Domani mattina alle ore 9 nell'aula magna
dell'istituto Tartaglia in via Oberdan si svolgerà il Convegno su
"La ricostruzione post-bellica a Brescia dal 1945 al 1953",
organizzato nell'ambito del maggio culturale. Sono previste relazioni
sulla realtà politica, sindacale, culturale, urbanistica.
Pubblichiamo in questa pagina alcuni stralci dalla relazione sulla
"ricostruzione edilizia", che possono costituire un punto di
riferimento per il dibattito oltrechè una informazione per il lettore su
una materia, che riteniamo di particolare interesse.
Dalla fine della seconda guerra mondiale al 1954,
anno in cui viene redatto e adottato un piano regolatore generale (che
verrà poi respinto dal Ministero dei Lavori Pubblici), la situazione
urbanistica di Brescia vive una sorta di periodo di transizione, che
precede la fase di rapida e tumultuosa espansione della città negli anni
del boom economico. Si tratta del cosiddetto "periodo della
ricostruzione", periodo estremamente importante perché proprio in
questi anni si compiono scelte che caratterizzano il tipo di sviluppo
urbano che successivamente si verrà a determinare, ma nonostante ciò
trascurato spesso e volentieri da chi si è occupato della storia
urbanistica della nostra città.
Dal quaderno del "Bruttanone" alla relazione alla variante al
piano regolatore, del '73, questo periodo è trattato alquanto
sommariamente (basti pensare che sulla relazione della variante '73 si
cita il dato completamente errato di 5172 case totalmente distrutte dai
bombardamenti (confondendo evidentemente case con vani), mentre in realtà
queste ultime furono solo 135, come risulta molto chiaramente dai rilievi
eseguiti dal Genio Civile).
A giudicare poi dal luogo, ove la documentazione relativa al piano di
ricostruzione giaceva (l'enorme e tetro archivio sotterraneo comunale di
Piazza della Vittoria) e dalla polvere che lo ricopriva, si è indotti a
pensare che da allora, nessuno lo abbia più ripreso in mano. Il piano di
ricostruzione era uno strumento intermedio tra piano regolatore generale e
piano particolareggiato ed era regolato da una serie di leggi emanate
"ad hoc" per la ricostruzione (in particolare il decreto
luogotenenziale n. 154 del marzo del 1945). Nel caso di Brescia il piano
di ricostruzione fu soggetto ad alterne vicende, che presentano aspetti
quasi paradossali, e che avremo occasione di esporre più dettagliatamente
nel convegno di sabato.
Il piano di ricostruzione della città di Brescia, che riguardava
solamente il centro storico, compreso nel perimetro delle mura venete,
oltre alla zona della stazione ferroviaria, piazzale Cremona, piazzale
Roma, doveva essere conforme al piano regolatore del 1929, che riguardava
soltanto una limitata porzione del centro storico, mentre il piano del
1941 non era vincolante in quanto solo adottato, ma non approvato.
La logica che permeava tutto il piano, era quella dell'emergenza che, pur
scaturendo da una situazione reale, verrà spesso strumentalizzata per
consentire qualsiasi tipo di ricostruzione e di nuove costruzioni, come
abbiamo cercato di documentare nella relazione per il convegno sulla
ricostruzione. Purtroppo non è possibile riferire in questa sede né le
caratteristiche del piano né il singolare dibattito che si svolse in
Consiglio comunale nella seduta del marzo del 1949, in occasione della
seconda approvazione del piano.
Particolarmente significative sono le vicende di alcune zone come Canton
Stoppini ed il piazzale antistante la Stazione, con le relative istanze di
opposizione presentate dai privati. Tutto il dibattito che si svolge sul
piano è emblematico di una notevole impreparazione dei consiglieri
comunali, che, unita alla preoccupazione di non ostacolare in alcun modo
la ricostruzione degli edifici bombardati, porterà allo sviluppo
disarmonico e talvolta alienante della nostra città.
