Come tutti abbiamo potuto constatare
di persona in quest'inverno insolitamente mite, l'aumento di temperatura
del nostro pianeta sta diventando un fenomeno sempre più inquietante.
Secondo le previsioni elaborate dall'Organizzazione mondiale per la
Sanità (Oms) all'inizio di gennaio, sulla base delle tendenze attuali dei
consumi energetici, la temperatura media potrebbe da qui al 2070 aumentare
da un minimo di 2,2 gradi ad un massimo di 3. Nel primo caso si avrebbe un
aumento del numero di morti pari a 36.000 l'anno che diventerebbero 86.000
nel secondo caso. Già oggi le concentrazioni di polveri sottili e ozono
che il calore "intrappola" sopra le grandi città causa circa
9.000 morti l'anno, solo in Italia: è stato calcolato che ogni 10
microgrammi d'incremento dell'ozono nell'aria si avrà una crescita della
mortalità pari al 0,3%. Inoltre da qui al 2070 si avrà un aumento
sensibile delle alluvioni che coinvolgeranno oltre 15 milioni di persone.
L'aumento della temperatura provocherà anche l'incremento delle malattie
causate da microrganismi come la salmonellosi: per ogni grado d'aumento di
temperatura si avrà un aumento di malattie infettive dal 5 al 15%. Anche
in provincia di Brescia sono ben 24 i complessi industriali che emettono
quantità di inquinanti superiori ai limiti stabiliti dall'Unione europea:
l'elenco completo è stato pubblicato da Bresciaoggi il 12 gennaio
2007 a pag. 21. Si potrebbe continuare a lungo con questi dati sicuramente
preoccupanti per le sorti del nostro pianeta. Sempre più l'opinione
pubblica diviene consapevole della necessità di cambiare, anche nello
stile di vita quotidiana, se si vuole evitare il peggio: l'interesse per
le problematiche ecologiche non è più ristretto a pochi esperti o alle
persone particolarmente coinvolte, ma sta divenendo parte della cultura
comune e diffusa.
Anche la Chiesa ha avviato da anni una riflessione sull'importanza della
salvaguardia del creato, a partire dalle riflessioni di Giovanni Paolo
II che già quindici anni fa scriveva: "…alla radice
dell'insensata distruzione dell'ambiente naturale c'è un errore
antropologico, purtroppo diffuso nel nostro tempo. L'uomo, che scopre la
sua capacità di trasformare e, in un certo senso, di creare il mondo con
il proprio lavoro, dimentica che questo si svolge sempre sulla base della
prima originaria donazione delle cose da parte di Dio. Egli pensa di poter
disporre arbitrariamente della terra, assoggettandola senza riserve alla
sua volontà, come se essa non avesse una propria forma e una propria
destinazione anteriore datale da Dio, che l'uomo può, si, sviluppare, ma
non deve tradire. Invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio
nell'opera della creazione, l'uomo si sostituisce a Dio e così finisce
col provocare la ribellione della natura, piuttosto tiranneggiata che
governata da lui." (Centesisimus Annus, 1991, n.37).
A livello diocesano opera da anni un Ufficio per la pastorale del Creato,
e proprio il responsabile di questo settore, don Gabriele Scalmana,
ha recentemente pubblicato un importante contributo su questo tema: mi
riferisco allo scritto La riconciliazione con la natura,
pubblicato sui Quaderni teologici 2006 del seminario diocesano, che
rappresenta una chiara e profonda sintesi del punto di vista cristiano sui
rapporti tra uomo e natura. Don Gabriele ricorda come ancora nel 1930 il
grande fisico Robert Andrews Millikan (1868-1953, Nobel per la
fisica nel 1923) affermava l'impossibilità che un sistema così esteso
come la terra potesse essere compromesso dall'attività del genere umano.
Ma lo sviluppo incessante delle tecnologie di sfruttamento dei
combustibili fossili, delle materie prime, delle risorse biologiche ha
mutato in pochi decenni lo scenario mondiale e a partire dal 1970 la
comunità scientifica internazionale si sta interrogando con
preoccupazione sulle conseguenze di uno sviluppo economico sempre più
impetuoso e non rispettoso dell'ambiente naturale. Don Gabriele non manca
di notare che secondo alcuni intellettuali una parte della responsabilità
in questo stato di cose è anche della concezione cristiana secondo la
quale la natura è stata creata da Dio per l'uomo. Ma precisa: "La
riflessione cristiana ha chiarito che la persona umana rimane al centro
dell'interesse del credente, ma non col ruolo di "dominatrice"
(Dio resta sempre il "padrone" di tutto), bensì di
amministratrice premurosa dei doni di Dio, in relazione necessaria e
solidale con tutto il creato". Non solo, ma la natura è divenuta
infine un "principio ermeneutico" fecondo per un pensare
teologico ed etico originale che ha dato origine alle cosiddette
eco-teologie e che stimola tutti i credenti a non trascurare questi
problemi. Di fatto, sia i politici sia gli ecologi si rendono sempre più
conto dell'importanza delle religioni, compreso il cristianesimo, nella
soluzione dei problemi ambientali contemporanei.
Se la prospettiva teologica cristiana tende alla riconciliazione
universale e se, al contrario, viviamo in un mondo conflittuale, il
compiuto del cristiano consiste nello stabilire relazioni felici,
ricostituire gli equilibri infranti, ridare valore e dignità alle cose
offese dal consumismo e dallo spreco. Giovanni Paolo II non ha esitato a
parlare di "conversione ecologica": "Occorre, perciò,
stimolare e sostenere la conversione ecologica, che in questi ultimi
decenni ha reso l'umanità più sensibile nei confronti della catastrofe
verso la quale si stava incamminando. L'uomo non più "ministro"
del Creatore, ma autonomo despota, sta comprendendo di doversi finalmente
arrestare davanti al baratro".
Anche la Dichiarazione congiunta di Giovanni Paolo II e del Patriarca
Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I (10 giugno 2002)
ribadisce: "Occorre un atto di pentimento da parte nostra, ed il
rinnovato tentativo di considerare noi stessi, di considerarci l'un
l'altro, e di considerare il mondo che ci circonda, nella prospettiva del
disegno divino della creazione. [… Occorre] un cambiamento quanto più
possibile radicale, che potrà indurci a cambiare il nostro stile di vita,
ed i nostri insostenibili modelli di consumo e di produzione. Una genuina
conversione in Cristo ci permetterà di cambiare i nostri modi di pensare
e di agire".
Don Scalmana distingue quattro ambiti di conversione: rivivere il lavoro
come riconciliazione e bellezza, la cura della terra, coniugare natura e
giustizia e infine la contemplazione.
Per ragioni di spazio non mi è possibile ricostruire le interessanti e
stimolanti riflessioni di don Gabriele su questi quattro argomenti. Chi
fosse interessato può leggere il testo di don Scalmana sul
Sito
internet della parrocchia
cliccando poi su "Salvare il
creato"
Il testo di don Gabriele è
anche ricco di riferimenti bibliografici per approfondire l'argomento.
Maurilio Lovatti
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