In
vista delle elezioni amministrative del 25 maggio, la cosiddetta
"operazione Sturzo" pretendeva di assodare la Democrazia Cristiana
di De Gasperi ad un cartello delle destre, inclusi i fascisti e i
monarchici, provocando una crisi di identità nel partito e nella stessa
Azione Cattolica. In un vertice dei presidenti dei rami dell'Azione
Cattolica convocato intorno al papa era emersa la contrarietà della maggior
parte all'alleanza dei cattolici coi fascisti e all'ipotesi di una lista
cattolica proposta dal presidente generale Gedda. La resistenza opposta da
De Gasperi al disegno di un apparentamento universale dei non comunisti, per
scongiurare la conquista del Campidoglio da parte dei comunisti, gli era
costata il rifiuto dell'udienza papale chiesta dal presidente del Consiglio,
per sè e per la famiglia, in occasione della professione solenne di una
delle figlie, suor Lucia. In realtà, il fallimento immediato dell'alleanza
civica a destra non sembrava aver disarmato i sogni di rimonta dei circoli
cattolici filonazionalistici nè le strategie di quegli ambienti
ecclesiastici per i quali l'antifascismo non poteva essere adottato come
sigla qualificante della Democrazia cristiana. Al contrario il disegno di
indebolire l'autonomia politica del partito mediante la costituzione di un
secondo partito cattolico più ligio alle direttive gerarchiche e agli
interessi della destra, prendeva corpo nelle sfere dirigenti della Chiesa
romana, e veniva trattato esplicitamente da Gedda.
"In realtà" ha ricordato Paoli "Pio XII si era fortemente
turbato per la reazione negativa di De Gasperi alla richiesta vaticana che i
comunisti fossero messi fuori legge." De Gasperi aveva risposto:
"Io le forche in nome di Cristo non le alzerò mai. Piuttosto, me ne
vado". Egli credeva fermamente nella democrazia. Ricordo la sua
convinzione a proposito della richiesta del Papa: porre fuori legge i
comunisti avrebbe comportato una riduzione dell'articolazione democratica
del paese e molto probabilmente una guerra civile. De Gasperi era un
democratico convinto.
Gedda invece non lo era, anzi assicurava che lo stesso Pio XII si fosse
pentito del radiomessaggio natalizio sulla democrazia
I contrasti nell'Azione Cattolica, già emersi durante la crisi del
maritainismo (continuava intatti a incombere la messa all'indice di
Humanisme Integral), si aggravarono, secondo la testimonianza di Paoli,
principalmente a causa dell'ostinazione di Gedda di mobilitare l'Azione
Cattolica come massa di manovra e forza d'urto politica. "Gedda ci
convoco in casa sua, a Largo Ambra Aradam a Roma, tutti i presidenti dei
rami e i viceassistenti, per convincerci ad acccttare il suo progetto di
fondare una sorta di sovrapartito. Tutti fummo unanimi: in quanto Azone
Cattolica non potevamo sottostare alle norme partitiche. Al contrario, Gedda
sosteneva che occorresse obbedire ai vescovi locali, i quali avrebbero
selezionato e indicato i candidati per il voto dei cattolici. Andai a
parlarne allo stesso De Gasperi. Egli mi disse: "Gedda vuoI fare
politica? Prego! Venga pure! Noi potremmo farlo senz'altro deputato. Quando
poi Gedda si accorse che il nuovo presidente dei Giovani non era poi tanto
diverso dalla linea di Carretto, egli si sentì come tradito. La crisi tra
Gedda e me scoppio per questo"
L'interpretazione di quel dissidio offre una chiave eccellente per
accostarci alle motivazioni più profonde della divergenza divenuta ben
presto palese tra lo stesso Gedda e Mario Rossi. Nella sua memoria di quel
periodo, Rossi porta l'accento sul disegno politico-trionfalistico di Gedda
come espressione di una moderna e bene organizzata ripresa del regime di
cristianità: un disegno difficilmente conciliabile con l'ipotesi rossiana
di una chiesa che, pervasa soltanto da un cattolicesimo spirituale, di
convinzione personale piuttosto che di tradizione sociale, avrebbe potuto
forse rispondere meno inadeguatamente alla decomposizione del modello della
cristianità trionfante e conquistatrice.
"L'angoscia doveva essere stata tanta" scrive Rossi a proposito di
Gedda "se così intenso era il bisogno di avere potenza e di darla alla
Chiesa e al Papa, e la potenza si sprecava e le idee si confondevano nei
messaggi ad una gioventù che avrebbe dovuto concorrere a questi trionfi. Al
contrario, ritirare la gioventù dalle piazze e proporre un po' di
riflessione e togliere la propaganda e fare storia umana, a me pareva un
compito bellissimo".