Anche fuori dal centro, e quindi a prescindere sia dalla normativa del
piano di ricostruzione sia del piano regolatore del '29, gli interventi
ormai segnano l'inizio di un processo di sviluppo storico distorto e
irrazionale, che costituirà la base di partenza per la futura espansione
cittadina. Sono di questi anni gli interventi dell'istituto Case Popolari
(oggi Iacp) che costruisce abitazioni in aperta campagna, in zone
completamente prive di servizi, di strade asfaltate, di illuminazione, di
scuole, obbligando il Comune a dispendiose "rincorse" con le
opere di urbanizzazione e soprattutto facendo lievitare enormemente il
valore delle aree poste tra il centro ed i nuovi insediamenti, aree sulle
quali sorgeranno imponenti complessi privati negli anni successivi.
Anche la politica delle infrastrutture segue oggettivamente questa logica:
si compiono in quegli anni due scelte fondamentali per lo sviluppo
cittadino: la galleria del Castello ed il Cavalcavia Kennedy. La prima
venne realizzata trasformando il rifugio antiaereo costruito nel '43 che,
tramite i suoi cinque accessi dalle diverse zone della città, poteva
accogliere, in poco tempo, fino a trentamila persone.
Il Cavalcavia di via Saffi invece verrà completato solo nei primi anni
'60, ma l'idea di realizzarlo risale ancora a prima della guerra, anche se
fu formalizzata con il piano regolatore del '41. In questi anni comunque
si compie la scelta decisiva, includendo nel piano di ricostruzione
l'allargamento di via Saffi, finalizzato alla realizzazione dell'opera. In
questi anni l'edilizia svolge un ruolo determinante nel processo di
accumulazione di capitale: per sua caratteristica l'industria edilizia
costituisce il volano della ripresa economica del dopoguerra. Si tratta di
una tendenza generale presente in tutta Italia anche se a Brescia
assumerà caratteristiche particolari.
Di eccezionale interesse è, nel processo complessivo, la funzione
oggettivamente svolta dagli interventi di edilizia pubblica.
I quartieri di via Filzi, via Lamarmora, via Chiusure, non vanno letti
come necessità impellenti alla forte richiesta di case ma come veri e
propri capisaldi miranti ad allargare il confine dell'area urbana e ad
innescare l'inevitabile processo di rivalutazione dei terreni. Emerge
così la funzione di propulsore, di stimolo, dell'edilizia pubblica nei
confronti della proprietà fondiaria, allora ancora dubbiosa
nell'impegnarsi in grandi avventure, ma che ben presto riacquisterà
fiducia in se stessa e nelle proprie capacità.
Brescia assume dunque l'immagine di una città ancora chiusa in se stessa,
ma che pone le basi per una futura proiezione dei suoi confini su di una
scala territoriale più vasta, processo che prenderà piede con più
chiarezza e vigore verso la fine degli anni '50. Anche la maglia stradale
esistente testimonia questa realtà: le strade del centro, ancora in
massima parte in acciottolato, vengono asfaltate nel 1951 con successivi
lotti di lavori; le zone di Campo Marte, Porta Venezia, Porta Milano,
ancora indefinite, nel loro reticolo topografico urbano interno,
prenderanno forma e consistenza con la posa delle fognature e le
successive asfaltature delle trasversali principali (anni 51-53).
All'esterno di questo, gli interventi di edilizia pubblica episodicamente
collegati con i principali assi viari cittadini, rappresentano i futuri
poli intermedi di un processo di riunificazione delle frazioni esterne con
l'antico nucleo cittadino: le case di via Filzi, l'ospedale nuovo, tappe
obbligate di ricongiungimento con Mompiano, il quartiere di via Chiusure
come negazione della barriera naturale del fiume Mella, l'asse
cavalcavia-Lamarmora punta avanzata per la conquista della pianura
meridionale.
Aldo Di Gennaro
Dario Dominico
Maurilio Lovatti
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