Maurilio Lovatti
L'antifascismo dei cattolici bresciani dal 1938 al 1943
Tra il 1929 (Concordato) e il 1936 (conquista dell'Etiopia e proclamazione dell'Impero) quando nell'opinione pubblica il consenso al fascismo è molto diffuso e convinto, gli episodi di dissenso cattolico verso il regime sono molto rari e sporadici. Riguardano quasi esclusivamente personalità autonome e capaci di assumere posizioni controcorrente, come mons. Giacinto Gaggia, vescovo di Brescia fino al 1933, unico vescovo italiano che dichiara pubblicamente di non voler votare alle elezioni politiche nonostante i Patti Lateranensi e che esprime giudizi molto severi sul regime fascista. Dopo un discorso di Mussolini, con il quale si affermava il ruolo esclusivo del fascismo nell'educazione dei giovani, mons. Gaggia aveva detto: «Vedete che avevo ragione? Altro che aver dato l’Italia a Dio e Dio all’Italia come dice il Papa».1 Il sostanziale consenso del mondo cattolico verso il fascismo si comprende meglio se si tiene conto che alla base di esso vi era tra il clero e gli intellettuali cattolici una diffusa convinzione per la quale i tratti antiliberali e antidemocratici costituivano dopo tutto una sorta di male minore rispetto alla paventata rivoluzione bolscevica o semplicemente rispetto al disordine e alla violenza degli anni del dopoguerra. Tutto ciò non appariva contrario alla coscienza cristiana, perchè la dottrina sociale della Chiesa non aveva ancora affermato la superiorità valoriale delle istituzioni liberal-democratiche rispetto ad altri assetti istituzionali. Molti sacerdoti poi tendevano a pensare che un legittimo governo non andasse esplicitamente criticati od ostacolato, almeno fino a quando non ledesse la libertà religiosa, il diritto alla vita e il diritto di proprietà. Questo quadro di pacifica convivenza tra la Chiesa e lo Stato fascista subisce una prima significativa perturbazione con l'emanazione delle leggi razziali nel 1938. Nel luglio del 1938 è reso pubblico il Manifesto degli scienziati razzisti, firmato da dieci intellettuali fascisti (medici, biologi, naturalisti, docenti universitari) e tra settembre e novembre è promulgata la legislazione razziale italiana, che prevede l'allontanamento di studenti e insegnanti ebrei dalle scuole e università, l'espulsione degli ebrei dal pubblico impiego, dal Partito Fascista, dall'ordine dei giornalisti e dei notai, il divieto di matrimoni misti, l'obbligo per gli ebrei liberi professionisti di prestare i loro servizi solo ad altri ebrei. Il mondo cattolico accoglie molto negativamente le leggi razziali2 e per molti vescovi l'impatto con questa scelta del Regime rappresenta il momento del distacco, sul piano emotivo e valoriale, dal fascismo. Il 28 luglio Pio XI, parlando agli alunni del pontificio collegio urbano di Propaganda Fide, si era pronunciato pubblicamente contro il razzismo nazista, ricordando come il genere umano è composto da una sola, universale razza umana, e il 6 settembre, parlando ad un gruppo di pellegrini belgi, aveva affermato che "l'antisemitismo è inammissibile. Noi siamo spiritualmente dei semiti."3 . L'8 agosto Edoardo Alfieri, ministro della cultura popolare, dirama il divieto di pubblicare il discorso del Papa del 28 luglio. Il 18 agosto il vescovo di Brescia mons. Giacinto Tredici scrive al Prefetto per precisare che tale divieto non può applicarsi al Bollettino ufficiale della diocesi, che in precedenza era stato formalmente autorizzato a pubblicare "gli atti pontifici" e quelli della curia vescovile. Il Prefetto non risponde per iscritto, ma da una lettera di Tredici a mons. Montini4, sappiamo che riconobbe verbalmente il diritto del Bollettino a continuare a pubblicare i discorsi del Papa. Il 10 ottobre mons. Ernesto Pasini riceve una diffida dal Prefetto, che ordinava di "astenersi dal riprodurre L'Osservatore Romano o dal pubblicare articoli contro il razzismo, anche se tale opposizione sia soltanto contro il razzismo tedesco."5 Nonostante
l'atteggiamento severo delle Autorità, il clero locale è largamente
contrario alle leggi razziali. Il comandante dei Carabinieri di Brescia
scrive al Prefetto: Mons. Tredici, già nel 1937, aveva disposto la pubblicazione integrale sul Bollettino ufficiale della diocesi dell'Enciclica Mit Brennender Sorge, con la quale Pio XI condannava il razzismo nazista, nonostante essa fosse destinata ai Vescovi e ai fedeli tedeschi.7 Ancor più rilevante è la scelta di pubblicare integralmente sul Bollettino diocesano, nel numero di luglio del 1938, la lettera della Sacra Congregazione dei Seminari e delle Università, intitolata Assurdità del Razzismo, che in quanto inviata ai Rettori delle università ecclesiali ed ai Rettori dei Seminari diocesani, non era di per sé destinata a tutto il clero ed ai fedeli. Questa lettera contiene una fermissima e esplicita condanna di varie tesi razziste sostenute dal fascismo, in modo particolare dove afferma che gli insegnanti cattolici, devono trarre "…dalla biologia, dalla storia, dalla filosofia, dall’apologetica e dalle discipline giuridiche morali le armi necessarie per confutare validamente e competentemente le seguenti assurde proposizioni: 1) Le stirpi umane per loro natura, originaria ed immutabile, differiscono talmente tra di loro che la più piccola di esse è più lontana dalla più alta stirpe umana che dalla più alta specie dei bruti. 