Alcuni storici delle vicende del movimento cattolico in quel periodo
indicano che il tentativo della presidenza di Mario Rossi, tra il 1952 e il
1954, fu principalmente quello di rimodellare nei termini di una laicalità
cristiana e di un forte radicamento nelle diverse realtà culturali e
sociali della GIAC questa opzione di fondo. Così furono riformate le
strutture secondo l'apostolato d'ambiente e le "specializzazioni"
per esperienze reali (studenti, operai. rurali): "una qualificazione
spirituale, una scoperta e uno sviluppo di vocazioni personali, una
educazione 'virile' alla realtà erano quindi gli obiettivi di una
formazione che valorizzava tutta l'esperienza secolare del singolo. con un
particolare accento posto sul tema della scelta professionale, nella
convinzione che solo sviluppando vocazioni distinte e gruppi distinti ma non
separati si rendeva la comunità giovanile capace di scelte morali".
Posso testimoniare io stesso della insistenza posta dal presidente sui
motivi dell'interiorità come chiave per la riscoperta del realismo
cristiano, un realismo che non poteva essere confuso con quello del potere
politico. Il tema e il linguaggio risentivano fortemente della
"teologia delle realtà terrene" che Mario Rossi attingeva ai
testi di M.D. Chenu, sebbene in quel periodo considerato autore pericoloso.
[……]
Vi sono documenti che indicano in modo inequivoco che, nella crisi della
linea degasperiana sotto la pressione della destra clericale, Mario Rossi
non esitò a schierarsi a favore della laicità e dell'autonomia delle
scelte politiche dei cattolici. E accertato che tale era la motivazione
presente delle decisioni della Giac e dello stesso presidente Carretto di
schierarsi a difesa di De Gasperi molto chiaramente nella congiuntura
dell'Operazione Sturzo.
Quanto a Mario Rossi, è interessante richiamare la pagina delle sue memorie
nella quale afferma che "i miei incontri con alcuni esponenti
socialisti e con Dossetti e De Gasperi non erano sfuggiti, anzi erano
'sorvegliati" e anche dopo l'insuccesso dell'Operazione Sturzo,
"il tentativo dei cattolici d'ordine di fare alleanze e sottoalleanze
con gruppi della destra politica ed economica sembrava pretendere una
adesione 'per fede': chi era nemico dichiarato di queste alleanze diventava
ipso facto nemico della fede e della Chiesa, e i giovani davano
particolarmente fastidio perché le denunciavano scopertamente".
La denuncia non potrebbe essere più precisa: i Giovani cattolici e il loro
stesso presidente erano spiati. Il racconto di Mario Rossi indica che
esisteva in Vaticano "una lista precisa degli uomini pericolosi",
una confidenza fattagli dal sostituto monsignor Angelo Dell'Acqua. Nella
lista figuravano alcuni sindacalisti, a cominciare da Pastore, e alcuni
leader, compreso lo stesso Rossi. "Dal suo sguardo - scrive M. Rossi -
capii che non scherzava e che quella lista aveva un senso ben preciso, in
vista di una liquidazione progressiva".
Piuttosto, sembra che si possa assumere come motivo saliente di quel
contrasto la convinzione radicatissima in Rossi della alterità e
trascendenza del cristianesimo a confronto con le sue forme politiche. Non
sembra ammettere fraintendimenti il suo articolo pubblicato in Gioventù del
14 giugno 1953 (a ridosso delle elezioni) nel quale in particolare si legge:
"I giovani vogliono che la politica si faccia con scelte politiche e
non con scelte religiose: la religione deve ispirare la politica e non
sostituirsi ad essa. Perciò i laici faranno i laici a loro rischio
personale senza usare la Chiesa a sostegno di una tesi di partito."
Egli stesso del resto, nella lettera ai vescovi italiani il 16 aprile 1954
nella quale spiegava loro i motivi delle sue dimissioni, ebbe cura di
precisare:
"Ho sempre sostenuto che la politica si deve fare con strumenti
politici e nonostante questo la Gioventù è stata accusata di fare
politica. Ho sempre cercato di combattere il comunismo in quanto ateismo,
svuotandolo di un certo monopolio di interpretazione che andava assumendo
nei confronti dei giovani, e per questo la Gioventù è stata accusata di
essere debole perché usava un anticomunismo sostanziale e non apparente. Se
ci fossero chiacchere interessate mi permetto di dire a Vostra Eccellenza
che io e molti dirigenti centrali, per desiderio e per attuale richiesta,
lasciamo la presidenza per profonde divergenze col presidente
generale".
