Fin dalle
origini l'azione sociale delle ACLI si è ispirata al messaggio evangelico e
al magistero sociale della Chiesa, interpretandoli nell'ambito della visione
dell'uomo e della società del personalismo cristiano.
Il personalismo cristiano e in particolare il cattolicesimo democratico
italiano fondano la loro visione della società e dello Stato, e delle
relazioni tra persona e società, sul presupposto tomistico secondo cui la
Grazia non annulla ma suppone e perfeziona la natura umana. Questa visione
postula che ragione e fede non entrino tra loro in conflitto, pur
riconoscendo, d’altra parte, che esse si avvalgono di procedimenti
conoscitivi differenti. La ragione accoglie una verità in forza della sua
evidenza intrinseca, mediata o immediata; la fede, invece, accetta una
verità in base all’autorità della Parola di Dio che si rivela.
Secondo tale concezione la socialità è un carattere intrinseco della
persona, nel senso che la natura della persona contiene in sé la sua
destinazione sociale e non potrebbe realizzarsi compiutamente come tale
senza sviluppare la sua essenziale propensione relazionale. La famiglia, lo
Stato e le varie organizzazioni della società civile sono entità naturali,
che trovano la loro origine e giustificano le loro funzioni semplicemente
sui caratteri naturali, costitutivi della persona umana. Di conseguenza la
famiglia, le varie forme associative della società civile e soprattutto lo
Stato, che ha la funzione di regolare e normare la società civile, devono
tendere a creare le condizioni affinché la persona possa realizzarsi
integralmente.
Questo punto di vista racchiude in sé una evidente semplificazione, poiché
la riflessione filosofica e teologica oggi più approfondita nega che nel
pensiero di San Tommaso d'Aquino sia presente e operante il
concetto di pura natura, in quanto sia la natura umana, sia più in generale
la natura del creato, sono intrinsecamente e costitutivamente, proprio
perché create, aperte e tendenti al sovrannaturale (come ci ricordano, ad
esempio, Henri de Lubac o Luis Ladaria Ferrer, attuale Prefetto della
Congregazione per la dottrina della fede). Tuttavia dal punto di vista
storico, nel Novecento la concezione tomista della Grazia che perfeziona la
natura ha caratterizzato in modo rilevante sia il personalismo cristiano che
l'orientamento politico del cattolicesimo democratico italiano.
Pur senza negare del tutto il valore del paradigma politico
paolino-agostiniano, che sottolinea comunque un aspetto importante,
ricordando come il peccato originale abbia in qualche modo compromesso e
alterato la perfezione umana così come era stata voluta da Dio nell'atto
creativo, la visione tomista pone maggiormente l'attenzione sul fondamento
naturale dello Stato e sull'importanza della ragione nel valutare le
dinamiche sociali, la loro rispondenza o meno i valori della giustizia
sociale, della dignità e libertà dell'uomo, dell'efficacia delle strutture
sociali e della realizzazione integrale dell'uomo, valori che derivano
necessariamente dalla natura della società e dello Stato che è trasparente
al pensiero, cioè che è comprensibile dalla ragione umana, se ben
utilizzata.
La concezione tomista della società e dello Stato si è concretizzata
storicamente in forme tra loro anche molto diverse. Nel Medio Evo, l'unità
religiosa dell'Europa e la diffusa percezione che la civiltà temporale
fosse in qualche modo una funzione e una modalità della dimensione della
sacralità hanno prodotto un modello che Maritain chiama concezione
cristiana sacrale del temporale. Almeno in linea di principio il potere
spirituale (la Chiesa) definisce i valori e insegna le verità morali,
mentre il potere temporale (l'Impero, la monarchia nazionale) produce ed
emana le norme che regolano la società civile in conformità ai valori
stabiliti dal potere spirituale. Sempre in linea di principio è postulata
una piena armonia tra i due poteri, poiché la distinzione dei reciproci
ambiti dovrebbe eliminare in radice ogni potenziale conflitto. Tra l'altro
la distinzione tra i due poteri, spirituale e temporale, pone fine
irreversibilmente al monismo antico e al cesaropapismo (cioè alla
concentrazione del potere spirituale e temporale in un unica autorità) e
costituisce l'embrionale premessa del principio della distinzione e
dell'equilibrio dei poteri, che è a fondamento del moderno liberalismo
europeo.