2) Il vigore della razza e la purezza del sangue devono essere conservati e favoriti con qualsiasi mezzo; tutto ciò quindi che porti a questo fine perciò stesso è onesto è lecito. 3) Tutte le qualità intellettuali e morali dell’uomo sgorgano, come dalla fonte più genuina, dal sangue in cui è racchiusa la natura stessa della stirpe. 4) Il fine precipuo dell’educazione è quello di coltivare la natura della razza e di infiammare lo spirito di un grandissimo amore per questa stessa razza come supremo bene. 5) La religione deve sottostare alle leggi della razza e ad essa deve adattarsi. 6) La fonte prima e la suprema regola dell’intero ordine giuridico è l’istinto della razza. […] Ciascuno poi può facilmente aggiungere a queste infelicissime proposizioni, altre ancora."8 La prima condanna pubblica del razzismo in Italia da parte di un vescovo della Chiesa avviene proprio in provincia di Brescia, in occasione dei festeggiamenti per il quarto centenario della nascita di S. Carlo Borromeo, quando Tredici invita il card. Schuster a presiedere le celebrazioni a Rovato,9 il 6 novembre 1938. Il cardinale è accolto in pompa magna dallo stesso Tredici, dal prefetto Salerno, dal federale Comini, da mons. Egisto Domenico Melchiorri, vescovo di Tortona,10 dalle autorità locali. Il contenuto dell'omelia, tenuta di fronte ad una folla straripante, coglie di sorpresa le autorità fasciste: il cardinale condanna apertamente il nazismo, nonostante l'alleanza italo-tedesca. Riferendosi
al Nazismo, Schuster si domanda: "Codesta filosofia nordica, che è
divenuta teosofia e politica insieme, non costituisce forse la fucina ove si
forgiano le armi più micidiali per una guerra a venire?"11
Dopo aver
definito il razzismo come un'eresia antiromana, il Cardinale afferma: Tredici dispone l'immediata pubblicazione del testo integrale dell'omelia di Schuster sul Bollettino ufficiale della Diocesi. Questa omelia è la prima pubblica drastica condanna del razzismo da parte del card. Schuster: costituisce, per i toni, il carattere di ufficialità dell'occasione e la presenza delle autorità, una pubblica presa di distanza dal governo fascista, che aveva appena promulgato le leggi razziali, e forse non è un caso che sia stata pronunciata alla presenza di Tredici, quasi a prefigurare una posizione comune dei vescovi lombardi. Usualmente gli storici collocano la presa di distanza da Schuster dal Fascismo, a partire dalla predica tenuta nel duomo di Milano domenica 13 novembre,13 che contiene affermazioni assai simili, talvolta identiche a quelle di Rovato, mentre l'omelia di Rovato, precedente di una settimana, è ingiustamente trascurata. In ogni caso la "svolta" di Schuster preoccupa i fascisti. Beltrame Quattrocchi cita il rapporto di un informatore della polizia politica di Milano: "L'omelia del card. Schuster è arrivata come una doccia gelata anche per i fascisti osservanti. La riproduzione fatta dal giornale L'Italia continua a circolare nelle case e tra i gruppi. […] Le chiese tornano a riempirsi straordinariamente e, specie nella provincia, non vi è dubbio che di fronte alla grave crisi spirituale prospettata dal fascismo, la massa si è riversata nella casa di Dio, per sentirsi a posto con la propria coscienza."14 I massimi vertici del Governo iniziano a preoccuparsi delle reazioni del clero alla politica razziale. Il sottosegretario all'Interno, Guido Buffarini Guidi (di fatto il Ministro, perché la carica era nominalmente di Mussolini stesso) il 7 gennaio 1939, alle ore 19.15, invia un telegramma cifrato a tutte le Prefetture del Regno: "Est necessario che Prefetti siano particolarmente sensibili alle manifestazioni verbali o scritte contro la politica razziale che provengono da personalità ecclesiastiche. Di tali manifestazioni dovrà essere data telegrafica notizia al Ministero."15 La prima reazione al Manifesto degli scienziati razzisti era stata prudente; il 23 luglio del 38 la Voce Cattolica, dopo aver riportato i manifesti del razzismo tedesco e italiano per consentire un confronto, scriveva: "In Germania, la teoria tedesca della razza ha condotto ad un completo capovolgimento di cose; basta pensare alla lotta spietata agli ebrei, alla sterilizzazione obbligatoria, alle leggi sul divorzio tra individui di razza diversa, alla soppressione quasi totale dell'individuo per dare la preminenza completa allo Stato unificatore della razza. La Chiesa, pur non misconoscendo la realtà e la funzione particolare della razza, ne ha negato il valore assoluto, ha riaffermato decisamente il senso di fraternità della vita tra tutti i popoli senza esclusione di razza alcuna, ha confermato il valore dell'individuo in rapporto al volere e alla funzione dello Stato ed ha espressamente e ripetutamente condannato parecchie disposizioni che i tedeschi hanno già applicato…" Dopo questa condanna del razzismo tedesco, si esprimeva la speranza che il fascismo non s'incamminasse sulla stessa strada: "Noi crediamo fermamente che a questo in Italia non si verrà […] non lo giustifica la comune dottrina nazionale sui valori dello spirito, lo vieta quel senso originale italiano che ci ha fatto rifuggire sempre dalle puerili imitazioni, dalle copiature servili…".16 Questa speranza non ha trovato conferma nei provvedimenti razziali fascisti dell'autunno del 1938 e, infatti, nei numeri successivi La Voce Cattolica si limita a dare notizia delle decisioni governative, senza alcun commento.17 Nel novembre 1938, La Voce