L'esperienza storica dei
consigli di quartiere a Brescia
Maurilio
Lovatti
Delineo brevemente alcuni cenni storici sullo sviluppo
del movimento dei consigli di quartiere a Brescia, cercando di individuare
alcune caratteristiche di questa esperienza di partecipazione e
decentramento. Il periodo considerato va dal 1967 al 1978, anno in cui il
Consiglio comunale di Brescia nominò i consigli di Circoscrizione sulla
base della legge 278 sul decentramento amministrativo dell'aprile del
1976; nel 1980 le Circoscrizioni furono elette a suffragio universale per
la prima volta nella nostra città.
L'arco temporale 1967-1978 può essere diviso in due periodi: dal 1967 al
1972 abbiamo la fase "spontanea" dei consigli di quartiere, dal
1972 al 1978 la fase istituzionalizzata. Le principali informazioni sulla
storia dei consigli di quartiere sono tratte dal libro Governare la città
del 1978 (1).
Prima del 1967, l'organizzazione di gruppi di cittadini per sollecitare la
soluzione di specifici problemi del quartiere particolarmente sentiti,
invece, avvenne frequentemente già negli anni 1965-66 (Borgo Trento, S.
Bartolomeo, S. Polo, Mompiano, Villaggio Prealpino). Ma furono tutte
esperienze brevissime, legate alla singola rivendicazione, che non ebbero
continuità e non affrontarono globalmente i problemi del quartiere.
Le prime esperienze di movimento a livello di quartiere iniziarono intorno
al 1967, in zone di periferia come Lamarmora, Folzano, Chiesanuova, S.
Polo, Mompiano, zone con problemi di disgregazione e isolamento dal
tessuto culturale e civile della città. Furono esperienze del tutto
spontanee e spesso si spensero perché, isolate dal contesto più generale
della città, non riuscirono a costituire momenti di reale confronto con
l'amministrazione comunale, la quale non procedette, nonostante le
sollecitazioni provenienti da quei quartieri e da alcune forze politiche e
sociali, al pur minimo atto di sostegno se non di riconoscimento.
Il primo gruppo di cittadini che si costituì pubblicamente come
"comitato di quartiere", fu quello di S. Polo, con un volantino
del 26 gennaio 1967. La prima iniziativa fu una tavola rotonda, tenuta il
primo febbraio sui problemi della frazione, con la partecipazione degli
assessori ai lavori pubblici e all'urbanistica. Nello Stesso periodo si
costituì il comitato di quartiere a Mompiano. Alla prima assemblea, il
27-3-'67, parteciparono circa 200 persone. Problemi trattati: scuola
media, aree verdi e viabilità.
La "spontaneità", per quanto riguarda la composizione, i temi
di discussione e le modalità di riunione di questi comitati promotori,
non ha significato l'esclusione dei militanti di forze politiche
organizzate. Una delle caratteristiche dell'esperienza bresciana è stata,
anzi, il singolare intreccio tra spontaneità e coscienza politica che in
essa si è venuto a determinare.
Militanti dei partiti della sinistra e cattolici, soprattutto aclisti, vi
diedero un grande apporto e contribuirono in maniera decisiva alla
trasformazione dei "gruppi di discussione" in "comitati
promotori dei consigli di quartiere". PCI, PSIUP, ACLI, le forze che
si manifestarono più sensibili a quanto di nuovo avveniva nella società,
compresero come da uno sviluppo spontaneo e non codificato fin dalle fasi
iniziali, potesse derivare un vero salto di qualità nel governo della
città e nuova linfa, nuovo vigore per le loro stesse organizzazioni, per
il loro modo di far politica.
Il punto cruciale della discussione, sia nei comitati promotori sia nelle
assemblee, fu quello del metodo di elezione dei consigli, che dovevano
subentrare a queste prime forme di partecipazione. Due furono le soluzioni
adottate: in alcuni quartieri l'elezione diretta da parte dell'assemblea,
in altri l'elezione a suffragio universale.
Alla fine del 1970 erano già operanti cinque quartieri, in altri quattro
erano imminenti le elezioni, in otto vi erano forti movimenti di
partecipazione (2). Un dato politicamente significativo fu la volontà
unitaria, che si manifestò ovunque attraverso la presentazione di liste
unitarie.
Elezioni autogestite in assemblea si fecero in quartieri come Borgo Trento
il 17.11.1970, Mompiano il 20.11.1970, S. Eufemia il 20.11.1970, Urago il
4.12.1970; elezioni a suffragio universale, con la partecipazione di 1700
cittadini, si tennero a Chiusure, in quattro turni nei diversi rioni, da
febbraio a maggio del 1971.
Negli anni fra il '70 e il '72, l'iniziativa sul piano organizzativo (il
ruolo dell'assemblea di quartiere e la ricerca di forme di coordinamento
fra quartieri) e sui piano istituzionale, cioè la battaglia per un
riconoscimento da parte del Comune che non ledesse l'autonomia, fu
nettamente prioritaria, rispetto a problemi di contenuto della politica
cittadina, e portò al risultato, nel luglio del '72, del riconoscimento
formale dei quartieri da parte dell'amministrazione comunale.