Le carte di Padre Riccardo Lombardi, da me reperite negli archivi del Mondo
Migliore a Roma, nel quadro di una ricerca storiografica su quell'insigne
personalità religiosa, consentono di mettere a fuoco la genesi di quelle
dimissioni. Si tratta principalmente di un appunto auto-grafo nel quale il
noto predicatore gesuita, soprannominato "il microfono di Dio"
registra sinteticamente un colloquio con monsignor Fiorenzo Angelini,
braccio destro di Gedda, in data 6 gennaio 1954.
Di fronte all'apertura a sinistra rappresentata dal governo Fanfani con
l'astensione dei socialisti e l'approvazione dei gruppi parlamentari della
Democrazia cristiana, i circoli della destra cattolica corrono ai ripari e
mettono a punto un piano di ricentraggio che blocchi sul nascere ciò che
considerano un cedimento nell'ordine dei principi alle forze marxiste.
Di questo piano monsignor Angelini ha confidato gli obiettivi salienti a
Padre Lombardi. Esso prevede di "togliere i poteri a Montini per la
politica italiana e darli a Tardini", nel presupposto dichiarato che
"Fanfani fa capo a Montini" di formare "un comando unico in
Italia, legato con la segreteria di stato, corretta (cioè epurata dalla
presenza del sostituto, NdA), o direttamente col Papa con nomina
pubblica", di costituire un coordinamento unico delle forze cattoliche,
incluse le Acli e l'Azione Cattolica.
Una serie di misure sono già in cantiere: "togliere l'ambiguità con
la Segreteria di Stato", sconfessare i capigruppo della DC come capi
dei cattolici, un passo del Nunzio presso il presidente della Repubblica
Einaudi "cui verranno presentati i nomi", facendo valere il
ricatto di un venir meno della fiducia al governo Fanfani, e infine una
normalizzazione della Gioventù Cattolica, da porre alle dipendenze strette
della gerarchia ecclesiastica.
L'appunto autografo indica anche la necessità di affidare questo
"comando unico in Italia" ad un "uomo pratico,
prudente". Il complesso del documento suggerisce che il disegno della
destra cattolica, per le procedure evocate, in particolare nel passaggio che
preconizza un passo del Nunzio in Italia presso il Presidente della
Repubblica "Cui verranno presentati i nomi", non escludesse una
soluzione autoritaria della crisi politica, una sorta di golpe bianco, il
cui sbocco politico sembrava preconizzare alla guida del governo lo stesso
"uomo pratico, prudente", strettamente collegato con la Segreteria
di Stato vaticana se non con il papa direttamente: una figura in cui
parrebbe di poter riconoscere senza troppa difficoltà lo stesso Luigi
Gedda.
Del resto, nell'autobiografia, Mario Rossi ricorda di aver sollevato fin da
allora le domande cruciali: "Perché non poteva esserci una
chiarificazione di ciò che era stato il dissidio fra Gedda e De Gasperi?
Perché non si sapeva niente di più preciso sull'Operazione Sturzo? Perché
a Gedda erano stati dati tanti milioni e da chi e a quale operazione
politica dovevano servire i Comitati Civici?"
L'appunto si conclude con indicazioni sul ruolo che monsignor Angelini
stesso era incaricato di svolgere in questo piano: "chiarire le
responsabilità: Gedda, Rossi, Miceli...; mettere il responsabile della
Gerarchia nell'Azione Cattolica; in politica si chiarirebbe presto".
I fermenti della GIAC, la posizione di Montini e l'autonomia del
"partito cristiano" costituiscono dunque gli obiettivi immediati
della controffensiva. Padre Lombardi assume in questo frangente piuttosto un
ruolo di mediatore. E a lui infatti che Mario Rossi e la presidente del ramo
femminile Ada Miceli si rivolgono il 18 gennaio 1954, alle prime avvisaglie
della bufera. Quel giorno Pio XII ha ricevuto un corso di preti del Mondo
Migliore e ha raccomandato lo spirito di unione dei cattolici avvertendo:
"Nell'Azione Cattolica, si faccia azione religiosa e non politica, di
destra o di sinistra, come dicono adesso. La divisione del nostro campo è
addirittura detestabile".
