Nonostante
le tante rievocazioni e pubblicazioni dedicate alla crisi del Banco
Ambrosiano - sfociata, come è noto, nella liquidazione coatta
dell'istituto e nella contestuale nascita del Nuovo Banco Ambrosiano - il
ruolo svolto nella vicenda dal ministro Nino Andreatta non è mai emerso
in modo completo, ma solo frammentario. Si ricordano di lui i
comportamenti e i pronunciamenti che all'epoca fecero più scalpore e che
certo, anche a distanza di tempo, appaiono di forte significato (perché
resta un caso senza precedenti quello di un ministro cattolico che
denuncia in parlamento la corresponsabilità in una bancarotta fraudolenta
di un istituto del Vaticano e si appella direttamente al Pontefice);
ma rimangono in ombra altri momenti, che pure rappresentano dei passaggi
chiave nella vicenda. Così, per esempio, non si conosce (se non per
ricostruzioni colorite ma di non sicura attendibilità) come Andreatta
riuscì a superare l'ostacolo rappresentato dalla contrarietà dei
maggiorenti del suo partito alla liquidazione del Banco. Nello stesso
tempo il governatore Ciampi doveva resistere alla perentoria presa di
posizione di uno dei più autorevoli ministri del governo Spadolini -
formalizzata anche per iscritto in una lettera di diffida che Ciampi
relegò "agli atti" - sulla questione nodale dell'attribuzione
al pool di banche ovvero ai liquidatori della partecipazione di controllo
nella Centrale; anche questo aspetto della vicenda merita di essere
richiamato e messo in luce: la piena sintonia che si realizzò tra il
ministro Andreatta e il governatore Ciampi nell'affrontare la crisi
dell'Ambrosiano; solo l'intesa che si cementò tra loro può spiegare come
questi due uomini abbiano trovato la forza di resistere in solitudine alle
enormi pressioni del mondo circostante, che avrebbe preferito che non si
adottassero misure severe e interventi sanzionatori. Non per nulla Ciampi
mi ha più volte confessato che la crisi dell'Ambrosiano ha rappresentato
la prova più dura di tutto il suo governatorato.
Nel brevissimo spazio concesso a questo intervento posso solo segnalare,
non certo colmare, le lacune che tuttora si riscontrano nella conoscenza
storica di quei fatti. Mi limiterò a offrire alcuni spunti, richiamando
innanzitutto le idee che Andreatta aveva allora maturato sullo stato del
nostro sistema bancario e sulle prospettive e gli obiettivi che si
proponeva di perseguire.
"In un paese che deve mobilitare risorse per colmare il divario con i
paesi industriali più avanzati" - egli si chiedeva nel febbraio
1982, cioè alla vigilia della crisi dell'Ambrosiano: Nino si trovava
allora da sedici mesi al ministero del Tesoro - "e che deve
finanziare un ingente disavanzo del settore pubblico, quali riforme sono
possibili per far sì che il sistema bancario italiano assolva con più
efficacia il suo ruolo di intermediazione?".
Chiara e lungimirante era la visione di Andreatta su come avrebbe dovuto
trasformarsi il sistema bancario italiano. Mentre il tessuto istituzionale
e normativo in cui il sistema bancario si muoveva era ancora quello
risalente agli anni Trenta e le strutture del mercato bancario si
caratterizzavano per l'assenza di una libera competizione e per la
presenza dominante degli istituti pubblici, nonché per l'ampiezza del
ruolo di indirizzo e controllo attribuito alla Banca d'Italia, Andreatta
sosteneva la necessità di riconoscere pienamente il carattere
imprenditoriale dell'attività svolta da tutti gli enti creditizi (privati
e pubblici), di promuovere senza limitazioni la concorrenza anche in
questo settore, di confermare il principio della separazione della banca
dall'industria e, infine, di riconoscere alla banca centrale una mera
funzione di impulso e di sorveglianza. Tutto questo si compendiava
nell'indicare, come finalità ultima da perseguire, quella di assicurare
alle banche "efficienza, solidità e autonomia".
Su queste linee guida si stava avviando un processo di riforma
dell'ordinamento creditizio, sia pure attraverso difficoltà e resistenze
di ogni genere, quando scoppiò il caso Ambrosiano. In un certo senso si
può dire che questa crisi bancaria, di una gravità con pochi precedenti,
pose Andreatta in una situazione di singolare disagio intellettuale, quasi
di una contraddizione tra la sua visione aperta al mercato e quindi
orientata alla liberalizzazione del sistema e la necessità di interventi
autoritativi, intesi a salvaguardare la stabilità degli intermediari,
ripristinando la cogenza delle regole e dei controlli.
Ma Nino Andreatta non ha mai rinunciato a ricercare, anche nelle
condizioni più difficili, soluzioni aperte a prospettive di sviluppo
futuro. E questo è precisamente ciò che, a mio avviso, si può dire
anche a proposito delle scelte che Andreatta fece nel caso Ambrosiano, con
una coerenza che non fu mai scalfita dall'incalzare sempre più drammatico
degli avvenimenti.
Pur nella critica emergenza di quelle settimane furono infatti da lui
tenacemente perseguiti - in costante accordo con il governatore Ciampi -
alcuni obiettivi strategici, la cui validità e lungimiranza appare
confermata dai risultati successivamente raggiunti.