Ben presto in realtà nel movimento si precisarono due linee a proposito
del rapporto con l'ente locale; i sostenitori della prima, che concepivano
i quartieri quali strumenti di pressione nei confronti
dell'amministrazione, non ritenevano che il rapporto dovesse essere
formalizzato, pena la perdita della caratteristica fondamentale dei nuovi
organismi, cioè l'autonomia. Tale impostazione, rimasta fortemente
minoritaria, e nel corso della vicenda sconfitta, era decisamente in
contraddizione con l'esigenza da tutti avanzata di un reale potere nella
formazione e nella gestione delle scelte del Comune. Questa esigenza
trovava sbocco, in sostanza, in una "seconda linea" che, senza
voler rinunciare minimamente a tutto il patrimonio di autonomia
conquistato nei quartieri, chiedeva che a questi fosse riconosciuto un
peso effettivo all'interno del Comune, impostando un lavoro articolato e
preciso affinché il riconoscimento non si traducesse nello svuotamento
dei caratteri positivi dell'esperienza partecipativa.
La creazione di un comitato di coordinamento fra i quartieri - avvenuta
nel giugno del 1971 di fronte all'esigenza di scambio di esperienze fra i
vari consigli, sia tramite lo scambio di documenti, sia attraverso
riunioni congiunte di commissioni specifiche per problemi - fu un passo
ulteriore sul terreno della costruzione di una presenza nuova nel tessuto
sociale e politico della città. L'assemblea generale dei consigli di
quartiere, in data 5 giugno '71, chiese un "immediato riconoscimento
ufficiale" sulla base di un documento in cui, dopo l'affermazione che
riconoscimento non doveva significare regolamentazione del comportamento e
delle decisioni del consiglio - si chiedeva:
" 1) il Comune prenda atto dei principi che ispirano gli attuali
regolamenti e statuti che i consigli - per mezzo delle assemblee - si sono
dati;
2) di concordare con i consigli di quartiere le delimitazioni delle aree
in cui operano i consigli stessi;
3) di fornire ai consigli i mezzi e gli strumenti per poter espletare il
loro ruolo. In particolare le sedi per le riunioni del consiglio di
quartiere e per le assemblee di quartiere. A questo proposito l'assemblea
chiede l'immediata messa a disposizione di aule delle scuole elementari e
medie - ivi compresa l'aula magna -".
Il consiglio comunale approvò la delibera di riconoscimento dei consigli
di quartiere il 28.7.72, con voto favorevole da parte di tutti i partiti
del centro-sinistra (tranne il PSDI che si astenne) e con l'astensione del
PCI. Anche i liberali votarono a favore, mentre il MSI contro.
Le attribuzioni conferite ai consigli (titolo IV della delibera), erano
così stabilite:
"a) esame e proposte in ordine ai problemi comunali riguardanti
direttamente il quartiere, in relazione alla situazione generale del
Comune, al bilancio comunale e agli indirizzi programmatici
dell'amministrazione;
b) esame e proposte sull'espletamento dei servizi comunali e delle
attività relative che abbiano diretto riferimento alle esigenze della
popolazione residente nei singoli confini territoriali;
c) proposte per studi e ricerche interessanti il quartiere;
d) esame e parere, dietro richiesta dell'amministrazione, su problemi
riguardanti il quartiere. I provvedimenti dell'amministrazione che
disattendono in tutto o in parte le proposte ed i pareri espressi dai
consigli di quartiere, per quanto indicato al presente punto IV) devono
indicarne i motivi".
Le elezioni a suffragio universale, con l'estensione del diritto di voto
ai diciottenni, previste dalla delibera di riconoscimento dei quartieri
del 1972 (nonostante la maggiore età fosse per legge stabilita a 21 anni
fino al 1974) si svolsero in sei tornate elettorali fra il giugno 1973 e
novembre 1974. In tutto furono eletti 30 consigli di quartiere, di cui 11
con popolazione inferiore ai 5000 abitanti, 11 con popolazione compresa
fra 5.000 e 10.000 abitanti e 8 con popolazione superiore ai 10.000
abitanti.
I piccoli quartieri, quelli cioè con popolazione inferiore ai 5.000
abitanti sono 11 e precisamente: Folzano, Fornaci, Bettole Buffalora,
Caionvico, S. Bartolomeo, S. Eufemia, S. Polo, Casazza, Villaggio Badia,
Violino, 1° Maggio.
I quartieri medi, quelli con popolazione da 5.001 a 10.000 abitanti, sono
pure 11, e precisamente: Porta Milano, Don Bosco, Fiumicello, Lamarmora,
Mompiano, Villaggio Prealpino, Chiesanuova, Villaggio Sereno, Centro
Storico Sud, S. Rocchino Costalunga, Crocifissa di Rosa.
I grandi quartieri, con popolazione superiore ai 10.000 abitanti, sono i
seguenti 8:
Brescia Antica, Borgo Trento, Centro Nord, Chiusure, Porta Cremona, Porta
Venezia, Urago Mella, S. Eustacchio.
Vi sono quindi rilevanti differenze nella popolazione dei quartieri, che
però riflettono la storia delle singole comunità locali: si va dai
17.308 abitanti del quartiere di Porta Cremona - Volta, ai soli 1.277 di
Folzano, frazione periferica che ha una sua ben precisa identità.
La lista unica era obbligatoria, in realtà, solo se preventivamente
approvata dalla assemblea preelettorale del quartiere, con la presenza di
almeno il 6% degli elettori e con la maggioranza qualificata di quattro
quinti dei presenti. Diversamente erano possibili liste diverse. In caso
di lista unica si potevano esprimere preferenze fino ad un quarto del
numero dei consiglieri da eleggere. In caso di più liste, vigeva il
sistema proporzionale, con al massimo quattro preferenze individuali.
Benché il quorum del 6% sia stato raggiunto solo in pochi quartieri, in
tutti si è votato con lista unica.