I dirigenti chiedono a Padre Lombardi di comunicare al Papa la loro
gratitudine per affermazioni che ritengono in tutto corrispondenti alle loro
convinzioni. Lo pregano anzi di rimettere a Pio XII un documento nel quale
motivano il loro "acuto disagio" nei riguardi della linea del
professor Gedda. L'interpretazione che il presidente generale dà al
programma per la "base missionaria" dell'Azione Cattolica - fanno
rilevare nel documento i dirigenti - è solo "esteriore e
organizzativa", col pericolo di 'sminuire il contenuto spirituale e il
significato sostanziale dell'apostolato". Secondo il documento, Gedda
fa prevalere "esigenze tecniche e organizzative" su quella della
"formazione spirituale", anzi si serve dei Comitati Civici
"per costituire in pratica una nuova rete organizzativa distinta da
quelle tradizionali."
Il documento Rossi-Miceli destinato a Pio XII prosegue affermando di temere
che i tre milioni di iscritti dell'Azione Cattolica siano dirottati sul
terreno politico così da far apparire l'associazione "un elemento
direttamente influente sulla vita politica italiana".
L'associazione sarebbe anzi usata di fatto "a sostenere determinati
interessi politici, che potrebbero essere un contrasto con le
responsabilità sociali dei cattolici".
Visioni del genere, secondo i firmatari, suscitano equivoci, lasciano
inevaso il compito di "modificare metodi che non riescono a operare in
profondità per la rinascita spirituale del Paese", mettono in secondo
piano "la necessità di preparare per la rinascita spirituale del
Paese", mettono in secondo piano "la necessità di preparare
quelle energie spirituali, culturali e morali senza le quali è da temere un
ulteriore peggioramento della posizione dei cattolici nel nostro
paese".
Grazie a questo documento, Pio XII è in grado di riesaminare l'intera
questione. Anche il cardinale Giacomo Lercaro gli ha scritto pregandolo di
non rinnovare il mandato a Gedda e di salvare Rossi. Perciò è Lercaro a
prendere ora l'iniziativa di proporre a Padre Rotondi (che Gedda da tempo va
candidando per il posto di viceassistente della GIAC al posto di don Paoli)
di intervenire per far rientrare il conflitto interno.
Disgraziatamente i margini per una mediazione sono ormai troppo compromessi.
Secondo la testimonianza rilasciatami da don Paoli, Pio XII manteneva dei
canali segreti con Gedda, che funzionavano al di là delle udienze ufficiali
attraverso suor Pasqualina. D'altra parte il Concordato del 1953 con la
Spagna del generale Franco, la condanna dei preti operai , la pressione
vaticana su La Pira, per non citare clic alcuni degli eventi più visibili
del periodo, non lasciano dubbi sulla reale portata della strategia vaticana
e sugli effetti che essa desidera conseguire in Italia.
Non sono trascurabili le ricadute vaticane delle inquietudini americane per
la turbolenza della situazione politica in Italia, un'area considerata
strategica nell'equilibrio dei blocchi Est - Ovest in tempo di guerra
fredda. ''lI Vaticano e l'ambasciata americana sono allarmati'',
dirà Mario Rossi nell'autobiografia. "in quel tempo era a tutti più
evidente la divergenza sostanziale tra le nostre idee e quelle geddiane,
legate ad un piano politico della destra italiana e americana".
Alludendo all'ambasciatrice Clara Boothe Luce, Rossi è in grado di
assicurare che "non è fantasia pensare che la CIA avesse i suoi uomini
anche in istituzioni più o meno sacrali, a garantire le sue difese" e
che "a Roma il cristianesimo sembrava un dato ministeriale, una
somministrazione un po' pesante da portare avanti a diversi livelli di
potere, con predominanza di alcune Famiglie e dell'ambasciata americana,
rappresentati da una ambasciatrice fanaticamente tesa alle sue rivincite
politiche e ai dollari per le crociate"
Mario Rossi ha il merito di intuire, prima di altri, che nemmeno gli
espedienti e gli attendismi di monsignor Montini avrebbero potuto
risparmiargli un esito considerato ineluttabile. Appena al corrente del
disegno normalizzatore, egli manda in segreteria di stato, il 27 gennaio
1954, la lettera di dimissioni da presidente della Gioventù. Monsignor
Sostituto trattiene per circa tre mesi la lettera sperando in cuor suo che
un ripensamento possa tornare utile a scongiurare la crisi che sta
precipitando sull'intero movimento cattolico in Italia.
La reazione di Gedda è durissima: deferisce Rossi, sul quale il
Sant'Offizio ha aperto un dossier, all'Alta Commissione per l'Azione
Cattolica, presieduta dal cardinale Pizzardo. Il presidente dei Giovani,
già dimissionario, viene immediatamente convocato per sentirsi contestare
scelte difformi dalle direttive dell'autorità ecclesiastica e
"orientamenti francesizzanti", cioè ancorati a visioni spirituali
della Chiesa quali sono elaborate dalla teologia d'Oltr'Alpe. Gedda non
risparmia dall'epurazione nemmeno l'assistente generale dell'Azione
Cattolica monsignor Giovanni Urbani che prima viene isolato, poi riceve la
nomina a Vescovo di Verona.