Cattolica pubblica ampi stralci di un articolo apparso sull'Osservatore Romano, che può essere considerato un esempio indicativo dell'opposizione timida e timorosa della Curia romana alle leggi razziali fasciste. Dopo un'inquietante premessa, nella quale si ricorda che la Chiesa sconsiglia i matrimoni tra persone di razze diverse, se possono presentare il pericolo di "prole minorata", e si sostiene che sono evidenti le ragioni morali e sociali dell'autorità civile per raggiungere "l'onestissimo scopo" di evitare matrimoni misti, l'articolista del quotidiano romano afferma: "La Chiesa suggerisce, ammonisce, persuade: non impone o proibisce. Quando due fedeli di razze diverse, decisi a contrarre matrimonio, si presentano a Lei, liberi da impedimento canonico, la Chiesa non può per il solo fatto della diversità di razza, negare la sua assistenza. Lo esige la sua missione santificatrice, lo esigono quei diritti, che Dio ha dato e la Chiesa riconosce indistintamente a tutti i suoi figli."18 Si può affermare che la presa di distanza di alcuni vescovi, come Tredici e Schuster, dal fascismo, non è immediatamente condivisa da tutto il clero, nel quale vi sono ancora esempi d'entusiasti ammiratori del Duce e del fascismo. Alla vigilia della guerra, l'Azione Cattolica bresciana è presieduta da Lodovico Montini, fratello del futuro Papa Paolo VI, e diretta di mons. Giuseppe Almici, stretto collaboratore del vescovo. Il gruppo dirigente dell'Azione Cattolica bresciana è caratterizzato da un orientamento nettamente antifascista, che non può però esplicitamente sostenere nelle occasioni pubbliche per evidenti ragioni di prudenza nei confronti della repressione del dissenso tipica della dittatura fascista. Accanto ad un fermo convinto atteggiamento antifascista dell'AC, che riteneva il fascismo responsabile della grave e irresponsabile scelta di entrare in guerra, è riscontrabile un atteggiamento molto più prudente e rassegnato della maggioranza del clero bresciano, che per timore o conformismo si astiene, con qualche rara eccezione, dal criticare anche in occasioni non ufficiali la scelta dell'intervento in guerra. Al punto che anche le autorità fasciste appaiono diversificate nel valutare l'atteggiamento del mondo cattolico verso la guerra. Infatti, nelle settimane immediatamente seguenti all'entrata in guerra dell'Italia, il nuovo Prefetto di Brescia, Vincenzo Ciotola, scrive più volte al Gabinetto del Ministero dell'Interno, per informare sulle reazioni del clero alla guerra; in particolare, il 13 luglio afferma: "Come è noto a codesto Ministero […] si era andato diffondendo nel Clero di questa Provincia una tendenza di opposizione al fascismo, che non poteva essere ignorata o che, ove non fosse stata infrenata, poteva divenire allarmante. Insofferenze e resistenze erano state riscontrate sempre, a quanto mi dicono, anche nel passato: ma soltanto recentemente queste avevano assunto il carattere di vera opposizione che si rivelava in numerosi episodi che, anche se non assumevano un carattere concreto, rivelavano però un animus di acida critica e di nascosta avversione. I numerosi casi espostimi dagli organi informatori richiamarono subito la mia attenzione tanto più che soltanto all'inizio dell'anno corrente era stata disposta una accurata sorveglianza e richiesto un più preciso controllo. Già nella visita ufficiale fattami dal Vescovo, ebbi a richiamare la sua attenzione sul fenomeno riscontrato. Egli, sebbene negasse e tentasse di attenuare la portata dei casi espostigli, convenne nella necessità di una maggiore comprensione o di un più diretto controllo da parte del clero dipendente. Ma purtroppo giornalmente mi venivano riferite notizie di propalazione di fatti rilevati da radio estere e di precisazioni di avvenimenti in senso non conforme alla perfetta verità, da parte di sacerdoti. E perciò detti ordine al questore di procedere subito in ogni caso per por termine ad una tendenza che contrastava con il più elementare senso di disciplina."19 Segue un nutrito elenco di sacerdoti diffidati ai sensi della legge di Pubblica Sicurezza. Gli uffici della Prefettura compilano varie liste "sui vari incidenti sollevati dai preti" nelle quali, oltre ai padri della Pace e a mons. Paolo Guerrini, ripetutamente citato, troviamo ad esempio sacerdoti che si sono rifiutati di far suonare le campane delle chiese "in segno di giubilo" il 10 giugno (come don Giuseppe Serlini, parroco di Castegnato) o che si rifiutano di benedire i gagliardetti del sindacato fascista in mancanza dell'impegno scritto a non organizzare feste da ballo.20 Tuttavia, il Questore di Brescia, Carlo Alberto Rossi, risulta molto meno preoccupato, almeno negli atti ufficiali, infatti comunica al Ministero dell'Interno, in modo molto sintetico, che: "Il clero e la stampa cattolica si limitano al campo religioso."21 Tale valutazione è confermata periodicamente anche nei due anni successivi, con frasi molto simili o con la ripetuta constatazione che "Il clero non ha svolto alcuna attività politica degna di rilievo."22 La divergenza tra il punto di vista del Prefetto e quello del Questore è probabilmente dovuta al fatto che il secondo si basa prevalentemente su atti ufficiali (bollettini parrocchiali, diffide ed eventuali denuncie penali) mentre il Prefetto utilizza informazioni più meticolose, che prevengono dai Carabinieri e dalla Milizia fascista. Tuttavia i casi di