A seconda della percentuale più o meno elevata dei votanti, si possono
suddividere i quartieri in tre classi:
I classe: quartieri che hanno avuto una percentuale di votanti superiore
al 50%. Si tratta di 8 quartieri, e precisamente: Villaggio Badia,
Violino, Caionvico, Fornaci, Chiesanuova, 1° Maggio, Folzano, Bettole
Buffalora.
II classe: quartieri che hanno avuto una percentuale di votanti compresa
tra il 25% e il 50%. Si tratta di 15 quartieri, e precisamente: Casazza,
Don Bosco, Porta Milano, S. Rocchino Costalunga, Villaggio Sereno,
Villaggio Prealpino, Fiumicello, Crocifissa di Rosa, S. Polo, Porta
Cremona, Urago Mella, Centro Storico Sud, S. Eustacchio, Porta Venezia,
Centro Nord.
III classe: quartieri che hanno avuto una percentuale di votanti inferiore
al 25%. Si tratta di 7 quartieri, e precisamente: Chiusure, Lamarmora, S.
Bartolomeo, S. Eufemia, Borgo Trento, Mompiano, Brescia Antica.
Il periodo di validità della delibera del '72 scadeva alla fine di
novembre del '74, contemporaneamente all'elezione a suffragio universale
degli ultimi consigli di quartiere. Tuttavia la consultazione della
commissione consiliare al decentramento con i quartieri in vista del nuovo
regolamento iniziò solo nel 1975.
La prima riunione della commissione consiliare al decentramento con i
quartieri, sull'assetto definitivo da dare agli stessi, si tenne il 5
febbraio '75. In questa occasione i rappresentanti dei quartieri
concordarono con un documento, presentato dal consiglio di Crocifissa di
Rosa, in cui si proponeva, invece di una nuova delibera, una modifica
all'ultima parte di quella del '72, quella parte cioè relativa alle
attribuzioni dei consigli. In tale documento si chiedeva che i quartieri
fossero obbligatoriamente consultati sui bilanci e sui piani comunali e su
tutte le questioni attinenti il quartiere, in termini non vincolanti per
l'amministrazione comunale la quale, comunque, avrebbe dovuto indicare le
motivazioni di eventuali provvedimenti contrari ai pareri espressi.
Sebbene la commissione al decentramento accettasse in sostanza le proposte
dei quartieri e su tale base formulasse in seguito una ipotesi di nuova
delibera, la Giunta nominò un proprio gruppo di lavoro, per mediare, si
disse, fra le indicazioni della commissione e quelle risultanti da un
documento, di fatto contrapposto, che fu allora presentato dal PSI. Ma il
gruppo di lavoro languiva e i tempi divennero estremamente ristretti,
prossimi come si era alle elezioni amministrative. Solamente la presa di
posizione di 38 consiglieri di quartiere, in gran parte aclisti (14 marzo
1975) e l'opera di pressione tenace svolta dall'assessore al decentramento
Battista Fenaroli, insieme all'impegno dei comunisti all'interno della
commissione al decentramento, permisero finalmente e in grave ritardo di
giungere ad una ipotesi di delibera da far esaminare ai quartieri. La
proposta della Giunta manteneva inalterate alcune caratteristiche di fondo
dell'esperienza dei quartieri, quali il numero dei quartieri (30), la
durata in carica (due anni), il ruolo dell'assemblea. Questa posizione fu
assunta anche grazie alla rigorosa difesa delle richieste dei quartieri e
in particolare dei "38" svolta in Giunta dall'assessore al
decentramento Fenaroli. Ma i quartieri riscontravano anche molti aspetti
negativi nella proposta di regolamento. Nel giro di pochi giorni si
riunirono tutti i consigli e proposero numerosi emendamenti. Il 4 aprile
il coordinamento cittadino dei consigli di quartiere raccolse tutti gli
emendamenti emersi, compresi quelli del gruppo "dei 38", in un
documento. Si chiedeva la consultazione preventiva per le licenze
edilizie, la deliberatività delle assemblee di quartiere, l'eliminazione
di molte norme burocratiche relative alla vita interna dei consigli di
quartiere, l'introduzione dello statuto di quartiere, la modifica di
alcune procedure di consultazione, specie sui bilanci annuali del Comune.
Queste proposte trovarono l'unanime consenso di tutti i consiglieri di
quartiere. Dopo un ulteriore incontro con la commissione consiliare al
decentramento in cui i rappresentanti dei quartieri, il 15 aprile 1975,
riaffermarono queste richieste, che furono in gran parte accolte, il
consiglio comunale approvò, il 30 aprile, la nuova delibera. Votarono a
favore gli esponenti di tutti i partiti, salvo quelli della destra
liberale e missina.
Una caratteristica rilevante del movimento dei quartieri a Brescia può
essere rintracciata nel rifiuto, sempre consapevole, dei consigli di
quartiere di limitarsi ad una visione localistica o
"campanilistica" dei problemi della città, com'è dimostrato
dall'efficacia e vitalità dei momenti di coordinamento cittadino dei
consigli di quartiere, che non si limitarono ai temi relativi alle
modifiche del regolamento. In particolare molto significative furono le
esperienze di coordinamento sui temi del bilancio preventivo del Comune e
sul Piano regolatore. Il comitato di coordinamento dei consigli di
quartiere si strutturò in modo permanente dal 1973 e dal 26 settembre
1974 si articolò in commissioni (urbanistica, scuola e cultura, servizi
sociali, trasporti).