1. Il
primo obiettivo era doverosamente tutelare il risparmio con il minor onere
possibile a carico dello Stato. Poiché all'epoca non esisteva il Fondo
per la tutela dei depositi (e non è un caso che la sua creazione
rientrasse tra i progetti già elaborati da Andreatta), si riuscì a
garantire al 100% i depositanti grazie alla cessione dell'azienda bancaria
al Nuovo Banco Ambrosiano e alla conseguente applicazione - fu l'ultima
volta - del cosiddetto decreto Sindona. Lo stesso Nuovo Banco Ambrosiano,
inoltre, si fece carico attraverso l'operazione warrant di offrire
un'opportunità di recupero anche ai risparmiatori azionisti, che con la
liquidazione avevano visto azzerarsi il valore del loro investimento
originale.
Grazie poi all'efficace azione svolta dai liquidatori nel recupero delle
risorse sottratte in modo fraudolento al Banco, nonché al pesante onere
di avviamento che Andreatta fu inflessibile a imporci a favore della
liquidazione, il costo del dissesto a carico dell'Erario risultò alla
fine sensibilmente ridotto (incomparabilmente inferiore, per esempio, a
quello sopportato dagli Stati Uniti per il dissesto delle savings &
loans o dalla Francia per il Caso Lyonnais).
2. Un secondo fondamentale obiettivo fu ripristinare la legalità, violata
sotto molteplici aspetti da una gestione bancaria, che risultava
strettamente intrecciata a storie malavitose nazionali. Ricordiamo tutti
che si è trattato di uno dei capitoli più torbidi e bui nella storia
della nostra Repubblica (e su cui molte cose inquietanti sarebbero ancora
da far conoscere).
Il passaggio obbligato per ripristinare la legalità fu la pronuncia di
fallimento del Banco, con le conseguenti sanzioni a carico dei
responsabili dell'Istituto e dei loro complici.
3. Un terzo obiettivo, non meno importante, fu salvaguardare il gruppo
bancario (costruito - va riconosciuto - con indubbia abilità da Calvi)
formato da Banco Ambrosiano, Credito Varesino e Banca Cattolica del
Veneto, che rappresentava allora l'unico nucleo privato di una certa
consistenza in un mercato presidiato da banche pubbliche. Salvaguardare
questo presidio "privato" significava sia evitarne l'acquisto da
parte delle banche pubbliche sia impedirne lo smembramento. Sennonché, a
una forte presenza di banche pubbliche interessate a intervenire, si
contrapponeva la mancanza di banche private in grado di farlo in via
autonoma. Per questa ragione si giunse alla soluzione di un pool
costituito da ben sette banche, tre pubbliche e quattro private.
Si è detto più volte - ed è stato ribadito anche di recente - che resta
ancor oggi opaco e "misterioso" il criterio di scelta delle
banche chiamate a intervenire nell'operazione. In particolare, si è posta
la domanda perché non fossero state interpellate le Bin milanesi, a
cominciare dalla Comit.
La risposta è molto semplice. Nel momento della prima emergenza,
allorché si trattava di prestare all'Ambrosiano un'iniezione di
liquidità, atta a rassicurare i clienti e i depositanti, Andreatta e
Ciampi si rivolsero preliminarmente ai presidenti della Banca Commerciale
Italiana e del Credito Italiano. Il colloquio ebbe luogo nell'ufficio del
ministro del Tesoro, ma si concluse in modo negativo e persino
sbrigativamente, in quanto gli interpellati non lasciarono alcuno
spiraglio alla possibilità di accettare l'invito loro rivolto.
Fu dopo tale diniego delle due Bin milanesi che fu concepito il disegno di
un pool di banche che intervenisse per apportare nell'immediato la
necessaria liquidità, da trasformare successivamente in capitale. La
costituzione di questo pool risultò tutt'altro che agevole, perché alla
disponibilità manifestata da alcune banche pubbliche, interessate a
intervenire, si contrapponeva l'assenza di banche private in grado di
intervenire da sole.
Io fui testimone degli sforzi compiuti da Andreatta per convincere alcune
banche private ad accettare la sfida. Venne così costituito il pool
formato da ben sette banche, la cui composizione eterogenea e così
frazionata non offriva a nessuna di esse un reale potere di comando.
Questa composizione non mancò di rappresentare successivamente un grave
problema anche per la gestione della nuova banca, ma è indiscutibile che
si deve alla soluzione adottata di aver mantenuto nell'ambito privato il
gruppo facente capo all'Ambrosiano.
E proprio su questo tema voglio concludere il mio ricordo, giacché
l'intento di salvare l'integrità di quel gruppo privato fu realizzato al
di là di ogni ottimistica previsione, come ha dimostrato la storia
successiva della nuova banca, che ha registrato, da un lato, un
avvicendamento degli azionisti nella compagine sociale a favore di quelli
privati e, d'altro lato, il ruolo giocato da tale gruppo bancario - ormai
definitivamente "privato" - nell'evoluzione successiva del
sistema creditizio del nostro paese. Sicché a me pare di poter concludere
che la soluzione data alla crisi dell'Ambrosiano ha in un certo senso
anticipato di molti anni la stagione delle privatizzazioni e in ogni caso
ha fatto rifulgere, pur in presenza di circostanze eccezionali, la
capacità di visione strategica e le doti di intuizione di Nino Andreatta.
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