pubblica e aperta critica alla guerra sono molto rari. L'atteggiamento negativo di gran parte del clero verso la guerra non si manifesta in occasioni pubbliche, come le prediche, sia per timore di provvedimenti delle forze dell'ordine, sia perché in molti sacerdoti era radicata la convinzione che la lealtà e l'obbedienza alla legittima autorità politica fosse un preciso dovere del cristiano. Tra le poche eccezioni è da segnalare un'omelia di don Pietro Lancini, curato di S. Andrea di Rovato, che afferma: "Il Papa, i preti e i veri cattolici sono gli unici che non vogliono la guerra; i Capi del governo e tutti gli altri sono guerrafondai ai quali non bisogna credere."23 Don Lancini è diffidato dalla Questura il 14 gennaio 1941. Nel dicembre del 1940 è sequestrato un numero della Voce Cattolica. Tredici scrive ai due sacerdoti redattori (don Giuseppe Tedeschi e don Domenico Bondioli) una lettera riservata, per manifestare loro tutto il suo appoggio e incoraggiamento: "Ho sentito con dispiacere che il nostro caro settimanale è stato sequestrato. Sono però contento, - e ve lo dico con fierezza, - che la vostra colpa sia stata di aver insegnato la carità evangelica. C’è tanto bisogno di un po’ di carità e di bontà in mezzo a tanta violenza, odio e distruzioni. Una voce cattolica non può dispensarsi da questa direttiva. Appunto per questo, però, vedete di conservare viva questa voce e aperta questa cattedra. Non direte mai una parola di tutto quello che, ad animi non sereni e desiderosi di prendervi in fallo e di chiudervi la bocca, possa dare occasione di accusarvi, sia pure falsamente, di mettervi in contrasto colla tensione in cui tutti si è in questo momento, per le sorti delle guerra. Fin quando è possibile...Che il Signore vi aiuti nel compito difficile, ingrato. Il vostro Vescovo vi segue con affetto, contento del vostro animo generoso, e riconoscente del livello a cui avete portato questo foglio, che ha fatto molto bene, e deve farne ancora."24 In quest'unico accenno alla guerra, trova conferma la preoccupazione del Vescovo, già manifestata in precedenza, di ricordare a tutti i doveri morali di carità e solidarietà, che nei momenti difficili sono ancor più utili ed auspicabili per il bene comune, rinunciando ad ogni valutazione politica della guerra, lasciata alle determinazioni dello Stato. Nei primi tre anni di guerra, giungono al Vescovo diverse lamentele sui comportamenti del clero locale da parte di autorità fasciste: ad esempio, il 4 novembre del 1940 il Podestà di Roncadelle segnala "attacchi dal pulpito" ai gerarchi fascisti; il 31 ottobre del 1941 il "Gruppo rionale Mussolini" accusa don Primo Adami, curato di S. Lorenzo in città, di "prediche antifasciste"; il Prefetto il 6 maggio 1942 informa che don Giovanni Polinotti, parroco di S. Zeno, "turba l'ordine pubblico" e ne chiede la rimozione, e il 6 giugno chiede provvedimenti contro don Santo Delasa, parroco di Gianico, per la sua "nota avversione al fascismo".25 Nel frattempo, in prospettiva di un possibile crollo della dittatura fascista, l'associazionismo cattolico muove i primi passi di una nuova prospettiva politica. Nel 1941 si tiene a Villa S. Filippo di Brescia un convegno clandestino per la riorganizzazione del movimento politico cattolico, a cui partecipano esponenti di spicco a livello nazionale come Achille Grandi e Pietro Malvestiti.26 Palazzo S. Paolo, sede dell'AC, la Pace e La Scuola Editrice divengono centri di raccolta di oppositori cattolici al fascismo, ben prima della caduta di Mussolini e dell'armistizio. Ugo Pozzi, allora vicepresidente diocesano dei giovani d'AC, sempre attento osservatore della realtà a lui vicina, così ricorda la situazione nei primi due anni di guerra: "L’A.C. era fondamentalmente antifascista in tutte le sue strutture periferiche e nella grande maggioranza dei dirigenti e soci. Vedeva la realtà politica con diffidenza ed apprensione; dopo il 1940-41 nacque anche una certa insofferenza che si manifestò con la ricerca di conoscenze e informazioni e con progressivi atteggiamenti di critica, magari cauta ma costante, culturalmente più viva e più intensa in certe zone […] ma comunque largamente diffusa. Il fascismo locale era cosciente di questa situazione che… teneva d’occhio, cercando di inserirsi in qualche modo (vedi, ad esempio, i tentativi del federale Feliciani, dichiaratosi “cattolico” e ascritto al Terz’ordine francescano...) Sapevano di non potersi fidare dell’adesione e della sincerità degli iscritti all’AC: cercavano ad ogni modo, di coinvolgere cattolici qualificati con incarichi e funzioni pubbliche, con non molto successo, per il vero, per farsene una copertura e tranquillizzare l’opinione pubblica."27 Un'indicativa presa di distanza pubblica verso il Regime, da parte della Curia vescovile di Brescia nei primi tre anni di guerra, è la commemorazione, pronunciata da don Pasini, vicario del Vescovo, in occasione del decennale della morte del precedente vescovo, mons. Giacinto Gaggia. Il pubblico discorso solenne è tenuto nel palazzo vescovile giovedì 20 maggio 1943. Senza mezzi termini don Pasini si riferisce alle persecuzioni fasciste subite dalle organizzazioni cattoliche e afferma che mons. Gaggia: "Ebbe dolori: e quando si vide, in una notte triste e tenebrosa, manomessa brutalmente la sede del suo giornale che aveva difeso per tanti anni, sì nobilmente e fortemente la verità, quando vide sciolte arbitrariamente le associazioni giovanili che avevano formato l'oggetto delle sue cure paterne ed erano la gloria della diocesi, ne soffrì intimamente che parve precipitare anche in salute.