A partire dal XVII secolo, con la nascita del pensiero scientifico e la
diffusione del pensiero filosofico moderno (Cartesio e Locke)
l'armonia tra i due poteri non è più garantita nemmeno in linea di
principio. In seguito alla diffusione dell'Illuminismo, alla rivoluzione
francese e alle filosofie ottocentesche, la Chiesa percepisce la società e
la cultura moderna come radicalmente ostili, basate su presupposti erronei,
e di conseguenza, riprendendo, radicalizzando e sviluppando in modo
originale alcune tendenze controriformistiche già affermatesi a partire dal
XVI secolo (dopo il Concilio di Trento), con le encicliche Mirari vos
di Gregorio XVI (1832), Quanta cura, con l'allegato Sillabo
di Pio IX (1864), fino alla Pascendi dominici gregis di Pio X
(1907) elabora una linea difensiva che porta alla condanna totale della
modernità in tutti i suoi aspetti, compresi il liberalismo e la democrazia.
Ciò comporta anche l'accantonamento dell'originaria missione di operare per
umanizzare la società civile, ritenuta ormai irrealizzabile. Tale
concezione antimoderna della Chiesa e della cultura cattolica si radicava
anche nelle elaborazioni culturali ispirate all'ideologia della
restaurazione, sia in ambito filosofico (Luis de Bonald, Joseph de
Maistre), sia in campo giuridico (Ludwig von Haller). Per quanto
la concezione antimoderna della Chiesa delineata da queste encicliche appaia
lontana e incompatibile con la mentalità contemporanea pluralista e
tollerante, essa non può essere considerata un mero errore, poiché vi si
ritrova un importante aspetto di verità, e cioè che anche valori
fondamentali come la libertà di coscienza e di pensiero, l'uguaglianza tra
gli uomini, la separazione tra Stato e Chiesa e così via, se assolutizzati,
come nel pensiero politico di Rousseau (Rousseau è per Maritain uno
dei tre maestri dell'errore, con Lutero e Descartes, alla base
della mentalità moderna) conducono ad una sorta di statolatria, ad un
utopia nella quale i valori cristiani, come la libertà, l'uguaglianza e la
fraternità sono snaturati, perché privati della loro costitutiva
dimensione sopranaturale.
Anche nella Rerum novarum di Leone XIII (1891), con la quale
inizia la dottrina sociale della Chiesa, prevale un orientamento difensivo
entro il quale gli auspicati provvedimenti legislativi o contrattuali a
favore dei lavoratori sono finalizzati a ridurre i danni del disordinato
sviluppo della società industriale, garantendo almeno gli essenziali
diritti della persona come il rispetto della dignità del lavoratore come
persona, che non può essere ridotta in schiavitù, la giusta mercede che
gli consenta di vivere e mantenere la famiglia, la possibilità di adempiere
ai doveri religiosi, ecc. , mentre non è prevista né auspicata un'azione
sociale volta a modificare le strutture ingiuste della società per renderla
più conforme alle esigenze connesse all'integrale realizzazione della
persona umana, anzi per Leone XIII “se ai mali del mondo v'è un rimedio,
questi non può essere altro che il ritorno alla vita e ai costumi
cristiani.”
Tuttavia la Rerum novarum, al di là degli orientamenti culturali ed
ecclesiali di Leone XIII che sono comunque influenzati da tendenze
antimoderne, ha prodotto nella prassi della sezione di economia sociale
dell'Opera dei Congressi, ispirandosi alle organizzazioni sociali dei
lavoratori francesi e belgi e grazie soprattutto all'insegnamento di Giuseppe
Toniolo, un orientamento cattolico-sociale che si proponeva un impegno
concreto a favore della classe operaia, finalizzato ad eliminare, o
quantomeno ridurre significativamente, la condizione di subalternità che la
opprimeva. Tale orientamento cattolico-sociale costituisce per le ACLI
un'eredità permanente e feconda.