Per quanto riguarda la consultazione sul bilancio preventivo,
particolarmente significativa fu quella relativa al bilancio del '75
durata, dal settembre '74 al febbraio '75. Ciò per vari motivi; innanzi
tutto perché per la prima volta ci si è avvicinati, anche se
parzialmente, al metodo proposto dai consigli di quartiere. Inoltre, in
questo periodo il coordinamento cittadino dei consigli di quartiere
acquisì un'efficienza ed articolazione notevoli, in seguito mai più
raggiunte; infine, nella fase finale, si verificò un duro scontro fra
Giunta e quartieri. La proposta dei quartieri di discutere preventivamente
il bilancio, fu accolta dall'assessore al bilancio, il socialista Albino
De Tavonatti, nella riunione del 9 settembre del 1974.
Successivamente, il coordinamento cittadino dei consigli di quartiere si
riunì il 24 settembre, presso l'assessorato al decentramento, e approvò
all'unanimità la proposta di presentare all'assessore le seguenti
modalità di consultazione:
1) conferenza di tutti i consigli di quartiere sull'impostazione generale
del bilancio, sulla base di una relazione scritta dall'assessore fatta
conoscere preventivamente;
2) incontri fra assessori e gruppi di quartieri per raccogliere le
esigenze e le proposte dei vari quartieri;
3) elaborazione della bozza da parte della Giunta e relativo invio ai
quartieri per sentire i loro pareri;
4) discussione finale, possibilmente in consiglio comunale, aperto alla
partecipazione di rappresentanti di quartiere a titolo consultivo.
Questa scelta è molto simile a quella che sarà accolta dalla delibera
del 1975. Le commissioni cercarono di individuare una serie precisa di
priorità, sia il tipo di interventi da privilegiare nell'ambito di un
settore prioritario. Si riteneva non significativo stabilire ad esempio
l'assistenza quale priorità, se non si definiva contemporaneamente quale
tipo di intervento assistenziale si voleva. Le commissioni lavorarono dal
3 al 22 ottobre e presentarono le loro relazioni il giorno 24 al
coordinamento che le approvò. Nel frattempo, l'assessore al bilancio
aveva inviato, in data 10 ottobre, la relazione introduttiva per
l'assemblea richiesta dai quartieri. In questa relazione, dopo aver
sottolineato la positività della "partecipazione diretta e
preliminare dei consigli di quartiere" alla formazione del bilancio,
nell'indicare "gli indirizzi di sviluppo", si elencava una lista
di proposte di investimento e, indicando fra i 4 e i 5 miliardi la cifra
prevista per gli investimenti, si dava per scontata, senza porla in
discussione, la scelta del bilancio in pareggio.
Infine il 22 gennaio 1975, l'assessore trasmise ai quartieri la bozza di
bilancio, convocandoli in tre gruppi nelle sere del 3, 4 e 5 febbraio alla
Cavallerizza. I quartieri rimasero in gran parte insoddisfatti,
riscontrando che solo una piccola parte delle richieste avanzate era stata
accolta (3), ma se non altro venne sostanzialmente recepita
dall'Amministrazione la procedura di consultazione proposta dai quartieri,
che fu inserita nel regolamento del '75.
Per quanto riguarda il Piano Regolatore, la vicenda fu lunga e tormentata.
La richiesta di revisione del piano regolatore generale della città da
parte dei quartieri avvenne durante un'assemblea tenuta alla Cavallerizza
il 27 dicembre 1972. Occasione e spunto fu la vicenda, di rilievo
cittadino, delle servitù militari sulla Maddalena. Da mesi il problema
della concessione di una rilevante servitù alla NATO, sulla cima del
colle, era oggetto di polemiche sulla stampa dei partiti e sui giornali
locali.
L'assemblea cittadina venne indetta dai consigli di quartiere di Porta
Venezia e di Sant'Eufemia che invitarono l'amministrazione comunale ad
intervenire. Dal problema specifico il dibattito si allargò ai temi del
rapporto fra il Comune e lo Stato, sollevati dall'intervento
dell'assessore Bazoli che rappresentava la Giunta.
Da parte dei consiglieri di quartiere presenti si sottolineò il
contributo che dagli organismi della partecipazione poteva venire al
rafforzamento della battaglia contro le servitù militari e si chiese di
porre mano alla revisione del piano regolatore, facendovi attivamente
partecipare la cittadinanza.
Vigeva allora un piano regolatore approvato nel 1961, ma adottato dal
consiglio comunale fin dal lontano 1959, comunemente noto come
Piano-Morini. Si trattava di un pessimo piano regolatore. Infatti la
capacità insediativa corrispondente alle previsioni del piano risultava
incredibilmente enorme e sproporzionata (circa 800.000 abitanti). Di
conseguenza era lasciato ampio spazio all'uso indiscriminato del
territorio, mentre mancava qualsiasi inversione di tendenza rispetto alla
precedente normativa urbanistica, che aveva consentito la più selvaggia e
indiscriminata edificazione al di fuori di ogni programmazione.
Inoltre era previsto un rapporto bassissimo tra uso pubblico e uso privato
del territorio. La dotazione di aree vincolate era pari infatti solo a 3,4
mq/ab. e praticamente le aree disponibili all'uso residenziale coprivano
oltre l'80% del territorio comunale. Inoltre anche per le cosiddette
"aree agricole" erano consentiti indici di fabbricabilità che
oggi definiamo "urbani".
All'inizio di gennaio del 1973 si venne a conoscenza che l'assessorato
all'urbanistica stava studiando la variante al piano regolatore. La sera
del 25 gennaio, i rappresentanti dei consigli di quartiere, riuniti nel
coordinamento presso la saletta del vicolo Due Torri, chiesero
ufficialmente in visione la variante del PRG prima che questa fosse
adottata dal consiglio comunale.