[…] Non si chiuse in un avvilimento, ma forte della sua autorità, esortò i suoi sacerdoti ad intensificare il loro zelo nel coltivare lo spirito di pietà, specie nella gioventù che egli aveva sempre riguardata come la più cara speranza della Chiesa e della patria."28 Il testo integrale della commemorazione è pubblicato nel numero di giugno del Bollettino ufficiale della diocesi. Sulla Voce Cattolica ne sono pubblicati ampi stralci, compreso quello citato, il più critico sulle persecuzioni fasciste verso la stampa cattolica.29 Solo qualche mese prima, a conferma di un ritrovato protagonismo culturale, la curia vescovile aveva proposto un ciclo di conferenze sul tema del messaggio sociale di Pio XII, che "riscossero tanto successo" e "la città ne fu come risvegliata da un ventennale torpore".30 La serie di conferenze, organizzate da don Luigi Daffini, padre Carlo Manziana e Andrea Trebeschi, e tenute in Episcopio tra l'autunno del 1942 e la primavera del ‘43 affrontano il concetto cristiano di persona e argomenti di sociologia e filosofia; sono invitate personalità come p. Mariano Cordovani, Giorgio La Pira, don Primo Mazzolari, Igino Giordani, Livio Labor, Federico Marconcini, Giuseppe Lazzati e Amintore Fanfani.31 Ugo Pozzi, che ne è testimone diretto, ritiene che queste conferenze "furono una precisa presa di posizione pubblica e una sfida ed ebbero una grandissima partecipazione, molto significativa per l'epoca, con gente persino nel cortile e nella piazzetta antistante."32 Il notevole influsso di queste conferenze è ricordato da vari testimoni; particolarmente indicativo è il ricordo di Teresa Venturoli, che nel 1944 diverrà presidente diocesana della Gioventù femminile d'AC: "Dal ‘41 insegnavo filosofia al Liceo scientifico Calini. Ma fu solo ai primi del ‘43, in piena guerra, con tre fratelli richiamati, che dalle conferenze del prof. Marconcini tenute nel salone dell’Episcopio sul fascismo, o piuttosto sul rapporto persona – Stato, che capii gli errori della dottrina fascista. La mia generazione non aveva sperimentato mai una società democratica: il ventennio fascista non ci aveva impedito di vivere intensamente la nostra vita spirituale e morale. L’educazione sociale ci mancava, sostituita dalle parate, manifestazioni esterne che si subivano passivamente. Bisogna ricordare che l’autorità era norma assoluta e dominante sia in famiglia che a scuola, nella Chiesa e nella società e la nostra sottomissione esterna non ci impediva di costruire all’interno un nostro modo personale di pensare e di riflettere. La formazione cristiana certo non era integrale, almeno per questi aspetti, ma non ci impedì di partecipare alla Resistenza, che a Brescia ebbe nell'AC i suoi più generosi artefici."33 Il 25 luglio 1943, il voto del Gran Consiglio del Fascismo provoca la caduta di Mussolini. A Brescia, accanto alle diffuse manifestazioni popolari di giubilo, simili a quelle che si verificano in ogni altra città d'Italia, troviamo anche nel mondo cattolico qualche riflessione critica. Ugo Pozzi ne riferisce con molto realismo, senza nessuna facile idealizzazione: "…Venne il 25 luglio, con tutto il contorno delle vistose incertezze e contraddizioni tipiche della «furbizia» italiana. Alle manifestazioni di giubilo partecipammo quasi stancamente: d'accordo con don Bondioli decidemmo di non fare alcun cenno né commento al fatto come GM, e credo che fummo forse la sola presidenza diocesana che si astenne dall'intervenire con deprecazioni e peana. Ci preoccupò fin dai primi giorni, invece, lo svolgersi degli avvenimenti in modo tanto dilettantesco e improvvisato, che suscitava apprensioni e previsioni oscure per il futuro immediato."34 In questo periodo molto intensa fu l'azione dei laici per porre le basi di una presenza politica dei cattolici: la sera del 27 luglio nella canonica di S. Faustino si tiene il primo incontro, a cui partecipano tra gli altri Giovanni Maria Longinotti, ex deputato del PPI, Astolfo Lunardi, Leonzio Foresti, Guido Salvadori e Andrea Trebeschi, ; Bruno Boni ricorda così questa riunione: "Dopo il 25 luglio, si era svolta una prima assemblea degli amici impegnati, o che intendevano impegnarsi, nell’attività politica. Presiedeva la riunione Mons. Luigi Fossati. Alla fine era stato approvato un mio ordine del giorno, più di natura filosofica e sociale che politica, per la mancanza di esperienza. Ma già allora si dava valore centrico alla nostra azione politica nel concetto della persona, nella difesa della libertà politica - quella ontologica richiede ben altro discorso - per realizzare, nella giustizia, le migliori condizioni di convivenza civile, nella ferma convinzione che la politica deve soddisfare i bisogni materiali, lasciando all’individuo la scelta spirituale, quella che dà piena realizzazione alla persona. In occasione di quell’assemblea era giunto da Roma G. M. Longinotti, che aspirava ad essere il leader della nuova formazione politica bresciana. Nel contempo, il nostro Lodovico Montini presumeva di avere meriti per lo stesso compito. Tra i due era sorto un litigio che era giunto al punto di agitare le sedie."35 Dal luglio del 1943 inizia dunque un periodo intenso d'impegno nella lotta antifascista di Andrea