Con il Concilio Vaticano II, in particolare con la costituzione
pastorale Gaudium et spes e con la dichiarazione Dignitatis
humanae, e con il magistero di Giovanni XXIII e Paolo VI
la concezione totalmente negativa della modernità è superata e di
conseguenza si apre la prospettiva di un impegno più efficace dei laici
cristiani per trasformare la società. I padri conciliari hanno posto
l'attenzione della Chiesa sulla necessità di aprire un proficuo confronto
con la cultura e con il mondo. Esso infatti, pur sovente lontano dalla
mentalità e dalla morale cristiana, è comunque opera di Dio e quindi
fondamentalmente buono. La Gaudium et spes espone in modo organico e
lucido una nuova prospettiva per la Chiesa, che deve cercare di cogliere
frammenti di verità nella mentalità e nella cultura laica, anche quando
essa appare lontana dal cristianesimo. Di conseguenza, è compito della
Chiesa, e dei laici in primo luogo, riallacciare profondi legami con
"gli uomini e le donne di buona volontà", soprattutto
nell'impegno comune per la pace, la giustizia sociale, lo sviluppo della
scienza e della tecnica, in sé buone, anche se possono essere usate male.
Gli orientamenti conciliari sono stati assunti interamente e con convinzione
dalle ACLI che, almeno per quanto riguarda il ruolo dei laici nella Chiesa,
li avevano già sperimentati e realizzati fin dalla loro origine.
Il processo che ha portato l'intera Chiesa a rivedere profondamente il suo
rapporto col mondo, operando nel contempo un profondo mutamento della stessa
concezione ecclesiologica, ha avuto inizio tra le due guerre in Francia con
l'orientamento filosofico del personalismo cristiano, in particolare con Jacques
Maritain e Emmanuel Mounier.
Come ha più volte sottolineato Maritain, la mentalità e la cultura
moderna, ormai così diffuse e radicate, impongono al cristiano di
rinunciare definitivamente e consapevolmente all'utopia di chiedere al mondo
l'effettiva realizzazione del regno di Dio: “Lo scopo che il cristiano si
pone nella sua attività temporale non è di fare di questo mondo stesso il
regno di Dio, bensì di fare di questo mondo, secondo l'ideale storico
richiesto dalle diverse età, il luogo di una vita terrena veramente e
pienamente umana, cioè piena certamente di debolezze, ma anche piena
d'amore, le cui strutture sociali abbiano come misura la giustizia, la
dignità della persona umana, l'amore fraterno...” (Umanesimo integrale,
1936).
Le idee del personalismo cristiano penetrarono nella cultura cattolica
italiana e nella stessa Chiesa nell'immediato secondo dopoguerra, grazie ad
Angelo Roncalli, nunzio apostolico a Parigi fino al 1953, a Giovanni
Battista Montini in Segreteria di Stato fino al 1954, ad esponenti
cattolici presenti nell'Assemblea Costituente (come De Gasperi,
Dossetti, La Pira, Moro e Lazzati, tutti vicini a Montini) e alla
traduzione in italiano dei filosofi francesi, ma anche di pastori d'Oltralpe
come il card. Emmanuel Suhard.
In questo contesto storico culturale, la concezione delle ACLI dei rapporti
tra Chiesa e mondo si è sviluppata, precisata e ulteriormente arricchita.
E' quindi possibile individuare alcune costanti dell'azione sociale delle
ACLI che, al di là delle diverse contingenze storiche in cui esse hanno
operato, configurano una sorta di DNA permanente.
Quando le ACLI furono fondate nel 1944 da Achille Grandi, con
l'attivo sostegno di Montini, come “espressione della corrente cristiana
in campo sindacale”, l'urgenza del loro scopo principale, cioè quello di
coordinare e formare la componente cristiana del sindacato unitario,
prevaleva su ogni altro aspetto. Secondo l'insegnamento di Pio XII,
la formazione dei lavoratori cristiani che operavano nel sindacato, affidata
alle ACLI, doveva tendere all'ideale di “lavoratori veramente cristiani
che, egualmente eccellenti per capacità nell'esercizio della loro arte e
per coscienziosità religiosa, sappiano mettere in armonia la ferma tutela
dei loro interessi economici col più stretto senso di giustizia e col
sincero proposito di collaborare con le altre classi della società al
rinnovamento cristiano di tutta la vita sociale.” (11 marzo 1945). In
sostanza alle ACLI, “cellule dell'apostolato cristiano moderno” era
affidato il compito di formare i lavoratori cristiani sulla base della
dottrina sociale della Chiesa.
