Mario
ci aveva invitato a casa sua in una di quelle sere, subito dopo la vivace
crisi, per metterci al corrente delle novità della giornata. Non c'era più
posto nella pur grande stanza. lo allora mi accucciai sotto il tavolo per
cogliere bene le sue dichiarazioni. Un panorama contrastato di notizie e di
reazioni che provenivano dalla società politica e dal Vaticano.
Verso le undici e mena arriva una telefonata. Mario la prende e ci invita a
star zitti perché c'è Sua Eccellenza Montini al telefono. Montini lo prega
di andare da lui subito. Mario ci lascia, pregandoci di aspettar4o con
pazienza. Si reca all'Arco delle Campane, dove le guardie svizzere lo fanno
passare subito, nonostante che di notte non permettessero in genere a
nessuno di entrare e lo portano fino all'appartamento di Montini. Suona al
pianerottolo e alla porta appare Monsignor Montini. Mario sorpreso gli fa
"Ma Eccellenza, lei alla porta". Risposta storica: "Guarda,
io qui non mi posso fidare più di nessuno", tale era la pressione
esercitata su di lui in quel momento. Disse quindi a Mario: "Siediti
qui" e lo fece sedere nella sua stanza di accoglienza. La prima
domanda: "Cosa fanno quei ragazzi adesso?". I ragazzi eravamo noi,
dimessi dall'Azione Cattolica giorni prima, senza naturalmente nessuna forma
assicurativa ed invitati cortesemente ad andarcene da Roma. Noi eravamo
stati invitati ad allontanarci: a Wladimiro Dorigo invece avevano minacciato
poco prima il foglio di via. Tanto per parlare quale clima teocratico si era
già instaurato. Esso era arrivato fino a Scelba e alla possibilità che il
Ministero degli Interni ci perseguisse per quello che avevamo fatto.
La cosa è talmente vera che quando Vittorio Incisa e Umberto Eco
rientrarono a Torino furono subito convocati dai carabinieri del capoluogo
piemontese perché volevano sapere che cosa succedeva al Centro Diocesano e
soprattutto che non ci fossero dei rigurgiti e manifestazioni di protesta.
Quindi gli uomini di Gedda avevano fatto avvertire il sistema di sicurezza
dello Stato perché noi costituivamo ai loro occhi un potenziale
"pericolo" in quel momento. Naturalmente le risate e le ilarità
costituirono la nostra prima reazione, anche per il contributo immaginifico
di Umberto Eco.
"Bene", gli disse Montini, "allora che cosa faranno?".
Gli rispose Rossi, "si preparano a tornare a casa". Infatti
ciascuno di noi era partito da casa interrompendo chi la professione chi gli
studi: insomma vivevamo a Roma praticamente da volontari, senza nessuna
garanzia assicurativa. Spesso con la contrarietà delle nostre famiglie che
non potevano capire l'avventura straordinaria a cui ci avevano chiamato
Rossi e Carretto. Ricordo che anche il professor Giovanni Getto, un eminente
studioso di letteratura italiana. divenuto più tardi docente
apprezzatissimo a Torino e nominato cittadino onorario di quel capoluogo,
sosteneva che era necessario intervenire subito nella lotta culturale e
organizzativa del laicato, a costo di abbandonare posti più tranquilli e
tradizionali in periferia.
Allora sua Eccellenza Montini tirò fuori un libretto di assegni e disse:
"No, il gruppo non se no deve andare in questo modo da Roma, ti affido
questo assegno, stabilisci per ciascuno di loro una somma perché possano
resistere nella capitale fino a quando non avranno trovato lavoro". Non
desiderava che noi ci disperdessimo. Montini poco dopo fu trasferito a
Milano - esonerato dalla Segreteria di Stato, dove prevalse la linea di
Monsignor Tardini - e dove ebbe occasione di prepararsi a divenire Papa.
perché la Provvidenza è Provvidenza. Infatti il card. Montini era talmente
sotto controllo che quando si seppe della copertura dataci, passò per la
persona che continuava a tenerci a Roma non solo perché trovassimo lavoro,
ma per coltivare quella speranza che lui aveva sognato insieme a Rossi,
cioè di rilanciare l'idea di un laicato fedele, colto e intelligente.
Zizola ricorda fra l'altro, in un suo articolo, che quando gli arrivarono le
dimissioni di Rossi, Montini pianse e tenne il documento per alcuni mesi nel
cassetto e fu da qualcuno accusato di aver mancato alla sua funzione di
Sottosegretario di Stato per non averlo consegnato immediatamente al Papa.
