La salute e il futuro della terra
sono in pericolo. Ci chiediamo: il cristianesimo è attrezzato per
affrontare la situazione? La risposta non è scontata né da parte laica
né da parte credente. Il primo a dubitare della capacità della fede
cristiana di sfidare i problemi ambientali fu Io storico statunitense Lynn
White. In un articolo di Science (n. 155, 1203-1207) neI 1967, White
sosteneva che le religioni sono interessate primariamente alla salvezza
dell'uomo e restano indifferenti di fronte allo sfruttamento della natura;
soprattutto il cristianesimo è "la religione più antropocentrica
che il mondo abbia mai visto, ubbidiente al comando di Dio: "Siate
fecondi e moltiplicatevi.... soggiogatela e dominate sui pesci del
mare" (Genesi 1,28).
D'altra parte va anche detto che l'antropocentrismo appartiene alla
struttura del pensiero moderno occidentale, da Cartesio a Kant, a Hegel.
Molte teologie hanno attribuito una scarsa
importanza alla natura. Gli antichi sistemi di ascendenza
platonico-agostiniana vedevano nella realtà fisica più un impaccio per
lo spirito che un dono dell'amore di Dio. I sistemi di ispirazione
aristotelico-tomista furono presto risucchiati da una deriva metafisica
che li allontanò sempre più dai problemi storici dell'umanità in nome
di una salvezza astratta. Il '900 stesso iniziò sotto il segno di
dualismi manichei: quello cattolico antimodernista di Pio X che rifiutava
le scienze moderne e le contrapponeva alla fede cattolica, quello
protestante della teologia dialettica (Karl Barth, Rudolf Bultmann) che
poneva l'enfasi sulla Parola e sulla Croce, lasciando in secondo ordine
sia le culture umane sia l'ambiente naturale.
Nel dopoguerra l'atteggiamento cambia. La teologia delle realtà terrestri
(Gustave Thils. 1949), il Concilio vaticano II (1965), la teologia
politica (Johann Baptist Metz, 1968), la teologia della liberazione
(Gustavo Gutiénez, 1971) tematizzano la storia e la natura come veri
luoghi di rivelazione e di salvezza. Paolo VI, nel 1971, per primo in un
documento solenne della Chiesa cattolica, invitava i cristiani a prendere
coscienza che "attraverso uno sfruttamento sconsiderato della natura,
l'uomo rischia di distruggerla e di essere a sua volta vittima di siffatta
degradazione" (Octogesima adveniens, n. 18). Nel 1972 venne
pubblicato un libro di grande rilievo: I limiti dello sviluppo
(Club di Roma e Massachusetts Institute of Technology). La coscienza dei
limiti del mondo e quindi della precarietà del futuro, venne fatta
propria dalle Chiese protestanti che diedero inizio ad un movimento
culminato con le assemblee ecumeniche di Basilea (1989) e di Seoul (1990)
sul tema "Giustizia, Pace, Salvaguardia del creato".
Come non fu facile quindi per i filosofi introdurre la natura tra gli
oggetti seri di riflessione, così per i teologi il tema della creazione,
pur professato dall'antichità nei simboli di fede (il Credo), rimase
piuttosto sterile, se non avversato, fino ai tempi recenti. Limitandoci
all'ambito etico, riprendiamo la domanda iniziale: quali risorse di
pensiero e di azione può mettere in campo il cristiano per affrontare
efficacemente le grandi questioni eco/ogiche che affliggono il pianeta? La
proposta qui delineata ruota attorno a tre prospettive etico-teologiche
che si integrano vicendevolmente: agire da creature, da concreature, da
concreatori.
AGIRE DA CREATURE
Il Credo della messa inizia con la nota
espressione: "Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, Creatore del
cielo e della terra. di tutte le cose visibili ed invisibili". I
cristiani perlopiù collegano l'idea di creazione con "un fare
iniziale di Dio che trae dal nulla tutte le cose". Questa
interpretazione è molto parziale. La fede in Dio Creatore non si
riferisce solo a un passato lontano. Il problema degli inizi è un
problema più scientifico che teologico. La fede nel Creatore riguarda
l'attualità: Dio crea e mi crea ora, fa essere il presente di ogni
realtà. Le conseguenze per l'etica ecologica di questo modo di vedere
sono interessanti.
Anzitutto l'essere creature segna un limite: non siamo creatori! In quanto
creato, viviamo in un mondo limitato, sia fisicamente che moralmente.
L'ecologia scientifica contemporanea ha scoperto la limitatezza dello
spazio fisico e delle risorse del mondo. Non solo il petrolio, cosa
abbastanza ovvia dato che non esistono pozzi senza fondo, ma anche
l'acqua, l'aria, il suolo sono limitati.