Nella variante le previsioni di incremento demografico si fermavano a
540.000 abitanti, contro gli 800.000 del piano Morini vigente. I 3 metri
quadrati per abitante di aree per verde, scuole e servizi previsti in quel
piano, erano ora elevati ad almeno 18 metri quadrati. Per la
valorizzazione e conservazione del centro storico si faceva riferimento a
piani particolareggiati "da stabilire dopo gli studi e le discussioni
future".
La richiesta dei quartieri di conoscere il piano prima della sua adozione
fu accolta e il 29 marzo, in Loggia, l'ipotesi di variante al PRG,
preventivamente inviata ai quartieri, venne illustrata dall'assessore
all'urbanistica. Alcuni consigli di quartiere indicarono già in quella
sede alcune scelte e obiettivi che ritenevano irrinunciabili.
La maggior parte degli intervenuti (Chiusure, Violino, P. Venezia, S.
Eufemia, Prealpino e Mompiano) insistettero sulla necessità di
salvaguardare il verde e in modo particolare le colline; venne chiesto il
vincolo totale per S. Anna e la Maddalena e inoltre alcuni quartieri
chiesero vincoli per aree specifiche. Il quartiere Centro Nord chiese che
venisse tutelato il centro storico, bloccando speculazioni private e
impedendo l'espulsione degli abitanti meno abbienti e sottolineò la
necessità di piani particolareggiati di intervento. Rappresentanti di
vari quartieri affrontarono il tema di Brescia 2, chiedendo che, per la
parte di convenzione non ancora realizzata (circa i 2/3), venissero
ridotti gli indici di edificabilità e uniformate le clausole alle
prescrizioni della variante.
Durante il mese di aprile fu tutto un susseguirsi di riunioni dei vari
consigli di quartiere, anche se ovviamente non tutti i consigli furono in
grado di individuare rapidamente proposte alternative precise, soprattutto
in merito alle aree da vincolare. Inoltre non tutti i CdQ erano già
costituiti, per cui per alcune "zone" del piano non ci fu il
contributo dei quartieri. Anche il coordinamento dedicò due intere
riunioni alla variante del PRG: lunedì 9 e mercoledì 18 aprile 1973.
Benché ogni quartiere avesse sue richieste specifiche, si verificò
subito una convergenza generalizzata su alcune questioni di fondo.
Positiva fu la valutazione sul reperimento dei 18 mq/ab., anche se venne
criticato il fatto che tale indice era calcolato non per ogni quartiere,
ma sulla base di comprensori urbani più ampi, e quindi alcune zone molto
edificate avevano il "loro verde" relativamente lontano. Vasta
convergenza si verificò anche sulla necessità di salvaguardare le
colline e di tutelare il centro storico dalle ristrutturazioni
speculative. Un certo dibattito si sviluppò sul piano per l'edilizia
economica e popolare, che veniva discusso parallelamente alla variante del
PRG. Questo piano concentrava in un insediamento di 13.500 vani a S. Polo
i vari piani di zona che prevedevano edificazioni distribuite nella città
senza alcun criterio di intervento riformatore sui territorio. Si trattava
di un'ipotesi suggestiva perché consentiva al Comune di intervenire su
un'area vastissima, urbanizzarla, introdurvi vincoli, stabilire la
tipologia delle case da costruire, operare quindi un'azione pianificatrice
completamente nuova rispetto al passato. Evidentemente concentrare a S.
Polo la gran parte dello sforzo dell'amministrazione comunale per
l'edilizia economica significava per molti quartieri rinunciare ad
eventuali interventi per case popolari nelle rispettive zone. Ma la
capacità di superare tentazioni campanilistiche era ormai consolidata e
tutti i quartieri, dopo un attento esame, diedero la loro approvazione
all'ipotesi di S. Polo. Queste prese di posizione sull'edilizia economica
e popolare erano tanto più importanti se si considera che, proprio in
quei giorni, il sindaco Bruno Boni aveva pubblicamente espresso le sue
"perplessità" sull'ipotesi di S. Polo (dichiarazione del 10
aprile).
Il coordinamento del 18 decise di convocare un'assemblea generale di tutti
i consigli di quartiere per tirare le somme del dibattito sulla variante.
L'assemblea si svolse il 30 aprile. Dopo un ampio ed approfondito
dibattito venne discussa ed approvata all'unanimità questa mozione, che
tra l'altro proponeva il vincolo totale a verde pubblico attrezzato della
Collina di S. Anna (compreso il versante ovest); vincolo totale della
Maddalena e piano particolareggiato paesistico per la sommità, ponendo
anche un limite ristretto per l'altezza delle costruzioni; vincolo
paesistico per tutte le colline in attesa di piani particolareggiati da
concordare con i vari consigli di quartiere; il blocco delle aree non
ancora edificate per "Brescia 2" in attesa che venga definito un
nuovo piano particolareggiato che riveda gli indici di edificabilità; il
blocco delle licenze edilizie per il "centro storico" in attesa
della stesura del nuovo piano particolareggiato. Si chiedeva inoltre di
subordinare la costruzione di nuove strade di grande viabilità alle
esigenze degli insediamenti urbani esistenti in accordo con i consigli di
quartiere interessati e di esaminare ed eliminare le cause di inquinamento
in relazione agli insediamenti industriali vecchi e di nuova progettazione
in collaborazione anche con i Comuni limitrofi.
Il consiglio comunale discusse ed approvò la variante al PRG il 5.6.1973.