Dopo la scissione sindacale in seguito all'attentato a Palmiro Togliatti (luglio
1948), il compito di coordinamento nei confronti della componente cristiana
del sindacato si è estinto di fatto, e a partire dal III Congresso
nazionale (novembre 1950) le ACLI si definiscono movimento sociale dei
lavoratori cristiani, sul modello del Mouvement ouvriér Chrétien
del Belgio, il cui assistente ecclesiastico, il canonico Antoine Florent
Brys, sosteneva che per il movimento dei lavoratori il sindacato, la
formazione, i servizi sociali e l'iniziativa politica, per quanto
indispensabili, rimangono inadeguati se non connessi tra loro in una
organizzazione di lavoratori capace di rispondere a tutti le esigenze degli
stessi. In quegli anni vanno gradatamente potenziandosi e sviluppandosi le
attività connesse alle finalità statutarie delle ACLI (educative,
formative, religiose e soprattutto di gestione di servizi relativi ad
attività previdenziali, cooperativistiche e ricreative) in un quadro di
auspicata convergenza dei diversi livelli operativi alla visione d'insieme
del movimento aclista.
Fin dagli inizi degli anni Cinquanta, con il primo incontro nazionale di
studi a Perugia, nell'estate del 1952, le ACLI cominciano a delineare in
maniera più approfondita la loro identità e la loro ragion d'essere, anche
a seguito dei mutamenti nel frattempo intervenuti in ambito sindacale e
politico. In primo luogo le ACLI si definiscono come componente cristiana
del movimento operaio e, più in generale del movimento dei lavoratori.
Poiché il ruolo del movimento dei lavoratori consiste principalmente nel
rendere possibile l'elevazione dei lavoratori stessi, riducendo o rimuovendo
le cause, di ordine economico, culturale e sociale, che ne limitano la
realizzazione come persone, ne deriva che è compito specifico anche della
componente cristiana del movimento di mettere in atto un'azione sociale
idonea a trasformare la società e non limitata alla pur necessaria difesa
sindacale degli interessi economici dei lavoratori dipendenti o
all'erogazione di servizi di carattere assistenziale. Il concetto stesso di
azione sociale, di iniziativa sociale del movimento dei lavoratori
cristiani, che sarà precisata e sviluppata durante la presidenza di Dino
Penazzato (1954-1960), presuppone una prospettiva di animazione
cristiana della realtà temporale molto vicina alla visione del personalismo
cristiano. Anche se molti dirigenti aclisti non conoscevano direttamente il
pensiero francese di Maritain e Mounier, le idee guida del personalismo
cristiano si diffusero significativamente nelle ACLI grazie alla mediazione
del gruppo nazionale degli Assistenti spirituali, in particolare di padre Aurelio
Boschini, profondo conoscitore della teologia francese e capace
divulgatore delle riflessioni del mondo cattolico francese sui problemi del
lavoro e della liberazione e realizzazione dell'uomo ispirate dal
personalismo. L'azione sociale presuppone innanzitutto una conoscenza
approfondita delle strutture economiche e sociali, e dunque richiama i laici
cristiani alla centralità della formazione. Inoltre l'azione sociale ha
come fine una società più giusta, nella quale l'uomo possa realizzarsi
sempre più come persona. Infine, poiché una società più giusta idonea
alla piena realizzazione della persona umana è pensabile e perseguibile
tramite l'esercizio della conoscenza e della ragione, tutti gli uomini di
buona volontà possono collaborare proficuamente per cercare di realizzarla,
indipendentemente dalla fede religiosa. La riflessione aclista sull'azione
sociale, le sue modalità e i suoi fini, in quanto “modificatrice,
promotrice e modellatrice di strutture e rapporti sociali fu ulteriormente
sviluppata e consolidata nell'incontro nazionale di studi a La Mendola nel
1956.
Negli anni Cinquanta le ACLI, pur dovendo operare all'interno di una visione
ecclesiale e di una cultura cattolica tradizionalista, dominante negli
ultimi anni del pontificato di Pio XII, mantengono comunque caratteri
fortemente progressisti, sia per la loro organizzazione democratica interna,
sia per la tensione anticapitalista, nel senso di non poter accettare
passivamente una struttura economica ritenuta generatrice d'ingiustizia,
emersa esplicitamente già nel citato incontro nazionale di studi di Perugia
nel 1952, sia anche per la rielaborazione in alcuni tratti originale della
dottrina sociale della Chiesa. Ad esempio non va dimenticata l'insistenza
del movimento nel sostenere e diffondere, su impulso del primo assistente
spirituale, mons. Luigi Civardi, la figura di Cristo divino
lavoratore, nonostante la contrarietà del Pontefice.
