Corriere della Sera
(Brescia), 14
gennaio 2018, p. 7
Gli anni del Circolino
Un volume ripercorre la
storia della sinistra DC bresciana
Massimo Tedeschi
La fine rovinosa e
traumatica della Prima Repubblica ha abraso dalla memoria collettiva tante
vicende cruciali che rimandano alla vita e al ruolo dei partiti: sono andati
dispersi archivi e documenti, sono finiti offuscati
ricordi e meriti. Solo dopo un quarto di secolo va
prendendo forma un lodevole sforzo di recupero: di
carte, di vicende, di archivi, di storie.
Si colloca in questo quadro il lavoro che va ascritto al
merito, alla pazienza e alla passione di Franco Gheza,
studioso della storia sindacale bresciana, e Maurilio
Lovatti, da tempo impegnato in una preziosa
ricognizione di figure e vicende del mondo cattolico
bresciano del Novecento. In attesa che si riesca a mettere
mano a una organica storia della Dc bresciana vanno
accolte con favore le ricerche che – come questa –
mettono a fuoco la vicenda di una delle componenti
interne, una delle ormai vituperatissime
«correnti» della Dc.
Gheza e Lovatti, in particolare, si occupano di quel
segmento della corrente di Forze Nuove, nata nei primi
anni Sessanta, che faceva capo a esponenti popolari
provenienti dall’esperienza di ACLI e CISL: componente che
trovò sintesi prima nel Centro studi Achille Grandi poi nel
Circolo culturale Michele Capra. In gergo politico e
giornalistico questa esperienza fu meglio conosciuta
come «Circolino», forse per via delle dimensioni della
sede di vicolo San Clemente 25/A. Intenzionalmente il lavoro
non abbraccia tutta la storia del «Circolino»: resta in
attesa di una compiuta ricognizione la stagione della crisi
politico-amministrativa che investì il Comune di
Brescia fra il 1990 e il 1994. La ricerca di Lovatti e Gheza
parte da molto lontano e si arresta un passo prima di quella
stagione. Parte dal periodo degasperiano che, fino al 1953,
non prevedeva né ammetteva correnti interne.
Evidenzia poi come persino le biografie, le comuni
esperienze formative, congiurassero a creare legami che
sono poi durati una vita fra i leader di questa corrente.
Giovanni Landi e Egidio Papetti si formano,
adolescenti, alla scuola di don Guerino Franzoni nel “borgo
rosso” di Sant’Eufemia. Franco Castrezzati sperimenta
una militanza totalizzante negli anni in cui i giovani
attivisti dormivano su brande disposte sulla
soffitta di via Tosio, nella sede del partito. Michele Capra e
Mario Faini inducevano questi ragazzi a leggere di
tutto: testate cattoliche e giornali laici, da Il Ponte a
Il Mondo, da Politica ad Aggiornamenti sociali.
Letture voraci e disordinate, formative e
illuminanti che si sommavano alle parole-guida di padre
Giulio Bevilacqua e del teologo Tullo Goffi. Per
comprendere la genesi di questa componente
democristiana (altrimenti detta dei “bodratiani”) e i
suoi approdi è indispensabile capire cosa accadde,
in un trentennio, nelle istituzioni cattoliche, nelle ACLI,
nella CISL (e soprattutto la FIM CISL), in Azione cattolica.
Una tastiera ampia, fino ad ora lacunosa, in cui Gheza e
Lovatti colmano molti vuoti e riassumono
efficacemente i nodi essenziali. Certo colpisce
constatare come fosse partecipata la vita
associativa di un’epoca (fra la fine degli anni
Cinquanta e i Sessanta) in cui i tre componenti della
segreteria FIM CISL arrivavano a totalizzare 686
riunioni in fabbrica in due anni, l’Azione Cattolica
contava 62mila iscritti e le Acli 178 circoli con 18mila
iscritti. È a questo retroterra che bisogna riandare per
comprendere decisioni strategiche e scelte tattiche,
iniziative culturali e pratiche politiche di un gruppo
dirigente immune da scissioni interne (diversamente
da tutte le altre correnti) se si esclude il divorzio
avvenuto nel giugno 1971 dentro Forze Nuove fra il nucleo
che faceva capo ai fratelli Sandro ed Elio Fontana e quello
– appunto – che si aggregò nel «Circolino». Oltre
alla coesione e alla consonanza biografica, un altro
elemento essenziale per capire la vicenda di questo
gruppo dirigente è il legame con l’esperienza di
fabbrica, la militanza sindacale, il rapporto con ceti
popolari in prevalenza urbani, le frequentazioni con
un clero che a questa esperienza affidava speranze di
autentica promozione umana. Uno degli elementi
problematici, nell’alimentare questa esperienza, è
rappresentato non a caso dall’accento posto sempre più
nettamente sull’autonomia dell’associazionismo e del
sindacato rispetto alla Dc: un’autonomia che non ha
riguardato altre forze politiche ma che, nel caso della Dc,
ha interrotto canali vitali e un’essenziale
circolazione di linfa ideale. Sul piano più
strettamente politico il «Circolino» ha sempre
rappresentato l’ala sinistra del partito pur vivendo
rapporti complicati con la sinistra politica, la sinistra
di «Base», e non disdegnando più volte alleanze con la
componente moderata prandiniana sia che si trattasse di
varare segreterie cittadine, segreterie
provinciali o quaterne elettorali per Montecitorio. La
ricostruzione di Lovatti e Gheza, sia detto per inciso,
evidenzia come l’introduzione delle liste bloccate
senza preferenze abbia segnato un’involuzione, e un
elemento di criticità, nel tasso di democrazia
interna nella vita della DC. Un dato che fa riflettere,
laddove lo stesso metodo è stato esteso all’elezione dell’intero
parlamento.
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