Nel documento approvato si esprimeva un giudizio positivo sul metodo della
consultazione preventiva con i consigli di quartiere e le organizzazioni
sindacali. Era un autorevole riconoscimento del ruolo positivo svolto dai
quartieri. Per quanto concerne le colline, l'obiettivo dei consigli di
quartiere era pienamente raggiunto per S. Anna e la Maddalena, mentre per
quanto riguarda il colle di S. Giuseppe veniva fatta salva la convenzione
di lottizzazione già stipulata e il vincolo riguardava solo la parte
residua. Per Brescia 2 si affermava l'impegno ad approvare rapidamente una
variante che riducesse la volumetria prevista. Il documento si pronunciava
inoltre per un'immediata acquisizione delle aree verdi vincolate.
Purtroppo questo importante impegno non si è tradotto poi in
corrispondenti stanziamenti nei bilanci preventivi degli anni successivi
('74, '75 e '76) e la realizzazione di parchi e giardini è stata molto
lenta, ma i risultati ottenuti sono ancora sotto gli occhi di tutti. Si
prendeva anche atto, nel documento approvato dal consiglio comunale, della
necessità di un rilancio delle attrezzature collettive e sociali che
capovolgesse le tradizionali carenze delle passate amministrazioni in
questo settore. Veniva ribadito l'impegno ad utilizzare le leggi per
l'edilizia economica e popolare (la 167 e la 865). Per quanto riguarda il
centro storico veniva accolto il principio di introdurre nella normativa
del piano severe norme di tutela al fine di impedire ristrutturazioni
private indiscriminate. Il documento approvato si concludeva con l'impegno
di far partecipare i consigli di quartiere alla gestione della variante
del PRG.
Pur considerato il mancato vincolo totale di S. Giuseppe (che fu una
rilevante sconfitta della volontà dei quartieri di salvaguardare il verde
e le colline) e di alcune aree di minore importanza, in contrasto con le
richieste di singoli quartieri, tuttavia le proposte avanzate dal
movimento dei consigli di quartiere erano state complessivamente accolte.
Una nuova revisione del piano regolatore generale della città si impose
quando una nuova legge urbanistica regionale (la n. 51 dell'aprile 1975)
prescrisse che gli standard delle aree vincolate per servizi e verde
pubblico passassero da 18 a 26,5 mq./ab. e fissò in un anno il periodo
massimo per adeguare i piani a tutte le norme della legge. Nell'assemblea
generale dei quartieri del 22 luglio indetta dal coordinamento cittadino
molti interventi richiamarono la necessità di un rapido adeguamento del
PRG.
A novembre (1975) si venne a sapere che nonostante le vacanze fossero
finite da quasi tre mesi e i tempi stringessero, l'assessorato non aveva
ancora iniziato a preparare la variante. Quasi tutti i consigli di
quartiere sottoscrissero un appello al Sindaco e all'assessore
all'urbanistica, proposto dal consiglio di S. Eustacchio, che diceva:
"I sottoscritti consigli di quartiere chiedono che la presentazione
ai consigli della proposta di variante al PRG per l'adeguamento alla legge
urbanistica regionale avvenga entro la prima metà del gennaio 1976, ciò
per poter iniziare sollecitamente la consultazione fra consigli e Giunta e
lasciare quindi un congruo lasso di tempo prima di giungere alla
definitiva approvazione della variante entro l'aprile 1976, termine
tassativamente previsto dalla legge regionale e ribadito dall'accordo fra
i partiti dell'arco costituzionale. Nonostante ciò la consultazione con i
quartieri iniziò solamente in marzo e fu caratterizzata da una lentezza
esasperante. Secondo le intenzioni espresse dall'assessore, ai quartieri
sarebbero dovuto essere presentati, in fasi successive, vari aspetti della
variante. Il 2 marzo vennero presentate le "proposte di ubicazione di
complessi di attrezzature amministrative e socio-culturali-sanitarie
nell'ambito del piano del sistema dei servizi sociali in Brescia". I
quartieri discussero tali proposte durante il mese di marzo. Il giorno 30
l'assessore convocò un'assemblea di tutti i rappresentanti dei consigli
di quartiere per raccogliere i pareri emersi dai quartieri. I quartieri
pur condividendo la proposta del Comune di dividere la città in dieci
comprensori (raggruppanti in media tre quartieri) alfine di prospettare un
grosso complesso di servizi in ogni zona, insistettero sulla necessità di
privilegiare la realizzazione di nuclei di servizi sociali con bacini di
utenza molto più ristretti. Quasi tutti i consigli si espressero a favore
di una rapida utilizzazione per i servizi socio-culturali delle strutture
esistenti già di proprietà del Comune e di altri enti pubblici.
A queste proposte relative alle strutture socio-culturali e sanitarie
avrebbe dovuto seguire il piano relativo al verde e alle attrezzature
ricreative e sportive. In realtà per molti mesi i consigli di quartiere
non seppero più nulla. In agosto la variante al piano regolatore fu
presentata al consiglio comunale. Con un inspiegabile, e mai ufficialmente
giustificato ritardo, l'ipotesi di Piano venne trasmessa ai quartieri solo
a fine ottobre. La più rilevante novità introdotta dalla proposta di
variante - inevitabile perché derivante da disposizioni di legge -
riguardava, come detto, l'aumento della dotazione di aree per verde e
servizi fino a raggiungere lo standard di 26,5 mq./ab. e "una più
attendibile valutazione e specificazione dello sviluppo nel prossimo
decennio" determinato in base alle nuove norme della legge regionale.