Il 1 maggio 1955, Dino Penazzato ha sintetizzato il lungo e faticoso
processo delle ACLI verso la consapevolezza piena del proprio ruolo e della
propria funzione con l'efficace slogan della triplice fedeltà alla
democrazia, ai lavoratori e alla Chiesa.
La triplice fedeltà delle ACLI alla democrazia, ai lavoratori e alla Chiesa
è rimasta una costante immutabile della vita associativa del movimento,
anche se è mutato il contesto storico in cui declinarla. All'epoca della
loro formulazione esse si inserivano in una visione caratterizzata
dall'unità politica dei cattolici italiani e quindi in una concezione
culturale che presupponeva l'armonica collaborazione tra le diverse
articolazioni del mondo cattolico, pur nella distinzione dei ruoli, delle
competenze e delle funzioni. Con il congresso nazionale di Torino (1969) le
ACLI definiscono irrevocabilmente il principio della libertà di voto per
gli aclisti, chiamati a compiere scelte personali in coerenza coi valori
cristiani, con il conseguente superamento di ogni collateralismo e nello
stesso tempo accentuano il loro impegno politico per contribuire “alla
costruzione di una nuova società, traducendo i valori del cristianesimo in
una adeguata risposta alle esigenze del mondo del lavoro”.
Tuttavia la schematica sintesi proposta da Penazzato nel 1955 può aiutare a
delineare un primo insieme di caratteri essenziali del metodo d'azione
proprio delle ACLI, che permangono nel tempo, anche se verranno declinati
storicamente in modi e forme distinte in funzione delle vicende
storico-politiche contingenti, in particolare prima e dopo il congresso di
Torino, ponendo maggiormente l'attenzione su alcuni aspetti anziché su
altri, ad esempio nei periodi delle presidenze di Labor, Gabaglio o
Rosati.
1)
fedeltà alla democrazia:
a) In primo luogo la democrazia è riconosciuta come requisito preliminare e
fondamentale della società politica. Non vi è società giusta se non vi è
democrazia ed eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. E' da notare
che nel magistero della Chiesa la democrazia e il diritto dei cittadini di
partecipare attivamente alle scelte della comunità politica sono fatti
derivare direttamente dal valore e dalla dignità della persona a partire
dalla Pacem in terris di Giovanni XXIII (1963). Si tenga presente che
negli anni Cinquanta alcuni regimi del tempo, né democratici, né liberali,
come la Spagna franchista, erano considerati Stati cattolici da importanti
ed autorevoli settori del mondo cattolico e dell'episcopato. Si comprende
dunque il valore di questa tesi aclista, direttamente ispirata al
personalismo cristiano, che anticipa di oltre una decina d'anni gli
orientamenti conciliari.
b) La democrazia è affermata come metodo per le decisioni interne alle
strutture del movimento aclista, dalle strutture di base, come il circolo e
il nucleo aziendale, fino agli organismi provinciali e nazionali. Le ACLI
costituivano allora l'unica organizzazione cattolica riconosciuta
ufficialmente dalla Chiesa che eleggeva i suoi dirigenti e decideva i propri
programmi d'attività con un metodo esclusivamente democratico, in quanto i
dirigenti dell'Azione Cattolica e di altre associazioni di laici
riconosciute dalla Chiesa erano invece nominati dalla gerarchia.
c) La democrazia è riconosciuta come metodo irrinunciabile e valore
condiviso per tutte le associazioni (partitiche, sindacali, culturali,
ricreative, sportive, ecc.) che contribuiscono ad animare la società civile
e a renderla più umana, consentendo alla persona di vivere sempre più
pienamente e conformemente alla propria natura.
d) La partecipazione attiva dei laici alle scelte che attengono alla
società civile, alla politica, al mondo del lavoro e delle professioni e
alla cultura, che discende dall'affermazione del valore dell'ideale
democratico in quanto diretta conseguenza ed esplicazione dal valore della
dignità di ogni persona, esclude ogni visione ecclesiale secondo la quale
il ruolo dei laici debba essere puramente esecutivo di direttive e decisioni
assunte dalla gerarchia. Si tenga presente che almeno fino alla conclusione
della presidenza del card. Giuseppe Siri (1959-1965) l'orientamento
ufficiale della CEI prevedeva appunto un ruolo meramente esecutivo per i
laici cristiani in ogni azione di apostolato o di presenza e azione sociale.