Trebeschi, al quale è affidato il compito di mantenere i rapporti con gli altri partiti e di curare l'organizzazione interna. Nell'ultima decade d'agosto, a Villa S. Filippo in città, si svolge un convegno di tre giorni dei giovani d'AC, con la partecipazione di don Arturo Paoli di Lucca, vice assistente centrale dei giovani, di Lodovico Montini, presidente diocesano degli uomini d'AC, e di altri dirigenti cattolici. Ugo Pozzi nelle memorie ricorda che Montini, ben informato da Roma, illustrò con chiarezza la situazione politica nazionale, e si dice convinto che "la Tre Giorni Dirigenti ebbe un posto significativo nell'orientare e definire le scelte e i ruoli della GM d'AC bresciana per tutto il periodo duro e oscuro che seguì fino alla Liberazione." Il 29 agosto si riuniscono a Brescia, all'albergo Eden, dopo la messa celebrata nella chiesetta delle Consolazioni, i rappresentanti democristiani di Verona, Parma, Milano, Cremona, La Spezia, Genova, Pavia, Torino, Como, Bergamo e Novara, con la presenza dell'on. Giuseppe Micheli e di Stefano Jacini, poi senatore e Ministro.36 Segretario della riunione è Albino Donati; tra i bresciani sono presenti Lodovico Montini, Astolfo Lunardi e Vincenzo Bernardelli. Il 5 settembre 1943 a Villa S. Filippo, in Brescia, si tiene un incontro allargato (un'adunanza generale, come si diceva allora) alla quale partecipa Lodovico Montini, che lancia un appassionato appello a tutti i cattolici, invitandoli ad impegnarsi senza indugio nella vita politica attiva.37 Lo stato d'animo dei cattolici impegnati in ambito sociale e politico, in quei 45 giorni prima dell'armistizio, è efficacemente colto da Ugo Pozzi: "Come responsabile della GM d’AC ero dentro fino al collo: ricordo riunioni di AC nel vecchio Palazzo San Paolo con le riflessioni, i commenti, le proposte conseguenti alle informazioni che filtravano dalla Segreteria di Stato vaticana attraverso mons. Montini. E ricordo gli incontri più chiaramente politici, intesi non solo a discutere e formare, ma anche a preparare orientamenti organizzativi, che si tenevano in casa Trebeschi a Cellatica, ove arrivavo in bicicletta di prima sera con i vari compagni di viaggio, ora Libero Dordoni, ora Franco Feroldi, ora Ghighi Togni, a volte Ludovico Montini e Piero Bulloni, a volte «Ciro» Bruno Boni. Andrea Trebeschi teneva le fila con la sua verve rigorosa e precisa e, se anche talvolta la discussione sulle idee poteva essere accanita, non veniva mai perso di vista l’obiettivo finale del «prepararsi a fare». Certamente si avvertiva qualche cosa di aleatorio che non era la solita percentuale di imprevedibilità che vi è in ogni proposito o programma, ma rispondeva a un che di incombente e quasi di scontato: non per questo, tuttavia, ci si lasciava andare. Si sapeva, o meglio, si sentiva che l’apparente staticità del momento era data da un equilibrio instabile e impossibile da mantenere a lungo e vi era attesa della sua rottura: in fondo, ci si preparava proprio a questo."38 Arriva l'8 settembre e l'annuncio dell'armistizio. Il giorno dopo si tiene una riunione plenaria dei dirigenti cattolici nella canonica di S. Faustino, vero e proprio momento d'inizio della resistenza cattolica,39 e fin da questa occasione Andrea Trebeschi richiama i giovani presenti alla estrema prudenza, temendo, a ragione, che l'entusiasmo e la forte volontà di contrastare gli occupanti tedeschi ed i loro alleati fascisti possa ingenerare comportamenti avventati dalle gravissime conseguenze. Come ricorda Cesare Trebeschi, figlio di Andrea, nell'intervista ai giovani studenti del liceo Arnaldo: “Io
non mi vergogno a dire che mio padre era fisicamente pauroso: era convinto
che le cose non si sarebbero risolte rapidamente e che bisognava essere
assolutamente prudenti. In occasione della riunione per Radio Brescia Libera
si ragionò sulle persone fidate che potevano essere coinvolte ed un amico
pensò di scrivere i nomi concordati: mio padre si arrabbiò, perché sapeva
del grave pericolo che avrebbero corso, nel caso in cui l’elenco dei nomi
fosse entrato in possesso dei fascisti o dei tedeschi. Purtroppo l’amico,
che aveva assicurato di non mettere per iscritto la lista dei nomi,
successivamente lo fece e, quando venne arrestato, nella perquisizione
trovarono proprio un piccolo foglio con i dieci nomi individuati durante la
riunione.” Va ricordato che il contributo dei giovani cattolici alla lotta antifascista è rilevante: l'intero gruppo dirigente del movimento giovanile passa alla resistenza. Oltre al presidente Brunelli, al vicepresidente Pozzi, anche Emi Rinaldini, ucciso poi dai fascisti il 10 febbraio 1945, Michele Capra e Antonio Bellocchio, per citare solo i più noti. In seguito a queste scelte, il movimento giovanile rimase praticamente privo di guida e tuttavia, come ci ricorda Ugo Pozzi nelle sue memorie, mons. Giacinto Tredici non volle sostituire i dirigenti del movimento giovanile in clandestinità perché "non voleva che un cambiamento fosse inteso come una sconfessione e si prestasse a speculazioni propagandistiche fasciste: in fondo egli era orgoglioso delle posizioni di tanti suoi giovani di GM e riteneva un bene che i dirigenti fossero con loro."40 E' in questo quadro d'insieme che va collocata la tragica vicenda di Andrea Trebeschi, raccontata dal figlio Cesare nell'intervista agli studenti del liceo Arnaldo, e che è contenuta in questo stesso volumetto.