A questi due aspetti va aggiunto il piano quadro dei servizi che per la
prima volta impostava una programmazione e una distribuzione razionale dei
servizi collettivi nei quartieri.
Per quanto riguardava il dimensionamento, la variante prevedeva un
incremento abitativo nel decennio pari a 12.500 persone (di cui 10.000
dovute ad incremento demografico naturale e le restanti come saldo fra il
flusso immigratorio e quello migratorio).
Dai dati statistici risultava che circa 69.000 persone vivevano in alloggi
con numero di vani inferiore allo standard medio considerato civile che fa
corrispondere un vano ad ogni abitante. Pertanto il fabbisogno arretrato
veniva valutato in circa 20.000 vani. Sommando questa cifra al numero di
vani corrispondente all'incremento abitativo si otteneva un fabbisogno
complessivo pari a 32.500 vani. Tale cifra non considerava però i 15.000
vani sfitti esistenti. A fronte di questo fabbisogno, la variante
prospettava interventi per circa 40.000 vani. Di questi la metà circa era
riservato ad edilizia pubblica o convenzionata, il resto era lasciato
all'iniziativa privata. Questo rapporto di parità fra edilizia pubblica e
privata era una novità assoluta per Brescia. Per quanto riguarda gli
standards minimi di aree vincolate, questi erano garantiti in ogni
comprensorio urbano. I comprensori scendevano dai 10 proposti in marzo a
9, perché l'assessorato aveva fatto proprio il suggerimento dei consigli
di quartiere della zona nord della città di procedere ad un diverso
azzonamento (radiale anziché trasversale).. Sulla base della divisione in
zone veniva definito il
piano quadro dei servizi che definiva l'ubicazione di tutte le
attrezzature collettive (asili e scuole dell'obbligo, centri sociali,
culturali e sanitari, chiese ed oratori, attrezzature sportive e
ricreative, giardini e parchi pubblici).
Durante tutto il mese di novembre si sviluppò il dibattito nei quartieri,
che si concluse, ai primi di dicembre, in una serie di incontri fra gruppi
di quartieri, assessore all'urbanistica e ufficio di presidenza della
commissione consiliare urbanistica (Luigi Buffoli e Lucio Moro). In questi
incontri e nei documenti che quasi tutti i consigli trasmisero alla
commissione urbanistica, si delineò l'orientamento dei quartieri. Esso
era pienamente favorevole alle linee di fondo del PRG, in particolare
l'equilibrio fra edilizia pubblica e privata previsto dall'ipotesi e il
progetto di S. Polo, sul quale già nella consultazione del 1973 si era
espressa la totale adesione degli organismi della partecipazione. Dai
quartieri, oltre ad alcune critiche su questioni generali quali la mancata
previsione di parcheggi nei pressi del perimetro del centro storico (che
risponderebbero alla esigenza di limitare il traffico privato in centro),
l'indice di edificazione in alcune zone, la mancata considerazione dei
vani sfitti nel calcolo del fabbisogno di alloggi, emersero soprattutto
richieste particolari (vincolo a servizi pubblici di aree nei quartieri).
Una parte delle richieste di vincolo avanzate dai consigli di quartiere
vennero accolte, ma molte furono anche respinte. A sei mesi di distanza
dalla presentazione alla città, il 7 febbraio 1977, la nuova variante al
piano regolatore venne approvata dal consiglio comunale. Votarono a favore
democristiani, socialdemocratici, socialisti e comunisti; si astennero
liberali e repubblicani, mentre i missini votarono contro.
Un ultimo aspetto vorrei ricordare in ambito urbanistico: il pare
consultivo dei consigli di quartiere sulle licenze edilizie.
L'articolo 11 del regolamento del 1975, nell'elencare le competenze dei
consigli di quartiere prevedeva: "informazione obbligatoria, con i
dati specifici per un rapido reperimento, su tutte le richieste di licenze
edilizie riguardanti il territorio del quartiere. Possibilità del
consiglio di quartiere di ottenere, tramite richiesta scritta del
presidente, una copia della richiesta di licenza di suo interesse, con
obbligo di ritorno della stessa entro 20 giorni, accompagnata dal relativo
parere. Nel caso questo sia disatteso, l'amministrazione comunale dovrà
comunicare per iscritto le ragioni delle sue scelte."
In molti casi, la possibilità dei consigli di ottenere i progetti
relativi alle licenze edilizie ha consentito ai quartieri di esercitare un
controllo effettivo sulla gestione del territorio e di ottenere modifiche
ai progetti presentati, alla luce delle concrete esigenze delle comunità
locali. Inoltre la semplice possibilità da parte dei quartieri di
ottenere e rendere pubblici i progetti, e di discuterli in assemblee o
commissioni aperte, ha sollecitato l'Amministrazione e l'Ufficio tecnico
alla massima regolarità e trasparenza nel procedimento di rilascio delle
licenze.
Valutazioni
sull'esperienza dei quartieri
Spero di essere riuscito a fornire i cenni storici
fondamentali della vicenda dei consigli di quartiere, nonostante qualche
drastica semplificazione, così da consentire a chi non ha vissuto questa
esperienza di farsene una pur sommaria idea. Tuttavia le vicende sulla
costituzione dei consigli, sulle elezioni, sui regolamenti, e anche
l'intervento dei consigli su bilanci del Comune e sugli strumenti
urbanistici, rischiano di rimanere un mero elenco di fatti, se non
facciamo uno sforzo per ricostruire e comprendere lo spirito e
l'atteggiamento di centinaia di consiglieri e cittadini che hanno
affrontato con impegno e talvolta con entusiasmo questa esperienza di
partecipazione.
