue. [64] Con Colli 25, traduco Naturwissenschaft con ‘scienza naturale’ e non con ‘fisica’, come GLR 18. [65]
In GLR 18: ‘Ora, non v’è
esperimento possibile (come c’è nella fisica), che permetta di
verificare, quanto ai loro oggetti…’; il tedesco ha ‘mit ihren
Objekten’, correlativo al ‘mit Begriffen und Grundsätzen’
(‘con concetti e principi’) di poco più avanti. [66]
Direi che Kant delinea qui due
diversi ambiti, e che all’interno del secondo ne vanno distinti due:
da una parte c’è l’ambito della ‘scienza della natura’,
dall’altra c’è quello della ragione pura; all’interno
dell’ambito della ragion pura, si deve distinguere tra quello della
ragione pura in quanto si applica agli oggetti di possibile esperienza
( = i principi metafisici della scienza della natura), e quello della
ragion pura in quanto si avventura al di là dei limiti
dell’esperienza possibile. Per questa seconda distinzione, cfr. più
avanti il c. 12. [67] Traduco
così, con Colli 25 e con Marietti 117; GLR 18 traduce,
inspiegabilmente, ‘che
non ammettiamo a priori’. [68]
Con Colli 25 e Marietti 117
traduco ‘i medesimi’ e non ‘questi
medesimi’, come traduce invece GLR 18. [69]
Si osservi: l’oggetto di
esperienza è il frutto di una duplice sintesi, la prima si effettua a
livello di conoscenza sensibile, la seconda al livello di conoscenza
intellettiva. [70]
‘Per la ragione isolata’ è correlativo di ‘per l’esperienza’. Nella Introduzione
alla Dialettica trascendentale,
Kant si chiede appunto se la ragione possa essere ‘isolata’, e
vista come fonte di concetti e giudizi che hanno in lei sola la loro
origine (KrV B 362; GLR 241). [71]
Direi che il senso è: ‘se
adottando il duplice punto di vista la ragione non cade in
contraddizione con se stessa…’; si veda, a questo proposito, il c.
14 con la sua nota. [72]
Penso che la traduzione che GLR dà di questa nota, molto importante,
in diversi punti sia carente e ne renda più difficile
l’interpretazione; sono state indicate in note precedenti alcune
proposte di modifiche. Per la comprensione della nota, bisogna tener presente che essa ha lo
scopo di spiegare l’ultima frase del c. 11. Il senso generale mi
sembra essere questo: si tratta di saggiare la validità della
concezione che ‘noi delle cose non conosciamo a priori, se non quello stesso che noi stessi
vi mettiamo’ (la quale implica che le cose vadano considerate da due
punti di vista: di come esse sono in sé e di come le conosciamo noi,
cioè come fenomeni, cfr. c. 12); questo controllo si deve fare
mediante un esperimento; in questo caso, non si può fare un
esperimento ‘con oggetti’, come fa la scienza naturale (perché
qui abbiamo a che fare con la ragione pura); l’esperimento si dovrà
fare allora ‘con concetti e principi’ della ragione pura;
l’esperimento consisterà in questo: 1) si prendono concetti e
principi puri in modo che non ci sia distinzione tra oggetti
d’esperienza e oggetti puramente pensati dalla ragione (potremmo
anche dire: tra oggetti d’esperienza, oggetti come sono conosciuti
da noi, e oggetti come sono in sé; il c. 12 utilizza in termini
‘fenomeni’ e ‘cose in sé’); 2) si prendono concetti e
principi puri in modo che non ci sia quella distinzione tra oggetti
d’esperienza e oggetti puramente pensati dalla ragione); se nel caso
1) la ragione non entra in contraddizione con se stessa e nel caso 2)
invece essa entra in contraddizione con se stessa, l’esperimento ha
provato la validità del primo modo di vedere, quello secondo il quale
le cose vanno considerate da due punti di vista, di come esse sono in
sé e di come le conosciamo noi (e cioè del fatto che ‘noi delle cose non conosciamo a priori, se non quello stesso che noi stessi
vi mettiamo’). Ora, proprio questo è ciò che l’esperimento
conferma: che cioè la ragione non cade in contraddizione con se
stessa solo se si distinguono i due punti di vista. In tal modo,
l’esperimento ha provato la validità, per la metafisica, del
‘mutato metodo di pensare’.
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INDICE PARTE GENERALE (aggiornato al 25.10.2011)
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A) INTRODUZIONE 1. Quale uomo?:
filosofia, pedagogia, psicologia. 2. Filosofia e
'problema del tutto' 3. Filosofia e
'problema della vita' o del 'senso' dell'esistenza 4. Unità dei due
problemi
5b. La filosofia come
sapienza 5c. Un corollario 6. Filosofia e
religione 7. Filosofia e scienza
1. 'Ontologia' e
'metafisica' 2. Ontologia
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Maurilio Lovatti Indice scritti
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