Agire da creature significa allora avere coscienza di essere limitati e di
vivere in un mondo limitato. Tale coscienza ci dovrebbe proibire, ad
esempio, di produrre rifiuti (vedi in Missione Oggi: Dal consumo critico
alla critica del rifiuto, maggio 2005). Nulla va rifiutato perché tutto
è prezioso, nulla va sprecato perché tutto è fatto per durare. La
giustificazione più profonda, dal punto di vista cristiano, della
sobrietà sta nella nostra creaturalità. Anzi la tradizione cristiana ci
invita a radicalizzare la sobrietà nella povertà. La povertà evangelica
non è miseria, ma misura e rispetto per le cose e per il loro uso. La
povertà di S. Benedetto o di S. Francesco, pur molto diverse tra loro,
concordavano nell'amore e nell'attenzione per ogni realtà, anche la più
piccola.
Agire da creature vuoI dire lodare e ringraziare il Creatore; tutto è
dono e quindi tutto è grazia. Il Cantico di frate sole è probabilmente
l'inno di lode più conosciuto, ma anche molti salmi biblici inneggiano a
Dio Creatore e molte esperienze religiose cristiane contemporanee trovano
nella natura lo scenario migliore per incontrare il Signore. Non si
tratta, come qualcuno teorizza, di reincantare o di risacralizzare la
natura profanata dalla tecnologia contemporanea, ma di accoglierla in
quanto dono che fa nascere nel cuore gratitudine e responsabilità.
Da ultimo, agire da creature in un mondo limitato, impone di assumere il
futuro come pressante criterio etico. Se le risorse sono limitate,
dobbiamo fare in modo di salvaguardarle anche per le generazioni che
verranno. La carità non ha solo una dimensione individuale e attuale (non
devo far del male al mio vicino, ora), ma anche sociale e futura. Devo
amare la società che popolerà la terra tra 10, 50, 100 anni. In passato
questo problema non esisteva perché l'umanità non aveva i mezzi per
condizionare troppo a lungo il pianeta; oggi le tecnologie ci permettono
di incidere pesantemente nelle riserve e negli equilibri della terra.
Limitarci oggi per amore del futuro: ne siamo capaci? A volte pare che la
nostra coscienza morale sia troppo debole per gestire la complessità
delle tecnologie e del futuro. Siamo chiamati ad una responsabilità che
finora abbiamo disatteso. I cristiani sono invitati a offrire questo
"supplemento" d'anima al mondo contemporaneo.
AGIRE DA CONCREATURE
Siamo creature, ma non le uniche presenti
nell'universo. L'uomo spesso si sente padrone della terra: creatura sì,
ma comunque sempre la prima, con un potere dispotico sul resto, "per
volere di Dio". Fondare tale pretesa sul già citato versetto di
Genesi 1,28 è errato: la Bibbia va letta in modo complessivo e
contestualizzato. Nel capitolo secondo della Genesi (2,15) infatti il
testo utilizza altri termini: Dio pone l'uomo nel giardino di Eden perché
lo coltivi e lo custodisca. Si tratta di antichi racconti non storici né
scientifici, ma simbolici: il giardino è la terra tutta, Adamo è
l'umanità, il paradiso terrestre non è la descrizione di un ipotetico
stato di grazia iniziale (mai esistito), ma di un progetto che per il
credente denota la volontà di Dio sul mondo. Agire da concreature
significa allora guardare ad ogni realtà con simpatia e amore. vivere un
etica della relazionalità e della cura, considerare la terra come nostro
padre ("patria"), sorella e madre. La cura per la terra
proibisce tutto ciò che induce sfruttamento e impoverimento:
l'inquinamento, la distruzione degli ecosistemi forestali e marini con la
conseguente diminuzione della biodiversità, l'occupazione selvaggia cui
sono sottoposti i suoli (cementificazione, cave, strade,
desertificazione), il consumismo che spreca quantità enormi di risorse
energetiche e biologiche.
Un approccio nuovo, in questo contesto, merita l'etica animalista. Anche
gli animali, insieme con tutti i viventi, sono creature come noi. In
particolare la nostra attenzione è attratta da quegli animali che ci
assomigliano di più, cioè quelli che sanno soffrire e gioire,
soprattutto i mammiferi (cani, equini, bovini). Dobbiamo chiederci se, ad
esempio, negli allevamenti è assicurato il benessere animale, se in certi
casi lo sfruttamento non sia eccessivo (nel lavoro, nella produzione di
latte e di carne), se gli animali non vengano usati per scopi puramente
utilitaristici senza sufficiente rispetto (nei circhi, nelle
sperimentazioni, nella compagnia).
La concreaturalità vale, ovviamente, con speciale intensità per le
persone. Apparteniamo tutti alla medesima famiglia umana. Questo è
accettato (quasi) da tutti in linea di principio, ma in pratica viviamo in
un mondo scandalosamente e colpevolmente fratturato. Esso avrebbe risorse
(cibo, acqua, salute, istruzione) sufficienti per tutti, ma non le
distribuisce equamente, con gravi conseguenze anche sul versante
dell'etica ecologica. Vi è uno stretto legame tra giustizia ed ecologia.
La povertà strutturale e degradante (non quella evangelica!) di molti
Paesi del Sud del mondo provoca disastri ecologici: inquinamento (ad
esempio, nel delta del fiume Niger), disboscamento delle foreste,
discariche tossiche senza controlli, uso indiscriminato di pesticidi e
insetticidi. Lottare per la giustizia favorisce anche gli equilibri
ambientali.