La notizia delle dimissioni. presentate da Rossi "fin dallo scorso
gennaio", viene pubblicata dall'Osservatore Romano del 19-20 aprile,
lunedì di Pasqua. Il 23 aprile lo stesso organo vaticano pubblica, sotto il
titolo Faziose speculazioni, un Comunicato nel quale, in risposta ai
commenti di stampa, si precisa che le misure sono state adottate "per
alcune pericolose tendenze dottrinali nella GIAC e per certi atteggiamenti
non conformi alla natura, ai fini e alle tradizioni dell'Azione Cattolica''.
In una nota riservata ai Vescovi la Congregazione del Sant'Offizio si sforza
di chiarire ulteriormente in cosa consistano tali deviazioni:
essenzialmente, una sopravvalutazione del laicato a scapito del sacerdozio,
un accostamento a metodi e formule e programmi di intonazione marxista, una
pretesa di autonomia delle scelte dei cattolici in materia etico-sociale,
mentre la subordinazione alla gerarchia ecclesiastica anche in tali ambiti
deve essere "sincera e totale".
Si ricordano gli effetti esplosivi di quelle misure, che coinvolsero i
quadri dirigenti centrali dell'Azione cattolica e della base giovanile e in
generale l'intero mondo cattolico italiano, i dirigenti centrali della GIAC,
che nella riunione della direzione centrale ad Assisi ai primi di aprile
avevano confermato la propria adesione alle linee del presidente,
verificando comunque il carattere insuperabile del dissidio con Gedda, si
dimisero, così come interi centri diocesani. Manifestazioni di solidarietà
esprimevano un consenso non retorico di larghi strati della base associativa
alle linee portanti della presidenza Rossi. Congiunte con le dimissioni di
Rossi si innestarono più rilevanti interventi vaticani, che di lì a poco
tempo avrebbero investito lo stesso monsignor Montini, costretto a lasciare
la Segreteria di Stato nel novembre 1954 per diventare arcivescovo a Milano,
ma senza cappello cardinalizio, per aver difeso le ragioni del cattolicesimo
democratico e l'autonomia della Democrazia cristiana dal geddismo rampante e
in quel momento pirramente vittorioso.
Tuttavia non si potrebbe evitare lo sforzo di discernere, al di là della
vicenda apparente, quale emerge dalla eloquenza dei dati finora visibili,
una dinamica interna dotata di alcuni effetti paradossali. In un paese come
l'Italia, a corto di teologia e nel quale i vescovi si ostinano a
contrastare la fondazione di un Facoltà teologica nell'Università
pubblica, si deve a un cristiano laico, come Mario Vittorio Rossi, il primo
afflusso e la prima divulgazione di massa degli elementi fondamentali di
quella Nouvelle Théologie e di quella visione spirituale della Chiesa che
la curia romana aveva sostanzialmente messo al bando, ma che malgrado tutto
sarebbero state recuperate e riconosciute dal Concilio Vaticano Il.
Anche l'effetto della repressione non manca di aspetti paradossali, se
appena si consideri che le leve giovanili cattoliche emigrate dalla GIAC in
seguito al terremoto delle dimissioni di Rossi andarono in gran parte a
rafforzare la sinistra democristiana, al punto di contribuire ad accelerare
e a rendere irreversibile quel processo di apertura a sinistra che avrebbe
ricevuto la prima formale ratifica al Congresso di Trento nell'ottobre del
1956 e che, con quelle misure, la gerarchia aveva invece sperato di
soffocare.
Però, la sottile ironia che circola nei sotterranei della storia,
scompigliando i determinismi delle leggi sociali, sembra aver raggiunto uno
dei suoi apici quando poco più di un decennio dopo la crisi della GIAC del
1954, Giovanni Battista Montini divenuto papa autorizza nello spirito del
Concilio la "scelta religiosa" dell'Azione Cattolica Italiana, e
la riforma dello Statuto, compiendo autorevolmente il sofferto disegno e la
speranza invincibile della GIAC di Mario Vittorio Rossi.
Fonte:
Mario V. Rossi, un cattolico laico. Significato e attualità del suo
impegno nell'Italia del secondo dopoguerra, Atti del convegno di
studi promosso e organizzato dal Comune di Costa di Rovigo, a cura di
G. Martini, S. Ferro, M. Cavriani, 13-14 marzo 1999, Minelliana,
Rovigo 2000, pag. 95 - 102.
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