e) In conseguenza dell'affermazione e condivisione della concezione
democratica dello Stato e della società civile, le ACLI riconoscono il
valore della partecipazione dei cittadini ai processi decisionali ad ogni
livello, dal quartiere e dal paese alle grandi comunità regionali o
nazionali, e incoraggiano e sostengono, direttamente o indirettamente
attraverso i servizi, ogni ampliamento e rafforzamento degli spazi di
partecipazione e concorrono a creare le condizioni perché ogni cittadino
possa partecipare consapevolmente e costruttivamente alle scelte che lo
riguardano.
f) Poiché la partecipazione alla costruzione delle comunità e alle scelte
fondamentali delle stesse è tanto più efficace e consapevole se si basa su
conoscenze precise, approfondite e sistematiche, la formazione assume sempre
più un ruolo centrale e indispensabile nelle attività delle ACLI, che si
configurano come un movimento caratterizzato da una precipua vocazione
educativa.
2)
fedeltà ai lavoratori:
a) Essendo le ACLI un'associazione di lavoratori, esse intendono in primo
luogo operare per difendere gli interessi economici e sociali dei
lavoratori, valorizzando e animando costruttivamente tutte le organizzazioni
e le associazioni che tendono a tale fine, in particolare in ambito
sindacale, sociale e assistenziale.
b) Poiché i lavoratori possono realizzarsi come tali e contribuire col
proprio lavoro al progresso materiale, culturale e morale della società se
sono in grado di svolgere con competenza e professionalità le mansioni a
loro attribuite, le ACLI valorizzano e curano, direttamente o
indirettamente, la formazione professionale dei lavoratori.
c) Le ACLI sono impegnate ad agire per la creazione di nuovi posti di
lavoro, sia istituendo o contribuendo a istituire cooperative di lavoratori,
sia adoperandosi per lo sviluppo del terzo settore, cioè per creare o
rafforzare quei soggetti economici che, operando senza scopo di lucro,
forniscano beni o servizi di interesse pubblico o collettivo.
d) La tutela degli interessi e delle esigenze dei lavoratori non si limita
all'ambito sindacale e assistenziale, ma implica un impegno nell'azione
sociale finalizzata a modificare l'organizzazione sociale e le strutture
socio economiche per rimuovere tutti quegli ostacoli che impediscono o
rendono difficile la piena realizzazione del lavoratore come persona e come
cittadino.
e) La valutazione e la comprensione delle riforme e dei miglioramenti
sociali necessari per consentire la miglior tutele delle esigenze dei
lavoratori è frutto di un processo democratico e partecipato, sempre
rivedibile e correggibile, nel quale i lavoratori cristiani si confrontano e
collaborano con tutti gli uomini di buona volontà, indipendentemente dalla
loro collocazione politica e dalle loro appartenenze culturali e religiose.
3)
Fedeltà alla Chiesa:
a) Le ACLI, come organizzazione di lavoratori cristiani, ispirano la loro
azione e ogni loro attività al messaggio evangelico e al magistero della
Chiesa, conformando ad essi la propria proposta educativa e il proprio
impegno sociale.
b) Più in particolare, dopo il Concilio Vaticano II, le ACLI aderiscono
pienamente e consapevolmente alle concezioni ecclesiali e pastorali definite
dal Concilio stesso e si impegno a contribuire per quanto di loro competenza
alla piena attuazione e realizzazione delle scelte conciliari.
c) In conformità all'insegnamento di Paolo VI, le ACLI ritengono
l'impegno politico e sociale come una delle forme più alte di carità e di
conseguenza considerano il perseguimento della giustizia sociale come
finalità prioritaria della loro azione in ambito politico e sociale.
d) In conformità all'insegnamento di Paolo VI, le ACLI fanno proprio e
riaffermano continuamente nella loro attività il nesso inscindibile tra
evangelizzazione e promozione umana.
e) Nella loro azione sociale le ACLI si ispirano alla dottrina sociale della
Chiesa ma, in linea con gli orientamenti conciliari e con la lettera
apostolica Octogesima adveniens di Paolo VI (1971), ritengono che le
scelte per operare le necessarie trasformazioni sociali, politiche ed
economiche non possano discendere meccanicamente od essere dedotte
logicamente e direttamente dalla dottrina sociale della Chiesa, ma che esse
debbano essere individuate e compiute dalle comunità cristiane, “con
l'assistenza dello Spirito Santo, in comunione con i vescovi responsabili e
in dialogo con gli altri fratelli cristiani e con tutti gli uomini di buona
volontà”.