Il secondo ricordo riguarda lo stato della cultura cattolica di allora che
si trovava in un gap terribile e soprattutto quella teologica era quanto mai
arretrata. Il Concilio infatti sarà preparato su questi presupposti,
coniando su alcune figure eccezionali come Montini, Lercaro ed altri che,
quando poterono, rovesciarono gli stessi documenti preparatori. Anche a
livello cardinalizio tale arretratezza culturale era evidente. Faccio un
esempio: il giorno dopo in cui comparve la notizia sull'Osservatore Romano
circa il nostro "tradimento" nei confronti della fiducia del Papa
e della Chiesa, due esponenti della presidenza centrale vollero andare a
chiedere in che cosa consisteva tale tradimento, perché nessuno riusciva a
dircelo. Questa delegazione, composta da un veneto che oggi è presidente
della Cassa Marca Trevigiana, Dino De Poli e da un geniale, colto,
pazzerello toscano che risponde al nome di Cesare Graziani, decise di andare
dal Cardinale Ottaviani presso il Sant'Uffizio. Bussarono e venne loro
incontro il segretario di Ottaviani che annuncio: "il cardinale
dorme". "Non si preoccupi - risposero - ci mettiamo qui ed
aspettiamo cortesemente che si svegli. non lo disturbi". Infatti verso
le cinque il cardinale si svegliò, e li ricevette: "Eminenza, siccome
abbiamo visto questo trafiletto sull'Osservatore Romano (avevamo saputo che
lo aveva scritto lui d'accordo con Gedda), siamo venuti qui da lei,
filialmente, per sapere dove abbiamo sbagliato". Non sapevamo in
verità a quale teologia riferirci. "Ah. siete qui per questo?",
disse Ottaviani. "Ve lo spiego subito". Chiamò il segretario e
gli disse: "Mi porti il manifesto di quella diocesi toscana". Dopo
un po' questo segretario torna con in mano il manifesto e gli dice: "Lo
apra". Una volta dispiegato, il cardinale indica il nome della diocesi
e commenta: "Ecco il titolo: La Chiesa comunità. Ecco dove cominciano
gli errori. Quando la Chiesa è comunità rischia di diventare subito
comunismo".
Una decina di anni dopo le dimissioni di Mario, quel santo pazzo che si
chiamava Livio Labor mi portò in Vaticano ad un'udienza ufficiale per le
ACLI, facendo una delle sue bizzarrie non rispettose delle forme
diplomatiche. Mi presentò al Papa Montini dicendo: "Questo è Tavazza.
amministratore centrale della GIAC, che viene dalla presidenza Carretto e
soprattutto da quella di Mario Rossi".
Ho visto subito nel Papa un leggero trasalimento. Labor credeva di avermi
fatto una gran presentazione, mentre al Pontefice si rinnovavano certe
ferite ancora non rimarginate del tutto. Mi sono detto subito "Io non
ho la ginocchiera di ferro, quindi mi buttano fuori". Ricordo ancora le
facce di due monsignori al fianco del Papa e, rompendo il tabù per cui
secondo il protocollo non si poteva parlare al Papa, ho esclamato:
"Santità devo ringraziarla". Paolo VI rispose: "Come, e
perché deve ringraziarmi?". "La devo ringraziare perché Lei ha
voluto fare vescovo Monsignor Federico Sargolini". Monsignor Sargolini
era stato il nostro assistente centrale, vicinissimo a Mario, e si era
sacrificato in silenzio al suo fianco per difendere il ruolo dei laici. Il
Papa disse: "Ma davvero siete contenti?" "Sì siamo contenti
perché Lei ha premiato un vescovo che si è sacrificato per noi laici, per
salvarci da molti errori". Credevo che fosse finita. Dieci giorni dopo
ricevo un biglietto: il biglietto è di Monsignor Sargolini che mi scrive:
"Luciano cosa mi hai combinato? Mi ha chiamato il Papa. Mi ha detto che
siete tutti felici e lui è felice più di tutti per avermi fatto questo
dono, anche nel ricordo di Mario Rossi".
Quindi il Papa aveva ricordato istantaneamente, con chiarezza, il passato e
valutato questo sacrificio e per questo lo aveva eletto Vescovo a Camerino.
Queste erano le delicatezze di Papa Paolo VI, più volte usate anche nei
riguardi di fratel Arturo Paoli, uno dei consiglieri e assistenti di Mario
Rossi, praticamente allontanato dall'Italia quasi a forza, dopo la crisi
della Gioventù Cattolica e destinato dai Piccoli Fratelli a evangelizzare
l'Africa, l'America Latina. Papa Montini usava mandargli dei biglietti a
mano per gli auguri di Natale. Questo completa la storia che ho già
raccontato di quando il Sottosegretario di Stato Montini ricevette Rossi
intorno alla mezzanotte nella sua abitazione e gli fece avere riservatamente
un assegno per dare modo agli ex-dirigenti dell'Azione Cattolica, cacciati
da Via della Conciliazione, di aver tempo di rimanere a Roma e di trovarvi
un posto di lavoro. Io ho vissuto sei mesi a Roma con quell'assegno.
Quando dissi al Papa "Lei ha voluto", pronunciai quella frase
perché sapevo che alcuni uomini della Segreteria di Stato avevano fatto
obiezioni alla nomina di Sargolini, e lui, Paolo VI, si era imposto con la
sua solita fermezza.
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