Tenendo anche conto dei ricordi personali di questa esperienza provo a
formulare alcune osservazioni complessive.
1) Innanzitutto l'esperienza dei quartieri non fu una proiezione sul
territorio dei partiti politici. Non è possibile fornire dei risultati
elettorali ben definiti in quanto le elezioni del 1973-74 si tennero su
lista unica e non si conosce l'orientamento politico di tutti gli eletti.
Tuttavia le stime più attendibili, alla luce anche dei questionari e
delle campionature realizzate dal Coordinamento ACLI della città,
attribuiscono circa il 30% dei seggi alla DC, il 25% al PCI, il 6% al PSI
e l'8% alle ACLI. Tutti gli altri partiti inclusi gli extraparlamentari di
sinistra hanno percentuali irrisorie variabili dal 2% allo 0,5%. Gli
indipendenti, includendovi gli aclisti, erano dunque pari a circa il 35%,
la maggior parte orientati a sinistra. Una così rilevante presenza di
indipendenti è una prova indiscutibile che i consigli di quartiere non
furono cinghia di trasmissione dei partiti, ma movimento popolare spesso
spontaneo, al quale i militanti dei partiti maggiori (DC, PCI e PSI)
parteciparono con entusiasmo e con molta libertà di iniziativa rispetto
alle indicazioni dei rispettivi partiti.
Per quando riguarda i giovani, si può osservare che essi furono molto
presenti nella fase dei comitati promotore, mentre nei consigli di
quartiere eletti la loro presenza fu certamente minore: ciò era dovuto al
meccanismo elettorale della lista unica, che favoriva inevitabilmente le
persone più conosciute nel quartiere e inevitabilmente in molti casi
penalizzò i giovani. Tuttavia la presenza dei giovani nei consigli di
quartiere fu significativa per intensità di impegno ed entusiasmo.
2) Le complesse vicende dei quartieri costrinsero le persone più
impegnate ad acquisire nuove competenze. Posso esemplificare con una
testimonianza personale. Nel comitato promotore del quartiere dove vivevo
(S. Eustacchio) non era facile trovare qualcuno disponibile all'incarico
di coordinatore della commissione urbanistica. Quando io, ventenne
studente universitario di filosofia, fui designato dal comitato promotore
a svolgere questo ruolo, ero completamente ignorante di urbanistica, non
conoscevo le leggi e le procedure amministrative. Ci trovavamo alla sera
per studiare, talvolta fino a notte. Ma non fu uno sforzo inutile. Anzi,
direi che la cosa ci appassionava. Tanto è vero, che negli anni seguenti
scrissi per i quotidiani locali alcuni articoli su questioni urbanistiche
e continuai ad interessarmi della materia per anni.
Per continuare con gli esempi avevamo la catechista che si trovava ad
affrontare le tematiche dei consultori e del decentramento delle strutture
sanitarie e la casalinga che coordinava la commissione cultura e scuola, e
così via.
3) Vi era allora un'alta partecipazione e un forte coinvolgimento emotivo.
Ricordo lunghe e talvolta polemiche riunioni serali su questioni che forse
oggi possono apparire marginali, come la collocazione delle panchine in un
viale, la copertura di una roggia, lo spostamento di una fermata del bus
urbano. Vi era un forte impatto emotivo in scelte che sentivamo
importanti, perché legate all'ambiente di vita quotidiana. Certamente vi
era entusiasmo anche per la novità che i quartieri rappresentavano, per
la sensazione che sui provava pensando di partecipare a processi
fortemente innovativi e di rafforzamento della vita democratica, in un
clima di ottimismo post-sessantottesco. Si aveva l'impressione (e spesso
era vero) di contribuire concretamente alle scelte amministrative e al
rinnovamento della politica. E' comunque indubbio che la partecipazione
dei cittadini era molto ampia in alcune occasioni. Ricordo un'assemblea di
quartiere al cinema teatro della Pavoniana: nonostante gli oltre duecento
posti a sedere, la gente era così numerosa che stentava ad entrare nel
salone. Con l'avvento delle Circoscrizioni la partecipazione dei cittadini
è lentamente calata, ma è difficile dire in che proporzione ciò sia
dovuto al cambiamento delle strutture amministrative (con circoscrizioni
molto più grandi e abitate dei quartieri) e quanto alla mutata situazione
storico-politica.
NOTE
Maurilio Lovatti- Marco Fenaroli, Governare la città. Movimento dei
quartieri e forze politiche a Brescia 1967-77, Nuova Ricerca
Editrice, Brescia 1978, in particolare pag. 21-67.
I quartieri già operanti erano: Borgo Trento, S. Eufemia Urago Mella,
Mompiano, Folzano. I quartieri in cui si era vicino alle elezioni erano:
Lamarmora Don Bosco, Villaggio Prealpino, Violino. Vi erano inoltre forti
movimenti di partecipazione a Via Chiusure, P.ta Venezia, Badia, S.
Bartolomeo, P.ta Milano, S. Polo, Casazza, Chiesanuova.
M. Lovatti – M. Fenaroli, op. cit., pag. 53-56.
Tratto
da: Comune di Brescia, Assessorato alla partecipazione, Atti del Convegno
I Quartieri a Brescia: Partecipazione e cittadinanza attiva (a cura di C.
Bragaglio), Brescia 2008, pag. 81-101. (Il volume contiene scritti di
Paolo Corsini, Claudio Bragaglio, Lucio Bregoli, Maurilio Lovatti,
Francesco Maltempi, Gianpiero Ribolla, Maurizio Tira, Marco Trentini,
Giovanni Valenti)
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