f) Nell'attuare l'insegnamento sociale della Chiesa i laici cristiani
contribuiscono consapevolmente e costruttivamente, tenendo conto del
contesto storico e dell'analisi razionale delle dinamiche economiche,
culturali e sociali, all'individuazione delle scelte concrete temporalmente
situate, non limitandosi ad eseguire passivamente le indicazioni della
gerarchia.
g) La fedeltà ai principi irrinunciabili del magistero della Chiesa impegna
le ACLI a diffondere, sostenere e cercare di attuare concretamente quei
valori delineati come prioritari negli ultimi decenni, come la pace (a
partire dalla Pacem in terris di Giovanni XXIII) e la
salvaguardia del creato (a partire dalla Octogesima adveniens di Paolo
VI), valori che oggi assumono una nuova e più rilevante centralità.
h) Le ACLI, come movimento cristiano di lavoratori, partecipano ad ogni
livello alla vita, alle riflessioni e alle scelte delle comunità cristiane,
portando costruttivamente il proprio contributo, in spirito di servizio e di
rispetto per il legittimo pluralismo delle opzioni politiche che in esse si
manifesta.
A questo
insieme di caratteri fondamentali, connessi alla triplice fedeltà delle
ACLI alla democrazia, ai lavoratori e alla Chiesa, nel corso degli anni
Ottanta, in concomitanza con il ridursi della capacità dei partiti
tradizionali di interpretare le sensibilità e i bisogni della società
civile e di favorirne gradualmente la crescita e la consapevolezza
attraverso idonei processi di mediazione, le ACLI hanno integrato nel loro
sistema tradizionale di valori costitutivi una particolare attenzione
all'autonomia e all'organizzazione della società civile, che consente di
delineare altri aspetti fondamentali del metodo aclista, già presenti fin
dalle origini nei caratteri essenziali dell'azione sociale aclista, ma che
nel tempo si sono precisati e articolati con maggior chiarezza e
consapevolezza.
4)
Valorizzazione della società civile:
a) La società civile, intesa come insieme di associazioni culturali,
ricreative, sportive, assistenziali, di volontariato e promozione sociale,
di vicinato e così via, rappresenta un ambito privilegiato in cui si
estrinsecano le potenzialità relazionali e collaborative delle persone.
Pertanto le ACLI sono impegnate a difenderne l'autonomia rispetto alle
istituzioni e al sistema dei partiti politici.
b) Poiché l'associazionismo della società civile potenzia la libertà di
adesione delle persone e favorisce la crescita della loro
corresponsabilità, le ACLI ritengono che sia dovere dello Stato incentivare
e sostenere l'associazionismo, sia favorendo l'accesso gratuito o agevolato
delle associazioni alle strutture dell'organizzazione civile ai vari livelli
per il raggiungimento dei fini associativi, sia consentendo e facilitando la
possibilità di finanziamento volontario da parte dei cittadini, con
meccanismi regolati normativamente, come ad esempio il 5 per mille.
c) Le ACLI sono impegnate a favorire ad ogni livello il libero estrinsecarsi
di associazioni senza scopo di lucro e partecipano e collaborano con quelle
associazioni i cui fini sono vicini o compatibili con quelli statutari del
movimento, pur mantenendo prioritaria la centralità delle esigenze e dei
bisogni dei lavoratori, di cui le ACLI sono espressione. In particolare
privilegiano gli interventi a favore dei ceti più bisognosi e tendenti alla
animazione e valorizzazione delle periferie.
d) Pur non accettando e non condividendo ogni concezione qualunquista o
populista o tendente a delegittimare il ruolo dei partiti e il metodo della
democrazia rappresentativa, le ACLI favoriscono e sostengono le iniziative
emergenti dalla società civile per riformare la politica, valorizzando e
appoggiando ogni iniziativa che possa ampliare le possibilità di
partecipazione dei cittadini e delle loro libere associazioni alla gestione
della cosa pubblica. In questa prospettiva le possibili ed auspicabili
riforme delle istituzioni devono basarsi sul principio secondo il quale lo
Stato riconosce e valorizza una pluralità di aggregazioni sociali aventi
tutte pari dignità, anche se con differenti ruoli e funzioni.
Maurilio
Lovatti
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