prof. Luigi Gedda (1902-2000)

Saluto all'Impero italiano (17 maggio 1936)

a cura di Maurilio Lovatti

 

 

 

SALUTO ALL'IMPERO

 

 

 

Il gigante che dormiva da secoli sui sette colli si è levato.
L'impero romano riprende il tessuto della sua storia nel secolo attuale.
E' un evento formidabile che la Gioventù di Azione Cattolica saluta con entusiasmo, memore e grata.
Noi ricordiamo che Gesù nacque in Betlemme perché in quei giorni, scrive San Luca, fu emanato un editto da Cesare Augusto per il censimento dell'orbe. Ed il periodo della vita pubblica incomincia con una solenne invocazione di Roma: "Nell'anno quindicesimo dell'impero di Tiberio Cesare... ". Le radici della Redenzione si intrecciano con le leggi, con le strade, con le armi dell'Impero Romano.
L'Impero che fu la culla del Cristianesimo nascente ritorna; ritorni con esso la fede delle origini schietta ed eroica. Portino ovunque le aquile romane la croce di Costantino; in questo segno vincerà l'Impero che sorge!
Nella storia che attraversiamo e che appare, come dice il Papa, un "torbido vespro", si accende una speranza per la religione e per la civiltà: l'Impero di Roma. Siamo grati al Duce d'aver dato all'Italia l'assetto quadrato di un accampamento romano e di aver posto sulla fronte di Roma, caput mundi, il diadema imperiale.
Nei giorni scorsi, mentre si apriva la Mostra della Stampa in Vaticano, la fanfara palatina alternava l'inno pontificio con l'inno a Roma. Questo fatto ci apparve come un simbolo. Anche nei nostri cuori si alternano le note di due grandi amori, verso il Pontefice che rappresenta Iddio e verso Roma imperiale di cui saremo, nel nome di Dio, assolutamente degni.


Testo del saluto all'Impero italiano scritto da Luigi Gedda, in qualità di presidente nazionale della Gioventù d'Azione cattolica.
FONTE: Gioventù Nova, 17 maggio 1936.

 

 

Per Gedda la conquista dell'Etiopia è "una speranza per la religione e per la civiltà". Un anno dopo le truppe italiane d'occupazione al comando del generale Pietro Maletti, tra il 21 e il 29 maggio 1937 nel monastero di Debre Libanos (nella regione dello Scioa in Etiopia) massacrano ben 297 monaci cristiani, incluso il vice-priore e 129 diaconi (cifre ufficiali contenute nelle lettere dei generali Graziani e Maletti; in realtà i cristiani massacrati furono circa 2 mila; si veda P. Borruso, Debre Libanos 1937: il più grave crimine di guerra dell'Italia, Laterza, Bari 2020).

 

Preti cristiani copti in attesa della fucilazione fotografati il 20 maggio 1937

 

 

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