NOTE 1 A. Fappani, Un vescovo di fronte al fascismo – mons. Giacinto Gaggia, Associazione don Peppino Tedeschi, Brescia 1985, pag. 170. 2 La tesi di Franco Cuomo, che nel volume I dieci. Chi erano gli scienziati che firmarono il Manifesto della razza, Baldini e Castoldi, Milano 2005, sostiene che padre Gemelli, mons. Giovanni Cazzani e padre Pietro Tacchi Venturi abbiano sottoscritto il manifesto (pag. 20-23 e pag. 202-207) è priva di fondamento, anche se è stata acriticamente ripresa da molti siti internet. 3 G. Vecchio, Lombardia 1940-1945.Vescovi, preti e società alla prova della guerra, Morcelliana, Brescia 2005, pag. 100. 4 Lettera del 19 agosto 1938, in Archivio Storico diocesano (d'ora in avanti ASDBs), Fondo Tredici, B 109. 5 ASDBs, Fondo Tredici, B 101, fasc. "Prefetto". 6 Nota del 30.11.1938 al Prefetto, a firma del Comandante dei Regi Carabinieri, magg. Panfilo Carosella (Archivio di Stato di Brescia, d'ora in avanti ASBs, B 96, fasc. "Clero-Azione del clero"). 7 Enciclica intorno la situazione della Chiesa cattolica nel Reich germanico, in Bollettino Ufficiale della Diocesi (d'ora in avanti BU), a. XXVII (1937), n. 4, pag. 85-107. 8 Assurdità del Razzismo, in BU, a. XXVIII (1938), n. 8, pag. 141. Troviamo critiche al regime nazista anche sulla Voce Cattolica (d'ora in avanti VC): nel numero 35 del 4 settembre 1937, a pag. 1, un ampio articolo su quattro colonne per difendere padre Roberto Mayer, incarcerato dai nazisti per le sue predicazioni giudicate ostili al regime, e l'8 gennaio 1938, sempre in prima pagina, è riportato con grande risalto un articolo della rivista romana Fides contro le persecuzioni naziste intitolato "Il cattolicesimo in Germania". 9 Nell'ottobre del 1580, S. Carlo aveva ordinato sacerdote il nipote Federico Borromeo, nella chiesa di S. Stefano a Rovato (Bs). Il card. Federico Borromeo sarà poi arcivescovo di Milano dal 1595 al 1631. 10 Ma d'origini bresciane: era nato a Bedizzole nel 1879. Vescovo di Nola dal 1924 al 1934, di Tortona dal 1934 al 1963. 11 A. I. Schuster, Il mistero del sangue nella Redenzione e l'eresia antiromana del razzismo, in BU, a. XXVIII (1938), n. 12, pag. 239-246; la frase citata è a pag. 240. 12 Ivi, pag. 243. 13 Un'Eresia antiromana, in "L'Italia", 15 novembre 1938. Tredici, che condivide le tesi di Schuster, gli scrive. "V. Eminenza ha bene rappresentato l'Episcopato italiano nella difesa della fede contro le esiziali dottrine che ci vengono d'Oltr'Alpi." (Lettera del 4 dicembre 1938, in ASDMi, n. 11131, cit. in G. Vecchio, Lombardia 1940-1945, cit., pag. 108). La nota presa di posizione antirazzista del cardinale Giovanni Battista Nasalli Rocca, arcivescovo di Bologna, è più tardiva (6 gennaio 1939). 14 P. Beltrame Quattrocchi, Al di sopra del gagliardetti. L'arcivescovo Schuster: un asceta benedettino nell'era fascista, Marietti, Casale Monferrato 1985, pag. 251. 15 Telegramma di Stato cifrato n. 757 del 7.1.1939 ( ASBs, Fondo Gabinetto di Prefettura, B 96, fasc. "Clero-Azione del clero"). 16 La questione della razza, in VC, a. 2, n. 30, 23 luglio 1938, pag. 1. Nel numero successivo del settimanale, del 30 luglio, don Peppino Tedeschi, ad un lettore che chiedeva se era proprio vero che il Cardinale di Milano aveva vietato il battesimo agli ebrei per appoggiare la campagna razzista ufficiale, scrive. "Ti rispondo subito perché nemmeno per un momento ti rimanga in testa una cosa di questo genere" e aggiunge che la Chiesa riafferma "il diritto degli ebrei – veramente convertiti – di avere il battesimo." 17 Le decisioni del Gran Consiglio, in VC, a. 2, n. 41, 15 ottobre 1938, pag. 1. 18 A proposito di un nuovo decreto-legge, in VC, a. 2, n.46, 19 novembre 1938, pag. 1. Nel n. 3 del 21 gennaio 1939, alle pag. 3 e 4, è riportata integralmente la predica di mons. Giovanni Cazzani, vescovo di Cremona, tenuta nel Duomo il 6 gennaio 1939, nella quale, dopo un'ampia critica della religione ebraica, si afferma: "La chiesa non ha condannato e non condanna qualunque difesa politica dell'integrità e della prosperità della razza, e qualunque precauzione legale contro una eccessiva e dannosa influenza giudaica nella vita della nazione, purché non si calpestino le leggi supreme della fratellanza umana e della carità cristiana, e lo si faccia con ragionevoli criteri e condizioni discriminanti, per cui non gravitino su