AGIRE DA CONCREATORI
È vero che non siamo creatori, ma
creature: tuttavia Dio ha voluto associarci nella sua opera di creazione.
Se la creazione avviene ora, essa non è ancora finita: sta compiendosi,
attraverso i meccanismi naturali dell'evoluzione che la scienza ci
illustra e attraverso i meccanismi culturali del progresso umano. Natura e
cultura sono le due facce di una medesima storia cosmica e umana che, per
il credente, manifestano l'opera creatrice di Dio.
La caratteristica principale del creato così come Dio lo vuole è la
"bellezza". Per ben sette volte nel primo racconto biblico della
creazione (Genesi 1) il testo ripete che l'opera di Dio è "bella /
buona". Creare con Dio significa quindi rendere il mondo bello. Come?
L'umanità ha a sua disposizione un mezzo formidabile: il lavoro,
soprattutto se aiutato dalle tecnologie.
Il significato più profondo del lavoro consiste nel progettare e
costruire un mondo bello. La bellezza deve diventare sempre più un
criterio etico di riferimento. Non si lavora, primariamente, per
guadagnare e mantenere se stessi e la famiglia; si lavora per creare con
Dio, cioè per rendere il mondo bello. Mai, probabilmente, come in questo
ambito, la realtà è lontana dall' ideale morale che la dovrebbe
ispirare. Al lavoro sono legati i concetti di fatica, di costrizione, di
sfruttamento delle persone e della natura: condizionamenti reali, ma che
non devono farci perdere di vista il suo profondo significato teologico di
collaborazione all'opera creatrice di Dio. I cristiani sono impegnati per
rendere davvero il lavoro, ogni lavoro, "creativo". Questo non
significa ignorare le problematiche economiche sottese all'ecologia. In un
mondo dominato dalla produzione, dal consumo e dallo spostamento delle
merci e dei capitali, l'ambiente naturale è spesso visto come una preda
da sfruttare e non uno scenario da perfezionare. Un fatto è certo:
siccome viviamo in un mondo limitato, l'attuale organizzazione economica
del mondo centrata su una crescita continua è irrazionale.
Si sta
preparando la catastrofe del mondo perché già ora consumiamo più
risorse di quante la terra ne produca. Bisogna fermarsi: non cercare più
il "progresso" nell'aumento delle merci, ma nella cultura, nei
servizi, nella giustizia e nella solidarietà. Alcuni economisti
propongono ormai senza mezzi termini modelli di "decrescita" (La
decrescita può salvare il pianeta, in Missione Oggi, agosto-settembre
2006).
Questo non significa "tornare al medioevo", come qualche critico
ripete, ma ritrovare il senso della misura e della bellezza nel progettare
il presente e il futuro del mondo. Le tecnologie sono indispensabili,
purché piegate a servizio di un progetto complessivo di razionalità e di
felicità, non invece subdole ispiratrici di una mentalità tesa solo al
consumo e allo spreco.
San Paolo in una splendida pagina della lettera ai Romani (8,18-27)
immagina un gemito universale che sale dall'umanità e dal cosmo, fatto
proprio dallo Spirito e presentato al Padre. È il gemito della preghiera,
ma anche della fatica nel partorire cose nuove e belle. Preghiera e fatica
che i cristiani non devono temere di assumersi, certi che lo Spirito le
farà proprie e ne assicurerà un felice compimento nella storia e
nell'eternità.
GABRIELE SCALMANA
Gabriele Scalmana nasce a Tremosine (BS) l'8
novembre 1945. Diviene prete nel 1970. Insegna Scienze naturali in
seminario e poi nelle scuole statali. Lavora quattro anni in Rwanda come
prete fidei donum. Ora si occupa di pastorale del creato nella diocesi di
Brescia.
Bibliografia
Enzo Biancbi, Le ragioni cristiane dell'ecologia,
San Liberale, Treviso 2003.
Alfons Auer, Etica dell'ambiente, Queriniana, Brescia, 1958.
Lorenzo Biagi (a cura di), L'argomentazione nell'etica ambientale,
Gregoriana, Padova 2002.
Compendio della dottrina sociale della Chiesa, cap. X "Salvaguardare
l'ambiente", Città del Vaticano 2004.
Per maggiori informazioni sul concetto di Creazione, sono utili i seguenti
articoli nei dizionari teologici:
Giuseppe Tanzella Nitti - Alberto Strumia (a cura di), Dizionario
interdisciplinare di Scienza e Fede, Città Nuova, Roma 2002;
Michael Roseoberger, Dizionario di Spiritualità del Creato, Dehoniane,
Bologna 2006.
Sìmone Morandini, Teologia ed ecologia, Morcelliana, Brescia 2005.
Leonardo Boff, Il creato in una carezza. Verso un'etica universale:
prendersi cura della Terra, Cittadella, Assisi 2000.
Il modello etico della paternità - maternità - sororità della terra è
stato ripreso da Edgar Morin, ad esempio in E. Morin - A. B. Kern, Terra -
Patria, Raffaello Cortina, Milano 1994
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