chi non merita i rigori giudicati necessari per gli altri." Mons. Cazzani, dopo aver affermato che "La Chiesa nella sua missione non si preoccupa delle forme e dei sistemi politici dei vari regimi statali" sostiene che "La Chiesa non può trattenersi dal condannare una dottrina contraria alla verità rivelata" e quindi condanna esplicitamente il razzismo nazista. L’intervento fu riportato anche su «Il regime fascista», 7 gennaio 1939. Cazzani fu anche autore dell’opuscolo Unità cristiana e giudaismo, Cremona, 1939. (G. Israel, P. Nastasi, Scienza e razza nell'Italia fascista, Mulino, Bologna 1998, pag. 268, n. 106). Queste affermazioni hanno portato il Cuomo (I dieci. Chi erano gli scienziati che firmarono il Manifesto della razza, cit., pag. 202-207) ad includere arbitrariamente il Cazzani tra gli aderenti al Manifesto della razza. 19 Nota n. 1321 del 13 luglio 1940, in Archivio di Stato di Brescia (d'ora in avanti ASBs), Fondo Gabinetto di Prefettura, B 78, fasc. "Clero-Azione del clero". 20 Memoriale per il Prefetto del 23 giugno 1940, in ASBs, Fondo Gabinetto di Prefettura, B 96, fasc. "Clero-Azione del clero". 21 Relazione del Questore di Brescia al Ministero dell'Interno del 24 dicembre 1940, cit. in F. Malgeri, La Chiesa italiana e la guerra (1940-45), Studium, Roma 1980, pag. 138. 22 ASBs, Fondo Gabinetto di Prefettura, B 96, fasc. "Clero-Azione del clero". 23 Nota n. 2013 del 31 dicembre 1940 del Prefetto al Questore, in ASBs, Fondo Gabinetto di Prefettura, B 78, fasc. "Clero-Azione del clero". 24 A. Fappani, Mondo cattolico e fascismo a Brescia, in F. Molinari, M. Dorini (a cura di) Brescia cattolica contro il fascismo, S. Marco, Esine (Bs) 1978, pag. 34. 25 ASDBs, Fondo Tredici, B 109. 26 A. Fappani, La resistenza bresciana. Appunti per una storia, Ed. Realtà giovanile, Brescia 1962, vol. I, pag. 171; A. Onger, Il periodo 1940-1951, in Cento anni della gioventù cattolica bresciana, La Scuola, Brescia 1968, pag. 86. 27 Testimonianza del dott. Ugo Pozzi, in L'Azione Cattolica di ieri e di oggi. Ricordi e testimonianze di militanti e dirigenti, CeDoc, Brescia 1987, pag. 31. 28 BU, a. XXXIII (1943), n. 6, pag. 207. 29 VC, a. 7, n. 21, 29 maggio 1943, pag. 3. 30 Lettera del 23 febbraio 1985 dell'avv. Cesare Trebeschi, allora sindaco di Brescia, a don Antonio Masetti Zannini, in ASDBs, Fondo Tredici, B 109. 31 Enciclopedia bresciana, voce Andrea Trebeschi; Lettera di Cesare Trebeschi a don Antonio Masetti Zannini del 23 febbraio 1985, in ASDBs, Fondo Tredici, B 109. 32 Testimonianza del dott. Ugo Pozzi, in L'Azione Cattolica di ieri e di oggi, cit., pag. 29. 33 Testimonianza della prof. Teresa Venturoli, in L'Azione Cattolica di ieri e di oggi, cit., pag. 101-102. 34U. Pozzi, Memorie. Un giovane d'Azione Cattolica tra resistenza e ricostruzione a Brescia, Fondazione Civiltà Bresciana, Brescia 2016, p. 120. 35 Lettera di Bruno Boni a mons. Enzo Giammanchieri del 28 maggio 1991, in Lettere di Bruno Boni ad un amico, Edizioni Franciacorta, Passirano (Bs) 2003, pag. 174. 36 M. T. Bonafini, M. Faini, R. Fracassi, A. Rivali, P. Segala, I lavoratori cattolici nella vita politica bresciana, Sangallo, Brescia 1976, pag. 24-25. 37 Testimonianza di mons. Giuseppe Almici, in Il contributo del clero bresciano all'antifascismo e alla resistenza, Atti del convegno di studio promosso dal Centro di documentazione in Brescia, 13 marzo 1975, Cedoc, Brescia 1976, pag. 81; testimonianza di Egidio Comini, in L'Azione Cattolica di ieri e di oggi, cit., pag. 54. 38 U. Pozzi, Memorie, cit., pp. 120-121. 39 Sul ruolo del mondo cattolico nella resistenza bresciana si veda: A. Fappani, La resistenza bresciana, Squassina, Brescia 1965, 3 vol.; R. Anni, Storia della Resistenza bresciana 1943-1945, Morcelliana, Brescia 2005; M. Lovatti, Testimoni di libertà. Chiesa bresciana e Repubblica Sociale Italiana (1943-1945), Opera diocesana San Francesco di Sales, Brescia 2015. 40 U. Pozzi, Memorie, cit., pp. 132.
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(tratto dalla ricerca su Andrea Trebeschi del gruppo I giovani e la memoria del liceo classico Arnaldo di Brescia: Alla prima curva di gelo, a cura di G. Magurno e P. Molinari) |
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l'avv. Andrea Trebeschi con la moglie Vittoria De Toni
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